Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Quale ordine internazionale?

Pubblicato

il

Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Pubblichiamo il testo dell’intervento di Thierry Meyssan alla conferenza «Amicizia con la Russia», organizzata il 4 novembre 2023 a Magdeburgo (Germania) dalla rivista Compact. Nel suo contributo Meyssan spiega la differenza fondamentale che, secondo lui, distingue le due concezioni dell’ordine mondiale che si scontrano, dal Donbass a Gaza: quella del blocco occidentale e quella cui fa riferimento il resto del mondo. Non si tratta d’imporre un ordine mondiale dominato da un’unica potenza (ordine unipolare) o da un gruppo di potenze (ordine multipolare), ma di decidere se deve essere rispettata la sovranità nazionale di ciascun Paese. Meyssan si basa sulla storia del Diritto internazionale, come lo concepirono lo zar Nicola II e il premio Nobel per la pace Léon Bourgeois.

 

Abbiamo visto i crimini di cui si è macchiata la NATO; perché allora dobbiamo avere fiducia nella Russia? Non corriamo forse il rischio di vedere quest’ultima comportarsi domani come si comporta oggi la NATO? Non soppianteremo una forma di schiavitù con un’altra?

 

Per rispondere a queste domande mi baserò sulla mia esperienza di consigliere di cinque capi di Stato. Ovunque i diplomatici russi mi hanno detto: Siete fuori strada: vi affrettate a spegnere un focolaio qui e nel frattempo ne scoppia un altro là. Il problema è più profondo e più vasto.

 

Per questo motivo vorrei illustrarvi la differenza tra l’ordine mondiale fondato su regole e quello basato sul Diritto internazionale. Non è la storia di uno sviluppo lineare, ma dello scontro tra due concezioni del mondo; una lotta che abbiamo il dovere di continuare.

 

Nel XVII secolo i Trattati di Vestfalia istituirono il principio della sovranità degli Stati. Tutti gli Stati hanno uguale peso e nessuno ha diritto di ingerirsi negli affari interni di ogni altro. Questi Trattati hanno retto per secoli sia le relazioni tra gli attuali Länder sia quelle tra gli Stati europei. Li riconfermò nel 1815 il Congresso di Vienna, alla disfatta di Napoleone I.

 

Alla vigilia della prima guerra mondiale, lo zar Nicola II convocò all’Aia due Conferenze internazionali per la Pace, nel 1899 e nel 1907, per «trovare gli strumenti più efficaci per assicurare a tutti i popoli i benefici di una pace reale e duratura». I convegni furono preparati in collaborazione con papa Benedetto XV, sulla base del diritto canonico, non del diritto del più forte. Al termine di due mesi di lavori, i documenti finali furono firmati da 27 Stati. Il presidente del Partito (repubblicano) radicale francese, Léon Bourgeois, presentò le proprie riflessioni (1) sulla dipendenza reciproca degli Stati e sul loro interesse a unirsi, superando le rivalità.

 

Grazie allo stimolo di Léon Bourgeois, la Conferenza istituì una Corte internazionale di arbitrato per favorire la risoluzione di dispute tra gli Stati per via giuridica invece che per mezzo della guerra. Secondo Bourgeois, gli Stati potranno accettare di disarmarsi solo quando avranno valide garanzie per la loro sicurezza.
Il testo finale introduce il concetto del «dovere degli Stati di evitare la guerra» appunto ricorrendo all’arbitrato.

 

Per impulso di un ministro dello zar, Frederic Fromhold de Martens, la Conferenza convenne che durante un conflitto armato le popolazioni e i belligeranti debbano essere tutelati dai principi frutto «delle consuetudini affermate tra nazioni civilizzate, delle leggi dell’umanità e delle esigenze della pubblica coscienza». Riassumendo, i firmatari s’impegnavano a smettere di comportarsi da barbari.

 

È un sistema che funziona solo tra Stati civilizzati che onorano la propria firma e rispondono del proprio operato all’opinione pubblica.

