Pensiero
La morte, e quello che resta
Ho compreso questa realtà quando, oramai una dozzina di anni fa, morì mio padre: quando se ne va un uomo, muoiono con lui tutte le sue storie. Immagino che per alcuni questa sia una banalità, chissà quanti già lo hanno detto, molto meglio di così. Massì: una frase da cioccolatini. Eppure, non se ne afferra la verità estrema, e dolorosa, se non quando si è davanti davvero ad una morte – alla morte.
Sto parlando di quelle storie che, nell’epoca in cui siamo illusi che ogni informazione sia a portata di click, non compariranno mai da nessuna parte. Non su Google, né altrove. Pezzi di umanità che si estinguono irreversibilmente.
Quando è morto mio padre ho sentito subito che con lui sarebbe mancato un deposito enorme non solo di conoscenze, ma di storia umana, micrologica e macrologica, che si portava dentro. Non potevo più parlare con lui delle decadi passate: com’era il mondo, com’era il suo settore, com’era questo o quell’amico, i cicli di crisi economica, le nuotate da bambino nel torrente scavato sotto il monte, i parenti in Argentina e forse in Texas, le partite di pallacanestro dentro la Basilica Palladiana, la bisnonna che dava del voi al bisnonno, i ricordi delle macerie della guerra, la sua capacità profonda di leggere il mare dell’Istria e della Dalmazia, gli anni Cinquanta, gli anni Sessanta, gli anni Settanta, gli anni Ottanta, la sua esperienza di padre, di uomo. Tanto altro, ovviamente. L’insieme del senso che aveva recepito, per cui, in fondo, possiamo dire che aveva vissuto.
La vita è anche questa raccolta di informazioni, la vita è l’insieme di tutte queste storie che ci sono date a vedere, di cui siamo testimoni. Testimoniare, vivere… l’esistenza forse ha questa semplice base.
E poi: tramandare. Le storie che abbiamo raccolto trasmesse oltre a noi, nello spazio e nel tempo, ai figli, ai nipoti… Sì, il significato ultimo della parola «tradizione» altro non è che questo. Ricevi e trasmetti.
L’altro giorno appare su Whatsapp il messaggio. A., un amico dei tempi del liceo, è mancato. La trafila la conosciamo: lotta con la «malattia» che lo prende a fine 2021. Dapprima, mi hanno raccontato, sembrava in remissione. Poi l’evoluzione in male incurabile, con esaurimento dei cicli di cura. Non voglio chiedermi di più. Questo pattern, purtroppo, già lo ho veduto in altri amici, e il cuore ancora mi sanguina.
Aveva due figli, un bambino e una bambina dell’età dei miei. Lascia una moglie che, se non ricordo male, era stata la sua ragazza negli anni dopo la scuola.
Sostieni Renovatio 21
Ho provato a non pensarci. Letto il messaggio, ho risposto con un secco «Requiescat». Mi sono detto di andare avanti con la giornata senza farci caso, in fondo non era una persona che frequentavo, non avevamo molto in comune, e poi sapevo da tempo che stava male. Aggiungiamo che ad un funerale – un’altro del gruppo morto troppo presto, forse ne ho già scritto su queste pagine – mi era parso che mi avesse chiamato, dopo tanti anni che non ci vedevamo, «Alberto», cosa che mi aveva profondamento irritato: proprio lui che, membro attivo della Curva dello stadio sin da bambino, una volta mi accoglieva, quando arrivavo in motorino, con il coro celebrativo «Roberto /Dal Bosco / eh eh / oh oh».
In verità ci ho pensato in continuamente, almeno una volta l’ora negli ultimi tre giorni. La quantità di cose che la mia mente ha dissepolto autonomamente mi hanno via via spinto a scriverne: perché più passavano le ore, più capivo che le storie che A. portava con sé, erano a rischio di estinzione. Specie quelle per le quali posso dirmi testimone io, sia pure di quelle di qualche tratto eseiguo della sua esistenza. Il giornale locale ha fatto un trafiletto: era un tifoso storico del calcio cittadino. Non c’è traccia, nell’articolino, di chi fosse lui: me ne sono reso conto perché in testa avevo le mille storie giovanili.
Ho parlato con altri amici comuni, che erano rimasti più in contatto con lui. Mi hanno spiegato che negli ultimi giorni, quando ancora era lucido, raccontava come temesse che i figli sarebbero finiti per ricordare solo il periodo della malattia del padre, invece che quello che era davvero. La sua storia, la sua vera identità, sono a rischio di sparizione: anche di fronte ai bimbi che ha generato.
Non è una preoccupazione da poco, è un pensiero abissale, che, in alcune situazioni estreme mi sono trovato a fare pure io: cosa resterà di me ai miei figli? Cosa penseranno del loro padre? Se scompaio anzitempo, chi li proteggerà? Chi spiegherà loro? La fine della vita è la fine del materiale per il racconto che siamo tenuti a trasmettere. A meno che qualcuno questo racconto non lo custodisca, non lo ripeta, non lo faccia esistere nel ricordo e nella parola.
Sono a questo punto spinto a scrivere qualcosa su A., per quanto si tratta solo di quadretti giovanili, tuttavia fatti di esistenza vera, della quale io posso fare testimonianza diretta.
A. era un ragazzo sereno e gradevole. Alto, rasato, il viso angoloso e simpatico. Minorenne era già veterano rispettato della Curva Sud, con la particolarità che era forse l’unica figura ultras di alto livello a frequentare il liceo classico. Non solo: nel prestigiosissimo istituto cittadino vi insegnava latino e greco pure la madre. Lui tuttavia esibiva segni esteriori non esattamente da lettere classiche: bomber perenne, o al massimo giacca jeans, capello cortissimo, e il terrificante Oxford, assordante motorino preferito dai periferici studenti delle scuole tecnico-professionali, veicolo che qualcuno truccava sino a renderlo più veloce e rombante di tante motociclette.
