Cina
Mosca prova a bilanciare l’influenza cinese nel Laos

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews
Il Cremlino e Vientiane hanno un’amicizia storica, retaggio dei legami dell’URSS con il governo comunista laotiano. Grazie alla costruzione d’infrastrutture, Pechino è ora l’attore dominante nel Laos. Rinnovata la collaborazione commerciale e militare tra russi e laotiani.
La recente visita in Laos del ministro russo degli Esteri Sergej Lavrov si è concentrata sul «fattore Cina», l’attore dominante nel piccolo Paese del sud-est asiatico, soprattutto grazie alla costruzione d’infrastrutture strategiche
La recente visita in Laos del ministro russo degli Esteri Sergej Lavrov si è concentrata sul «fattore Cina», l’attore dominante nel piccolo Paese del sud-est asiatico, soprattutto grazie alla costruzione d’infrastrutture strategiche. I cinesi sono impegnati ora nella realizzazione della ferrovia che collegherà la capitale laotiana Vientiane a Kunming, nella provincia cinese dello Yunnan: un progetto da 7 miliardi di dollari, i cui lavori sono progrediti malgrado la pandemia.
Il Laos, come altre nazioni in affari con Pechino, si sta trasformando in un «eterno debitore» dei cinesi. Per bilanciare l’influenza del potente vicino, le autorità laotiane cercano sostegno dai russi, che però non hanno la forza dei tempi sovietici, e difficilmente potranno competere con la Cina per il controllo del Paese.
Nonostante l’enorme distanza geografica, tra Mosca e Vientiane le relazioni sono sempre rimaste molto prossime e affettuose. L’incontro tra Lavrov e i vertici laotiani (il primo ministro Phankham Viphavanh e il presidente Thongloun Sisoulith) è avvenuto l’8 luglio e si è svolto in russo senza traduttori: retaggio di 60 anni di stretta amicizia tra la repubblica socialista del Laos e i «fratelli russi» dell’Unione Sovietica prima, e della Federazione Russa poi.
Il Laos, come altre nazioni in affari con Pechino, si sta trasformando in un «eterno debitore» dei cinesi
All’inizio della sua visita, Lavrov ha fatto le fotografie ufficiali con il suo omologo laotiano Saleumxay Kommasith. I due rappresentanti si sono tolti subito le mascherine per passare a un caloroso abbraccio, con scambi di complimenti in russo. Prima di iniziare la carriera di funzionario, Kommasith ha studiato per sei anni all’accademia diplomatica di Mosca e Lavrov è stato uno dei suoi professori.
In epoca sovietica, Sisoulith ha frequentato invece la facoltà di Lettere a Leningrado (ora San Pietroburgo), per poi dirigere in patria la facoltà di Lingua russa dell’università nazionale del Laos. Durante la sua ascesa nei ranghi del Partito popolar-rivoluzionario, l’unica forza politica del Paese socialista, egli non ha mai mancato occasione per tornare a visitare la sua «seconda patria» russa.
Più di ogni altro governo, quello sovietico aveva sostenuto nel 1975 la proclamazione della repubblica nazional-popolare. I russi inviavano nel Laos automobili, carburante, prodotti alimentari e di consumo.
Kommasith ha ringraziato la Russia per il sostegno alla lotta contro il COVID-19, ancora piuttosto diffuso in Laos, anche se con percentuali molto meno tragiche di tanti altri Paesi dell’area.
L’incontro tra Lavrov e i vertici laotiani è avvenuto l’8 luglio e si è svolto in russo senza traduttori: retaggio di 60 anni di stretta amicizia tra la repubblica socialista del Laos e i «fratelli russi» dell’Unione Sovietica prima, e della Federazione Russa poi
Lo scorso marzo Vientiane ha avviato un’intensa campagna vaccinale con la somministrazione dello Sputnik-V. Nonostante sembri essere insufficiente per i bisogni interni della Russia, alle prese con un forte ondata epidemica, i russi hanno promesso di inviare ai laotiani ancora grandi quantità del vaccino di loro produzione.
Le trattative tra Lavrov e i leader di Vientiane hanno promosso anche una ripresa degli scambi commerciali. La collaborazione tra i due Paesi riguarda però soprattutto la sfera militare. Nei mesi scorsi una speciale brigata di sminatori russi ha liberato la zona dell’aerodromo di Tonghaikhin, dove ancora giacevano oltre mille esplosivi lasciati tra il 1964 e il 1973 dai bombardamenti USA.
Ora Mosca aiuterà a modernizzare l’aeroporto militare laotiano: i russi porteranno nuovi rifornimenti e tecnologie militari avanzate, e terranno corsi di riqualificazione per le Forze armate locali.
