Pensiero
Pugnazzo, la Roma permanente e la nostalgia di Bossi
La Nintendo Wii è un dispositivo eccezionale. Se non avete un conoscente che l’ha conservata dagli anni 2000 e si decide a passarvela, potete acquistarla usata ai mercatini per una cinquantina di euro.
Sono migliaia di ore di intrattenimento familiare ineccepibile, sicuro, affidabile, a misura di bambino – questa è del resto la linea che l’azienda di Kyoto tiene da più di un secolo. Mettete (con moderazione, chiaro) vostro figlio dinanzi ad una console Nintendo, difficilmente vi verrà traviato come potrebbe invece succedervi con i giochi più «adulti» della Xbox, che è di Bill Gates, quello che la vostra prole già la tratta con la siringa e con l’mRNA.
Quindi, se approntate una Wii, il piccolo si sparerà certamente ogni singolo titolo di Super Mario disponibile: New Super Mario Bros Wii, Super Mario Galaxy, Super Mario Galaxy 2, Mario Kart Wii, Mario Party 8, Mario Super Sluggers, Super Mario All Stars… fino a che non arriverete al più bizzarro, Super Mario Paper.
Si tratta di un adventure: cioè un gioco lungo dove si va in giro a risolvere enigmi. Mario e i suoi amici finiscono in un mondo bidimensionale – sembra fatto, appunto, di carta – dove devono parlare con decine di altri personaggi, pur sempre tramite fumetti che fanno bip–bip–bip.
È alla fine del primo mondo che incontrerete un personaggio che vi sorprenderà: Pugnazzo.
Pugnazzo è un cattivo di fine livello. È violento e borioso, è vanitoso. Sovrastima la sua forza, ma non lo sa, per cui continua con i suoi ebeti esibizionismi. È aggressivo, a partire dalle parole.
Coloro che hanno regionalizzato Mario Paper hanno avuto un’idea geniale, giustissima: hanno fatto sì che Pugnazzo parlasse, di fatto, in romanesco stretto.
Pugnazzo parla il romanesco di quelli che menano.
«Ahò, ma allora sei te che ‘infili i baffetti negli affari der capo mio» dice Pugnazzo all’irsuto Mario Bros.
«Nun lo dovevi fà (…) Mo’ te faccio nero».
«Mo’ pe’ voi è finita!»
Pugnazzo non ascolta una parola di quello che gli dici, e continua con proclami bellicosi.
«So’ Pugnazzo, se er conte ordina, io ve strapazzo!»
«Mo’ basta. Mo’ ve riempio de botte come nun v’hanno riempito mai. VE ROMPO!»
Ci sta. L’aggressività romana la conosco, è un fenomeno su cui indago da lungo tempo. Anni e anni fa, giovanissimo in Inghilterra, mi ritrovai davanti al muso il naso di un romano, un ragazzo più grande di me del genere finto-atletico, quelli che si mettono la tuta solo per segnalare la minaccia di una prontezza fisica in realtà tutta da verificare. «Io te distruggo, sa’…».
Mentre mi urlava ad un centimetro dalla mia faccia, io non avevo idea di chi fosse questo tizio e di cosa volesse. Solo poi avrei capito che era il ragazzo di una tizia, alla quale forse avevo detto cortesemente «ciao» salutando tutto il gruppo, o forse anche no. Nella testa di lui, chissà quali pensieri stavo facendo – per una che non sapevo neanche che faccia avesse.
La cosa si risolse. Gli risi in faccia, non so bene perché, forse perché all’epoca avevo uno sprezzo del pericolo invidiabile, oppure già sapevo che il romano spesso abbaia e basta. Ci divisero. Andò per la sua strada.
Fast forward di una ventina di anni. Sono a Roma per andare ad un incontro di lavoro in un club fuori città. Prendo un taxi, entriamo in una tangenziale, o forse era proprio il mitico Grande Raccordo Anulare, che ne so. Ad un certo punto, notando i cenni del conducente, mi rendo conto che c’è un tizio con una Smart dietro di noi ci sta a pelo. Il ragazzo, occhiale da sole incollato agli occhi, sta ad una spanna dal paraurti posteriore del tassista, che si innervosisce e comincia a bofonchiare qualcosa (solo anni dopo avrei appreso che l’uomo con la Smart a Roma ha un’antropologia tutta sua). Il tizio ci supera a velocità folle – in parallelo il tassista accelerava enantiodromicamente… Poi ci taglia la strada, tra clacson, corna e diti medi a profusione. Quindi fila dritto con la sua macchinetta ad una velocità talmente inspiegabile da lasciarci indietro di parecchio.
È qui che succede una cosa inaspettata. Il tassista si gira verso di me – che ero, per lui, un giovane signore in giacca e cravatta che gli aveva significato il fatto che stava andando ad un incontro di lavoro – e dice qualcosa che non scorderò mai: «che c’ha fretta, lei?».
Io non faccio in tempo a rispondere «sì» che lui è già partito all’inseguimento dell’uomo con la Smart, gas schiacciato a tavoletta, mentre, con l’inerzia che mi schiaccia il torso sul sedile, io mi aggrappo alla maniglia sopra il finestrino, come faceva mia nonna.