Sostieni Renovatio 21

Nel 1914 il sistema fallì perché gli Stati avevano rinunciato alla sovranità firmando trattati di Difesa che imponevano di entrare automaticamente in guerra in determinate circostanze, prescindendo dalla valutazione di ogni singolo Stato.

 

Le idee di Léon Bourgeois si fecero strada, ma incontrarono oppositori, tra i quali il suo rivale all’interno del Partito radicale, Georges Clemenceau, persuaso che le opinioni pubbliche non possano impedire le guerre. Ne erano convinti anche gli anglosassoni: il presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, e il primo ministro britannico, Lloyd George.

 

Al termine della prima guerra mondiale questo terzetto sostituì la Forza dei vincitori all’ancora balbettante Diritto internazionale. Si spartirono il mondo e i resti degli imperi austroungarico, tedesco e ottomano. Negando le proprie colpe, addossarono l’intera responsabilità dei massacri alla Germania, cui imposero un disarmo senza garanzie. Per prevenire l’insorgenza di un rivale dell’impero britannico in Europa, gli anglosassoni cominciarono ad aizzare la Germania contro l’URSS e ottennero l’acquiescenza della Francia permettendole di saccheggiare lo sconfitto II Reich. Come disse il primo presidente della Repubblica federale, Theodor Heuss, in un certo senso posero le condizioni per l’affermazione del nazismo.

 

Come tra loro convenuto, Clemenceau, Wilson e Lloyd George rimodellarono il mondo secondo la loro visione (i 14 punti di Wilson, gli Accordi Sykes-Picot, la Dichiarazione di Balfour). Crearono il nucleo ebraico della Palestina, dissezionarono l’Africa e l’Asia, cercarono di ridurre la Turchia a congrue proporzioni. Al loro operato possono essere fatti risalire tutti i disordini che oggi scuotono il Medio Oriente.

 

Ma fu sulla base delle idee del defunto Nicola II e di Léon Bourgeois che dopo la prima guerra mondiale fu istituita la Società delle Nazioni (SDN); non vi parteciparono gli Stati Uniti, che rifiutavano anche ufficialmente qualsiasi idea di Diritto internazionale. Ma la SDN fu un fallimento, non perché gli Stati Uniti rifiutarono di farne parte, come comunemente si ritiene. Era loro diritto. Ma innanzitutto perché non fu in grado d’instaurare una cogente uguaglianza tra Stati, giacché il Regno Unito rifiutava di considerare suoi pari i popoli colonizzati. Inoltre la SDN non disponeva di forze armate comuni. Infine fallì perché i nazisti massacrarono gli oppositori, distruggendo l’opinione pubblica tedesca, violarono la firma di Berlino e non esitarono a comportarsi da barbari.

 

Fin dalla Carta Atlantica del 1942, il nuovo presidente statunitense Franklin Roosevelt e il nuovo primo ministro britannico, Winston Churchill, si posero il comune obiettivo di instaurare al termine del conflitto un governo mondiale.

 

Gli anglosassoni, che si ritenevano capaci di governare il mondo, non furono tuttavia d’accordo sul come farlo. Washington non voleva che Londra s’intromettesse nelle faccende dell’America Latina; Londra da parte sua non voleva condividere l’egemonia sull’Impero «dove il sole non tramonta mai». Durante la guerra gli anglosassoni firmarono molti trattati con i governi dei Paesi alleati, in particolare con quelli in esilio ospitati a Londra.

 

Tutto considerato il Terzo Reich non fu vinto dagli anglosassoni, ma furono i sovietici a rovesciarlo e a prendere Berlino. Joseph Stalin, primo segretario del PCUS, era contrario all’idea di un governo mondiale, a maggior ragione se anglosassone. Auspicava un organismo in grado di prevenire futuri conflitti. In ogni caso, fu dalle concezioni russe che germogliò il nuovo sistema: quello delle Nazioni Unite, nato con la Conferenza di San Francisco.

