Gender
Stati Uniti, unioni omosessuali riconosciute a livello federale
Dopo essere stata approvata dal Congresso, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha appena firmato la legge che riconosce le unioni tra persone dello stesso sesso a livello federale. I vescovi americani denunciano una battuta d’arresto in materia di libertà religiosa che potrebbe danneggiare molti fedeli, e forse anche ministri del culto.
«Oggi l’America ha compiuto un grande passo verso l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutti, un passo verso l’avvento di una nazione in cui la decenza, la dignità e l’amore sono riconosciuti, onorati e protetti».
L’enfasi e i sorrisi di circostanza erano lì nel cortile della Casa Bianca, lo scorso 13 dicembre 2022, quando il presidente americano stava per firmare la legge sul rispetto del matrimonio, Respect for Marriage Act (RFMA).
Un testo legislativo che, contrariamente a quanto suggerisce il titolo, rispetta piuttosto poco l’istituto del matrimonio, poiché abroga di fatto una legge del 1996 – Defence of Marriage Act (DOMA) – consentendo così il riconoscimento, a livello federale, delle unioni tra persone dello stesso sesso.
Per inciso, l’amministratore delegato degli Stati Uniti ha colto l’occasione per bollare il DOMA, che aveva appena cancellato con un tratto di penna, accusandolo di «soffio d’odio in tutte le sue forme».
Per la cronaca, il DOMA abrogato è stato firmato più di venticinque anni fa dal presidente democratico Bill Clinton. Il testo definiva poi il matrimonio a livello federale come l’unione di un uomo e una donna, vietava i benefici federali per le coppie omosessuali e consentiva agli Stati dell’Unione di non riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti in altri Stati.
La firma del nuovo testo arriva dopo l’adozione della RFMA al Senato – il 29 novembre 2022 – e alla Camera dei Rappresentanti il 7 dicembre. Due elezioni durante le quali la mobilitazione, in entrambe le Camere, di molti esponenti del Partito Repubblicano, è stata decisiva per l’adozione del progetto. A riprova che il Grand Old Party è ben lungi dall’assumere l’aspetto conservatore che gli viene attribuito su tutte le questioni sociali.
Da parte sua, la presidente della Camera, la progressista Nancy Pelosi, che si mostra cattolica, come Joe Biden, non ha nascosto la sua gioia, descrivendo la firma del «glorioso momento di trionfo per l’amore della libertà e la dignità per tutti», mentre Chuck Schumer, Capogruppo della maggioranza al Senato ha esclamato in uno slancio mistico: «o mio Dio, ci siamo riusciti».
Il tono è ben lungi dall’essere lo stesso, possiamo immaginarlo, all’interno della gerarchia cattolica. Il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, non ha nascosto la sua preoccupazione: «la nuova legge rischia di incoraggiare la discriminazione legale di sacerdoti e fedeli, e più in generale di tutti gli americani legati al significato tradizionale del matrimonio».
Timori confermati durante il voto della RFMA alla Camera, visto che i democratici sono riusciti a bloccare l’emendamento presentato dal rappresentante repubblicano Chip Roy, che chiedeva di inserire nella legge garanzie esplicite a tutela della libertà dei commercianti – anche ministri del culto – che rifiuterebbero di offrire i propri servizi nell’ambito di un «matrimonio tra persone dello stesso sesso».
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
Gender
La prima donna primo ministro del Giappone si oppone al «matrimonio» omosessuale
La nuova prima ministra giapponese, Sanae Takaichi, prima donna a ricoprire questa carica, si oppone al «matrimonio» omosessuale.
Takaichi, insediatasi martedì, ha espresso durante un dibattito elettorale dello scorso mese la sua contrarietà al «matrimonio» omosessuale, pur definendo «giusta» una relazione omosessuale, secondo il sito di informazione LGBT Them.
Nel 2023, durante una riunione della commissione bilancio del governo, ha descritto la legalizzazione del «matrimonio» omosessuale come una «questione estremamente complessa», citando un articolo della costituzione giapponese che definisce il matrimonio come basato sul «consenso reciproco di entrambi i sessi».
Le posizioni di Takaichi sul «matrimonio» omosessuale, non legale in Giappone, sono in contrasto con l’opinione pubblica del Paese, prevalentemente laica. Un sondaggio Pew del 2023 ha rilevato che circa il 70% dei giapponesi sostiene il «matrimonio» omosessuale, il tasso di approvazione più alto tra i Paesi asiatici analizzati.
Diverse città e località giapponesi emettono «certificati di unione» per le coppie omosessuali. Ad esempio, nel 2015 il distretto di Shibuya a Tokyo ha approvato una normativa che riconosce le coppie omosessuali «come partner equivalenti a quelli sposati per legge».
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Inoltre, l’anno scorso un’Alta corte giapponese ha stabilito che il divieto del codice civile sul «matrimonio» omosessuale viola il principio costituzionale contro la discriminazione basata su «razza, credo, sesso, status sociale o origine familiare». Tuttavia, le Alte corti giapponesi non possono abrogare il divieto, rendendo la sentenza simbolica.
