Predazione degli organi
Trapianti, cominciano a dirlo: il «donatore» non deve essere morto prima di predargli gli organi
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Un altro attacco alla regola del donatore morto arriva nel Journal of Medical Ethics di questo mese.
Anthony P. Smith, un filosofo dell’Università dello Utah, sostiene che dovremmo abbandonare la visione tradizionale alla base della pratica della donazione di organi: che i pazienti devono essere morti prima che i loro organi vengano rimossi.
Supponiamo che un paziente sia in stato vegetativo e abbia accettato di donare i suoi organi in una direttiva anticipata. Cosa ci sarebbe di sbagliato nell’asportare cuore e polmoni? La risposta tradizionale è che il paziente non è ancora morto: rimuovere quegli organi vitali lo ucciderebbe.
Vero, sostiene il dottor Smith, ma «la morte non danneggia i pazienti permanentemente privi di sensi» (PUC).
«In questi casi, quindi, causare la morte di pazienti con PUC non è moralmente sbagliato. Questo mina l’argomento più forte a favore della Regola del donatore morto: che i medici non dovrebbero uccidere i loro pazienti. Pertanto, non c’è nulla di sbagliato nell’abbandonare la regola del donatore morto per quanto riguarda i pazienti con PUC. È importante sottolineare che l’argomento basato sul danno qui difeso ci consente di eludere lo spinoso dibattito sulle definizioni di morte. Ciò che conta non è quando un paziente muore, ma se la sua morte costituisce un ulteriore danno».
Questo non è un argomento nuovo. Dieci anni fa, nella stessa rivista, Walter Sinnott-Armstrong e Franklin G Miller hanno dichiarato che la questione morale chiave non era se i medici privassero una persona della vita, ma se la privassero delle «capacità umane che rendono una vita degna di essere vissuta». Che ne dici di un pendio scivoloso? Nessun problema, hanno dichiarato in «What Makes Killing Wrong?» [«cosa rende sbagliato uccidere?»] :
«I critici potrebbero obiettare che abbandonare la regola del donatore morto ci porterà giù per il pendio scivoloso per procurarci organi vitali dai ritardati mentali o da altri gruppi di individui vulnerabili con disabilità. Assolutamente no. Possiamo mantenere la linea per la donazione di organi vitali continuando a limitarla a coloro che si trovano in uno stato di invalidità totale (universale e irreversibile). Sono solo questi donatori che non sarebbero danneggiati o danneggiati dalla donazione di organi vitali, poiché tutti gli altri donatori hanno capacità da perdere».
E il consenso? Nel suo articolo il dottor Smith afferma che il consenso è importante «perché ci aiuta ad essere sicuri che un paziente con PUC non sarà danneggiato dall’essere un donatore di organi».
Se una persona avesse dato istruzioni di non voler essere un donatore di organi, i suoi interessi sarebbero danneggiati se i suoi desideri non fossero rispettati. Tuttavia, sembra che ci sia un’area grigia nella sua argomentazione. La maggior parte delle persone che improvvisamente diventano permanentemente inconsce non hanno espresso un desiderio in un modo o nell’altro. Cosa succede se la loro famiglia o tutore acconsente per loro conto?
Tradizionalmente, fin dai greci e dai romani, la vita stessa era il valore ultimo. Dum spiro, spero, mentre respiro, c’è speranza, è l’adagio latino. Ma con l’essere umano sempre più definito come un insieme di capacità fisiche piuttosto che come persone incarnate, il fatto che uno sia vivo o meno può essere meno importante del fatto che il proprio corpo sia utile o meno.
Vita? Mah!
Michael Cook
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Predazione degli organi
Un italiano su tre si rifiuta di donare gli organi, ma la macchina della predazione continua la sua mostruosa corsa
Gli organi di stampa ci informano che il 2024 è stato l’anno record per i trapianti di organi, con un incremento di quasi il tre percento rispetto al 2023, anno in cui l’Italia si è posizionata al secondo posto tra i paesi europei.
Secondo il ministro della Salute Schillaci tali risultati «sono stati resi possibili grazie alla generosità e alla solidarietà dei donatori di organi, delle loro famiglie e delle associazioni di volontariato». Tuttavia, continua il ministro, «Molte più vite potrebbero essere salvate se in numero sempre maggiore dicessimo sì alla donazione, un sì convinto».
Naturalmente, i fondi per foraggiare l’industria dei trapianti si trovano sempre e comunque, visto che nell’ultima legge di bilancio sono stati stanziati, a quanto pare, dieci milioni di euro l’anno per ridurre le liste di attesa per i trapianti e per l’acquisizione di nuovi dispositivi medici per la perfusione, conservazione e trasporto di organi e tessuti.
Sembra anche che il ministero della Salute e il Centro Nazionale Trapianti metteranno in campo una serie di iniziative volte ad abbattere le reticenze alla cosiddetta donazione, tra cui un’indagine conoscitiva sulle motivazioni che spingono le persone a prestare o meno il loro consenso all’espianto.