 

In sintonia con lo spirito delle Conferenze dell’Aia, tutti gli Stati membri dell’ONU sono uguali. L’Organizzazione ha un proprio tribunale, la Corte Internazionale di Giustizia, incaricata di risolvere i conflitti che insorgono tra i membri.

 

Tuttavia, in considerazione delle vicende pregresse, le cinque potenze vincitrici hanno un seggio permanente al Consiglio di sicurezza, nonché diritto di veto. Dal momento che i vincitori nutrivano diffidenza reciproca (gli anglosassoni accarezzarono l’idea di continuare la guerra usando le truppe tedesche superstiti contro l’URSS) e inoltre non si poteva prevedere il comportamento dell’Assemblea generale, ogni potenza vincitrice cercò di assicurarsi che l’Organizzazione non volgesse a proprio danno (gli Stati Uniti avevano commesso spaventosi crimini di guerra sganciando due bombe atomiche sui civili, proprio mentre il Giappone… stava preparandosi alla resa ai sovietici).

 

Però le grandi potenze non interpretavano il diritto di veto allo stesso modo. Alcune lo concepivano come diritto di censurare le decisioni degli altri, altre come obbligo di prendere decisioni all’unanimità.

 

Ma fin dall’inizio gli anglosassoni non rispettarono gli impegni. Dapprima venne proclamato uno Stato israeliano (14 maggio 1948), senza che ci fosse accordo sui suoi confini; poi l’inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite incaricato di presiedere alla costituzione di uno Stato palestinese, conte Folke Bernadotte, fu assassinato da suprematisti ebrei, comandati da Yitzhak Shamir.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Il seggio al Consiglio di sicurezza destinato alla Cina, sul finire della guerra civile cinese fu attribuito al Kuomintang di Chiang Kai-shek invece che a Beijing. Gli anglosassoni proclamarono l’indipendenza della propria zona di occupazione coreana, denominandola Repubblica di Corea (15 agosto 1948); crearono la NATO (4 aprile 1949); infine proclamarono l’indipendenza della loro zona di occupazione tedesca chiamandola Germania Federale (23 maggio 1949).

 

Ritenendo di essere stata beffata, l’URSS se ne andò sbattendo la porta (politica del «seggio vuoto»). Il georgiano Stalin credette, erroneamente, che il veto non fosse un diritto di censura, ma espressione del requisito di unanimità tra i vincitori. Pensava di bloccare l’organizzazione boicottandola.

 

Gli anglosassoni interpretarono a proprio uso e consumo il testo della Carta da loro stessi redatta e approfittarono dell’assenza dei sovietici per far calzare «caschi blu» ai propri soldati e muovere guerra ai nord-coreani (25 giugno 1950) a «nome della comunità internazionale» (sic). I sovietici rientrarono all’ONU il 1° agosto 1950, dopo sei mesi e mezzo di assenza.

 

Il Trattato del Nord Atlantico è legale, ma il suo regolamento interno vìola la Carta delle Nazioni Unite: pone le forze armate alleate sotto il comando degli anglosassoni. Il comandante supremo dell’organismo alleato in Europa, il SACEUR [Supreme Allied Commander Europe], deve obbligatoriamente essere un ufficiale statunitense.

 

Secondo il primo segretario generale della NATO, lord Ismay, il vero obiettivo dell’Alleanza non è preservare la pace, né combattere i sovietici, ma «mantenere gli americani all’interno, i russi fuori e i tedeschi sotto tutela» (2). Sintetizzando, Roosevelt e Churchill volevano creare il braccio armato del governo mondiale. Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, che collegava Russia e Germania, è stato ordinato da Joe Biden in conformità al principio enunciato da lord Ismay.

 

Dopo la Liberazione, l’MI6 e l’OPC (che diventerà CIA) costituirono segretamente una rete stay-behind in Germania, usando migliaia di funzionari nazisti che avevano aiutato a sfuggire alla giustizia. Klaus Barbie, che torturò il coordinatore della Resistenza francese, Jean Moulin, fu il primo comandante di questo esercito nell’ombra. La rete fu infine incorporata nella NATO e sensibilmente ridotta. Fu infine utilizzata dagli anglosassoni per intromettersi nella vita politica dei Paesi cosiddetti alleati, in realtà vassalli.