Dopo venti minuti di caccia, che con gentilezza non avrebbe poi conteggiato nel tassametro, l’autista desiste: dell’uomo in Smart nessuna traccia. Arrivato a destinazione, scendendo sconvolto dall’auto, mi chiedo cosa mai sarebbe successo se lo avesse trovato. Probabilmente niente, come quella volta in Inghilterra: urla e insulti barocchi, checcevoifà, è il loro modo di stare al mondo. O forse si sarebbero tamponati, e menati davvero.
A Roma succede: pensate a Campo de’ Fiori, sede dell’infame statuona dell’infame Giordano Bruno. La sera, ricordo bene, si vedevano serque di camionette della polizia parcheggiate in bella vista in Piazza, eppure la gente di sera, nello struscio della movida romana con qualche turista imbucato, ci si picchiava lo stesso, e selvaggiamente, e non si è mai capito perché.
Ecco, sono alcuni dei ricordi e dei pensieri che ho avuto quando è saltata fuori la storia del misterioso video in cui uno dei vertici del PD romano, ad una cena fuori porta, è stato ripreso dai residenti del luogo (che allarmati, hanno chiamato le Forze dell’Ordine) mentre urlava.
«Lo digoh a tutti quello che m’ha dettooooh».
«Vie’ qua. Te devi inginocchià. TI DEVI INGINOCCHIARE!»
«Li ammazzo. Li ammazzo».
«Cinque minuti je do. CINQUE».
«Vi sparo. T’AMMAZZO»
Come non pensare a Pugnazzo.
Cosa era successo? Non si è capito benissimo, tuttavia su certi non detti urlati (non è una contradicio in adjecto) ora stanno facendo delle indagini. Cosa minacciava di rivelare l’uomo fuori di sé? Intorno a lui, a quella cena «pugnazza» (eh sì, loro vanno ancora al ristorante) a quanto si apprende dai giornali: una consigliera regionale, un europarlamentare o ex, il fratello assicuratore UNIPOL, quantità di altri figuri che non sappiamo comprendere, se non per il comune denominatore: tutti del PD, tutto un via via di uomini di Zingaretti, Gualtieri, Letta e chissà quali altre figure oscure. Per noi, la dinamica di tutta la vicenda rimarrebbe incomprensibile, anche se ce la illustrasse con un Power Point Goffredo Bettini via Skype dalla Thailandia.
Rimane la violenza verbale, che in teoria un uomo maturo (specialmente uno che ha a che fare con lo Stato) dovrebbe sapere che in alcuni frangenti può costituire reato (art. 612 Codice Penale: «minaccia»).
Tutto, hanno detto, era partito da una lite sul derby Roma-Lazio: da quello che ho letto oggi su La Verità, potrebbe pure essere vero, e la cosa mi addolora ancora di più. Perché comunque ora su tutti i commensali si abbatte la vergogna nazionale (cagionata da un video uscito sul Foglio, chissà perché) e pure un’indagine della Procura di Frosinone.
Tutto questo, capite, non mi scandalizza nemmeno un pochino. Perché, dai, quella è l’ostentosa aggressività romana come descritta in tanti film e filmetti, e ben presente nei nostri pensieri.
È altro che ci deve scandalizzare.
Prima cosa, che dovrebbe farci cadere dalla sedia: il tizio che urla promettendo violenza, è il figlio di un ex rettore della Sapienza. Non solo: pioniere dell’ingegneria informatica nazionale, è stato pure ministro e Commissario europeo per la scienza, la ricerca e lo sviluppo e l’istruzione, la formazione e la gioventù.
Avete capito? Si tratta del rampollo di un «magnifico» della università romana per eccellenza, una delle più importanti della Nazione, un uomo di governo, un professore che è stato ai vertici di Bruxelles quando il presidente della Commissione era Jacques Delors.
Insomma, la definizione di una «buona famiglia» che discende da un intelligente, competente servitore dello Stato.
Suo figlio parla così? Si comporta così? Parrebbe. I giornali tirano fuori altri dettagli della tragedia dinastica: lo scorso febbraio i figli dell’urlatore, 19 e 17 anni, fermati dai Carabinieri per un controllo avrebbero detto «avete preso le persone sbagliate, non sapete chi siamo». Il padre pure era incappato in vicende non dissimili: «il primo maggio del 2020, in pieno lockdown, per dire, mentre tutti dovevano stare tappati in salotto, lui venne beccato dalla polizia a mangiare a casa di amici su una terrazza di via Macerata, al Pigneto» scrive Il Foglio.
E poi, il babbano extraromano, come lo scrivente, continua a chiedersi: ma quindi, quale rete lo ha portato ad essere lì dove è? È ereditaria? Come può uno essere soprannominato «Rocky» e al contempo avere tanto potere? Domande a cui non so rispondere, perché al laico non-capitolino la mappa sotterranea di Roma è più celata del nome segreto di Roma, quello per cui secondo la leggenda basterebbe pronunciarlo per vedere Roma distrutta (qualcuno è ancora alla cerca, giusto?).
Di questo «mondo di mezzo», per usare un’espressione usata per definire un altro giro ma forse nemmeno lontanissimo nello spazio, non sappiamo nulla, affiora solo qua e là qualche segno, qualche mostro – dal latino moneo, ammonire. Ecco il video del ristorante. L’inchiesta «Mafia capitale», finita non esattamente come sembrava dovesse finire. E poi ancora: ricordate la marmorea villa del boyscout rutelliano Luigi Lusi? E il tizio che chiamavano «Er Batman» con tutto lo scandalo alla regione Lazio?