In realtà, l’unico sistema che hanno le Istituzioni per aumentare il numero degli espianti non è, ovviamente, quello di informare correttamente la popolazione sui veri termini della questione, bensì quello di fare leva sull’emotività e sui sensi di colpa.
In pratica, se non presti il tuo consenso a cedere pezzi del tuo corpo sei un egoista che non ha a cuore il bene degli altri (ci ricorda qualcosa?). Tale mezzo di convincimento funziona soprattutto nelle rianimazioni, dove ai parenti del comatoso viene prospettata la possibilità che il prelievo dei suoi organi possa consentire a qualcun’altro di sopravvivere.
Del resto, l’alternativa non è molto allettante: il distacco del loro congiunto dal respiratore, come da prassi. Infatti, è proprio in tale contesto che la percentuale delle opposizioni all’espianto risulta più bassa. Tuttavia, né la pressione psicologica né la martellante propaganda massmediatica riescono a sortire gli effetti sperati: un italiano su tre rifiuta di lasciarsi squartare vivo (ma guarda un pò). Infatti, nel 2024 ben il 36,3% delle persone che hanno espresso la loro volontà nelle anagrafi comunali ha scelto di opporsi al prelievo degli organi, con un aumento di circa 5 punti percentuali rispetto all’anno precedente.
Come mai dunque crescono le opposizioni ma i trapianti aumentano di numero? Sono gli stessi organi di stampa a fornirci la spiegazione: «Un fattore determinante per l’aumento delle attività di donazione e trapianto è stata la crescita delle donazioni a cuore fermo, ossia quella che proviene da pazienti la cui morte viene accertata dopo un arresto cardiaco di almeno venti minuti (…) I centri ospedalieri che si occupano di questa attività sono attualmente 85, contro i 72 di un anno fa”».
Il prelievo di tessuti da pazienti in arresto cardiaco (DCD) sembra rappresentare la nuova frontiera che consentirà all’industria dei trapianti di reperire un maggior numero di organi freschi, vista la grande incidenza delle malattie cardiovascolari nella popolazione. In sostanza, grazie all’utilizzo di appositi macchinari adibiti alla circolazione extracorporea, è possibile mantenere attiva la funzionalità degli organi anche in assenza di battito cardiaco.
Per determinare la morte con criteri cardiologici è obbligatorio osservare un’assenza completa di battito cardiaco e di circolo per il tempo necessario affinché si verifichi con «certezza» la necrosi encefalica. In Italia, la DCD può avvenire solo dopo che un medico abbia certificato la morte del paziente tramite l’esecuzione di un elettro-cardiogramma protratto per un tempo di almeno venti minuti, mentre nella maggioranza degli altri Paesi europei il tempo necessario è compreso tra i 5 e i 10 minuti.
Sì, avete capito bene: nel nostro Paese siamo certamente morti dopo venti minuti di arresto cardiaco e assenza di circolo, mentre in Spagna dopo soli 5 minuti. La cosa buffa è che tale evidente, incredibile mancanza di oggettività insita in tali criteri, invece di invalidare l’intera procedura di accertamento della morte viene spacciata come la prova provata dell’eccellenza italiana nel settore dei trapianti.
Del resto, come abbiamo potuto mettere in evidenza in altre occasioni, anche le procedure di accertamento della morte basate sui soli criteri neurologici (morte cerebrale) presentano la stessa, assurda mancanza di coerenza intrinseca.
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Tornando alla DCD, essa sembra collidere con le tecniche di rianimazione dei pazienti in arresto cardiaco, che sono di fondamentale importanza per la sopravvivenza degli stessi. Del resto, le manovre mirate a mantenere i tessuti vascolarizzati iniziano ben prima dei venti minuti necessari affinché, secondo la legge italiana, possa essere dichiarare la morte del paziente.
Non sembra così azzardato supporre che in questi casi, malgrado sulla carta i sanitari siano tenuti a non modificare l’approccio e la qualità delle cure delle persone in rianimazione, gli sforzi degli stessi siano perlopiù tesi a mantenere sani gli organi per l’espianto, piuttosto che a salvaguardare la vita del paziente in arresto cardiaco.
L’invenzione di nuove tecniche per la predazione degli organi è la dimostrazione che nel momento in cui agli oggettivi criteri di accertamento della morte, fondati sulla cessazione di tutte le funzioni vitale dell’individuo, sono stati affiancati altri criteri niente affatto oggettivi, basati sulla presunta cessazione della funzionalità di un organo, si è aperta la strada ad ogni sorta di abuso – e ad una strage infinita che è sotto i nostri occhi.
Alfredo De Matteo
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Morte cerebrale
Malori e predazioni degli organi: continua la strage operata dalla «Morte Cerebrale»
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Morte cerebrale
Malori improvvisi a beneficio dell’industria dei trapianti?
