Civiltà
Rivolte «antirazziste»? No, lotta contro la figura paterna
Dietro alla furia iconoclasta che vuole distruggere le statue non c’è una ideologia, ma lo sfogo violento contro chi ha costruito il mondo – cioè contro il padre. Una figura che a quei ragazzi forse è pure mancata completamente.
Non lasciamo correre il poderoso editoriale del professore Claudio Risé, apparso sul quotidiano La Verità domenica 28 giugno.
«Negli sfregi, mutilazioni, distruzioni dei monumenti, chi li compie è posseduto da una feroce spinta distruttiva contro qualcosa di forte, stabile: come appunto la statua e la vita della persona cui è dedicata. È una disperata protesta contro chi è stato capace di fare e cambiare il mondo e durare nel tempo».
«È una disperata protesta contro chi è stato capace di fare e cambiare il mondo e durare nel tempo»
Risé parla di una maschera ideologica fatta calare surretiziamente su questi «accessi di follia distruttiva» presentati talvolta come «una buona pratica» culturale o ideologica (per esempio, sindaco e procuratore distrettuale hanno sostenuto le proteste minacciando invece di perseguire quanti si stavano organizzando per difendere la statua di Cristoforo Colombo!) mentre in realtà « qui non siamo neppure nel campo delle suggestioni generiche o delle nevrosi, ma proprio delle psicosi. In questi episodi chi conquista la piazza, venendo pubblicamente omaggiata e portata ad esempio, è la follia di distruzione verso la vita e le sue manifestazioni nella storia e nella società».
«Per apprezzare il passato occorre essere stati iniziati a prove sufficientemente dure e complesse da riattivare le capacità sviluppate dagli antenati nel costruirlo»
Una distruzione della vita che vediamo ovunque in questa era buia della Civiltà pervasa dalla Necrocultura: l’uomo tende più alla morte che alla vita.
«Perché si scatena questo autolesionismo e cosa lo provoca? Sono (anche oggi) le società malate e in decadenza a non reggere il rapporto con la loro grandezza passata, la loro storia. Per apprezzare il passato occorre essere stati iniziati a prove sufficientemente dure e complesse da riattivare le capacità sviluppate dagli antenati nel costruirlo».
«Questo è appunto il dramma dell’Occidente contemporaneo. Abbiamo statue, ma non vogliamo più fare battaglie e sforzi, neppure simboliche, che consentano un contatto vivo con quelle esperienze»
Il significato di quelle statue, il sacrificio di quegli uomini che hanno dedicato la vita – talvolta la hanno persa – per un ideale, non è qualcosa di comprensibile per le masse cresciute con la mancanza della figura paterna – e del rispetto dell’autorità.
«La trasmissione declamatoria, la statua proposta senza che chi la guarda abbia mai dovuto sperimentare uno sforzo simile a quello di chi in essa è rappresentato, è una celebrazione vuota, una rendita parassitaria che non educa chi la riceve, ma anzi lo mette a disagio. Questo è appunto il dramma dell’Occidente contemporaneo. Abbiamo statue, ma non vogliamo più fare battaglie e sforzi, neppure simboliche, che consentano un contatto vivo con quelle esperienze».
«Questo è appunto il dramma dell’Occidente contemporaneo. Abbiamo statue, ma non vogliamo più fare battaglie e sforzi, neppure simboliche, che consentano un contatto vivo con quelle esperienze»
È un osceno consumismo dei segni, la superficialità totale di pensare che dietro ad una statua non ci sia niente. A nostro avviso si può parlare apertamente di ritorno della barbarie.
È possibile vedere come nei millenni questa dinamica fosse conosciuta all’uomo, visto che era analizzata anche dagli antichi. «Orazio, parlando del passaggio dalla Grecia a Roma, sottolineava come il trasferimento del potere (translatio imperi) richiedesse anche il trasferimento del sapere (translatio studi)» scrive Risé.
«A questi demolitori di statue però non è stato trasferito il sapere, le conoscenze, esperienze e abilità, di chi è raffigurato nella statua. L’iconoclasta, più o meno consciamente, lo sente, e ne soffre; anche per questo regredisce nell’atto psicotico, la protesta infantile che precede qualsiasi formazione dell’Io, e attacca la statua. E la società continua nella sua trasmissione di ignoranza, presentando il proprio impoverimento come fosse un’azione culturale».