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Cina
La Cina invierà due vescovi al sinodo

In quella che molti considerano un’intensificazione del riavvicinamento tra la Santa Sede e la Cina, papa Francesco ha deciso di aggiungere, con l’accordo di Pechino, due vescovi cinesi all’elenco dei 364 partecipanti al sinodo sulla sinodalità, di cui la prossima fase deve svolgersi a ottobre 2023.
Il riscaldamento globale si si sta facendo sentire sulle sponde del Tevere come attorno alla Città Proibita? Il barometro diplomatico tra Roma e Pechino è comunque buono, dal momento che due vescovi della Cina continentale sono stati autorizzati dal Partito comunista cinese (PCC) a recarsi a Roma per partecipare al prossimo incontro del Sinodo.
Un annuncio fatto dalla Sala Stampa vaticana il 21 settembre 2023, una data tutt’altro che casuale, alla vigilia del quinto anniversario della firma dell’accordo sino-vaticano, un accordo provvisorio le cui clausole restano segrete, ma che sappiamo che dovrebbe risolvere la questione della nomina dei vescovi. Sebbene non sia proprio così nella realtà.
Mons. Joseph Yang Yongqiang, 53 anni, è stato ordinato vescovo con l’approvazione del Vaticano nel 2010 e occupa la sede di Zhoucun, nella provincia di Shandong, dall’agosto 2013. Durante la sua ordinazione episcopale, mons. Yongqiang aveva detto a UCA News di aver visto un’occasione per intensificare il dialogo con la Chiesa sotterranea.
Il presule ha partecipato quest’anno al Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese, organismo del PCC: è lì che si è deciso che la Chiesa cattolica debba integrare il pensiero di Xi Jinping e i principi del socialismo in stile cinese.
A metà settembre 2022, mons. Yongqiang ha partecipato a una sessione di studio finalizzata all’attuazione delle nuove misure sulla gestione delle attività religiose: si tratta infatti di nuove restrizioni governative che vietano manifestazioni religiose all’aperto, e che chiedono ai predicatori di evocare nelle loro omelie i «valori fondamentali del socialismo»
Il secondo vescovo cinese che parteciperà al sinodo è mons. Antonio Yao Shun: è il primo vescovo consacrato in Cina secondo i termini dell’accordo sino-vaticano, il 26 agosto 2019. È vescovo di Jining nella regione autonoma della Mongolia Interna.
Mons. Yao avrebbe dovuto succedere a mons. John Liu Shigoneg nel 2010, ma il governo cinese ha rifiutato di approvarlo, anche dopo la morte di mons. Liu nel 2017 all’età di 89 anni. Nonostante ciò, «il PCC si sente a suo agio con lui», stima Francesco Sisci, esperto di cattolicesimo cinese, che osserva che il presule si guarda bene dall’esprimere critiche di sorta nei confronti dei mandarini rossi.
Alcuni non mancheranno di vedere, attraverso i due presuli invitati a Roma, un ulteriore passo avanti verso la normalizzazione del cattolicesimo in Cina. Un allineamento di cui probabilmente la Chiesa sotterranea sarà la prima a pagare il prezzo.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
Immagine da Bitter Winter
Arte
La Cina vuole mettere al bando il cosplay. Grande lezione di civiltà

La Repubblica Popolare Cinese vuole dare un giro di vite contro i cosplayer. La notizia sta rimbalzando in tutto il fandom globale di anime e manga, sconvolgendo la nerditudine intossicata dall’industria culturale giapponese.
Come parte di un nuovo disegno di legge sulla sicurezza proposto dai legislatori cinesi all’inizio di questo mese, la «Legge sulle sanzioni per l’amministrazione della pubblica sicurezza» aggiungerà una linea che potrebbe rendere il cosplay illegale in determinate circostanze.
Per chi non conoscesse il termine, il cosplay è l’attività di indossare costumi e accessori per rappresentare un personaggio specifico del proprio fumetto, cartone, serie, film preferito. Si tratta di un fenomeno con molta diffusione presso i fanatici di prodotti culturali nipponici, che usano travestirsi in occasione di mostre e convegni sul tema. I risultati sono spesso visivamente sgradevoli se non disturbanti, in alcuni casi addirittura pericolosi per la fiducia nella specie umana.
Una clausola particolare della legge stabilirebbe che i cittadini non potevano indossare abiti che «ferissero i sentimenti della Nazione cinese», definizione poi ampliata con una definizione secondo la quale qualsiasi abbigliamento potrebbe essere vietato se «mettesse a repentaglio lo spirito nazionale cinese o ferisse i sentimenti nazionali».