Qui la prima storia: lo ferma la polizia, una sera tardi e, si dice, con una certa veemenza, mentre con l’Oxford e la sciarpa del Vicenza transitava casualmente davanti al nostro liceo dopo chissà quale serata. Gli chiedono: chi sei, cosa fai? Sono uno studente delle superiori, dice lui, che poteva dimostrare tranquillamente 25 anni quando ne aveva 16. E che cosa studi? Studio qui al liceo classico. Secondo la vulgata, la polizia non credette alle sue parole, tutte verissime, arrabbiandosi e incolpandolo. Non sarebbe stata l’ultima volta che le forze dell’ordine gli davano addosso, ma ne è uscito sempre intonso, perché innocente, perché A. era davvero, malgrado le toppe ultras sulla giacca, un bravo ragazzo.
Frequentava, come me, un gruppo di ragazzi e ragazze (tante, tantissime: come in nessun altro posto) che si era agglutinato organicamente in città in quegli anni, una compagnia conosciuta come «la Statua», perché il ritrovo era sotto una statua di Garibaldi (nota per essere ciclicamente sporcata di vernice rossa dagli indipendentisti veneti ancora cinquanta anni fa) in pieno centro storico.
«La Statua» era forse il gruppo umano più incredibile che abbia avuto modo di vedere. Non c’era alla base nessun senso tribale, nessuna categoria di censo, nessuna rete di conoscenza famigliare reciproca, nessuna comune distribuzione scolastica o drogastica. Non c’era quel principio clanico che rendeva il resto delle compagnie snob, tristi o violente. Non c’era, neanche in lontananza, una qualche meccanica di esclusione – davvero, come in un’utopia progressista, ma involontaria, riuscita ed irresistibile.
C’era, sorto davvero spontaneamente, un gruppo di giovani che proveniva da ogni scuola (dall’inarrivabile nostro liceo classico, allo scientifico, agli istituti professionali vari anche infimi) e persino dal mondo del lavoro, con ragazzi che a 15 anni già erano sotto padrone. C’erano due o tre che come A. che già bazzicavano da svariati anni il mondo ultrà (per il quale, considerati studenti e quindi capaci di scrivere, compilavano articoli per le fanzine, all’epoca cartacee, e in alcuni casi ho dato una mano pure io), ma alla maggior parte non importava nulla del calcio e voleva, come tutti, solo vivere e divertirsi.
C’erano tanti ragazzi di famiglie semplici, della piccola borghesia della provincia, con il veneto come lingua madre, ma c’erano pure tanti ragazzi del ceto medio-alto, con qualche riccone vero, che poteva parlarti dello shopping autunnale a Londra ma poi stava lì con tutti a passare quelle ore spensierate ed indimenticabili. C’erano soggetti della fuoranza (l’alterazione come orizzonte importante della ricreazione) così come quantità di persone che nemmeno toccavano le sigarette. Era una koiné umana mai vista, mai programmata, che a questo punto ritengo irripetibile.
Alla Statua, A. imperversava in tutti i modi. Aveva una strana capacità con le ragazze: puntava un determinato genere, arrivando persino a buttarsi su interi gruppi di amiche, che riusciva vittoriosamente ad espugnare, facendolo divenire come una sorta di harem però monogamico-sequenziale (prima una, poi dopo mesi un’altra, etc.) – noi lo chiamavamo «il canile di A.», ma era una definizione ingiusta, perché molte erano non erano neppure male. Aveva, con le giovani donne, questo approccio melenso – cheesy, direbbero gli americani – epperò, vedendo i risultati, davvero funzionale.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
La capacità di aspirare attenzioni amorose fu ad un certo punto perfino premiata pubblicamente: al termine di un’autogestione al liceo, dove ero stato eletto rappresentate di istituto (con un misero voto di protesta tradotto indegnamente in seggio grazie al meccanismo proporzionale), annunciammo varie premiazioni semiserie ai personaggi della settimana, tra cui il premio «aspirapolvere», pensato proprio per le aspirazioni di A. Al momento dell’annuncio gli fu consegnata, tra scroscianti applausi, un’aspirapolvere, tuttavia lui quasi non aveva sentito e avevamo dovuto chiamarlo varie volte, perché persino in quel momento era intento, in fondo alla palestra, a intortare una tizia. Non capendo e avendo ancora la testa nell’intortamento pro-canile, con il suo classico volto imbarazzato inforcò davanti a tutti l’aspirapolvere, forse pensando che volevamo che pulisse. Mai premio fu più azzeccato.
Poi c’era quest’altra scena: un ristorante fuori città, dove eravamo sciamati (su prenotazione di chi, non sappiamo, non ha importanza) in una cinquantina. Praticamente occupavamo il locale nella sua interezza, il suo unico grande salone era fatto solo di noi. Io sono intento a conversare con una fiamma incipiente, forse me la tiravo trattando di Storia dell’Arte, la mia attenzione è solo sulla ragazza e su nient’altro. Poi alzo lo sguardo e mi rendo conto che in sala non c’è nessuno: nel mezzo delle portate, sono tutti in giro, sono fuori a fumare o a fare chissà che, è tutto vuoto, a parte me, la fanciulla e… A. Il quale sta, stoico, eroico, mirabile, mangiando il suo piatto da solo. Le logiche di branco, con evidenza, per lui contavano fino ad un certo punto.
In realtà, c’è una storia che posso raccontare solo io. Quella dell’indimenticabile Ferragosto 1996. Avevamo, si e no, diciotto anni.
Succede che ci troviamo alla Statua il 14. Siamo pochi: i più sono in vacanza. Io sono appena tornato da Parigi, località che avevo imparato a raggiungere con facilità in autostop (possono venirmi i brividi se ci penso in relazione ai miei figli, ma credo di detenere ancora il record europeo: meno di dieci ore da casa mia sino alla Ville lumière), per cui già passavo per esperto della materia: una skill non indifferente visto che nessuno di noi aveva ancora la patente.