C’è un’intero universo ctonio che gestisce il potere a Roma: poltrone, appalti, chissà cos’altro. Noi non solo non ne saremo mai parte (anche perché preferiremmo morire!), ma non siamo in grado nemmeno di accorgerci della sua esistenza – anche se esiste solo grazie al nostro danaro.
Quello che comprendiamo è che, come ora negli USA parlano di una Permanent Washington creata dal Deep State, esiste una «Roma permanente», solo che a differenza della palude della capitale americana, quella romana ci sta da 2775 anni.
Un po’ difficile disinstallarla. Anche perché, se ti avvicini, magari ti senti suonare il clacson. «Io te distruggo, sa’…»
Abbiamo parlato spesso, in questo sito, dello Stato-partito, cioè, secondo la sintetica definizione di Rino Formica, l’oramai avvenuta fusione degli apparati amministrativi permanenti con i partiti, che, senza alternativa possibile, si presentano sempre più chiaramente come immagini dello Stato stesso.
Ciò è, ovviamente, vero in particolare per il PD, partito talmente fuso con il sistema da non aver più nemmeno bisogno di alcun carisma nei suoi dirigenti: pensate a Fassino, Bersani, a Zingaretti, pensate a Letta… La macchina, dalle COOP alle cene pugnazze di consiglieri regionali e capi di gabinetto, va avanti da sola…
La «Roma permanente» è in larga parte fatta dal PD.
Tuttavia, anche gli altri partiti parlamentari tendono alla stessa dimensione di identità con lo Stato – non è un segreto per nessuno che ogni partito, in Italia, vorrebbe essere come il PD, che è un partito perdente, e quindi già questo dice tutto sull’arco costituzionale italiano.
In pratica: Roma non la cambi, Roma non la tocchi, perché a Roma viene da noi dato un potere, e un flusso immane di danaro, che viene gestito in larga parte a nostra insaputa, e in larghissima parte contro di noi – e questo con assoluta pervicacia ed aggressività.
È a questo punto che ti sale la nostalgia canaglia di un personaggio pazzesco, che abbiamo la fortuna di aver visto operare nel fiore dei suoi anni, e in tutta la sua virilità salvifica: Umberto Bossi.
Ricordate quale era il mantra? «Roma Ladrona». Quanta ragione aveva?
Bossi che da un microfono veneziano il 18 settembre 2000 (22 anni fa!), accusava i «nazisti rossi alleati con i banchieri», le «lobby omosessuali», i «mondialisti», gli «sporcaccioni», i «porci». Proprio così.
Bossi che attaccò frontalmente Bruxelles con parole che nessuno ora osa ancora: «con l’Europa giacobina finiscono i diritti naturali collegati alla sovranità popolare e alla democrazia e avanzano i “nuovi diritti”: la dose minima di pedofilia, la famiglia orizzontale, il diritto d’immigrazione» (28 febbraio 2002)
Ma più ancora di quel che diceva – profetico potete vedere con gli occhi di oggi – l’Umberto era fondamentale per quello che era. Per la sua esistenza, per la sua presenza – umana, maschia.
Tale potenza di Bossi è stata ricordata di recente da un articolo di Paolo Guzzanti su Il Giornale.
«Di sentimenti forti Umberto Bossi ha inondato la politica fin da quando cominciò a diffondere l’ultimo brivido rivoluzionario in un’Italia ideologicamente frolla, praticamente inerte dopo i fallimenti già consumati ho invia di consumazione delle cosiddette ideologia del ventesimo secolo».
«Il messaggio di Umberto alla prima crociata era pesantissimo: secessione. L’Italia si spacca e quella che produce se ne va lasciando a secco l’Italia che non produce e che vive di rendita e sulle spalle della prima. Tutto ciò che era seguito al fortunoso sbarco di Garibaldi in Sicilia, e alla sua fin troppo fortunata risalita dello Stivale senza incontrare alcuna resistenza, veniva non solo messo in discussione ma idealmente rigettato».
Guzzanti senior ha riconciliato dentro di sé questa cosa:
«Certo, era molto difficile per un romano come me sentire dieci volte al giorno parlare di Roma ladrona, come se Roma capitale d’Italia non fosse stata ridotta a sentina dell’Italia intera, sfigurata nella sua identità e nella sua storia, ridotta un labirinto di palazzi afflitti dalla piaga della burocrazia e dello spreco (…) per questo alla fine non solo apprezzai lo spirito più radicale di Umberto Bossi ma mi trovai d’accordo: prendetevi questa capitale portatevela da qualche altra parte, pensavo, e che ognuno vada per la sua strada».
Sono parole piene di nostalgia, di pacificazione ma al contempo ci ricordano quale genio politico rivoluzionario fosse il Senatùr. Che più che un politico, era un trickster, una figura mitologica in grado di sconvolgere l’ordine delle cose – un ordine, in questo caso, immutabilmente romano.
Il figlio di Guzzanti, il geniale Corrado (che però, dicono, in fatto di imitazioni potrebbe essere inferiore al padre), si occupò spesso di Bossi nei suoi spettacoli TV.
Il colpo di genio definitivo lo ebbe quando, in un sofisticatissimo sketch che voleva essere un remake de Il Sorpasso, riuscì a romanizzare Bossi grazie alla colta citazione cinefila.
Qui vediamo Bossi nei panni del personaggio che fu di Vittorio Gassman, che parla, grazie alla maestria del Guzzanti jr., un’incredibile, inedita, impossibile commistione tra romanesco e milanese.