 

Gli ex collaboratori di Joseph Goebbels crearono la Volksbund für Frieden und Freiheit. Perseguitarono i comunisti tedeschi con il supporto degli Stati Uniti. Più tardi agenti stay-behind della NATO riuscirono a manipolare l’estrema sinistra per renderla esecrabile. Fu quanto accadde, per esempio, alla banda di Baader, i cui membri furono assassinati in prigione dallo stay-behind, prima che fossero giudicati e potessero parlare. Nel 1992 la Danimarca spiò la cancelliera Angela Merkel per conto della NATO; nel 2022 la Norvegia, membro della NATO, aiutò gli Stati Uniti a sabotare il Nord Stream…

 

Ma torniamo al Diritto internazionale. Progressivamente le cose rientrarono nell’ordine fino al 1968, quando l’ucraino Leonid Breznev, durante la Primavera di Praga, fece in Europa centrale quello che gli anglosassoni facevano ovunque: impedì agli Stati suoi alleati di scegliere un modello economico diverso dal quello dell’URSS.

 

La situazione cominciò a peggiorare con la dissoluzione dell’URSS. Il sottosegretario statunitense alla Difesa, Paul Wolfowitz, elaborò una dottrina secondo cui per rimanere padroni del mondo gli Stati Uniti dovevano prevenire a ogni costo l’insorgenza di un nuovo rivale, prima di tutto l’Unione Europea.

 

È in applicazione di questa teoria che il segretario di Stato James Baker impose l’allargamento dell’Unione Europea a tutti gli ex Stati del Patto di Varsavia e dell’URSS. L’Unione si è così privata della possibilità di diventare entità politica. Ed è sempre in applicazione di questa dottrina che il Trattato di Maastricht ha posto la UE sotto la protezione della NATO. Ed è di nuovo in applicazione di questa dottrina che la Germania e la Francia pagano e armano l’Ucraina.

 

Fu poi la volta del professore ceco-statunitense Josef Korbel. Propose agli anglosassoni di dominare il mondo riscrivendo i Trattati internazionali: bastava sostituire il diritto anglosassone, fondato sulla consuetudine, alla razionalità del diritto romano. In questo modo tutti i Trattati avrebbero a lungo termine assicurato il vantaggio alle potenze dominanti, cioè gli Stati Uniti e il Regno Unito, legati da una «relazione speciale», secondo le parole di Winston Churchill.

 

La figlia del professor Korbel, la Democratica Madeleine Albright, divenne ambasciatrice all’ONU e successivamente segretaria di Stato. Quando la Casa Bianca passò ai Repubblicani, la figlia adottiva di Korbel, Condoleezza Rice, le successe come consigliera nazionale per la Sicurezza e in seguito alla segreteria di Stato. Per vent’anni le due «sorelle» (3) hanno pazientemente riscritto i principali testi internazionali, con il pretesto di modernizzarli, di fatto cambiandone lo spirito.

Aiuta Renovatio 21

Oggi le istituzioni internazionali funzionano secondo le regole imposte dagli anglosassoni, frutto delle antecedenti violazioni del Diritto internazionale. Questo diritto non è codificato da alcun testo, poiché si tratta dell’interpretazione delle consuetudini da parte della potenza dominante. Ogni giorno si sostituiscono regole ingiuste al Diritto internazionale e si contravviene alla propria firma.

 

Per esempio:

 

• Nel 1990, al momento della loro fondazione, gli Stati baltici s’impegnarono per iscritto a conservare i monumenti in onore dei sacrifici dell’Armata rossa. La distruzione di questi monumenti è perciò violazione della parola data.