A questo punto A. fa la sua proposta: «Roby, andiamo a Jesolo. In autostop». Poi snocciola giù un programma romantico e convincente: «ci sono delle mie amiche al campeggio. Andiamo là, andiamo a festeggiare Ferragosto con loro». I telefonini era di là da venire: si trattava quindi semplicemente di arrivare fin là, senza mezzi e senza garanzie, e di stare con delle ragazze a caso (a me completamente sconosciute) in riva al mare.
A me va bene, A. Pronti. Via.
Mettiamo i motorino legati ad un albero fuori dal casello autostradale. Di qui parte il tragitto autostoppistico: secondo il manuale Dal Bosco, la prima cosa da fare è riuscire ad arrivare almeno al primo Autogrill, dove puoi chiedere di persona, senza che questi possano accelerare ed andare oltre protetti da un involucro di metallo. I primi a darci un passaggio sono una coppia di ragazzi di Milano, non molto più vecchi di noi, ma che chiaramente lavorano da molti anni. Vanno a Jesolo, si capisce, per le discoteche, una particolare scena di musica elettronica ora scomparsa. Hanno delle magliette attillatissime.
A. comincia a chiacchierare, e per qualche ragione, dopo spirali varie sulle mode del tempo, si inerpica in un’invettiva contro quelli col piercing. Il tizio davanti sta zitto. Poi, ad un certo punto, senza voltarsi, si alza la maglietta: sul capezzolo ha infilato un anello di metallo. A questo punto scatta la classica faccia paonazza imbarazzata di A., che comuncia ad arrampicarsi sugli specchi in maniera alpinistica. Sopravviviamo.
Arriviamo a Jesolo, e riusciamo a raggiungere il campeggio, che è fuori città, al Nord. Conosco il luogo: due mesi prima tutta la compagnia di vi si era trasferita per un fine settimana memorabile, un tendone da venti persone (ma ci stavano probabilmente dentro in trenta e più…) che qualcuno aveva portato, con il caffè fatto in una moca gigante nella quale si poteva fare pure la pasta. A., mi aveva spiegato, era poi tornato una seconda volta il mese dopo, e qui aveva conosciuto queste ragazze di Montebelluna, che in teoria erano ancora lì, e sembrava, a quel che diceva, che non aspettassero altro che vederci.
In realtà, delle ragazze non pare esserci traccia. Mentre si faceva sera, le cerchiamo ovunque, su è giù per il camping, che era immenso, e labirintico. Ad un certo dice: forse sono in centro, vanno a mangiare in quel posto. Ci spostiamo, sempre a dito, verso i viali dello struscio adriatico. Cerchiamo in un locale, in un altro: niente, delle ragazze promesse da A. non c’è traccia. Io non sono nervoso, lui un po’ sì. Decidiamo di prendere una pizza al trancio, e ci accade un raro miracolo giovanile: la commessa che ci serve – che era una ragazza neanche tanto in là con gli anni – invece che darci il resto per diecimila lire ce lo dà per centomila (sì, l’agognata banconota con su Raffaello, bellissima come tutte le altre, ma spiccatamente difficile da vedere per un ragazzino). In futuro, quando mi sarebbe ricapitato– raro, ma accade – lo avrei più fatto, ma quella volta è stato diverso: ci scambiamo un rapido sguardo colpevole, e decidiamo tacitamente di fare questa cosa orrenda per tenerci quel budget che di fatto decuplicava quanto ci rimaneva in tasca facendoci svoltare quel viaggetto pazzo, magari permettendoci pure l’indomani di prendere un autobus. (Non è escluso, ho pensato qualche volte, che quella ragazza lo abbia fatto apposta)
Saremo tornati almeno altre due volte al Campeggio, facendo la spola con la cittadina, nella speranza di trovare le ragazze. Io comincio a dubitare della loro esistenza, ma va bene così, mica mi importa. Specie quando decidiamo di andare nella spiaggia selvaggia davanti al camping ed unirci ad un falò di ragazzi e ragazze mai visti, intenti anche loro a passare lì la notte di Ferragosto.
Ci avviciniamo perché sentiamo che cantano, prima con l’accompagnamento della chitarra di ordinanza, poi con slogan che sanno da tifo. Lì per lì non capisco cosa stiano intonando, ma me lo spiega lui sghignazzando: «Priebke libero!». Erano i giorni dell’assoluzione del capitano delle SS al tribunale di Roma, e di certo questo non era l’umore che si leggeva sui giornali italiani – ma abbiamo capito che quello che finisce sui giornali spesso non è la realtà di come si sente la gente in giro. Il gruppo a cui ci uniamo non sembra però fatto di nazisti: anzi tanti sono tosatti dai capelli lunghi, più fanciulle tranquille. Gente semplice, di provincia. Tanta voglia vivere, che sento per intero.
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Stiamo con loro tutta la notte. Si parla si ride, si sorride. Si racconta. Si cantano le canzonette note. Non ricordo altro, nemmeno le loro facce, e forse non le ho nemmeno viste, perché era buio. Ricordo la facilità con cui A. riusciva ad entrare in sintonia con un gruppo di persone mai conosciute prima, una dote speciale che ho visto in poche altre persone nella vita. Del resto, perché mai non deve essere così? Siamo qui, siamo vivi: e quindi perché non dovremmo parlarci, stare insieme, divertirci?
Arriva l’alba. Il gruppone di sconosciuti e sconosciute si dissolve. Io sono stremato e vorrei dormire. Non è il caso di A., che a questo punto riparte alla cerca – alle cinque e mezza del mattino! – delle tizie del campeggio. Scatta a perlustrare ancora una volta il campo, io non riesco a tenerlo fermo, a dirgli fermiamoci, dormiamo almeno un’ora sulla sabbia finché è fresca… lui scansiona tutto il dedalo di tende e tendine, recuperando anche un grissino da un tavolino lasciato spreparato per intingerlo in un barattolone di nutella del tavolino successivo – la fame chimica si fa sentire.
