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Mons. Viganò, omelia per l’Epifania di Nostro Signore

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Renovatio 21 pubblica questa omelia di Monsignor Carlo Maria Viganò

 

 

 

 

 

 

VIDIMUS STELLAM EJUS IN ORIENTE

Omelia dell’Arcivescovo Carlo Maria Viganò nell’Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo

 

 

Et adorabunt eum omnes reges terræ;

omnes gentes servient ei.

Ps 71, 11

 

 

Sia lodato Gesù Cristo.

 

Questo giorno solenne è santificato da tre miracoli: l’adorazione dei Magi, la mutazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana e il Battesimo di Cristo nel Giordano.

 

Questi segni prodigiosi ci mostrano la divinità di Nostro Signore e la Sua Signoria universale sul cosmo, sulla natura e su di noi. Non sono più soltanto i pastori ad essere chiamati dagli Angeli a riconoscere il Verbum caro factum, ma è l’intero genere umano, è tutto il creato che la voce di Dio stesso chiama ad adorarLo, ad ascoltarLo, ad obbedirGli.

 

Una Signoria che alcuni riconoscono con umile Fede e che altri rifiutano per orgoglio. 

 

Nel Martirologio della Vigilia di Natale abbiamo sentito cantare l’annuncio della Nascita del Salvatore secundum carnem, collocata nella Storia con una molteplicità di riferimenti cronologici precisi e dettagliati. Quel Toto orbe in pace composito che il cantore pronuncia con solennità poco prima di elevare il tono della voce per scandire la realtà storica dell’evento salvifico del Natale di Cristo, rimanda al triplice trionfo di Augusto, autore e pacificatore dell’Impero.

 

Un trionfo umano e pagano, certamente; ma che doveva preparare il trionfo eterno del Rex pacificus, dell’Imperatore immortale, del Sole invitto. Per questo il 6 Gennaio, da festa civile istituita per celebrare la gloria umana di Roma, venne scelto dalla Chiesa per celebrare la gloria imperitura di Cristo Re dei re e Signore dei signori.

 

In quest’epoca di apostasia, segnata da guerre e da lacerazioni provocate dalla ribellione a Dio, è difficile comprendere come l’autorità terrena dell’Imperatore potesse costituire nel piano della Provvidenza il necessario presupposto alla venuta del Signore.

 

Ci sembra più «normale» – per così dire – la risposta feroce e spietata di Erode, che nel suo folle tentativo di uccidere il Re Bambino fece sterminare i bambini di Betlemme che pochi giorni fa abbiamo ricordato nella Liturgia. Vita e morte, pace e guerra, luce e tenebre, grazia e dannazione: abbiamo costantemente sotto gli occhi le due grandi alternative per noi stessi, per le nostre famiglie, per la società civile.

 

Ed è Cristo che Si pone come punto di riferimento, come pietra di inciampo, chiedendoci di compiere la nostra scelta morale, riconoscendoLo come nostra Vita, nostra Pace, nostra Luce, nostro tutto. Se così non fosse; se cioè rinunciassimo a compiere questa scelta, se volessimo dichiararci neutrali dinanzi alla battaglia che combattono le schiere angeliche contro le potenze infernali, compiremmo comunque una scelta da cui dipende la salvezza nostra e del mondo intero.

 

Lo vediamo oggi: chi non scende in campo sotto i vessilli di Cristo finisce inesorabilmente per essere alleato dei Suoi nemici, rimane a guardare gli innocenti uccisi da Erode, e davanti alla mangiatoia si rifiuta di adorare il Signore, in nome di un concetto pervertito di libertà e di laicità in cui i diritti sovrani di Dio sono negati o taciuti. 

 

Eppure, proprio nel contemplare i misteri di questo giorno santissimo, la Chiesa ci mostra la necessità dell’Epifania, della manifestazione della divinità di Gesù Cristo; una necessità per la quale la Provvidenza non esita a muovere gli astri, se una stella può condurre dei sapienti pagani verso la luce della Grazia e la conversione al vero Dio.

 

Non bastava infatti l’adorazione semplice e fedele dei pastori, fatta di un’interiorità umile e povera: essa richiama l’atto di Fede del singolo, di ciascuno di noi, ma rimane incompleta per le sorti del mondo se non si accompagna all’adorazione pubblica e ufficiale di chi ricopre in terra l’autorità, dal momento che questa autorità è un riflesso dell’autorità di Dio, sommo Legislatore e Giudice. Come profetizza il Salmo: Et adorabunt eum omnes reges terræ; omnes gentes servient ei.

 

Stupisce, in qualche modo, che siano dei saggi provenienti dall’Oriente a rendere omaggio al Dio Bambino, mentre i rappresentanti dell’autorità imperiale sono assenti, così come non compaiono né il re di Israele né i Sommi Sacerdoti; i quali pure ebbero un ruolo determinante nel processare e condannare a morte il Signore. Presenti nel momento della morte, ma assenti nel momento della vita.

