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Telescopio spaziale omofobo fa dimettere consigliere della NASA

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Il mese scorso, la NASA ha deliberato e deciso di non cambiare il nome del James Webb Space Telescope, un osservatorio orbitale che dovrebbe rivoluzionare l’astronomia e che prende il nome da un ex amministratore della NAS, James Webb (1906-1992).

 

Il problema è che Webb è ritenuto un «omofobo».

 

Dal 1950 al 1952, in seguito alle regole del Dipartimento di Stato messe in atto nel 1947, Webb svolse un ruolo di leadership in quello che oggi è chiamato il Lavender Scare, una purga durante la quale centinaia di membri del personale sospettati di omosessualità furono licenziati dal dipartimento dove lavorava come sottosegretario.

 

L’agenzia spaziale ha annunciato, senza fornire dettagli, che era stata avviata un’indagine e che non aveva trovato alcun motivo per il nome al telescopio spaziale

L’agenzia spaziale ha annunciato, senza fornire dettagli, che era stata avviata un’indagine e che non aveva trovato alcun motivo per il nome al telescopio spaziale, nonostante Webb stesso avesse permesso alla sicurezza della NASA di interrogare i dipendenti sulla loro sessualità durante il suo incarico in azienda negli anni ’60.

 

Ma nonostante il tranquillo tentativo di risolvere il problema, la NASA è di nuovo sotto tiro: l’astronoma Lucianne Walkowicz ha da poco annunciato di essersi dimessa dal suo incarico di consulente dell’agenzia spaziale per protestare contro quella che lei chiama un’indagine farsa.

 

Nella sua lettera aperta alla NASA, la Walkowicz ha criticato l’agenzia per aver ignorato le preoccupazioni degli oltre 1.200 astronomi – alcuni dei quali lavorano per la NASA – che hanno firmato una petizione chiedendo che il James Webb venisse rinominato.

 

«È evidente da questa scelta che qualsiasi promessa di trasparenza e completezza erano, in effetti, bugie», ha scritto la Walkowicz.

 

«Sembra anche chiaro che la NASA preferirebbe un comitato di Yes Men, un comitato che co-firma cose che la NASA aveva già pianificato di fare, o forse li rimprovera per correzioni di rotta moderate che in realtà non mettono affatto in discussione la NASA».

 

«È anche chiaro che mentre Sean O’Keefe [l’ex amministratore della NASA,ndr] può semplicemente suggerire James Webb come nome del telescopio perché pensa che sia una buona idea», ha aggiunto la scienziata per poi continuare sostenendo che «le persone queer sono tenute a giustificare le loro opinioni tramite un’indagine».

 

Benvenuti nella nuova era del politically correct cosmico, del gender spaziale, dell’omosessualismo astronomico

La Walkowicz ha contiuato dicendo che non è mai stata ottimista sul fatto che la NASA avrebbe ascoltato le critiche e poi agito secondo le sue richieste, ma ritiene comunque che valga la pena spingere l’agenzia nella giusta direzione. Nel frattempo, ha terminato la sua lettera invitando la comunità scientifica a non utilizzare il vero nome del telescopio spaziale James Webb.

 

Grazie, ora abbiamo visto anche il telescopio orbitante omofobo, che in effetti ci mancava.

 

Benvenuti nella nuova era del politically correct cosmico, del gender spaziale, dell’omosessualismo astronomico.

 

Sono cose belle.

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Trump trolla tutti con un video AI in cui bombarda di escrementi i manifestanti «No Kings»

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Il presidente statunitense Donald Trump ha ridicolizzato le proteste «No Kings», diffondendo su Truth Social vari video generati dall’intelligenza artificiale, tra cui uno in cui rovescia sulla folla quella che appare come una massa di escrementi.

 

Sabato gli Stati Uniti sono stati teatro di un’ondata di dimostrazioni contro l’amministrazione Trump, con grandi raduni organizzati in oltre 2.500 luoghi in tutto il territorio nazionale.