Poi accade qualcosa di incredibile: qualcuno chiama A. Ci voltiamo: è una ragazza con la pelle ambrata e gli occhi chiari, capelli raccolti, un bel sorriso in volto, trucco, perfino elegante, perfetta come se fossero le sei di sera e non del mattino di una notte insonne. È proprio lei: la ragazza di Montebelluna che era stata promessa, l’amica di A. Esisteva, sì. Di più: aveva sentito da altri che l’avevamo cercata otto ore prima, e quindi ci aveva cercato anche lei – e trovato all’alba. Happy ending vero.
Io sono divertito dalla cosa – dovevamo stare a festeggiare la notte con loro, invece arrivano alla fine – ma esausto. A. invece è partito con il suo modus operandi mieloso ed infallibile, e alla fanciulla non sembra dispiacere. Quindi questa mi dice: senti, vuoi dormire? Sì, tanto. Bene, vieni in tenda da noi, c’è la mia amica che dorme lì, tu ti metti accanto. È così: mi infilano in una tenda dove c’è una biondina un po’ butterata che ronfa.
«Mettiti a dormire pure a fianco lei» mi dice, del resto altro spazio non c’era. Io penso che quando questa si sveglierà, farà un urlo vedendo uno sconosciuto al suo fianco. Anche questo pensiero mi diverte, ma la stanchezza è troppa. Crollo.
Quando mi sveglio c’è A. che mi chiama: «Roby… Roby». Ha un’espressione serena, e forse pure una punta di quella generosa dolcezza che mette con le ragazze. A fianco a me la biondina sconosciuta, che mi guarda sorridente anche lei. Non so che ore siano, ma capisco che bisogna andare. Non so A. cosa abbia nel frattempo, ma sembra sano e riposato. Ci offrono delle brioches, e salutiamo, avviandoci verso la strada che, a pollice alto, ci avrebbe riportato a casa.
Un ritorno non facile: si ferma a raccoglierci un tizio con una Citroen DS tipo «squalo» – auto che per alcuni è già di per sé un segno di possibile psicopatia – che guidava praticamente ignudo. Dopo un po’ di conversazione, emerge che il signore forse aveva assunto nelle ore precedenti dell’LSD. (Ecco, il lettore capisca che quando di lì a poco sarebbe uscito Paura e delirio a Las Vegas a me non poteva che sembrare un film neorealista). Ci irrigidiamo un po’. Riusciamo, con uno stratagemma, a scendere per trovare un altro passaggio, che ci lascia direttamente in autostrada, e dobbiamo tornare all’albero dove erano legati i motorini a piedi tra i campi e lo svincolo, consumati da 24 ore di incertezza e meraviglia.
Non ci saremo più visti tanto, dopo quel magico Ferragosto. Lo avrei incontrato, negli anni successivi, nel treno-bestiame che va all’università, a volte mi dava l’idea di non avere il biglietto, più che altro, capivo, perché risparmiava per qualcosa. Nonostante i guai che aveva avuto, da innocente, con le istituzioni, fu credo il primo del nostro a laurearsi.
Di qui parte tutta un’altra storia. Lui, che era uscito dal liceo con il 38 – all’epoca dei sessantesimi, un voto di sufficienza da alcuni ritenuto umiliante – fece una carriera professionale straordinaria. Si studiò, da solo, le lingue: divenne fluente in francese, inglese e spagnolo, e aggiunse, rara avis, il russo, che usava nelle trasferte a Mosca. Aveva iniziato a lavorare come venditore per una grande società energetica, per poi passare ad un’altra, in un’inarrestabile traiettoria ascendente di lavoro concreto, parallelo alla creazione di una bella, solida famiglia.
C’è anche questo da dire: ecco un caso di quelli che il nuovo sistema scolastico – che raccoglie dati e punteggi e per «orientare» il resto dell’esistenza dello studente – avrebbe potuto soffocare più di quanto ancora non abbia fatto il vecchio: un bruco a liceo che diventa farfalla nel lavoro, ma è ingiusto dire pure che fosse un bruco, perché lo ricordo come questa creatura dinamica, attiva, inesauribile, vitale. Amato da tutti: per quello che era, non per i voti, né per altro.
Aiuta Renovatio 21
Scrivo queste righe mentre qualche comune più in là c’è il funerale. Io non sono andato. Un po’ perché in fondo non gli ero cosi vicino (me lo ripeto ancora), un po’ perché sono diventato davvero stronzo con il rito, per cui un funerale della chiesa conciliare, con gli amici che parlano dal pulpito, le musichette, magari pure il defunto polverizzato e la funzione senza più nulla di sacro neanche nel momento sacro della morte, no, non posso più affrontarlo.
Ma ho sentito il bisogno di ricordarlo, perché tutto quello che A. è stato non può andare perduto, nemmeno le briciole di gioventù raccontate qui sopra. Quello che resta, anche dopo la morte.
È qualcosa che sento come un imperativo: se perdiamo le nostre storie, perdiamo la nostra umanità. Se affidiamo alle macchine le nostre relazioni – ai social media, alle chat, ai telefonini – di noi non rimarrà davvero più nulla. E ciò non è tanto a discapito nostro, ma a detrimento dei nostri figli, della memoria, grande o piccola, che siamo chiamati a conservare e trasmettere.
A Dio A.
Quel pezzettino in cui sei esistito a fianco a me lo posso testimoniare tutto.
Roberto Dal Bosco
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Pensiero
Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale
Sostieni Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Pensiero
Mons. Viganò: dissonanza cognitiva e rivelazione del metodo, il colpo da maestro di Satana
Renovatio 21 pubblica questo scritto dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Le opinioni degli scritti pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

Ex fructibus igitur eorum cognoscetis eos.
Mt 7, 20
Premessa
La crisi nella Chiesa è di natura teologica, non canonica. Non solo: questa non è una crisi tra le tante, ma la crisi dell’Autorità, perché è appunto l’Autorità ad essere oggetto di un sovvertimento che fino a sessant’anni fa non era nemmeno immaginabile in seno alla Chiesa Cattolica. Se infatti l’Autorità, quando è esercitata per il bene, è certamente lo strumento più idoneo ad assicurare il buon governo dell’istituzione che presiede, così essa si può mutare in uno strumento altrettanto efficace per distruggerla, nel momento in cui chi la ricopre rescinde il proprio vincolo di obbedienza verso Dio, che dell’Autorità è supremo garante (1).