«E la società continua nella sua trasmissione di ignoranza, presentando il proprio impoverimento come fosse un’azione culturale»
Il mondo moderno invece non ha capito questo meccanismo, anzi lo riproduce e lo sanziona oramai come fatto positivo.
«Lo stesso fenomeno accade nelle famiglie: solo i discendenti che si sono formati con una buona dose di fatica e disciplina nell’azione apprezzano e accettano il valore degli antenati. Come mostrano bene le due forme presenti nella decadenza attuale: il relativismo cinico accompagnato da una dittatura pavida (quella che nella Grecia antica manda a morte Socrate accusandolo di corrompere i giovani».
«Lo stesso fenomeno accade nelle famiglie: solo i discendenti che si sono formati con una buona dose di fatica e disciplina nell’azione apprezzano e accettano il valore degli antenati»
«Naturalmente il razzismo non c’entra nulla: è la scusa usata per liberarsi della propria storia, imbarazzante non perché scandalosa o immorale, ma perché troppo impegnativa (anche dal punto di vista etico, della riflessione seria, non di maniera, sul bene e sul male».
Si tratta insomma dell’«urlo psicotico di una generazione imbarazzata dalla storia impegnativa a cui appartiene. Si tratta della «forma assunta nel nuovo millennio dalla “rivolta contro il padre” lancianta cinquant’anni fa».
Dopo il 1945 «al posto della storia chi tornò dalla guerra trovò pronta un’altra narrazione, onnipresente, che spiegava tutto, condizionava tutto e rimuoveva tutto ciò che non riconoscesse il suo primato: l’economia
Le basi sono state gettate dopo la II Guerra Mondiale, quando «non c’è più stato spazio per la storia degli uomini, i loro ideali, le loro speranze e passioni, i loro scontri e i loro incontri. Al posto della storia chi tornò dalla guerra trovò pronta un’altra narrazione, onnipresente, che spiegava tutto, condizionava tutto e rimuoveva tutto ciò che non riconoscesse il suo primato: l’economia (assieme alla tecnica, le grandi vincitrici del conflitto). Era quello ciò che importava, il centro della vita occidentale: la produzione, il guadagno procurato dal consumo; tutto il resto non aveva più importanza».
Della forma perversa di questo primato del consumo siamo testimoni quando vediamo che le rivolte in USA si trasformano in saccheggi di negozi di elettrodomestici o scarpe da ginnastica.
«La decapitazione della storia occidentale, ristretta ora in un modello di sviluppo materno, centrato sul consumo e la soddisfazione dei bisogni (da moltiplicare continuamente, anche con le invenzioni della tecnica) comincia allora».
«La decapitazione della storia occidentale, ristretta ora in un modello di sviluppo materno, centrato sul consumo e la soddisfazione dei bisogni (da moltiplicare continuamente, anche con le invenzioni della tecnica) comincia allora»
Il ritorno ad una forma anche crudele di matriarcato è visibile nei tanti discorsi ultrafemministi che stiamo vedendo in questi mesi, con casi – alcuni pure indagati dagli inquirenti – dove il patriarcato è considerato nemico assoluto da abbattere ferocemente per poi rifondare una nuova civiltà matriarcale che cancelli completamente il mondo precedente e tutta la sua storia.
«Manca – scrive Risé parlando della situazione attuale – la storia, il passato, il padre (quello terreno e quello celeste). Il percorso accidentato e tormentato, ma bellissimo, dall’ebraismo alla Grecia a Cristo, al mondo romano, al Medio Evo, Rinascimento e conquista del mondo da parte di questo piccolissimo continente che è la nostra terra».
«Mancano padri che ti mostrino la strada fatta, e ti insegnino ad andare avanti, con coraggio e fatica. Per questo i figli, ormai privi di un’identità, e quindi di speranze, abbattono le statue dei padri del passato. Per invidia, debolezza, rabbia, disperazione. Per nostalgia per quell’indispensabile figura (oggi «scorretta» e accantonata). Senza la quale non si può vivere».
«Mancano padri che ti mostrino la strada fatta, e ti insegnino ad andare avanti, con coraggio e fatica. Per questo i figli, ormai privi di un’identità, e quindi di speranze, abbattono le statue dei padri del passato. Per invidia, debolezza, rabbia, disperazione. Per nostalgia per quell’indispensabile figura (oggi «scorretta» e accantonata). Senza la quale non si può vivere»
Sono parole da meditare profondamente.