 

Perché non vediamo il Procuratore romano, Erode, Anna e Caifa, i funzionari del Sinedrio e gli scribi del popolo intorno alla mangiatoia, mentre contempliamo Gaspare, Melchiorre e Baldassarre inginocchiati dinanzi al Bambino intenti ad offrire i loro doni? 

 

La risposta è evidente in tutta la sua semplicità. I pastori adorarono Cristo con il fiducioso abbandono del semplice, che nulla ha da offrire se non se stesso e le povere cose della vita quotidiana e del suo umile lavoro. I Magi adorarono Cristo grazie alla Sua manifestazione prodigiosa nel corso degli astri, e la loro sapienza umana, la loro capacità di scrutare nel cosmo li condusse al Sole intramontabile perché anch’essi, con umiltà, seppero riconoscere la nascita di Dio nel mondo. Entrambi furono illuminati dalla Grazia, i primi tramite l’annuncio dell’Angelo, i secondi tramite i segni del cielo.

 

Invece Erode e i Sommi Sacerdoti, che pure avrebbero dovuto conoscere benissimo le profezie messianiche custodite da Israele, non seppero vedere né credere, perché la loro prima preoccupazione era il potere.

 

Da un lato, il potere temporale, esercitato sotto la dominazione della Roma pagana e dimenticando che i Sovrani ebrei erano vicari dell’unico Re di Israele, il Signore Dio degli eserciti; dall’altro, il potere spirituale, esercitato in quella che oggi chiameremmo «autoreferenzialità», ossia per conservare se stesso e mantenere nell’ignoranza il popolo. Ce lo confermano gli aspri rimproveri ed i severi ammonimenti dei profeti, per bocca dei quali il Signore richiamava i Suoi sacerdoti ai loro doveri, mentre essi erano impegnati ad allungare i denti delle forchette con cui trattenevano parte delle carni sacrificali per sé stessi, o mentre lucravano sui traffici dei cambiavalute e dei mercanti introdotti nel Tempio.

 

Sordi alla Grazia! Sordo Erode, che avrebbe dovuto vedere nel piccolo Gesù il ratificatore della propria autorità; sordi i Sommi Sacerdoti, che in Lui avrebbero dovuto riconoscere il Messia promesso, il Desiderato di tutti i popoli. Entrambi, significativamente, avevano preferito sottomettersi all’invasore, piuttosto di inchinarsi a Colui che tiene nella Sua mano le sorti del mondo e del tempo. Non habemus regem nisi Cæsarem.

 

La situazione presente non è in questo molto diversa da allora. Anche oggi le autorità civili ed ecclesiastiche si rifiutano di adorare Gesù Cristo, o lo fanno solo a parole tramando per la Sua uccisione, nel timore di perdere il proprio potere. Anche oggi vediamo i semplici e i capi di Nazioni lontane riconoscere il Salvatore, e a Lui conformare la propria vita privata e pubblica, mentre i leader mondiali preferiscono riunirsi a Davos per la loro agenda globalista, e i Prelati della setta bergogliana pensano a nascondere i propri scandali, a propagandare la sinodalità e incoraggiare i vizi più innominabili. Entrambi si sostengono l’un l’altro, si riconoscono reciproca legittimità.

 

Entrambi considerano Gesù Cristo uno scomodo ostacolo al perseguimento dei loro piani di potere e di dominio. Eppure, come cantiamo nell’inno dell’Epifania, non eripit mortalia qui regna dat cœlestia. Non rapisce i regni terreni Colui che ci da quelli celesti.

 

Ma se da un lato i Magi, con il loro tributo di Fede hanno saputo adorare pubblicamente il Re dei re, non avendo nulla da temere per la propria autorità; dall’altro i governanti ribelli e indocili a Dio, non riconoscendo l’origine divina del potere che esercitano, si pongono contro la Sua Signoria e contro i propri sudditi, trasformando il saggio e giusto governo in strumento di odiosa tirannide. Contro costoro così si esprime il profeta Geremia:

 

«Poiché tra il mio popolo vi sono malvagi che spiano come cacciatori in agguato, pongono trappole per prendere uomini. Come una gabbia piena di uccelli, così le loro case sono piene di inganni; perciò diventano grandi e ricchi. Sono grassi e pingui, oltrepassano i limiti del male; non difendono la giustizia, non si curano della causa dell’orfano, non fanno giustizia ai poveri. Non dovrei forse punire queste colpe? Oracolo del Signore. Di un popolo come questo non dovrei vendicarmi? Cose spaventose e orribili avvengono nel paese. I profeti predicono in nome della menzogna e i sacerdoti governano al loro cenno; eppure il mio popolo è contento di questo. Che farete quando verrà la fine?» 