Sebbene la legge non affermi specificamente che il cosplay viene messo fuori legge, molti commentatori vedono l’emendamento proposto come una conseguenza del recente rilascio di acque reflue nucleari in mare da parte del Giappone, operazione assai contestata da coreani e cinesi, popoli non sempre ben disposti nei confronti dei giapponesi, i quali, ricordiamo pure, avevano invaso le loro terre nella prima parte del Novecento.
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Le ruggini tra Cina e Giappone in particolare non si sono mai placate, anche davanti alla chiara cooperazione economica fra i due Paesi, percolando in polemiche completamente inaspettate: è il caso della costruzione del grattacielo Shanghai World Financial Center, un colosso di 492 metri completato nel 2008, che è stato fino al 2015 il palazzo più alto della città.
L’edificio ha sulla sua sommità un buco trapezoidale, ma la forma originaria era tonda. I cinesi accusarono il costruttore, la giapponese Mori Building Company, di voler simboleggiare, con il buco circolare, la bandiera del Giappone, che avrebbe così subliminalmente svettato inarrivabile sopra la seconda più importante città cinese, già teatro di una tremenda occupazione nipponica testimoniata nel romanzo autobiografico di James Ballard divenuto poi film di Steven Spielberg L’Impero del Sole.
Il cosplay potrebbe essere quindi visto come una sorta di cavallo di Troia attivato dal Sol Levante per manipolare la gioventù cinese.
In un recente video del canale giapponese Fuji TV, è stato mostrato un conflitto tra un impiegato cinese di un parco pubblico e alcuni cosplayer.
Da tempo si discute di un possibile decoupling di Cina e Giappone in termine di cartoni e fumetti, visto che la Cina starebbe facendo crescere in qualità e quantità un’industria propria, al punto di mettere in prospettiva un possibile sorpasso.
All’inizio di quest’anno, un co-fondatore dello Studio MAPPA, Masao Maruyama, ha dichiarato che in futuro la Cina potrebbe benissimo superare il Giappone nel settore degli anime.
«In Giappone, le persone non sono più addestrate all’animazione. L’unico motivo per cui la Cina non ha ancora raggiunto il Giappone è a causa di una serie di restrizioni imposte alla libertà di espressione lì. Se di più la libertà sarà liberata, il Giappone sarà sopraffatto in un batter d’occhio» ha dichiarato il Maruyama.
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Renovatio 21 ritiene che la Repubblica Popolare Cinese sia co-responsabile della devastazione economica occidentale, oltre che della sanguinaria persecuzione dei cristiani e dell’assassinio di centinaia di milioni, forse un miliardo (considerando ora la provetta selvaggia cinese) di bambini non nati.
Purtuttavia, non è che possiamo restare indifferenti davanti ad una grande lezione di civiltà come questa: proibire il cosplay per salvare il decoro e pure l’onore di una generazione che si sta richiudendo in se stessa, rintronandosi in un autismo disperante a forza di cartoni e pupazzetti.
Per cui, per una volta – un orologio rotto due volte al giorno ha ragione – stavolta stiamo con Xi e contro i cosplayer.
No al cosplay. Sì alla vita.
Qualcuno che voglia finanziare una campagna di pubblicità progresso in merito, c’è?
(Stiamo facendo satira: cosplayer italioti, non mandatoci anche voi messaggi minatori)
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Immagine di Cory Doctorow via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Cina
Allarme a Taiwan che accusa: attività militare «anomala» di Pechino

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Nelle ultime settimane si sono avute manovre congiunte delle marine russa e cinese nel Mar della Cina orientale, così come, con grande preoccupazione americana, in direzione dell’Alaska. Le esercitazioni americane nei riguardi dell’invasione continuano, così come le simulazioni cinesi, che vanno avanti da anni. L’invasione di Taiwan non è un mistero, avendo Xi parlato della riannessione nella solennità del centenario del Partito Comunista Cinese, indossando, per l’occasione, l’irresistibile giacchetta alla Mao Zedong. Le centinaia di sconfinamenti di caccia cinesi hanno portato il noto analista e giornalista cinese Hu Xijin a scrivere ai taiwanesi «abituatevi»; lo stesso tono goliardico lo aveva l’allora portavoce degli Esteri Zhao Lijian, capo dei cosiddetti wolf warrior (linguacciuti, scontrosi diplomatici cinesi ultranazionalisti) ai tempi del disastroso ritiro degli USA da Kabul: indicando la catastrofe americana in Afghanistan, i cinesi ammonivano che presto sarebbe venuto anche il turno di Taipei.PLA Eastern Theater Command releases latest promo video titled 阅海峡, or Reading the Strait, which sounds exactly like 越海峡, or Crossing the Strait. As if to underscore the wordplay, the video ends with "Yue·海峡", which can be interpreted as either. pic.twitter.com/ijZSxzqSPY
— Yang Liu (@yangliuxh) August 18, 2023
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