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Non inviate foto di nudo: il messaggio alle donne della poliziotta russa

Le donne dovrebbero pensarci due volte prima di inviare foto intime alle proprie dolci metà. Tale amichevole e sensato consiglio è apparso online giovedì per gentile concessione di Gayana Garieva, una bella poliziotta che funge da capo ufficio stampa della polizia nella repubblica russa del Daghestan.
Il rischio di fare una cosa del genere, ha detto la Garieva, è quelle di esporsi al cosiddetto «revenge porn» o all’estorsione in caso di rottura con il partner
«Ognuno di noi crede sinceramente che il nostro unico vero amore sarà con noi per sempre» ha scritto l’agente daghestana. «Ahimè, a volte un principe su un cavallo bianco risulta essere una capra su un asino affamato».
«Non importa quanto ti innamori, non importa quanto sei affascinato da questo principe, non perdere la testa! Non escludete la possibilità di un litigio e di una rottura» ha scritto l’affascinante poliziotta. Coloro che «con coraggio e spensieratezza» hanno inviato le loro foto intime, aprendosi «anima e corpo» al loro amore, non possono riprenderle in caso di rottura, ha spiegato Garieva.
Ciò le rende vulnerabili agli uomini che sono «arrabbiati, offesi e vogliono vendetta», o a coloro che rifiutano di accettare la rottura e cercano di tornare insieme attraverso la pressione, o anche allo «sporco, avido bastardo» che chiede soldi o farà trapelare tutto online.
«Ci sono molti uomini nobili e degni», ha scritto Garieva. «Ma ci sono anche tanti furfanti! Altrimenti non sareste così tanti a scrivermi e a implorare aiuto».
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L’avvenente ufficiale del Daghestan ha notato che molte donne le scrivono in cerca di aiuto, ma non può fare nulla se non si fanno avanti, il che presenta i suoi rischi per quanto riguarda la privacy, riporta RT.
«Mie care ragazze, non siamo uomini. A differenza di loro, noi abbiamo una sola testa», ha concluso oscuramente la Garieva. «Cercate di non spegnerla!»
Nel 2019, uno studio dell’American Psychological Association ha rilevato che una donna su 12 finisce per essere vittima di revenge porn ad un certo punto della sua vita. Uno studio del governo australiano, che ha esaminato l’Australia, il Regno Unito e la Nuova Zelanda, ha rilevato che il rapporto è pari a uno su tre.
Per il fenomeno del revenge porn era state mosse accuse contro la grande piattaforma di pornografia online Pornhub, ora comperata da un fondo chiamato Ethical Capital animato da avvocati e rabbini.
Come riportato da Renovatio 21, il pericolo ora sta aumentando esponenzialmente con il cosiddetto «Deepfake revenge porn», ossia materiale pornografico ottenuto però artificialmente, senza basi reali: algoritmi GAN (reti generative antagoniste) scambiano fotorealisticamente il volto di una attrice pornografica con quello della vittima.
Nel giugno del 2019, si era scoperta l’esistenza di un’app inquietante che utilizzava l’intelligenza artificiale per «spogliare» le donne. Chiamato DeepNude, il bot permetteva agli utenti di caricare una foto di una donna vestita per 50 dollari e ottenere indietro una foto di lei apparentemente nuda. L’app, che fu ritirata immediatamente quando scoppiò lo scandalo sui giornali, curiosamente non funzionava con gli uomini.
Sui programmi di messaggistica sarebbero ancora presenti bot che offrono questo tipo di servizio.
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Metriche pubblicitarie di e-commerce artificialmente gonfiate, afferma un ex dipendente Meta

Meta, la società madre di Facebook e Instagram, è stata accusata di aver gonfiato artificialmente le metriche delle prestazioni del suo prodotto pubblicitario per l’e-commerce, Shops Ads , secondo una denuncia presentata mercoledì da un informatore presso un tribunale del lavoro in Gran Bretagna. Lo riporta il sito ADWEEK.
La denuncia, presentata da Samujjal Purkayastha, ex product manager del team pubblicitario di Meta Shops, sostiene che l’azienda ha tratto in inganno gli inserzionisti sovrastimando il ritorno sulla spesa pubblicitaria (ROAS), facendo apparire la sua nuova offerta pubblicitaria più efficace rispetto ai prodotti della concorrenza, riporta ADWEEK.
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Secondo quanto depositato presso il London Central Employment Tribunal, Meta avrebbe incrementato i numeri delle performance degli annunci Shops: conteggio delle spese di spedizione e delle tasse come parte del fatturato totale; sovvenzionare le offerte nelle aste pubblicitarie per garantire un posizionamento più prominente; applicare sconti non dichiarati per dare l’impressione di risultati più forti; revisioni interne condotte all’inizio del 2024 hanno rivelato che il ROAS degli annunci di Shops era stato gonfiato tra il 17% e il 19%, secondo la denuncia.
Gli altri prodotti pubblicitari di Meta, così come quelli di concorrenti come Google, calcolano il ROAS utilizzando dati netti, escluse spese di spedizione e tasse. Senza le commissioni aggiuntive, sostiene la denuncia, gli annunci di Shops non hanno ottenuto risultati migliori rispetto ai prodotti pubblicitari tradizionali di Meta.
