Geopolitica
I talebani si riprendono l’Aghanistan. Tutto.
Lo dicono perfino i TG italiani: tutto l’Afghanistan sta tornando nelle mani dei talebani.
La capitale Kabul ha, letteralmente, i giorni contati. C’è chi dice che le truppe degli «studenti» islamisti entreranno in città tra novanta giorni. In tempo per il Natale, se sapessero cosa è.
Il New York Times martedì ha scritto che i talebani hanno invaso la settima e l’ottava capitale di provincia. Pul-e-Khumri nel nord è diventata l’ultima capitale regionale a cadere.
La capitale Kabul ha, letteralmente, i giorni contati
Today is the second and in 8 days the eighth provincial capital
The Taliban also captured Pul-e-Khumri, the provincial capital of Baghlan, located in the city center. pic.twitter.com/uXZ01nEboJ— Sher Ghazi (@SherGhazi) August 10, 2021
Un corrispondente del Times con sede a Kabul ha sottolineato che è caduta «senza combattere contro i talebani, ottava città in meno di una settimana e seconda in meno di 24 ore».
Come dire, la cosa è pacifica, per gli afghani – e quello che è peggio, pure per gli americani, che in quelle quattro aride rocce al centro del mondo hanno versato trilioni di dollari e – cosa ben più importante – il sangue di tanti, tantissimi giovani soldati.
Morti per cosa? L’esporto della democrazia, come dicevano Bush e i Neocon suoi pupari? Morti per la stabilità della regione? Morti per il petrolio, o le risorse minerarie? Morte per il Grande Gioco contro la Russia, la Cina, o lo Scontro di Civiltà di cui parlava il politologo Huntington?
Nessuna di queste: la loro morte sarà l’unica che non deve pertenere al soldato, la morte infertile. Il pioniere della polemologia Gaston Bothouls, nel suo saggio degli anni Cinquanta Les guerres, scriveva che quella del soldato in guerra è una morte speciale, una morte fertile. Non è più il caso. La morte – come da imperativo della Necrocultura esteso ad ogni forma di vita umana – è divenuta sterile. Non produce niente, neppure un vago senso di nobiltà della sconfitta.
Il Pentagono probabilmente sottostima il messaggio che verrà inviato ai suoi uomini: siete carne da cannone, non contate niente, la vostra è una vita inutile, come inutile è la vostra morte
Il Pentagono probabilmente sottostima il messaggio che verrà inviato ai suoi uomini: siete carne da cannone, non contate niente, la vostra è una vita inutile, come inutile è la vostra morte.
Oppure è proprio il messaggio che vogliono mandare alla nuova generazione di soldati: ma quale patria, ma quali ideali, ma quale cameratismo – combattete per mero nichilismo, per sfogo sanguinario. Prìncipi e princìpi restino a casa. Abbiamo bisogno di belve dalla furia cieca, non di esseri razionali e nemmeno sentimentali.
Ad ogni modo, forse con un enorme eufemismo, il portavoce del Pentagono John Kirby ha ammesso che le cose «chiaramente non vanno nella giusta direzione» in Afghanistan.
È difficile che quanto stia accadendo non sia già stato accordato sottobanco.
Biden fa spallucce, e assicura che le forze afgane addestrate dagli Stati Uniti hanno tutto ciò di cui hanno bisogno per respingere i talebani
Biden fa spallucce, e assicura che le forze afgane addestrate dagli Stati Uniti hanno tutto ciò di cui hanno bisogno per respingere i talebani.
«In definitiva, la nostra opinione è che le forze di sicurezza afghane abbiano le attrezzature, i numeri e l’addestramento per combattere che rafforzeranno la loro posizione al tavolo dei negoziati», ha detto ai giornalisti il segretario stampa della Casa Bianca Jen Psaki .
Come nota Zerohedge, «quando i funzionari iniziano a parlare di guadagnare influenza al “tavolo delle trattative” significa che prevedono che la sconfitta è imminente».
Perché, riguardo alla temibile armata della democrazia afghana decantata da Biden, c’è da riferire delle notizie diffuse di diserzioni di massa nelle postazioni, truppe lealiste in ritirata e accordi conclusi con i talebani per consegnare villaggi e città con nessuna resistenza sul campo – esattamente quello che stiamo vedendo, città dopo città.
Lunedì a Kirby è stato chiesto a bruciapelo durante un briefing del Pentagono sull’intensificarsi degli attacchi aerei degli Stati Uniti. Ha negato che fosse così e ha ammesso che non c’è “molto” da fare a questo punto, suggerendo fortemente che anche la caduta di Kabul sta arrivando presto .