 

• Nel 1947 la Finlandia s’impegnò per iscritto a rimanere neutrale. L’adesione alla NATO è perciò violazione della parola data.

 

• Il 25 ottobre 1971 le Nazioni Unite adottarono la Risoluzione 2758 che riconosce Beijing, non Taiwan, unico rappresentante legittimo della Cina. Il governo di Chiang Kai-shek è stato perciò espulso dal Consiglio di sicurezza e sostituito da quello di Mao Zedong. Di conseguenza, le recenti manovre navali cinesi nello Stretto di Taiwan non costituiscono un’aggressione a uno Stato sovrano, ma un dispiegamento di forze nelle proprie acque territoriali.

 

• Gli Accordi di Minsk avrebbero dovuto proteggere gli ucraini russofoni dalle molestie dei nazionalisti integralisti. La Francia e la Germania se ne fecero garanti davanti al Consiglio di sicurezza. Ma, come hanno riconosciuto Angela Merkel e François Hollande, né Parigi né Berlino intendevano applicarli. La loro firma non aveva alcun valore. Se si fossero comportati diversamente non ci sarebbe stata la guerra in Ucraina.

 

La perversione del Diritto internazionale ha raggiunto il culmine con la nomina, nel 2012, dello statunitense Jeffrey Feltman a direttore degli Affari politici. Dal suo ufficio di New York ha supervisionato la guerra occidentale contro la Siria. Ha insomma utilizzato le istituzioni della pace per fare la guerra. (4)

 

Fino a quando gli Stati Uniti non l’hanno minacciata ammassando armi ai suoi confini, la Federazione di Russia ha rispettato i trattati firmati, compresi quelli firmati dall’URSS. Il Trattato di non-proliferazione nucleare (TNP) impone l’obbligo alle potenze nucleari di non disseminare i loro arsenali nel mondo. Gli Stati Uniti, violando la propria firma, da decenni accumulano bombe atomiche in cinque Paesi vassalli: nelle basi di Kleine Brogel in Belgio, di Büchel qui in Germania (Renania-Palatinato), di Aviano e Ghedi in Italia, di Volkel nei Paesi Bassi, infine di Incirlik in Turchia.

 

Poi, grazie ai loro colpi di mano, dicono che ormai è consuetudine! Ebbene, la Federazione di Russia, ritenendosi assediata dopo il sorvolo del Golfo di Finlandia da parte di un bombardiere nucleare statunitense, ha a sua volta deciso di aggirare il Trattato di non proliferazione, posizionando bombe atomiche in Bielorussia.

 

Naturalmente la Bielorussia non è Cuba. Piazzarvi bombe nucleari russe non cambia nulla, è solo un messaggio per Washington: se volete ripristinare il diritto del più forte, possiamo accettarlo, anche perché i più forti adesso siamo noi. Si noti che la Russia non ha violato la lettera del Trattato, perché non addestra i militari bielorussi all’uso di queste armi, si è semplicemente presa delle libertà con lo spirito del Trattato.

 

Per essere efficaci e duraturi, aveva spiegato nello scorso secolo Léon Bourgeois, i Trattati di disarmo devono fondarsi su garanzie giuridiche. È perciò urgente ripristinare il Diritto internazionale; in caso contrario ci butteremo a testa bassa in una guerra devastatrice.

 

A difesa del nostro onore e nel nostro interesse dobbiamo ristabilire il Diritto internazionale. È una costruzione fragile ma, se vogliamo evitare la guerra, dobbiamo ripristinarlo. Siamo sicuri che la Russia la pensa come noi, che non lo violerà.

 

L’alternativa è sostenere la NATO, che l’11 ottobre ha riunito a Bruxelles i 31 ministri della Difesa per ascoltare in videoconferenza l’omologo israeliano affermare che avrebbe raso al suolo Gaza. Nessuno dei ministri, tra loro anche il tedesco Boris Pistorius, ha osato insorgere contro la pianificazione di questi crimini di massa contro i civili. L’onore del popolo tedesco è già stato tradito dai nazisti che non hanno esitato a sacrificarlo. Non lasciatevi tradire di nuovo, questa volta dal Partito socialdemocratico e dai Verdi.