Una società senza padre è una società sprotetta, alla mercé di tutto, di sé stessa e delle sue pulsioni, e soprattutto delle trame degli Oligarchi della morte.
Una società senza difese è una società dove non solo le statue vengono abbattute, ma, a breve, gli esseri umani.
Uccidere i padri significa distruggere la famiglia rendendola debole e indifesa. Uccidere i padri è un passo da fare per il ritorno del sacrificio umano.
Civiltà
Gli Stati Uniti mettono in guardia l’Europa dalla «cancellazione della civiltà»
L’Europa rischia la «cancellazione della civiltà», in quanto i leader del continente promuovono la censura, soffocano le voci dissidenti e ignorano gli effetti dell’immigrazione incontrollata, avverte la nuova Strategia per la sicurezza nazionale diffusa dall’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump.
Il testo, dal tono aspro e innovativo, reso pubblico venerdì, rileva che, sebbene l’Unione Europea mostri chiari segnali di stagnazione economica, è il suo deterioramento culturale e politico a costituire una minaccia ben più grave.
La strategia denuncia le scelte migratorie dell’UE, la repressione dell’opposizione, i vincoli alla libertà di espressione, il crollo della natalità e la «perdita di identità nazionali e di autostima», ammonendo che il Vecchio Continente potrebbe risultare «irriconoscibile entro 20 anni o anche meno».
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Secondo il documento, numerosi governi europei stanno «intensificando i loro sforzi lungo la traiettoria attuale», mentre Washington auspica che l’Europa «rimanga europea» e si liberi dal «soffocamento regolatorio», un’allusione evidente alle tensioni transatlantiche sulle norme digitali dell’UE, accusate di penalizzare colossi tech americani come Microsoft, Google e Meta.
Tra le priorità degli Stati Uniti figura il «coltivare la resistenza alla traiettoria odierna dell’Europa all’interno delle nazioni europee», precisa il testo.
La strategia trumpiana esalta inoltre l’emergere dei «partiti patriottici europei» come fonte di «grande ottimismo», alludendo al boom di consensi per le formazioni euroscettiche di destra che invocano restrizioni ferree ai flussi migratori in tutto il blocco.
Il documento sentenzia che «l’era delle migrazioni di massa è conclusa». Sostiene che questi flussi massicci abbiano prosciugato le risorse, alimentato la criminalità e minato la coesione sociale, con l’obiettivo americano di un ordine globale in cui gli Stati sovrani «collaborino per bloccare anziché solo gestire» i movimenti migratori.
Tale posizione si inserisce nel contesto delle spinte di Trump affinché i partner europei della NATO incrementino le spese per la difesa. In passato, il presidente aveva ventilato di non tutelare i «paesi inadempienti» in caso di aggressioni, qualora non avessero accolto le sue istanze. Durante un summit europeo all’inizio dell’anno, l’alleanza ha approvato un piano per elevare la spesa complessiva in difesa fino al 5% del PIL, superando di gran lunga la soglia del 2% a lungo stabilita dalla NATO.
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Civiltà
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Civiltà
Chiediamo l’abolizione degli assessorati al traffico
Renovatio 21 propone una soluzione apparentemente drastica, ma invero assai realistica, ad uno dei problemi che affligge l’uomo moderno: il traffico.
Non si parla di una questione da niente, e ci rendiamo conto che essa pertiene propriamente alla catastrofe del mondo odierno, e proprio per questo serve una modifica radicale di carattere, soprattutto, istituzionale.
Lo aveva capito il genio di Marshall McLuhan: «La strada è la fase comica dell’era meccanica (…) Il traffico è l’aspetto comico della città» (Gli Strumenti del comunicare, 1964). Il culmine comico dell’era dell’industria: la civiltà costruisce strade ed automobili per muoversi in libertà e rapidità, e si ritrova imbottigliata per ore, innervosita, massacrata da miriadi di leggi, restrizioni, multe.
Il traffico è un fenomeno generatore di caos e dolore, di isterie e sprechi – il tutto subito sulla nostra pelle, ogni singolo giorno – al quale nessuno sembra trovare soluzione, soprattutto quanti sarebbero preposti a risolverlo. Costoro sembrano invece, consapevoli o no, impegnati nell’aggravarsi del dramma.