Paradossalmente, nonostante sia la prima donna a capo del governo giapponese, l’amministrazione di Takaichi è stata criticata dalla sinistra come un ostacolo per la «parità di genere» e i «diritti delle minoranze sessuali». L’emittente pubblica americana PBS News l’ha definita «non femminista».
Takaichi sostiene la successione esclusivamente maschile della famiglia imperiale, che ha un ruolo cerimoniale, e si oppone alla possibilità per le coppie sposate di mantenere cognomi separati, sostenendo che ciò potrebbe «minare la struttura sociale basata sulle unità familiari». Tuttavia, non insiste sul fatto che la donna debba adottare il cognome del marito. Curiosamente, il marito di Takaichi, il politico LDP Taku Yamamoto, ha preso il suo cognome quando si sono risposati, per cui ora legalmente si chiama Taky Takaichi
«La nascita della prima donna primo ministro giapponese è storica, ma (Takaichi) rappresenta un’ombra per la parità di genere e i diritti delle minoranze sessuali», ha dichiarato a PBS Soshi Matsuoka, attivista LGBT. «Le opinioni di Takaichi su genere e sessualità sono estremamente conservatrici e potrebbero costituire un grave ostacolo per i diritti, in particolare per le minoranze sessuali».
Il Giappone resta uno dei pochi Paesi sviluppati, insieme a Paesi come Corea del Sud e Repubblica Ceca, a non aver legalizzato il «matrimonio» omosessuale.
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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution 4.0 International
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Il Parlamento austriaco vieta il linguaggio «inclusivo di genere» nelle sue comunicazioni ufficiali
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Il transgenderismo è in declino tra i giovani americani: «una moda in declino»
Un recente rapporto indica un calo nell’identificazione transgender tra i giovani americani, dopo il picco registrato durante l’amministrazione Biden.
Il rapporto, intitolato «The Decline of Trans and Queer Identity among Young Americans», redatto dal professor Eric Kaufmann, analizza i dati di studenti universitari negli Stati Uniti attraverso sette fonti.
I risultati mostrano che l’identificazione transgender è scesa a circa la metà rispetto al massimo raggiunto nel 2023, passando dal 7% al 4%.
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Tra il 2024 e il 2025, meno studenti universitari del primo anno si sono identificati come «trans o queer» rispetto agli studenti dell’ultimo anno, invertendo la tendenza osservata nel 2022-2023.
Anche l’identificazione come «non binario» (né uomo né donna) è diminuita della metà in tre delle cinque fonti di dati dello studio. L’identificazione eterosessuale è in aumento, pur rimanendo inferiore rispetto al 2020, mentre quella gay e lesbica è rimasta stabile.
«Questo suggerisce che la non conformità di genere/sessuale continuerà a diminuire», ha scritto Kaufmann su X, commentando i risultati, definendo l’identità transgender e queer una «moda» ormai in declino.
«Il calo delle persone trans e queer sembra simile allo svanire di una tendenza», ha affermato, sottolineando che tale cambiamento è avvenuto indipendentemente dalle variazioni nelle convinzioni politiche o nell’uso dei social media, ma con un ruolo significativo del miglioramento della salute mentale.
«Gli studenti meno ansiosi e, soprattutto, meno depressi [sono] associati a una minore percentuale di identificazioni trans, queer o bisessuali», ha aggiunto.
Come riportato da Renovatio 21, gennaio, il presidente Trump – che prima di rientrare alla Casa Bianca aveva promesso di fermare la «follia transgender» dal primo giorno della sua presidenza –ha firmato un ordine esecutivo per vietare al governo federale di finanziare o promuovere la transizione di genere nei minori. «Questa pericolosa tendenza sarà una macchia nella storia della nostra nazione e deve finire», ha dichiarato.
Sono seguiti interventi dell’amministrazione Trump contro il reclutamento di trans nell’esercito (nonché la cacciata dei già recluati) e la partecipazione di transessuali maschi alle gare sportive delle donne. «la guerra allo sport femminile è finita» ha dichiarato il presidente americano.
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Secondo il Williams Institute, il 76% delle persone transgender (circa 2,8 milioni) ha meno di 35 anni, di cui il 25% (724.000) è tra i 13 e i 17 anni. Il rapporto evidenzia che la composizione razziale delle persone transgender riflette quella degli Stati Uniti. Circa un terzo si identifica come donna, un terzo come uomo e un terzo come non binario.
Dal 2022, il Williams Institute stima che il numero di persone transgender sia cresciuto da 1,6 milioni a 2,8 milioni, un aumento del 75% in tre anni.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa uno studio dell’ente americano Public Religion Research Institute (PRRI) aveva rivelato che più di un americano su quattro (28%) di età compresa tra 18 e 25 anni, nota come Generazione Z, si è identificato come LGBT.
La «moda» ora può essere finita. Tuttavia, ci chiediamo: quale ne è stato il prezzo?
Quanti ragazzi castrati per sempre? Quante ragazze mutilate dei seni? Quanti adolescenti intossicati di steroidi sintetici? Quante famiglie lacerate e distrutte?
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