Questo hanno fatto i Giacobini nel 1789, questo hanno ripetuto i fautori della rivoluzione conciliare nel 1965: appropriarsi illegittimamente dell’Autorità per costringere i sudditi ad accettare di obbedire a ordini iniqui, finalizzati ad un piano eversivo. E tanto i Giacobini quanto i Modernisti si sono avvalsi non solo della collaborazione attiva dei propri complici e dell’inazione dei codardi, ma anche del consenso di coloro che obbedivano in buona fede e da una massa progressivamente indotta ad accettare in nome dell’obbedienza qualsiasi cambiamento (2).
L’idealizzazione dell’autorità
Nelle scorse settimane «conservatori» come Riccardo Cascioli, Luisella Scrosati, Daniele Trabucco e Giovanni Zanone hanno sostenuto che laici e chierici, dinanzi alla crisi della Gerarchia cattolica, non dovrebbero adottare forme di resistenza nei confronti di cattivi Superiori; né dovrebbero mettere in discussione la loro Autorità, dal momento che essa promana direttamente da Nostro Signore.
Costoro affermano che l’indegnità di un vescovo o del papa non inficia la legittimità della loro autorità, ma questo può essere vero nel caso di un’indegnità personale che non coinvolge l’esercizio dell’autorità stessa. L’autorità, tuttavia non può essere esercitata legittimamente al di fuori dei confini che le sono dati né tantomeno contro i propri fini o contro la volontà del divino Legislatore. Un vescovo che coopera consapevolmente ad uno scopo iniquo con atti di governo, inficia la legittimità di quegli atti e la sua stessa autorità, proprio perché sono posti in fraudem legis.(3)
La visione idealista e sconnessa dalla realtà degli Autori citati, secondo la quale l’Autorità non perderebbe la propria legittimità nemmeno quando i suoi ordini sono volti al male, rende evidente il cortocircuito logico tra la realtà di papi e vescovi eretici – formali o materiali, poco importa: è comunque una cosa inaudita – e la teoria di un’Autorità immune dall’eresia e dalle cattive intenzioni di chi ricopre quell’Autorità.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Una crisi sistemica
Chi si ostina a giudicare i singoli fatti prescindendo dall’evidente coerenza che li lega tra loro e dal quadro complessivo che se ne evince, falsifica la realtà dandone una rappresentazione ingannevole. Questa è una crisi che dura da sessant’anni, sempre nella medesima direzione, sempre con la connivenza dell’Autorità, sempre contraddicendo gli stessi articoli di Fede e sostenendo i medesimi errori già condannati.
I responsabili di questa crisi sono tutti accomunati dalla volontà eversiva di appropriarsi e mantenere il potere per raggiungere gli scopi che si prefiggono. E a riprova che deep state e deep church agiscono di concerto, basti vedere come gli artefici di questa sovversione in campo ecclesiastico agiscono specularmente ai loro omologhi nella sfera civile, giungendo a mutuarne il lessico e le tecniche di manipolazione di massa. L’evidenza dei risultati disastrosi ottenuti dai papi e dai vescovi conciliari non li ha indotti a tornare sui propri passi e a riparare al danno compiuto, ma al contrario li vediamo proseguire ostinatamente sulla medesima linea, confermando dolo e premeditazione, ossia la mens rea. (4)
Ci troviamo in una situazione di gravissimo conflitto istituzionale, dal quale emerge che la maggior parte dei vescovi costituiti in Autorità – senza alcuna ombra di dubbio – agisce con l’intenzione determinata e volontaria di commettere atti illeciti contro il bene della Chiesa e delle anime, nella consapevolezza delle loro conseguenze.
Se in costoro non vi fosse intenzione di compiere il male – se, cioè, essi fossero in buona fede – non si ostinerebbero a ripetere i medesimi errori, nel perseguimento dei medesimi risultati. Né cercherebbero con ogni mezzo di indurre fedeli e sacerdoti a rinnegare ciò che la Santa Chiesa ha insegnato per secoli, facendo loro abbracciare quanto essa condannava e puniva con le pene più severe.
L’accettazione della frode
Abbiamo dunque una Gerarchia composta da vescovi e papi traditori che pretende dai propri fedeli non solo il silenzio inerte dinanzi ai peggiori scandali dei suoi membri, ma anche l’entusiastica accettazione e condivisione di questo tradimento, secondo quel principio esoterico che il satanista Aleister Crowley aveva così riassunto agli inizi del Novecento: «Il male deve nascondersi alla luce del sole, poiché le regole dell’universo impongono che chi viene ingannato acconsenta al proprio inganno».
Questo è il modus operandi del demonio e dei suoi servi, che troviamo confermato dalla narrazione delle tentazioni cui Satana sottopone Nostro Signore nel deserto: «Tutto questo io ti darò – dice il Maligno a Cristo – se prostrato mi adorerai» (Mt 4, 9). Nel pretendere di essere adorato come Dio, Satana chiede anzitutto l’accettazione della frode, ossia della premessa – Tutto questo io ti darò – che è assolutamente falsa, in quanto Satana non può cedere ciò che non gli appartiene. Se per assurdo Nostro Signore si fosse prostrato a Satana adorandolo, Egli non avrebbe avuto da lui nemmeno un granello di polvere del deserto e questo baratto si sarebbe rivelato una frode.
er questo il Signore gli risponde «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (ibid., 10). Con queste parole Nostro Signore svela l’identità del tentatore e i suoi inganni. Anche nell’Eden, tentando Eva, il Serpente aveva prospettato ai Progenitori di diventare sicut dii (Gen 3, 5).