 

I partecipanti accusano il presidente di abuso di potere e di erosione della democrazia, criticando inoltre la sua politica repressiva verso gli immigrati irregolari e l’impiego di truppe nelle città con la motivazione di contrastare la criminalità diffusa.

 

In risposta, Trump ha postato sui social media clip create con l’IA, inclusi filmati inizialmente caricati da Xerias, un account X pro-Trump noto per produrre meme digitali.

 

Una delle sequenze mostra Trump ai comandi di un jet da combattimento battezzato «King Trump», che scarica enormi masse di materia fecale su una folla di manifestanti – con in sottofondo la canzone di Kenny Loggins Danger Zone, irrimediabilmente associata alla celeberrima pellicola aeronautica Top Gun (1986), che la utilizza ben tre volte nella storia con protagonista il Tom Cruise.

 

Il video AI rilanciato dal presidente include anche un’immagine condivisa durante la protesta di New York dall’influencer progressista Harry Sisson, che nel video finisce sommerso, come tutta la serqua di manifestanti «No Kinghi» da una poderosa quantità di materia escrementizia.

 

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Il Sisson, idolo tiktoker progressista, l’ha presa male. Domenica mattina, Sisson ha replicato su X al video che lo ritraeva: «un giornalista può domandare a Trump il motivo per cui ha postato un filmato generato dall’IA in cui mi fa cadere la cacca addosso da un caccia?».

 

Il ragazzo ha quindi proceduto ad insultare Trump dicendo che nella realtà l’aereo non sarebbe potuto decollare a causa del «fat ass» («culo grasso») del presidente. Per fare ciò, il Sissone rimanda in onda per intero l’irresistibile video, di fatto ampliandone la portata.

 

 

In un’altra clip, originariamente diffusa dal vicepresidente JD Vance e condivisa da Trump, il presidente indossa una corona e un mantello, estrae una spada e si erge trionfante sugli avversari democrat.

 

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Il montaggio condiviso dal Vance termina con figure di spicco del Partito Democratico, come l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi e il leader dell’opposizione al Senato Chuck Schumer, in ginocchio ai suoi piedi. Si tratta qui di un’allusione esplicita a una sessione fotografica del 2020 in onore di George Floyd.

 

I contenuti di Trump hanno suscitato risposte polarizzate: i suoi sostenitori li hanno rilanciati con entusiasmo, mentre detrattori come il senatore democratico Brian Schatz li hanno aspramente censurati. «Perché il Presidente dovrebbe diffondere online un’immagine in cui scarica feci sulle città americane?», ha twittato Schatz su X.

 

I progressisti americani non hanno ancora capito veramente che per la prima volta alla Casa Bianca c’è un presidente troll, e di capacità di trollaggio eccelse, o meglio quello che l’antropologia dell’internetto oggi definisce uno shitposter. Parola assai adeguata anche al caso presente.

 

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Immagine screenshot da Twitter

 

 

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Trump contro la trionfale copertina di TIME: «mi hanno fatto sparire i capelli»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha criticato l’ultima copertina della rivista Time, che accompagna un articolo che loda il suo ruolo nel negoziato di un cessate il fuoco tra Israele e il gruppo militante palestinese Hamas.   L’edizione di lunedì della rivista ha definito la tregua di Gaza come il «trionfo» di Trump, presentando un suo ritratto scattato dal basso. Sebbene abbia riconosciuto che l’articolo in sé fosse «relativamente buono», Trump ha duramente contestato l’immagine su Truth Social martedì mattina, definendola «forse la peggiore di sempre».   «Mi hanno fatto “scomparire” i capelli e poi hanno messo sopra la mia testa qualcosa che sembrava una corona fluttuante, ma estremamente piccola. Davvero strano!» ha scritto.   Trump ha frequentemente accusato i media americani di parzialità, sostenendo che la maggior parte della copertura mediatica evidenzi ingiustamente le critiche alla sua presidenza.  