È davvero un’opera d’arte: inchioda una volte per tutte il ruolo di Bossi nel catalogo dell’umanità italiana.
Bossi ha resistito nelle decadi e si è fatto largo a Roma proprio perché, in fondo, aveva capito l’aspetto brutale della romanità, e glielo aveva rovesciato addosso.
Ecco, ci voleva un lombardo «romano», diretto e carnale, per difenderci dai romani-romani. Bossi rappresentava un’inaspettata ri-simmetrizzazione del conflitto tra Roma e il resto d’Italia: siete aggressivi, testardi, sboccati? Eccoci, possiamo esserlo anche noi. Se gli USA lo avessero capito in Afghanistan, ora a Kabul non ci starebbero i talebani: non hanno avuto un Bossi a riportare la simmetria tra gli umori delle parti.
È inutile che ci ricordiate che la missione di Umberto non è stata completata. Lo sappiamo. Lo vediamo dalle cene nei ristoranti del Frusinate, e da tante altre cose – per esempio l’esistenza del romanissimo Calenda, che gli scienziati sarebbero ad un passo dal poter spiegare (copyright Lercio).
Ora Bossi è candidato sicuro; Salvini è, come Berlusconi, uno riconoscente. Tuttavia, sappiamo che non può più essere il Bossi di un tempo.
Noi lo ricordiamo in tante sue declinazioni: con la canotta in Sardegna a casa di Berlusconi, sul palco di innumeri comizi infuocati, o ancora, seduto accanto al grande politologo Gianfranco Miglio, quello che odiava Roma al punto da voler fare proprio di Frosinone la capitale d’Italia.
Umberto quanto ci manchi.
Umberto salvaci tu dai Pugnazzo e dal PD.
Roberto Dal Bosco
Immagine di Gorup de Besanez via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale (CC BY-SA 4.0); immagine tagliata
Pensiero
Mons. Viganò: dissonanza cognitiva e rivelazione del metodo, il colpo da maestro di Satana
Renovatio 21 pubblica questo scritto dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Le opinioni degli scritti pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

Ex fructibus igitur eorum cognoscetis eos.
Mt 7, 20
Premessa
La crisi nella Chiesa è di natura teologica, non canonica. Non solo: questa non è una crisi tra le tante, ma la crisi dell’Autorità, perché è appunto l’Autorità ad essere oggetto di un sovvertimento che fino a sessant’anni fa non era nemmeno immaginabile in seno alla Chiesa Cattolica. Se infatti l’Autorità, quando è esercitata per il bene, è certamente lo strumento più idoneo ad assicurare il buon governo dell’istituzione che presiede, così essa si può mutare in uno strumento altrettanto efficace per distruggerla, nel momento in cui chi la ricopre rescinde il proprio vincolo di obbedienza verso Dio, che dell’Autorità è supremo garante (1).
Questo hanno fatto i Giacobini nel 1789, questo hanno ripetuto i fautori della rivoluzione conciliare nel 1965: appropriarsi illegittimamente dell’Autorità per costringere i sudditi ad accettare di obbedire a ordini iniqui, finalizzati ad un piano eversivo. E tanto i Giacobini quanto i Modernisti si sono avvalsi non solo della collaborazione attiva dei propri complici e dell’inazione dei codardi, ma anche del consenso di coloro che obbedivano in buona fede e da una massa progressivamente indotta ad accettare in nome dell’obbedienza qualsiasi cambiamento (2).
L’idealizzazione dell’autorità
Nelle scorse settimane «conservatori» come Riccardo Cascioli, Luisella Scrosati, Daniele Trabucco e Giovanni Zanone hanno sostenuto che laici e chierici, dinanzi alla crisi della Gerarchia cattolica, non dovrebbero adottare forme di resistenza nei confronti di cattivi Superiori; né dovrebbero mettere in discussione la loro Autorità, dal momento che essa promana direttamente da Nostro Signore.
Costoro affermano che l’indegnità di un vescovo o del papa non inficia la legittimità della loro autorità, ma questo può essere vero nel caso di un’indegnità personale che non coinvolge l’esercizio dell’autorità stessa. L’autorità, tuttavia non può essere esercitata legittimamente al di fuori dei confini che le sono dati né tantomeno contro i propri fini o contro la volontà del divino Legislatore. Un vescovo che coopera consapevolmente ad uno scopo iniquo con atti di governo, inficia la legittimità di quegli atti e la sua stessa autorità, proprio perché sono posti in fraudem legis.(3)
La visione idealista e sconnessa dalla realtà degli Autori citati, secondo la quale l’Autorità non perderebbe la propria legittimità nemmeno quando i suoi ordini sono volti al male, rende evidente il cortocircuito logico tra la realtà di papi e vescovi eretici – formali o materiali, poco importa: è comunque una cosa inaudita – e la teoria di un’Autorità immune dall’eresia e dalle cattive intenzioni di chi ricopre quell’Autorità.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Una crisi sistemica
Chi si ostina a giudicare i singoli fatti prescindendo dall’evidente coerenza che li lega tra loro e dal quadro complessivo che se ne evince, falsifica la realtà dandone una rappresentazione ingannevole. Questa è una crisi che dura da sessant’anni, sempre nella medesima direzione, sempre con la connivenza dell’Autorità, sempre contraddicendo gli stessi articoli di Fede e sostenendo i medesimi errori già condannati.