Essi sapevano benissimo che Satana non sarebbe stato in grado di renderli come dèi e che avrebbero dovuto rispondere a Dio della loro orgogliosa disobbedienza, ma nonostante questo hanno consentito alla menzogna del Maligno come se fosse vera, rendendosi responsabili del sovvertimento di Bene e Male e agendo come se Dio non fosse onnipotente e in grado di punirli. È questa, in definitiva, la ὕβρις, la superbia che spinge l’uomo a sfidare Dio scegliendo di compiere il peccato, che ha come conseguenza la νέμεσις, ossia la punizione inevitabile che colpisce chi ha violato l’ordine divino oltrepassando i limiti imposti da Dio.
Sostieni Renovatio 21
La «Rivelazione del Metodo»
Lo storico ed esperto di ingegneria sociale Michael A. Hoffman ha affrontato il medesimo tema da una prospettiva differente, identificando un’élite nascosta che usa tecniche di manipolazione per controllare le masse. Essa non vuole solo conquistare il potere, ma intende condurre una guerra psicologica che trasforma la realtà in un rituale magico, alchemico (e in questo coincide con le parole di Crowley).
Questa élite non nasconde più tutto, ma rivela deliberatamente parti del suo piano (da qui la Rivelazione del Metodo), come atto di umiliazione dei sudditi e di affermazione della propria supremazia. Gli studi di psicologia sociale confermano che questo gioco crudele per soggiogare e dominare le vittime serve a provocare la dissonanza cognitiva, ossia quello stato di disagio psicologico che si verifica quando ci troviamo dinanzi a due affermazioni o fatti in conflitto tra loro, come ad esempio è avvenuto quando le autorità sanitarie sostenevano, mentendo, che il siero genico sperimentale fosse «sicuro ed efficace» ma allo stesso tempo chiedevano lo scudo penale per i medici inoculatori; o quando abbiamo sentito affermare da Jorge Bergoglio che «Dio non è cattolico».
Questa dissonanza cognitiva, questa percezione di una contradictio in terminis è voluta, perché ci demoralizza (siamo consapevoli della nostra impotenza), perché ci induce ad un consenso implicito (un consenso passivo, come dire: «Ti mostro cosa faccio, e tu non fai nulla, quindi acconsenti») e infine perché ci porta all’accettazione di un potere dispotico (anche se esso sbeffeggia le masse, rafforzando su di noi il proprio controllo psicologico).(5)
La «dissonanza cognitiva» e il «gaslighting» dei conservatori
Non ci deve dunque stupire se queste tecniche di manipolazione di massa sono usate anche nella sfera ecclesiastica, allo scopo di provocare la stessa dissonanza cognitiva nei fedeli, la stessa demoralizzazione, lo stesso consenso estorto, la medesima accettazione dell’autorità che ostenta la contraddizione ma pretende obbedienza. Pensiamo al paradosso di Leone che dichiara la libertà religiosa un diritto umano sulla base del Vaticano II e allo stesso tempo canonizza il Beato Bartolo Longo, che nei suoi scritti condanna l’indifferentismo religioso e il concetto di libertà religiosa (6); o che presiede incontri ecumenici con gli islamici, ma canonizza il Beato Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo armeno martirizzato dai maomettani per essersi rifiutato di apostatare la vera Fede.
Non ci deve stupire nemmeno che la Nuova Bussola si comporti esattamente come previsto in questi casi dai manuali di psicologia sociale, negando ostinatamente la contraddizione ancorché evidente, in un’operazione di vero e proprio gaslighting (7): «Ciò che hai visto non è mai successo».
Anche il ricorso a video o immagini generate dall’AI diventa strumento di destabilizzazione, perché queste contribuiscono a erodere la base sensibile della conoscenza della realtà, rendendo impossibile distinguere il vero dal falso e di fatto cancellando la nozione stessa di «reale» mediante la sua sostituzione con il «verosimile».
L’apparenza prende così il posto della sostanza, solo perché essendo veicolata dall’immagine che appare sul cellulare o sul computer noi non sappiamo se ciò che ci sembra vero lo è davvero o lo sembra soltanto. Come non vedere in questo nuovo fenomeno un attacco con cui Satana sfida con i suoi artifici teatrali e con i suoi effetti speciali la verità di Dio che è simplex, senza pieghe?
Questi sono test di massa per mettere alla prova la devozione alla religione sinodale, esattamente come in ambito civile avviene con la religiones anitaria o la religione green. E non è diverso chiedere al fedele di accettare la messa protestantizzata di Paolo VI se vuole avere il permesso di assistere alla Messa tridentina, che del Novus Ordo è l’antitesi.
Anche la «scomunica» che Jorge Bergoglio mi ha inflitto palesa una enorme contraddizione: da un lato io sono stato dichiarato scismatico per aver denunciato gli stessi errori che tutti i Papi fino a Pio XII incluso hanno condannato; dall’altro i veri eretici e scismatici sono ammessi alla communicatio in sacris con chi mi condanna, senza alcuna conseguenza canonica. Il messaggio è chiaro: «Possiamo mostrarti la contraddizione tra le nostre parole e le nostre azioni, e tu non farai nulla. Accetterai sia la menzogna che la prova di essa».
Ogni assurdità accettata indebolisce la capacità di discernimento dei fedeli e del Clero, per poter responsabilmente obbedire ai propri Pastori. Se la nostra Fede non è forte e convinta, questo ci porta ad una forma di apatia verso ogni nuova provocazione. È una forma di umiliazione rituale che funziona non più attraverso la segretezza, ma attraverso una sfacciata ostentazione, specialmente quando l’obbedienza all’Autorità che imparte ordini abusivi e addirittura criminali è richiesta come un sacrificio della propria razionalità, come un’immolazione della volontà mediante un concetto pervertito di autorità e di obbedienza.
Se l’Autorità della Gerarchia, fino ai suoi massimi vertici, si rende responsabile di questa manipolazione psicologica dei fedeli finalizzata a perpetuare il proprio potere per demolire la Chiesa, a chi dovrebbero rivolgersi, sacerdoti e laici, per veder condannati i colpevoli di tanto tradimento? A quegli stessi eretici manipolatori, incistati a Roma e in tutti gli organi e le istituzioni della Chiesa Cattolica?