 

Non dobbiamo scegliere tra due sovrani, ma proteggere la pace, dal Donbass a Gaza, e, in sostanza, difendere il Diritto internazionale.

 

Thierry Meyssan

 

NOTE

1) Il «Solidarismo» è diventato l’ideologia dominante della III Repubblica francese.

2) Si noti: «i russi fuori», non i sovietici.

3) Condoleezza Rice non è mai stata legalmente adottata, ma viveva a casa del professor Korbel; Madeleine Albright la considerava sua sorella minore.

4) «La Germania e l’ONU contro la Siria», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Al-Watan (Siria), Megachip-Globalist (Italia), Rete Voltaire, 28 gennaio 2016.

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

Fonte: «Quale ordine internazionale?», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 7 novembre 2023.

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21



Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Continua a leggere

Geopolitica

Le truppe americane lasceranno il Ciad

Pubblicato

il

Da

Pochi giorni dopo l’annuncio da parte dell’amministrazione americana che più di 1.000 militari americani avrebbero lasciato il Niger, Paese dell’Africa occidentale nei prossimi mesi, il Pentagono ha annunciato che ritirerà le sue 75 forze per le operazioni speciali dal vicino Ciad, già la prossima settimana. Lo riporta il New York Times.   La decisione di ritirare circa 75 membri del personale delle forze speciali dell’esercito che lavorano a Ndjamena, la capitale del Ciad, arriva pochi giorni dopo che l’amministrazione Biden aveva dichiarato che avrebbe ritirato più di 1.000 militari statunitensi dal Niger nei prossimi mesi.   Il Pentagono è costretto a ritirare le truppe in risposta alle richieste dei governi africani di rinegoziare le regole e le condizioni in cui il personale militare statunitense può operare.   Entrambi i paesi vogliono condizioni che favoriscano meglio i loro interessi, dicono gli analisti. La decisione di ritirarsi dal Niger è definitiva, ma i funzionari statunitensi hanno affermato di sperare di riprendere i colloqui sulla cooperazione in materia di sicurezza dopo le elezioni in Ciad del 6 maggio.   «La partenza dei consiglieri militari statunitensi in entrambi i paesi avviene nel momento in cui il Niger, così come il Mali e il Burkina Faso, si stanno allontanando da anni di cooperazione con gli Stati Uniti e stanno formando partenariati con la Russia – o almeno esplorando legami di sicurezza più stretti con Mosca» scrive il giornale neoeboraceno.

Sostieni Renovatio 21

L’imminente partenza dei consiglieri militari statunitensi dal Ciad, una vasta nazione desertica al crocevia del continente, è stata provocata da una lettera del governo ciadiano di questo mese che gli Stati Uniti hanno visto come una minaccia di porre fine a un importante accordo di sicurezza con Washington.   La lettera è stata inviata all’addetto alla difesa americano e non ordinava direttamente alle forze armate statunitensi di lasciare il Ciad, ma individuava una task force per le operazioni speciali che opera da una base militare ciadiana nella capitale e funge da importante hub per il coordinamento delle operazioni militari statunitensi. missioni di addestramento e consulenza militare nella regione.   Circa 75 berretti verdi del 20° gruppo delle forze speciali, un’unità della Guardia nazionale dell’Alabama, prestano servizio nella task force. Altro personale militare americano lavora nell’ambasciata o in diversi incarichi di consulenza e non è influenzato dalla decisione di ritirarsi, hanno detto i funzionari.   La lettera ha colto di sorpresa e perplessi diplomatici e ufficiali militari americani. È stata inviata dal capo dello staff aereo del Ciad, Idriss Amine; digitato in francese, una delle lingue ufficiali del Ciad; e scritto sulla carta intestata ufficiale del generale Amine. Non è stata inviata attraverso i canali diplomatici ufficiali, hanno detto, che sarebbe il metodo tipico per gestire tali questioni.   Attuali ed ex funzionari statunitensi hanno affermato che la lettera potrebbe essere una tattica negoziale da parte di alcuni membri delle forze armate e del governo per fare pressione su Washington affinché raggiunga un accordo più favorevole prima delle elezioni di maggio.   Mentre la Francia, l’ex potenza coloniale della regione, ha una presenza militare molto più ampia in Ciad, anche gli Stati Uniti hanno fatto affidamento sul Paese come partner fidato per la sicurezza.   La guardia presidenziale del Ciad è una delle meglio addestrate ed equipaggiate nella fascia semiarida dell’Africa conosciuta come Sahel.   Il Paese ha ospitato esercitazioni militari condotte dagli Stati Uniti. Funzionari dell’Africa Command del Pentagono affermano che il Ciad è stato un partner importante nello sforzo che ha coinvolto diversi paesi nel bacino del Lago Ciad per combattere Boko Haram.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Continua a leggere