I responsabili di questa crisi sono tutti accomunati dalla volontà eversiva di appropriarsi e mantenere il potere per raggiungere gli scopi che si prefiggono. E a riprova che deep state e deep church agiscono di concerto, basti vedere come gli artefici di questa sovversione in campo ecclesiastico agiscono specularmente ai loro omologhi nella sfera civile, giungendo a mutuarne il lessico e le tecniche di manipolazione di massa. L’evidenza dei risultati disastrosi ottenuti dai papi e dai vescovi conciliari non li ha indotti a tornare sui propri passi e a riparare al danno compiuto, ma al contrario li vediamo proseguire ostinatamente sulla medesima linea, confermando dolo e premeditazione, ossia la mens rea. (4)
Ci troviamo in una situazione di gravissimo conflitto istituzionale, dal quale emerge che la maggior parte dei vescovi costituiti in Autorità – senza alcuna ombra di dubbio – agisce con l’intenzione determinata e volontaria di commettere atti illeciti contro il bene della Chiesa e delle anime, nella consapevolezza delle loro conseguenze.
Se in costoro non vi fosse intenzione di compiere il male – se, cioè, essi fossero in buona fede – non si ostinerebbero a ripetere i medesimi errori, nel perseguimento dei medesimi risultati. Né cercherebbero con ogni mezzo di indurre fedeli e sacerdoti a rinnegare ciò che la Santa Chiesa ha insegnato per secoli, facendo loro abbracciare quanto essa condannava e puniva con le pene più severe.
L’accettazione della frode
Abbiamo dunque una Gerarchia composta da vescovi e papi traditori che pretende dai propri fedeli non solo il silenzio inerte dinanzi ai peggiori scandali dei suoi membri, ma anche l’entusiastica accettazione e condivisione di questo tradimento, secondo quel principio esoterico che il satanista Aleister Crowley aveva così riassunto agli inizi del Novecento: «Il male deve nascondersi alla luce del sole, poiché le regole dell’universo impongono che chi viene ingannato acconsenta al proprio inganno».
Questo è il modus operandi del demonio e dei suoi servi, che troviamo confermato dalla narrazione delle tentazioni cui Satana sottopone Nostro Signore nel deserto: «Tutto questo io ti darò – dice il Maligno a Cristo – se prostrato mi adorerai» (Mt 4, 9). Nel pretendere di essere adorato come Dio, Satana chiede anzitutto l’accettazione della frode, ossia della premessa – Tutto questo io ti darò – che è assolutamente falsa, in quanto Satana non può cedere ciò che non gli appartiene. Se per assurdo Nostro Signore si fosse prostrato a Satana adorandolo, Egli non avrebbe avuto da lui nemmeno un granello di polvere del deserto e questo baratto si sarebbe rivelato una frode.
er questo il Signore gli risponde «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (ibid., 10). Con queste parole Nostro Signore svela l’identità del tentatore e i suoi inganni. Anche nell’Eden, tentando Eva, il Serpente aveva prospettato ai Progenitori di diventare sicut dii (Gen 3, 5).
Essi sapevano benissimo che Satana non sarebbe stato in grado di renderli come dèi e che avrebbero dovuto rispondere a Dio della loro orgogliosa disobbedienza, ma nonostante questo hanno consentito alla menzogna del Maligno come se fosse vera, rendendosi responsabili del sovvertimento di Bene e Male e agendo come se Dio non fosse onnipotente e in grado di punirli. È questa, in definitiva, la ὕβρις, la superbia che spinge l’uomo a sfidare Dio scegliendo di compiere il peccato, che ha come conseguenza la νέμεσις, ossia la punizione inevitabile che colpisce chi ha violato l’ordine divino oltrepassando i limiti imposti da Dio.
Sostieni Renovatio 21
La «Rivelazione del Metodo»
Lo storico ed esperto di ingegneria sociale Michael A. Hoffman ha affrontato il medesimo tema da una prospettiva differente, identificando un’élite nascosta che usa tecniche di manipolazione per controllare le masse. Essa non vuole solo conquistare il potere, ma intende condurre una guerra psicologica che trasforma la realtà in un rituale magico, alchemico (e in questo coincide con le parole di Crowley).
Questa élite non nasconde più tutto, ma rivela deliberatamente parti del suo piano (da qui la Rivelazione del Metodo), come atto di umiliazione dei sudditi e di affermazione della propria supremazia. Gli studi di psicologia sociale confermano che questo gioco crudele per soggiogare e dominare le vittime serve a provocare la dissonanza cognitiva, ossia quello stato di disagio psicologico che si verifica quando ci troviamo dinanzi a due affermazioni o fatti in conflitto tra loro, come ad esempio è avvenuto quando le autorità sanitarie sostenevano, mentendo, che il siero genico sperimentale fosse «sicuro ed efficace» ma allo stesso tempo chiedevano lo scudo penale per i medici inoculatori; o quando abbiamo sentito affermare da Jorge Bergoglio che «Dio non è cattolico».