Non stupisce che troppe vocazioni sacerdotali si perdano e che molti fedeli si rassegnino o abbandonino la pratica religiosa. È il risultato voluto e pianificato di questo crudele stillicidio.
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Il «colpo da maestro» di Satana
Il demonio vuole ottenere la nostra adesione al male non per inganno, ma portandoci ad accettare la menzogna con la quale egli definisce bene il male, e ad accettare la finzione mediante la quale ci presenta il bene come un male. Il colpo da maestro di Satana consiste in questo: nell’ottenere da noi un assenso irrazionale, pur dinanzi all’evidenza della frode e del sovvertimento che riconosciamo per tali ma che, in un atto di folle annientamento suicida, accettiamo come se fossero verità divinamente rivelate. Per il Cattolico la Fede non è mai irrazionale: rationabile sit obsequium vestrum, dice San Paolo (Rom 12, 1), perché Dio è autore della Fede e della ragione, e non vi può essere contraddizione nella Verità.
Satana, al contrario, essendo menzognero e padre della menzogna (Gv 8, 44) non può non dissimulare i propri inganni con la frode, per i quali pretende da noi non un’adesione razionale, ma un consenso superstizioso, un atto di fede al contrario, nel quale l’assenso dell’intelletto a errori e eresie evidenti è motivato non dall’autorità di un Dio verace, ma dall’usurpazione di quell’autorità da parte di una creatura ribelle, bugiarda e che sappiamo che ci vuole ingannare e perdere.
Satana vuole che abdichiamo alla ragione e allo stesso sensus fidei, trasformando l’atto di fede in una folle apostasia.
L’assolutizzazione dell’obbedienza
Assolutizzare l’obbedienza, scardinandola dalla necessaria coerenza che essa presuppone tra tutti i soggetti del corpo gerarchico in cui essa viene esercitata,[8] significa consegnare nelle mani dell’autorità vicaria della Gerarchia un potere che il supremo Legislatore non le ha mai concesso, ossia la facoltà di poter legittimamente legiferare contro la volontà del Legislatore stesso e in danno dei fedeli.
Qui non stiamo parlando di ordini incidentalmente sbagliati, o di singoli vescovi che abusano della propria autorità in un contesto ecclesiale in cui la Virtù è incoraggiata e il peccato condannato e punito. Qui stiamo parlando di un intero sistema gerarchico che è riuscito – nella Chiesa Cattolica come nella cosa pubblica – ad impossessarsi del potere, ottenendo riconoscimento e obbedienza dai sottoposti mediante l’uso di mezzi coercitivi.
Non solo: l’assolutizzazione dell’obbedienza nei riguardi dell’autorità finisce anche con l’essere deresponsabilizzante: un comodo alibi offerto ai tanti, troppi don Abbondio in veste filettata o in clergyman, ben attenti a non dispiacere ad alcuno, ad «evitare polarizzazioni» – secondo l’auspicio di Leone – a beneficiare dei favori del potente che si conosce come iniquo ma a cui si presta ossequio per viltà o interesse.
Aiuta Renovatio 21
Conclusione
La Sacra Scrittura, i Padri, i mistici e la stessa Vergine Maria a Fatima ci hanno messi in guardia su un’apostasia che la Chiesa dovrà affrontare negli ultimi tempi. Come possiamo pensare che questa apostasia si concretizzi, se non attraverso falsi pastori al posto di buoni pastori, e di pseudocristi e falsi profeti al posto di Cristo e dei Profeti? Come potrebbero gli eletti essere tratti in inganno dagli eretici e dagli scismatici (Mt 24, 24), se non nel momento in cui questi ricoprono ruoli d’autorità nella Chiesa? Ma la Chiesa è indefettibile, ripetono alcuni con petulanza.
E lo è davvero: nonostante la stragrande maggioranza dei suoi vescovi infierisca su di essa e agisca di concerto con nemici di Cristo. La Chiesa Cattolica è indefettibile nel senso che essa non può mai venir meno nella sua missione di custodire e trasmettere la Verità rivelata da Dio, né può cadere in errore definitivo nella sua Fede e nella sua Morale. E questo di fatto non accade nemmeno quando una Gerarchia eretica e corrotta cerca di oscurare o di sfigurare il sacro Deposito della Fede. Non dimentichiamo che la Chiesa non è solo quella militante su questa terra (hic) e oggi (nunc), ma è anche quella penitente in Purgatorio e trionfante in Paradiso.
La sua compagine celeste è garanzia di quell’indefettibilità che il suo divino Fondatore le ha promesso e che lo Spirito Santo le assicura. E se la chiesa conciliare-sinodale che oggi si presenta come militante contraddice quella di ieri, spezzando la continuità e l’unità nella Professione dell’unica Fede che la rende una e apostolica anche nel fluire del tempo e non solo nella sua diffusione nello spazio, essa non è più la stessa Chiesa.
Per questo il Signore non manca di suscitare una vox clamantis in deserto che rompa il muro di silenzio e di complicità dei congiurati: mi riferisco ai “dottori degli ultimi tempi” cui accenna Augustin Lémann (9) nel suo saggio L’Anticristo. Sono i nuovi Sant’Atanasio imprigionati, esiliati, perseguitati ma infine risarciti dalla Giustizia divina con la proclamazione della loro santità. Ecco come il grande Vescovo di Alessandria e Dottore della Chiesa si rivolge ai fedeli durante la grande eresia ariana (10):
Che Dio vi consoli! (…) Quello che rattrista (…) è il fatto che gli altri hanno occupato le chiese con violenza, mentre in questo periodo voi vi trovate fuori. È un dato di fatto che hanno la sede, ma voi avete la Fede apostolica. Possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la Fede abita in voi. Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente. Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta – quella che mantiene la sede o chi osserva la Fede? È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la Fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo… Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra Fede, che mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla Tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo. Essi sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale. Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese. Quanto più i violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono che rappresentano la Chiesa, ma in realtà sono quelli che ne sono a loro volta espulsi e vanno fuori strada. Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione sono ridotti a una manciata, sono loro che sono la vera Chiesa di Gesù Cristo.