Geopolitica

Missili Hezbollah contro basi israeliane

Pubblicato

il

Da

Hezbollah ha preso di mira diverse installazioni militari israeliane, inclusa una base critica di sorveglianza aerea sul Monte Meron, con una raffica di razzi e droni sabato, dopo che una serie di attacchi aerei israeliani avevano colpito il Libano meridionale all’inizio della giornata.

 

Decine di missili hanno colpito il Monte Meron, la vetta più alta del territorio israeliano al di fuori delle alture di Golan, nella tarda notte di sabato, secondo i video che circolano online. I quotidiani Times of Israel e Jerusalem Post scrivono tuttavia che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno affermato che tutti i razzi sono stati «intercettati o caduti in aree aperte», senza che siano stati segnalati danni o vittime.

 

Il gruppo militante sciita libanese ha rivendicato l’attacco, affermando in una dichiarazione all’inizio di domenica che «in risposta agli attacchi del nemico israeliano contro i villaggi meridionali e le case civili» ha preso di mira «l’insediamento di Meron e gli insediamenti circostanti con dozzine di razzi Katyusha».

 

Il gruppo paramilitare islamico ha affermato di aver anche «lanciato un attacco complesso utilizzando droni esplosivi e missili guidati contro il quartier generale del comando militare di Al Manara e un raduno di forze del 51° battaglione della Brigata Golani», sabato scorso. L’IDF ha affermato di aver intercettato i proiettili in arrivo e di «aver colpito le fonti di fuoco» nell’area di confine libanese.

 

 

Ieri l’aeronautica israeliana ha condotto una serie di attacchi aerei nei villaggi di Al-Quzah, Markaba e Sarbin, nel Libano meridionale, presumibilmente prendendo di mira le «infrastrutture terroristiche e militari» di Hezbollah. Venerdì l’IDF ha colpito anche diverse strutture a Kfarkela e Kfarchouba.

 

Secondo quanto riferito, gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno tre persone, tra cui due combattenti di Hezbollah. I media libanesi hanno riferito che altre 11 persone, tra cui cittadini siriani, sono rimaste ferite negli attacchi.

 

Il gruppo armato sciita ha ripetutamente bombardato il suo vicino meridionale da quando è scoppiato il conflitto militare tra Israele e Hamas lo scorso ottobre. Anche la fondamentale base israeliana di sorveglianza aerea sul Monte Meron è stata attaccata in diverse occasioni. Hezbollah aveva precedentemente descritto la base come «l’unico centro amministrativo, di monitoraggio e di controllo aereo nel nord dell’entità usurpatrice [Israele]», senza il quale Israele non ha «alcuna alternativa praticabile».

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

Continua a leggere

Geopolitica

Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati

Pubblicato

il

Da

Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.   In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».   Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.

Sostieni Renovatio 21

Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.   Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.   L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.   «Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».   Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».   Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.   «Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.

Aiuta Renovatio 21

«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato   Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.   L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.   Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.   Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic  
Continua a leggere

Più popolari