Davanti a noi abbiamo la degradazione continua, inarrestabile della mobilità urbana. È difficile trovare qualcuno che possa dire che il traffico è migliorato, o che una soluzione azzeccata adottata su una qualche strada non sia stata poi azzerata da una scelta successiva, calata, come tutte, dall’alto, sul cittadino schiavo inerme.
Crediamo che uno dei motivi di tale regressione diacronica ed ubiqua sua l’esistenza dei cosiddetti assessorati al traffico, che si chiamano in vari modi (uffici mobilità, dipartimento dei trasporti, direzione viabilità), ma che sono tutti costruiti attorno ad uno assunto semplice: spendere un determinato budget per cambiare le strade.
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Probabilmente la questione è davvero così semplice: nell’impossibilità di non spendere l’ammontare di danaro assegnato (grande tabù per qualsiasi ente pubblico: i soldi che risparmi non generano un premio, ma una diminuzione della cifra che arriva l’anno dopo) gli assessori e i loro scherani non possono che mettere mano ovunque, con decisioni a volte incomprensibili, a volte ideologiche, e quasi sempre dannosissime.
Ecco che, perché l’assessorato deve fare qualcosa, invertono un senso unico, cagionando il disorientamento totale del cittadino automunito, che d’un tratto si trova non solo multato, ma anche al centro di un pericolo per sé e per gli altri. Ricordiamo le tecniche dei missionari: cambiare la forma del villaggio è aprire la mente dell’indigeno all’altro, qui tuttavia non c’è il Vangelo a dover essere diffuso, ma il nulla di una decisione burocratica stupida e gratuita – gratuita per modo di dire, perché anche per un’inezia del genere vi è un costo non indifferente per il contribuente.
Ecco che, perché l’assessore deve finire sui giornali, l’area viene pedonalizzata: ZTL laddove prima potevi passare per portare i figli a scuola o fermarti nel negozietto (che ne patirà, ovvio, le conseguenze). Sempre considerando che le ZTL sono da vedersi come riserve indiane degli elettori dei partiti di sinistra, gli unici che possono permettersi di vivere in centro.
Ecco che, perché l’assessore deve far carriere nel partitello con le fisime ecologiche, laddove c’erano due corsie ce ne troviamo una sola, con una, perennemente vuota, riservata ad autobus che fuori dalle ore di scuola sono oramai solo utilizzati da immigrati che con grande probabilità non pagano il biglietto e in caso potrebbero pure picchiare il controllore (succede, lo sapete). Il risultato è, giocoforza, un imbottigliamento ancora più ferale, un’eterogenesi dei fini per politica ecofascista che è, in ultima analisi, solo una mossa di PR inutile quanto oscena.
Ecco la sparizione di parcheggi gratuiti – grande segno della fine della Civiltà – così da scoraggiare, come da comandamento di Aurelio Peccei, l’uso dell’auto che produce anidride carbonica, orrenda sostanza per qualche ragione alla base della chimica organica e quindi della vita stessa, soprattutto quella umana. Chi va all’Estero – non in Giappone, ma in un Paese limitrofo come l’Austria – sogna vedendo la quantità di parcheggi sotterranei creati attorno alle cittadine, senza tanti problemi per gli scavi al punto che, con recente politica, il rampollo Porsche si è fatto il suo tunnel che lo porta da casa al centro di Salisburgo in un batter d’occhio.
Il superamento del traffico attraverso la dimensione infera è stato compreso, con la solita mistura di genio e concretezza, da Elon Musk con la sua Boring Company: se vuoi migliorare la tragedia del traffico l’unico modo di farlo è andando verso il basso, anche se sembrerebbe che il prossimo misterioso modello di Tesla, la Roadster, potrebbe poter operare verso l’alto. Noi, tuttavia, non abbiamo Elone, abbiamo gli assessori al traffico.
E poi, i capolavori – sempre trainati da ideologia verde, interessi cinesi impliciti e tagli di nastro sul giornale – della «micromobilità», con i monopattini e le bici «free-floating» rovinate, abbandonate e utilizzate, in larghissima parte, dalle masse di eleganti africani, che magari con esse si spostano con più agilità per certe loro attività, come lo spaccio di droga: massì, vuoi non pagargli, oltre che vitto-alloggio-acqua-gas elettricità-internet-telefonino-avvocato-sanità-bei vestiti alla moda anche dei mezzi di trasporto con cui, appunto, possono evitare il traffico? Tipo: un inseguimento di una gazzella della Polizia nel traffico contro un criminale in monopattino, come finisce? L’eterogenesi dei fini qui non è nemmeno comica, è tragicomica, o tragica e basta.