L’accusa ricorrente che tanto i Conservatori e i Sinodali rivolgono a chi rimane saldo nella Fede e denuncia i loro errori è di volersi creare una propria chiesa, separandosi con lo scisma dalla Chiesa Cattolica, visibile e gerarchica, di cui essi si sono però impossessati con un vero e proprio golpe e nella quale pretendono di esercitare una legittima Autorità per gli scopi opposti a quelli che Nostro Signore le ha affidato.
Ma non sono stati forse costoro, con i loro errori condannati da tutti i Papi preconciliari, a crearsi una chiesa parallela che contraddice il Magistero immutabile e sovverte il Papato? Come può un’autorità ribelle a Cristo Capo del Corpo Mistico pretendere di esercitare l’Autorità di Cristo per contraddire la Sua Parola?
Come può chi si è separato dalla comunione ecclesiale con la vera Chiesa Cattolica Apostolica Romana accusare di scisma chi le rimane fedele?
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
24 Ottobre MMXXV
S.cti Raphaëlis Archangeli
NOTE
1) Il termine auctoritas deriva da auctor, nell’accezione di autore e garante riferita a Dio.
2) San Pio X ricordava che il successo dei malvagi è possibile anzitutto grazie all’ignavia dei buoni.
3) L’espressione in fraudem legis si riferisce a un comportamento o un atto giuridico compiuto con l’intenzione di eludere una norma, aggirandone lo scopo o l’applicazione, pur rispettandone formalmente la lettera. In altre parole, si tratta di un’azione che, pur apparendo conforme alla legge, viene posta in essere per ottenere un risultato che la legge stessa intende vietare o limitare. Le caratteristiche di questo comportamento sono la conformità formale, l’intenzione elusiva e l’effetto contrario alla mens del legislatore.
4 – La mens rea designa la componente psicologica del reato, ossia l’intenzione o la consapevolezza di violare la legge.
5) Scrive Hoffman: «Il principio alchemico della Rivelazione del Metodo ha come componente principale una beffarda derisione delle vittime, simile a quella di un clown, come dimostrazione di potere e macabra arroganza. Quando viene eseguito in modo velato, accompagnato da certi segni occulti e parole simboliche, e non suscita alcuna risposta significativa di opposizione o resistenza da parte dei bersagli, è una delle tecniche più efficaci di guerra psicologica e violenza mentale». Cfr. Michael A. Hoffman II, Secret Societies and Psychological Warfare, 2001.
6) Scriveva Bartolo Longo: Innanzi a Dio l’uomo non ha vera libertà di coscienza, libertà di culto e libertà di pensiero, come oggi s’intende, cioè facoltà di scegliersi una religione ed un culto come gli talenta; ma solo la libertà dei figliuoli di Dio, come dice S. Paolo, cioè di lasciare l’errore e le seduzioni del secolo per correre liberamente al Cielo. L’affermare, perciò, che l’uomo ha il diritto innanzi a Dio di pensare e di credere in religione come gli piace, è un errore. Cfr. Bartolo Longo, San Domenico e l’Inquisizione al Tribunale della Ragione e della Storia, Valle di Pompei, Scuola tipografica editrice Bartolo Longo, 1888.
7) Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica in cui una persona (o un gruppo) fa dubitare un’altra della propria percezione della realtà, della memoria o della sanità mentale, con l’obiettivo di controllare, indebolire o destabilizzare la vittima.
8) Non vi può infatti essere vera obbedienza se chi è costituito in autorità nella Gerarchia esige di essere obbedito ma allo stesso tempo disobbedisce a Dio, che è il garante e la fonte stessa dell’Autorità. Né vi può essere legittima autorità se chi la esercita in nome di Dio non si sottomette a propria volta alla Sua suprema Autorità.
9) Augustin Lémann, L’Anticristo, Marietti, 1919, pag. 53. «Il secondo campione della verità cristiana contro l’Anticristo sarà una falange di dottori suscitata da Dio in quei tempi di prova. […] Questa falange di dottori riceverà, per la difesa e consolazione dei buoni, una maggiore intelligenza delle nostre sante Scritture». Cfr. https://www.rassegnastampa-totustuus.it/cattolica/wp-content/uploads/2014/07/LANTICRISTO-A-Lemann.pdf
Il Canonico Augustin Lémann, ebreo francese, si convertì al Cattolicesimo insieme al fratello Joseph. Divenuti amici di Pio IX, furono entrambi consultori del Concilio Vaticano I.
10) Sant’Atanasio, Epistolæ festales, Lettera XXIX, in: Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, a cura di Caillaud e Guillon, vol. 32, pagg. 411-412.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Renovatio 21 offre questo testo di monsignor Viganò per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Pensiero
Ci risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Sostieni Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
-



Pensiero1 settimana faCi risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo
-



Sanità1 settimana faUn nuovo sindacato per le prossime pandemie. Intervista al segretario di Di.Co.Si
-



Necrocultura5 giorni fa«L’ideologia ambientalista e neomalthusiana» di Vaticano e anglicani: Mons. Viganò sulla nomina del re britannico da parte di Leone
-



Salute1 settimana faI malori della 42ª settimana 2025
-



Oligarcato6 giorni faPapa Leone conferisce a Carlo III, capo della Chiesa d’Inghilterra, la cattedra permanente nella basilica papale
-



Autismo2 settimane faTutti addosso a Kennedy che collega la circoncisione all’autismo. Quando finirà la barbarie della mutilazione genitale infantile?
-



Politica1 settimana faI vaccini, l’euro, l’OMS e le proteste pro-Palestina. Renovatio 21 intervista il senatore Borghi
-



Bioetica2 settimane faMorte cerebrale, trapianti, predazione degli organi, eutanasia: dai criteri di Harvard alla nostra carta d’identità