Questa dissonanza cognitiva, questa percezione di una contradictio in terminis è voluta, perché ci demoralizza (siamo consapevoli della nostra impotenza), perché ci induce ad un consenso implicito (un consenso passivo, come dire: «Ti mostro cosa faccio, e tu non fai nulla, quindi acconsenti») e infine perché ci porta all’accettazione di un potere dispotico (anche se esso sbeffeggia le masse, rafforzando su di noi il proprio controllo psicologico).(5)
La «dissonanza cognitiva» e il «gaslighting» dei conservatori
Non ci deve dunque stupire se queste tecniche di manipolazione di massa sono usate anche nella sfera ecclesiastica, allo scopo di provocare la stessa dissonanza cognitiva nei fedeli, la stessa demoralizzazione, lo stesso consenso estorto, la medesima accettazione dell’autorità che ostenta la contraddizione ma pretende obbedienza. Pensiamo al paradosso di Leone che dichiara la libertà religiosa un diritto umano sulla base del Vaticano II e allo stesso tempo canonizza il Beato Bartolo Longo, che nei suoi scritti condanna l’indifferentismo religioso e il concetto di libertà religiosa (6); o che presiede incontri ecumenici con gli islamici, ma canonizza il Beato Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo armeno martirizzato dai maomettani per essersi rifiutato di apostatare la vera Fede.
Non ci deve stupire nemmeno che la Nuova Bussola si comporti esattamente come previsto in questi casi dai manuali di psicologia sociale, negando ostinatamente la contraddizione ancorché evidente, in un’operazione di vero e proprio gaslighting (7): «Ciò che hai visto non è mai successo».
Anche il ricorso a video o immagini generate dall’AI diventa strumento di destabilizzazione, perché queste contribuiscono a erodere la base sensibile della conoscenza della realtà, rendendo impossibile distinguere il vero dal falso e di fatto cancellando la nozione stessa di «reale» mediante la sua sostituzione con il «verosimile».
L’apparenza prende così il posto della sostanza, solo perché essendo veicolata dall’immagine che appare sul cellulare o sul computer noi non sappiamo se ciò che ci sembra vero lo è davvero o lo sembra soltanto. Come non vedere in questo nuovo fenomeno un attacco con cui Satana sfida con i suoi artifici teatrali e con i suoi effetti speciali la verità di Dio che è simplex, senza pieghe?
Questi sono test di massa per mettere alla prova la devozione alla religione sinodale, esattamente come in ambito civile avviene con la religiones anitaria o la religione green. E non è diverso chiedere al fedele di accettare la messa protestantizzata di Paolo VI se vuole avere il permesso di assistere alla Messa tridentina, che del Novus Ordo è l’antitesi.
Anche la «scomunica» che Jorge Bergoglio mi ha inflitto palesa una enorme contraddizione: da un lato io sono stato dichiarato scismatico per aver denunciato gli stessi errori che tutti i Papi fino a Pio XII incluso hanno condannato; dall’altro i veri eretici e scismatici sono ammessi alla communicatio in sacris con chi mi condanna, senza alcuna conseguenza canonica. Il messaggio è chiaro: «Possiamo mostrarti la contraddizione tra le nostre parole e le nostre azioni, e tu non farai nulla. Accetterai sia la menzogna che la prova di essa».
Ogni assurdità accettata indebolisce la capacità di discernimento dei fedeli e del Clero, per poter responsabilmente obbedire ai propri Pastori. Se la nostra Fede non è forte e convinta, questo ci porta ad una forma di apatia verso ogni nuova provocazione. È una forma di umiliazione rituale che funziona non più attraverso la segretezza, ma attraverso una sfacciata ostentazione, specialmente quando l’obbedienza all’Autorità che imparte ordini abusivi e addirittura criminali è richiesta come un sacrificio della propria razionalità, come un’immolazione della volontà mediante un concetto pervertito di autorità e di obbedienza.
Se l’Autorità della Gerarchia, fino ai suoi massimi vertici, si rende responsabile di questa manipolazione psicologica dei fedeli finalizzata a perpetuare il proprio potere per demolire la Chiesa, a chi dovrebbero rivolgersi, sacerdoti e laici, per veder condannati i colpevoli di tanto tradimento? A quegli stessi eretici manipolatori, incistati a Roma e in tutti gli organi e le istituzioni della Chiesa Cattolica?
Non stupisce che troppe vocazioni sacerdotali si perdano e che molti fedeli si rassegnino o abbandonino la pratica religiosa. È il risultato voluto e pianificato di questo crudele stillicidio.
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Il «colpo da maestro» di Satana
Il demonio vuole ottenere la nostra adesione al male non per inganno, ma portandoci ad accettare la menzogna con la quale egli definisce bene il male, e ad accettare la finzione mediante la quale ci presenta il bene come un male. Il colpo da maestro di Satana consiste in questo: nell’ottenere da noi un assenso irrazionale, pur dinanzi all’evidenza della frode e del sovvertimento che riconosciamo per tali ma che, in un atto di folle annientamento suicida, accettiamo come se fossero verità divinamente rivelate. Per il Cattolico la Fede non è mai irrazionale: rationabile sit obsequium vestrum, dice San Paolo (Rom 12, 1), perché Dio è autore della Fede e della ragione, e non vi può essere contraddizione nella Verità.
Satana, al contrario, essendo menzognero e padre della menzogna (Gv 8, 44) non può non dissimulare i propri inganni con la frode, per i quali pretende da noi non un’adesione razionale, ma un consenso superstizioso, un atto di fede al contrario, nel quale l’assenso dell’intelletto a errori e eresie evidenti è motivato non dall’autorità di un Dio verace, ma dall’usurpazione di quell’autorità da parte di una creatura ribelle, bugiarda e che sappiamo che ci vuole ingannare e perdere.