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Potremmo continuare con la lista. Laddove c’era una rotonda che funzionava meglio di un semaforo (ogni tanto, qualcuna la devono azzeccare, ma non dura) ecco che te la cancellano e ci mettono cordoli, fiori, pianticelle, magari perfino un monumento orrendo o una fontana lercia.
Laddove c’era una strada larga, eccotela divorata da un nuovo mega-marciapiede che non usa nessuno, se non i ciclofascisti zeloti, i quali tuttavia divengono presto vittime della follia viabilitaria, con sensi unici e corsie di trenta centimentri anche per i velocipedi.
Laddove c’era una strada dritta che in 50-100 metri ti portava allo snodo, loro, per farti arrivare al medesimo punto, ti costruiscono una deviazione di mezzo chilometro che ti manda sotto un supermercato, un tribunale, una palestra, una pizzeria, appartamenti di lusso e uffici pubblici – insomma un bel progetto di complessone che qualcuno deve aver costruito e in qualche modo venduto, con tutti incuranti del fatto che se all’esame di urbanistica all’Università proponevi una cosa del genere venivi bocciato seduta stante.
Laddove devono costruire una tangenziale, magari con decenni di ritardo, ti rendi conto che si dimenticano di fare le uscite nei comuni che attraversa e ci fanno l’immissione con uno stop invece di una corsia di accelerazione, con il risultato che entri a 0 km/h in una strada dove da sinistra ti arriva uno che viaggia ufficialmente a 70-90 km/h, che poi divengono sempre 100-120 km/h se non, nel caso del tizio con l’Audi in leasing, cinque vaccini e chissà cos’altro in corpo, perfino di più.
E non parliamo dei casi di corruzione che saltano fuori in quegli uffici – dove ci sono appalti, ci sono mazzette, uno pensa. Ma non è nemmeno questo il punto: nel disastro, gli effetti della malizia possono essere indistinguibili da quelli dell’ebetudine conclamata dei soggetti e del sistema.
È difficile, davvero, trovare qualcosa di positivo in quello che fanno quanti sono politicamente preposti al miglioramento della mobilità – cioè dell’esistenza – dei cittadini. Il motivo, lo ripetiamo, è strutturale: gli assessorati sono macchine strutturate per modificare, cioè complicare, le cose. In pratica, sono l’essenza stessa della burocrazia, con effetti fisici però immediati e devastanti.
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La soluzione a tutto questo potrebbe essere davvero facile-facile: abolizione completa degli assessorati al traffico. Con essa, si perderebbe l’incentivo strutturale a cambiare sempre e comunque tutto, e a valutare con più responsabilità le innovazioni.
Immaginiamo che se la viabilità fosse fra le mansioni dirette del sindaco, cioè se la responsabilità fosse la sua, le decisioni sulla mobilità sarebbero più dosate e sensate, perché esposte al popolo con il quale il primo cittadino ha certo un rapporto più diretto, nonché mediato dal voto, passato e soprattutto futuro.
È una proposta che non sappiamo se sia già stata fatta. Certo si possono valutare cose anche più radicali: come la punizione per quanti complicano e distruggono la viabilità delle nostre città. Lo sappiamo, è la mancanza di castigo che crea aberrazioni ed orrori, con la devastazione di tanta parte d’Italia dovuta a questo principio di irresponsabilità della casta politico-burocratica.
La realtà è che, per ottenere qualcosa, il cittadino sincero-democratico automunito deve arrabbiarsi molto di più. Non basta ringhiare al bar, o imprecare dentro l’abitacolo, magari pure, a certe latitudini, suonando il clacsone. Non serve alimentare un sistema che, alla fine, continua a produrre assessori al traffico, e traffico.
No, serve davvero di più. Perché l’auto è davvero un mezzo di libertà, e aggiungiamo, di vita – l’auto è uno strumento della famiglia. Chi vuole togliervela – come quelli di Davos, le cui idee percolano poi giù giù fino al vostro assessorino – odia la vita, odia voi e i vostri figli.
Chiedere l’abolizione degli assessorati al traffico ci sembra il minimo che possiamo fare se vogliamo sul serio lottare per la Civiltà.
Roberto Dal Bosco
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