Balbettii di circostanza che ci fanno capire che il destino dell’Afghanistan, venti anni dopo l’invasione americana come reazione dell’11 settembre, è segnato
«Voglio dire, se… non abbiamo forze a terra in partenariato con loro, e noi… non possiamo, noi … sicuramente sosterremo dall’aria, ove possibile, ma non è un sostituto per i leader sul campo, non è un sostituto per la leadership politica a Kabul, non è un sostituto per usare le capacità e le capacità che sappiamo che hanno», ha aggiunto il Kirby.
Balbettii di circostanza che ci fanno capire che il destino dell’Afghanistan, venti anni dopo l’invasione americana come reazione dell’11 settembre, è segnato.
All’uomo del Pentagono è stato inoltre chiesto perché le forze addestrate dagli Stati Uniti fossero state battute a un ritmo rapido. Lui ha risposto dicendo che è una domanda per «alti funzionari afghani a Kabul e sul campo, non per il dipartimento della difesa». Tra papaveri militari e il presidente, deve essere una gara a chi scarica il barile più velocemente – sui fantocci di Kabul, cosa che non costa nulla, perché quell’intera classe politica sintetica sta per dissolversi nel niente (o forse, nel sangue).
I talebani ora controllano la maggior parte del Paese geografico: «Le forze talebane ora controllano il 65% del territorio afghano , minacciano di prendere 11 capoluoghi di provincia e cercano di privare Kabul del suo tradizionale sostegno delle forze nazionali del nord, un alto funzionario dell’UE ha detto martedì», riportava l’agenzia Reuters martedì.
«Il governo ha ritirato le forze dai distretti rurali difficili da difendere per concentrarsi sul mantenimento dei principali centri abitati, mentre i funzionari hanno fatto appello a fare pressione sul vicino Pakistan per fermare i rinforzi e le forniture talebane che fluiscono oltre il confine poroso. Il Pakistan nega di sostenere i talebani», aggiunge il rapporto.
Il barile scaricato anche sui pakistani, così vicini al drago cinese? Gli USA ci hanno provato varie volte in passato, perfino avvicinandosi ad un Paese filosovietico come l’India. Non sono mai andati fino in fondo.
Il barile scaricato anche sui pakistani, così vicini al drago cinese? Gli USA ci hanno provato varie volte in passato, perfino avvicinandosi ad un Paese filosovietico come l’India. Non sono mai andati fino in fondo.
Del resto, non lo fanno più praticamente. Iraq, Afghanistan… ferite della terra che lasciano suppurare, e infettarsi, e infettare gli altri.
In Europa, settanta anni fa, avanzarono casa per casa fino al cuore del nemico, rifiutando la possibilità di una pace e macellando l’intero continente. Si vede che ora gli obbiettivi sono altri.
Demoralizzare il proprio esercito e i suoi sacrifici – e quindi demoralizzare l’intera società americana – potrebbe essere uno di questi.
Geopolitica
Hamas accetta l’accordo di cessate il fuoco
Hamas ha accettato la proposta di cessate il fuoco avanzata dai mediatori egiziani e del Qatar, ha detto lunedì ad Al Jazeera un portavoce del gruppo. L’annuncio è arrivato poco dopo che Israele ha ordinato l’evacuazione della città di Rafah in vista di un assalto pianificato da tempo.
Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha avuto telefonate con il primo ministro del Qatar Sheikh Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani e il ministro dell’Intelligence egiziano Abbas Kamel, informandoli «dell’approvazione da parte del movimento Hamas della loro proposta riguardante l’accordo di cessate il fuoco», ha detto il gruppo in una dichiarazione ad Al Jazeera.
I dettagli della proposta non sono ancora stati resi pubblici. Hamas ha precedentemente chiesto che qualsiasi cessate il fuoco fosse permanente e includesse il ritiro di tutte le truppe israeliane dall’enclave palestinese assediata. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rifiutato di fornire queste garanzie, avvertendo la scorsa settimana che Israele non permetterà ad Hamas di rimanere al potere a Gaza e invaderà Rafah con o senza un accordo di cessate il fuoco.
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Netanyahu, tuttavia, ha affermato che Israele è pronto per una pausa temporanea nei combattimenti per consentire lo scambio di ostaggi israeliani con prigionieri palestinesi.