Satana vuole che abdichiamo alla ragione e allo stesso sensus fidei, trasformando l’atto di fede in una folle apostasia.
L’assolutizzazione dell’obbedienza
Assolutizzare l’obbedienza, scardinandola dalla necessaria coerenza che essa presuppone tra tutti i soggetti del corpo gerarchico in cui essa viene esercitata,[8] significa consegnare nelle mani dell’autorità vicaria della Gerarchia un potere che il supremo Legislatore non le ha mai concesso, ossia la facoltà di poter legittimamente legiferare contro la volontà del Legislatore stesso e in danno dei fedeli.
Qui non stiamo parlando di ordini incidentalmente sbagliati, o di singoli vescovi che abusano della propria autorità in un contesto ecclesiale in cui la Virtù è incoraggiata e il peccato condannato e punito. Qui stiamo parlando di un intero sistema gerarchico che è riuscito – nella Chiesa Cattolica come nella cosa pubblica – ad impossessarsi del potere, ottenendo riconoscimento e obbedienza dai sottoposti mediante l’uso di mezzi coercitivi.
Non solo: l’assolutizzazione dell’obbedienza nei riguardi dell’autorità finisce anche con l’essere deresponsabilizzante: un comodo alibi offerto ai tanti, troppi don Abbondio in veste filettata o in clergyman, ben attenti a non dispiacere ad alcuno, ad «evitare polarizzazioni» – secondo l’auspicio di Leone – a beneficiare dei favori del potente che si conosce come iniquo ma a cui si presta ossequio per viltà o interesse.
Aiuta Renovatio 21
Conclusione
La Sacra Scrittura, i Padri, i mistici e la stessa Vergine Maria a Fatima ci hanno messi in guardia su un’apostasia che la Chiesa dovrà affrontare negli ultimi tempi. Come possiamo pensare che questa apostasia si concretizzi, se non attraverso falsi pastori al posto di buoni pastori, e di pseudocristi e falsi profeti al posto di Cristo e dei Profeti? Come potrebbero gli eletti essere tratti in inganno dagli eretici e dagli scismatici (Mt 24, 24), se non nel momento in cui questi ricoprono ruoli d’autorità nella Chiesa? Ma la Chiesa è indefettibile, ripetono alcuni con petulanza.
E lo è davvero: nonostante la stragrande maggioranza dei suoi vescovi infierisca su di essa e agisca di concerto con nemici di Cristo. La Chiesa Cattolica è indefettibile nel senso che essa non può mai venir meno nella sua missione di custodire e trasmettere la Verità rivelata da Dio, né può cadere in errore definitivo nella sua Fede e nella sua Morale. E questo di fatto non accade nemmeno quando una Gerarchia eretica e corrotta cerca di oscurare o di sfigurare il sacro Deposito della Fede. Non dimentichiamo che la Chiesa non è solo quella militante su questa terra (hic) e oggi (nunc), ma è anche quella penitente in Purgatorio e trionfante in Paradiso.
La sua compagine celeste è garanzia di quell’indefettibilità che il suo divino Fondatore le ha promesso e che lo Spirito Santo le assicura. E se la chiesa conciliare-sinodale che oggi si presenta come militante contraddice quella di ieri, spezzando la continuità e l’unità nella Professione dell’unica Fede che la rende una e apostolica anche nel fluire del tempo e non solo nella sua diffusione nello spazio, essa non è più la stessa Chiesa.
Per questo il Signore non manca di suscitare una vox clamantis in deserto che rompa il muro di silenzio e di complicità dei congiurati: mi riferisco ai “dottori degli ultimi tempi” cui accenna Augustin Lémann (9) nel suo saggio L’Anticristo. Sono i nuovi Sant’Atanasio imprigionati, esiliati, perseguitati ma infine risarciti dalla Giustizia divina con la proclamazione della loro santità. Ecco come il grande Vescovo di Alessandria e Dottore della Chiesa si rivolge ai fedeli durante la grande eresia ariana (10):
Che Dio vi consoli! (…) Quello che rattrista (…) è il fatto che gli altri hanno occupato le chiese con violenza, mentre in questo periodo voi vi trovate fuori. È un dato di fatto che hanno la sede, ma voi avete la Fede apostolica. Possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la Fede abita in voi. Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente. Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta – quella che mantiene la sede o chi osserva la Fede? È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la Fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo… Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra Fede, che mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla Tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo. Essi sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale. Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese. Quanto più i violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono che rappresentano la Chiesa, ma in realtà sono quelli che ne sono a loro volta espulsi e vanno fuori strada. Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione sono ridotti a una manciata, sono loro che sono la vera Chiesa di Gesù Cristo.
L’accusa ricorrente che tanto i Conservatori e i Sinodali rivolgono a chi rimane saldo nella Fede e denuncia i loro errori è di volersi creare una propria chiesa, separandosi con lo scisma dalla Chiesa Cattolica, visibile e gerarchica, di cui essi si sono però impossessati con un vero e proprio golpe e nella quale pretendono di esercitare una legittima Autorità per gli scopi opposti a quelli che Nostro Signore le ha affidato.
Ma non sono stati forse costoro, con i loro errori condannati da tutti i Papi preconciliari, a crearsi una chiesa parallela che contraddice il Magistero immutabile e sovverte il Papato? Come può un’autorità ribelle a Cristo Capo del Corpo Mistico pretendere di esercitare l’Autorità di Cristo per contraddire la Sua Parola?