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Non si tratta della prima volte che il Trump si preoccupa della sua criniera, a lungo oggetto di speculazioni sulla sua autenticità. Per provare di avere i capelli veri, si fece tirare i capelli in diretta dalla giornalista televisiva Mika Brzezinski (figlia del geostratega Zbigniew), che col marito co-conduttore Joe Scarborough divenne poi acerrima avversaria del presidente (con reductio ad Hitlerum ad abundatiam) e parossistica apologeta di Biden.     Il figlio primogenito Don jr. ha raccontato durante un incontro pubblico con Charlie Kirk che, raggiunto al telefono dai figli dopo l’attentato subito a Butler in Virginia durante la campagna elettorale, Trump ha chiesto loro come in TV, in quel momento, fossero i suoi capelli. «I capelli vanno bene… c’è molto sangue, ma vanno bene» ha risposto il figlio.     È lecito pensare che vi sia nel presidente statunitense una cifra sansonica, per cui il suo potere – a questo punto indiscutibile – è tratto proprio dalle sue bionde, inconfondibili, escrescenze tricologiche – che sono, lo sanno gli esperti, uno strumento di branding perfino superiore al baffetto dello Hitler, al baffone dello Stalin, alla pelata mussoliniana.  

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Ai nordcoreani è stato ordinato di identificare le donne con tette «antisocialiste»

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La Corea del Nord ha lanciato una severa campagna contro le donne sospettate di aver utilizzato protesi mammarie considerate «capitaliste», classificando tali interventi estetici come «antisocialisti» e «borghesi». Lo riporta il giornale britannico Telegraph.

 

Le forze di sicurezza del regime starebbero effettuando ispezioni invasive, con i responsabili dei comitati di quartiere incaricati di individuare donne che mostrano evidenti modifiche fisiche e di segnalarle per ulteriori accertamenti.

 

Nel regime guidato da Kim Jong-un, interventi come l’aumento del seno e la chirurgia delle palpebre sono ritenuti «atti non socialisti» e sono vietati. Chi viola queste norme rischia gravi conseguenze.

 

La notizia è emersa in concomitanza con un processo pubblico tenutosi nella sala culturale di Sariwon, dove un medico e due giovani donne sono stati processati per aver praticato e subito interventi al seno non autorizzati. Il medico, con scarsa esperienza, aveva abbandonato gli studi di medicina prima di completare la formazione chirurgica.

 

«A metà settembre, un processo pubblico si è svolto in un centro culturale nel cuore di Sariwon contro un medico che ha eseguito un’operazione illegale di mastoplastica additiva e due donne che si sono sottoposte all’intervento», ha riferito una fonte della provincia di North Hwanghae al quotidiano sudcoreano Daily NK.

 

I pubblici ministeri hanno accusato le donne di essere state «contaminate dalle usanze borghesi» e di aver adottato un «comportamento capitalista corrotto». Le imputate hanno dichiarato di voler «migliorare il loro aspetto», ma sono state definite una minaccia per il sistema socialista.

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Il giudice ha promesso «punizioni severe», mostrando come prove strumenti medici, silicone di contrabbando e denaro contante. Secondo quanto riferito, il giudice ha dichiarato che una delle imputate «non aveva alcuna intenzione di essere leale all’organizzazione e al collettivo, ma era ossessionata dalla vanità, diventando un’erba velenosa che minava il sistema socialista».

 

Una fonte ha inoltre riferito al Daily NK «che tra i residenti presenti al processo, si sono sentite critiche come “i medici fanno di tutto per denaro”, ma anche commenti di solidarietà, come “Non lo fa forse perché non ha altri mezzi per vivere?”»

 

Molte donne di Sariwon vivono nel timore di essere sottoposte a controlli se sospettate di aver effettuato interventi di chirurgia estetica.

 

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