«Questo è stato significativo», si legge nel reclamo. «Oltre al fatto che la metrica di performance del ROAS era sovrastimata di quasi un quinto, significava che, anziché aver superato il nostro obiettivo primario, il team di Shops Ads lo aveva di fatto mancato una volta che il dato era stato ridotto per tenere conto dell’inflazione artificiale».
Il documento collega queste presunte pratiche a un più ampio sforzo interno a Meta per riprendersi dagli effetti della funzionalità App Tracking Transparency (ATT) di Apple, lanciata nel 2021.
La politica di Apple limitava l’accesso ai dati degli utenti iOS, un pilastro dell’attività pubblicitaria di Meta. L’ex CFO di Meta, David Wehner, ha avvertito durante una conference call sui risultati finanziari del 2021 che la modifica potrebbe costare all’azienda «nell’ordine dei 10 miliardi di dollari».
Incoraggiando gli inserzionisti a utilizzare gli annunci Shops, che mantengono le transazioni all’interno delle app di Meta, l’azienda potrebbe raccogliere più dati di acquisto proprietari e ridurre la sua dipendenza dalle autorizzazioni di tracciamento di Apple.
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Secondo il Purkayastha, Meta ha iniziato a sovvenzionare gli annunci di Shops nelle aste, a volte fino al 100%, garantendone la visualizzazione più frequente rispetto ad altri formati pubblicitari. Ciò ha aumentato la visibilità, incrementato artificialmente le conversioni e fatto apparire gli annunci di Shops come un investimento più solido.
Purkayastha è entrato a far parte di Meta nel 2020 come parte del team di ricerca applicata sull’intelligenza artificiale di Facebook, prima di essere riassegnato al team Shops Ads nel marzo 2022. È rimasto in azienda fino al 19 febbraio 2025.
Nella denuncia si afferma che Purkayastha ha ripetutamente sollevato preoccupazioni durante gli incontri con i dirigenti tra il 2022 e il 2024, mettendo in dubbio l’accuratezza dei risultati riportati dagli annunci di Shops. Afferma che l’azienda ha continuato a utilizzare la metodologia contestata nonostante le obiezioni interne.
Il reclamo sottolinea anche che gli strumenti di tracciamento di Meta fanno parte della sua strategia per mantenere le prestazioni pubblicitarie dopo le modifiche alla privacy di Apple.
Aggregated Event Measurement (AEM1), introdotto nell’aprile 2021, ha utilizzato l’apprendimento automatico per stimare le conversioni, rispettando al contempo gli utenti che avevano scelto di non essere monitorati.
AEM2, lanciato poco dopo, avrebbe collegato l’attività in-app alla navigazione e agli acquisti su siti di terze parti utilizzando identificatori personali come nomi, e-mail, numeri di telefono e indirizzi IP.
«Nella denuncia, Purkayastha ha affermato di credere che AEM2 abbia aggirato le restrizioni imposte dal framework sulla privacy di Apple, sebbene abbia mitigato gran parte della perdita di dati derivante dalle modifiche alla privacy» scrive ADWEEK.
Secondo la denuncia, il Purkayastha è stato licenziato da Meta nel febbraio 2025. La sua denuncia al tribunale del lavoro fa parte di una richiesta di provvedimento provvisorio, che chiede il ripristino della sua precedente posizione.
«Sebbene le conseguenze legali siano ancora da definire, queste rivelazioni mettono nuovamente in discussione l’affidabilità dei dati forniti da Meta ai suoi inserzionisti» commente Hdblog.
Non sono le prime accuse rivolte a Meta-Facebook da ex dipendenti.
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Quattro anni il Wall Street Journal cominciò a pubblicare sconvolgenti rivelazioni sulla piattaforma social. In sintesi, scriveva il WSJ «Facebook Inc. sa, nei minimi dettagli, che le sue piattaforme sono piene di difetti che causano danni, spesso in modi che solo l’azienda comprende appieno. Questa è la conclusione centrale (…), basata su una revisione dei documenti interni di Facebook, inclusi rapporti di ricerca, discussioni online dei dipendenti e bozze di presentazioni per il senior management».
Secondo il reportage, Facebook esentava gli utenti di alto profilo da alcune regole, ignorava una ricerca su Instagram (social del gruppo Meta) che mostrava i rischi per la salute mentale degli adolescenti, sapeva che il suo algoritmo premia l’indignazione, era stato lento nell’impedire ai cartelli della droga e ai trafficanti di esseri umani di utilizzare la sua piattaforma.
Due anni fa il WSJ tornò con un reportage in cui affermava che «Meta sta lottando per allontanare pedofili da Facebook e Instagram».
Nel 2023 un ex data-scientist di Facebook, in contenzioso legale con l’azienda, aveva sostenuto che Facebook può scaricare segretamente la batteria dello smartphono degli utenti.
Tre anni fa un ex dipendente aveva detto che il CEO Marco Zuckerberg aveva brandito una katana, cioè una spada samurai, perché irato con dei programmatori.
Come riportato da Renovatio 21, lo Zuckerbergo un mese fa ha dichiarato che Facebook non è più incentrato sulla connessione con gli amici.
Secondo alcuni il prossimo aggiornamento di Instagram eroderà ulteriormente la privacy degli utenti.
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Immagine di Yuri Samoilov via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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