Come può chi si è separato dalla comunione ecclesiale con la vera Chiesa Cattolica Apostolica Romana accusare di scisma chi le rimane fedele?
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
24 Ottobre MMXXV
S.cti Raphaëlis Archangeli
NOTE
1) Il termine auctoritas deriva da auctor, nell’accezione di autore e garante riferita a Dio.
2) San Pio X ricordava che il successo dei malvagi è possibile anzitutto grazie all’ignavia dei buoni.
3) L’espressione in fraudem legis si riferisce a un comportamento o un atto giuridico compiuto con l’intenzione di eludere una norma, aggirandone lo scopo o l’applicazione, pur rispettandone formalmente la lettera. In altre parole, si tratta di un’azione che, pur apparendo conforme alla legge, viene posta in essere per ottenere un risultato che la legge stessa intende vietare o limitare. Le caratteristiche di questo comportamento sono la conformità formale, l’intenzione elusiva e l’effetto contrario alla mens del legislatore.
4 – La mens rea designa la componente psicologica del reato, ossia l’intenzione o la consapevolezza di violare la legge.
5) Scrive Hoffman: «Il principio alchemico della Rivelazione del Metodo ha come componente principale una beffarda derisione delle vittime, simile a quella di un clown, come dimostrazione di potere e macabra arroganza. Quando viene eseguito in modo velato, accompagnato da certi segni occulti e parole simboliche, e non suscita alcuna risposta significativa di opposizione o resistenza da parte dei bersagli, è una delle tecniche più efficaci di guerra psicologica e violenza mentale». Cfr. Michael A. Hoffman II, Secret Societies and Psychological Warfare, 2001.
6) Scriveva Bartolo Longo: Innanzi a Dio l’uomo non ha vera libertà di coscienza, libertà di culto e libertà di pensiero, come oggi s’intende, cioè facoltà di scegliersi una religione ed un culto come gli talenta; ma solo la libertà dei figliuoli di Dio, come dice S. Paolo, cioè di lasciare l’errore e le seduzioni del secolo per correre liberamente al Cielo. L’affermare, perciò, che l’uomo ha il diritto innanzi a Dio di pensare e di credere in religione come gli piace, è un errore. Cfr. Bartolo Longo, San Domenico e l’Inquisizione al Tribunale della Ragione e della Storia, Valle di Pompei, Scuola tipografica editrice Bartolo Longo, 1888.
7) Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica in cui una persona (o un gruppo) fa dubitare un’altra della propria percezione della realtà, della memoria o della sanità mentale, con l’obiettivo di controllare, indebolire o destabilizzare la vittima.
8) Non vi può infatti essere vera obbedienza se chi è costituito in autorità nella Gerarchia esige di essere obbedito ma allo stesso tempo disobbedisce a Dio, che è il garante e la fonte stessa dell’Autorità. Né vi può essere legittima autorità se chi la esercita in nome di Dio non si sottomette a propria volta alla Sua suprema Autorità.
9) Augustin Lémann, L’Anticristo, Marietti, 1919, pag. 53. «Il secondo campione della verità cristiana contro l’Anticristo sarà una falange di dottori suscitata da Dio in quei tempi di prova. […] Questa falange di dottori riceverà, per la difesa e consolazione dei buoni, una maggiore intelligenza delle nostre sante Scritture». Cfr. https://www.rassegnastampa-totustuus.it/cattolica/wp-content/uploads/2014/07/LANTICRISTO-A-Lemann.pdf
Il Canonico Augustin Lémann, ebreo francese, si convertì al Cattolicesimo insieme al fratello Joseph. Divenuti amici di Pio IX, furono entrambi consultori del Concilio Vaticano I.
10) Sant’Atanasio, Epistolæ festales, Lettera XXIX, in: Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, a cura di Caillaud e Guillon, vol. 32, pagg. 411-412.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Renovatio 21 offre questo testo di monsignor Viganò per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Pensiero
Ci risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Sostieni Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Pensiero
Se la realtà esiste, fino ad un certo punto
I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.
L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.
Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.
Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.
Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.
Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.
Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.
Sostieni Renovatio 21
Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.
Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.
Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.
Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.
Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.
I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.
Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».
Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.
Patrizia Fermani
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
-



Misteri2 settimane faLa verità sull’incontro tra Amanda Knox e il suo procuratore. Renovatio 21 intervista il giudice Mignini
-



Pensiero6 giorni faCi risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo
-



Spirito2 settimane faMons. Viganò: «non c’è paradiso per i codardi!»
-



Sanità1 settimana faUn nuovo sindacato per le prossime pandemie. Intervista al segretario di Di.Co.Si
-



Necrocultura4 giorni fa«L’ideologia ambientalista e neomalthusiana» di Vaticano e anglicani: Mons. Viganò sulla nomina del re britannico da parte di Leone
-



Salute1 settimana faI malori della 42ª settimana 2025
-



Autismo2 settimane faTutti addosso a Kennedy che collega la circoncisione all’autismo. Quando finirà la barbarie della mutilazione genitale infantile?
-



Oligarcato5 giorni faPapa Leone conferisce a Carlo III, capo della Chiesa d’Inghilterra, la cattedra permanente nella basilica papale