Ormai il fenomeno dei malori che sopraggiungono improvvisamente mentre la persona colpita si trova al volante del proprio veicolo ha raggiunto livelli estremamente preoccupanti.
Per inciso, invece di rendere la vita impossibile a chi guida attraverso l’introduzione nel codice della strada di norme sempre più draconiane e perlopiù cervellotiche, sarebbe meglio che l’attuale esecutivo concentrasse la sua attenzione proprio sul problema dei malori improvvisi, che sono spesso la causa più o meno occulta di un gran numero di incidenti stradali.
Tuttavia sembra che a beneficiare di così tanti malori tra la popolazione sia, fra le altre, l’industria dei trapianti di organi vitali. Del resto, trasformare i problemi, o presunti tali, in opportunità sembra proprio il must di chi si arroga il diritto decidere sopra le nostre vite, soprattutto di questi tempi.
A Sassuolo, provincia di Modena, una donna di 42 anni è deceduta dopo due giorni di agonia all’ospedale di Boggiovara dove era stata ricoverata a seguito di un malore improvviso. La vittima è uscita di strada con la sua vettura per poi andare a terminare la sua corsa contro un palo della luce. Le cronache riferiscono che la donna non è morta nell’incidente stradale, bensì a causa del malore e che i suoi organi sono stati donati, come da sua volontà.
Ora, come in tutti i casi di cronaca in cui sono coinvolte le persone fatte oggetto dell’espianto degli organi, la comunicazione massmediatica risulta raffazzonata e priva di coerenza. Probabilmente ciò è dovuto non tanto alla malafede della stampa, quasi sempre al servizio della menzogna, bensì alla intrinseca contraddittorietà di un costrutto artificioso che pende sopra le nostre vite: la cosiddetta morte cerebrale.
Potrebbe trattarsi di un fenomeno naturale: l’intelletto umano si rifiuta di ragionare in modo paradossale e così tende, più o meno inconsapevolmente, ad «aggiustare» la realtà degli accadimenti sulla scorta dei criteri logici con cui è abituato ad interpretare i fatti.
La donna quindi è deceduta dopo due giorni di agonia, come se il suo organismo non avesse retto al trauma subito, o è stata letteralmente «terminata» dal decreto di morte cerebrale e quindi all’espianto degli organi?
Il decesso dunque è avvenuto a seguito dell’espianto e non prima. Giusto? Si potrebbe ipotizzare che in questi casi al momento dell’intervento di asportazione degli organi il soggetto sia in stato di salute quantomeno per certe funzioni vitali – conditio sine qua non affinché possa essere praticato con successo l’espianto degli organi del «donatore» e il successivo, immediato impianto degli stessi nel soggetto ricevente.
Evidentemente, l’unico criterio preso in considerazione dai medici è quello neurologico che, come abbiamo avuto modo di mettere in luce diverse volte, è antiscientifico e privo di validazione empirica.
Quel che maggiormente sconcerta, e che fa pensare, è la velocità con cui le vittime di malori improvvisi che cadono in coma vengono dichiarate cerebralmente morte ed espiantate. Abbiamo già analizzato su queste pagine il caso del ragazzo colto da malore a scuola, rianimato dai professori e solo poche ore dopo dichiarato morto in ospedale. Un copione visto tante altre volte.
Alcuni arrivano a pensare che tutta questa fretta nel dichiarare la morte cerebrale risponderebbe all’esigenza di evitare che la vittima possa dare segni di ripresa – ovvero che esca dal coma – rendendo vani gli sforzi delle strutture sanitarie nel reperire organi freschi da trapianto. È noto come i centri autorizzati ad effettuare i trapianti sparsi nel territorio abbiano dei budget di produzione da rispettare e come il raggiungimento di questi obiettivi sia necessario all’acquisizione di rilevanti finanziamenti pubblici e privati. Del resto, i direttori generali delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere sono dei veri e propri manager d’azienda che guadagnano cifre da capogiro.
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C’è anche da tenere presente che quando si da più importanza alla qualità della vita che alla vita stessa, come si fa di questi tempi, si tende a dare la precedenza, più o meno consapevolmente, a chi ha una «possibilità di farcela», piuttosto a chi ha bisogno di cure e di assistenza per un tempo più o meno lungo e comunque indefinito.
Il paradosso è che i soggetti che beneficiano di un trapianto diventano dei malati cronici che sono costretti a prendere medicinali per il resto della loro vita. È infatti di fondamentale importanza che il trapiantato assuma regolarmente gli immunosoppressori (che impediscono il rigetto dell’organo) e che si sottoponga a frequenti controlli clinici. Tali farmaci, tra l’altro, possono avere gravi effetti collaterali tra cui tumori, diabete ed ipertensione.
Insomma, con la pratica della predazione degli organi anche la filiera del malato cronico tende ad arricchirsi. Il numero impressionanti di «malori» di questi ultimi tempi, di certo alimenta questa industria fatta di morte e malattia.
Alfredo De Matteo
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Immagine generata artificialmente
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