Il primo ministro israeliano minaccia da diversi mesi di lanciare un’invasione di terra di Rafah, una città nel sud di Gaza che attualmente ospita circa 1,4 milioni di palestinesi sfollati da altre parti del territorio. Nonostante la condanna di Stati Uniti, Unione Europea e decine di altri Paesi, lunedì l’esercito israeliano ha ordinato ai civili di lasciare Rafah, avvertendo che di lì a poco avrebbe colpito la città con «forza estrema», scrive RT.
Non è chiaro se la minaccia di invasione abbia influenzato la decisione di Hamas di accettare la proposta di cessate il fuoco. Nonostante l’insistenza di Netanyahu nell’entrare a Rafah, altri funzionari israeliani hanno suggerito che Hamas potrebbe evitare un’invasione accettando la tregua temporanea di Israele.
Non è inoltre chiaro se l’accordo proposto da Egitto e Qatar abbia il sostegno di Israele. Un anonimo funzionario israeliano ha detto a Reuters che Hamas ha accettato una versione «ammorbidita» dell’offerta iniziale dello Stato degli ebrei, che includeva conclusioni «di vasta portata» che Israele non avrebbe sostenuto.
Secondo le autorità sanitarie palestinesi, il bilancio delle vittime della ritorsione israeliana nell’enclave si avvicina a 35.000 persone uccise dalle forze israeliane.
Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir ha minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non entrasse a Rafah.
«Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» ha dichiarato il ministro sionista il ministro sionista a seguito di un incontro chiesto ed ottenuto con il premier, avvenuto peraltro dopo un mostruoso incidente d’auto che ha coinvolto in Ben Gvir.
«Penso che il primo ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero», ha detto il ministro.
Come riportato da Renovatio 21, il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.
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Il Ben Gvir da ministro l’anno scorso ha vietato le bandiere palestinesi, mentre quest’anno un altro membro del partito ha minimizzato riguardo gli sputi degli ebrei contro i pellegrini cristiani (un’«antica tradizione ebraica»), mentre sul territorio si moltiplicano gli attacchi e le profanazioni ai danni dei cristiani e dei loro luoghi in Terra Santa.
Come riportato da Renovatio 21, in un altro editoriale Haaretz scriveva che «il governo di Netanyahu è tutt’altro che conservatore. È un governo rivoluzionario, di destra, radicale, messianico che ha portato avanti un colpo di Stato e sogna di annettere i territori».
Il Ben Gvir era tra i relatori del grande convegno sulla colonizzazione ebraica di Gaza, celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.
Come gli accordi con Hamas si concilino con l’estremismo giudaico al governo non è dato sapere, ma lo scopriremo a breve.
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Immagine di Council.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Zelens’kyj: gli ucraini sono il popolo eletto di Dio. Mosca: «overdose di droga»
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Geopolitica
La Colombia rompe i rapporti con Israele
Il governo colombiano ha ufficialmente notificato all’ambasciatore israeliano la fine delle relazioni diplomatiche e l’intenzione di ritirare il personale correlato, ma ha deciso che i servizi consolari dovrebbero essere mantenuti sia a Tel Aviv che a Bogotá, secondo il Ministero degli Esteri.
Il presidente Gustavo Petro ha annunciato la decisione di farlo il 1° maggio, con effetto dal 2 maggio, perché l’assalto israeliano a Gaza costituisce un «genocidio».
Bolivia e Belize hanno interrotto le relazioni con Israele all’inizio della guerra, mentre Cile e Honduras hanno richiamato i loro ambasciatori da Israele.
Come riportato da Renovatio 21, il presidente venezuelano Maduro ad inizio anno aveva dichiarato che Israele ha lo stesso sostegno occidentale di Hitler. Il Nicaragua è andato oltre, attaccando anche i Paesi «alleati» dello Stato ebraico come la Repubblica Federale Tedesca, portando Berlino davanti alla Corte Internazionale per complicità nel genocidio di Gaza.
In Sud America Israele sembra godere del favore parossistico – definito «chiaro ed inflessibile sostegno» – del presidente argentino Milei, uomo consigliato da rabbini che sarebbe in procinto di «convertirsi» al giudaismo, che ha addirittura fatto partecipare l’ambasciatore israeliano ad un gabinetto di crisi del governo di Buenos Aires, destando scandalo nella comunità diplomatica del suo Paese.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il Milei ha definito il presidente colombiano Petro «assassino terrorista», provocando così l’espulsione di tutti i diplomatici argentini da Bogotá.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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