 

Ascoltando queste parole della Sacra Scrittura, ci chiediamo se non siano rivolte ai potenti di questo mondo, ai membri dell’élite globalista e a coloro che li servono per pavidità, per interesse, per complicità cortigiana. E a quanti, costituiti in autorità nella Chiesa per pascere il gregge loro affidato dal Signore, abusano del proprio potere per governare al cenno dei profeti del Nuovo Ordine Mondiale, che profetizzano pandemie ed emergenze di cui sono spietati artefici.

 

Che farete quando verrà la fine?, chiede il Signore. Creerete nuove emergenze, nuove crisi, nuove pandemie, nuove guerre con cui tenere soggiogato il popolo?

 

Continuerete a sterminare bambini innocenti, a render sterili i padri e le madri, a defraudare l’operaio della mercede, a corrompere i giovani, a uccidere il malato e l’anziano perché considerati inutili per i vostri turpi interessi? Vi asserraglierete nelle vostre fortezze, sperando di sfuggire all’ira di Dio e al vostro giusto castigo?

 

Cosa farete voi, servi del Grande Reset, quando i vostri padroni dovranno fuggire nelle loro tane, nascondersi nelle viscere della terra?

 

Credete di potervi vendere a un nuovo padrone come avete fatto sinora?

 

Poveri, miserabili illusi. Il giorno tremendo del Signore verrà per tutti, ed anche per voi: prima con il Giudizio particolare, e poi con quello universale. Se la giustizia terrena assiste inerte ai vostri crimini perché vi è asservita, la Giustizia divina sarà inesorabile e terribile, perché non rimangano impunite le vostre pubbliche colpe contro la Maestà di Dio e contro l’uomo che Egli ha creato a Sua immagine e somiglianza, e che ha redento con il proprio Sangue.

 

E se le nostre povere forze non riescono a vincere le vostre congiure, sappiate che ciascuno di noi, ogni fedele della Santa Chiesa, ogni anima buona prega, digiuna e fa penitenza per invocare l’intervento del Signore, Re delle Nazioni, che voi vi rifiutate di riconoscere, adorare e servire.

 

Che farete quando verrà la fine?

 

Figli carissimi: in questo giorno dell’Epifania, in cui celebriamo la manifestazione pubblica della divina Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo e il pubblico tributo dei Re Magi alla Sua universale ed eterna Signoria, rinnoviamo anche noi la nostra offerta. Un’offerta povera e misera, perché viene da noi che nulla abbiamo se non quanto la Provvidenza ci ha concesso; un’offerta preziosa, se presentata dalla Nostra Signora, Maria Santissima, Regina Madre e nostra Avvocata presso il Trono del Figlio.

 

Un’offerta infinita, quando sale alla Maestà del Padre per le mani della Vittima pura e santa, il Sommo Sacerdote, l’Eterno Pontefice che rinnova il Sacrificio della Croce nel Santo Sacrificio della Messa.

 

Deponiamo ai piedi dell’Altare le nostre penitenze, perché diventino l’oro dei re; le nostre preghiere, perché salgano al cielo come l’incenso che i sacerdoti bruciano a Dio; i nostri digiuni, perché la Santa Messa li converta nella mirra del sacrificio. E chiediamo al Re Bambino di convertire coloro che costituiti in autorità nella società civile e nella Chiesa, si trovano oggi a dover scegliere se seguire la stella verso Betlemme per adorarLo, o ignorare la Sua Nascita per sottrarsi alla Sua volontà e muoverGli guerra.

 

E così sia. 

 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

 

6 Gennaio 2023

Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo

 

 

 

 

 

Immagine di Miguel Hermoso Cuesta via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

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Chiesa 2.0 del cardinale Walter Kasper

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Riforma radicale dell’ecclesiologia attraverso l’instaurazione di una forma di bicameralismo all’americana: è più o meno questa la strada che il cardinale Walter Kasper auspica vedere intrapresa dalla Chiesa all’indomani del Sinodo sulla sinodalità.

 

Il 10 aprile 2024, l’arciabbazia di San Pietro a Salisburgo (Austria) – il più antico monastero benedettino del mondo di lingua tedesca – pullula di curiosi accorsi per ascoltare la conferenza introduttiva tenuta da un illustre ospite come parte del simposio «Cardinali e Benedettini».

 

Il cardinale Kasper, che difende una linea progressista nell’interpretazione del Concilio Vaticano II – che un tempo lo metteva in opposizione con il cardinale Josef Ratzinger – ha intitolato il suo intervento «Cardinali al servizio della Chiesa e del papato».

 

Il porporato, che ha avuto un ruolo di primo piano negli ultimi due conclavi – ma che ora è privato del diritto di voto a causa dell’età – resta una voce ascoltata dall’attuale Romano Pontefice. Secondo lui il Sinodo sulla sinodalità sarebbe un’occasione per riportare i cardinali al loro vero posto.

 

L’ex vescovo di Rottenburg-Stoccarda ritiene che, nel quadro del Sinodo, papa Francesco abbia lanciato un grande movimento per il decentramento della Chiesa: occorrerebbe inoltre fare un nuovo passo verso la riforma del collegio cardinalizio, in senso di un cosiddetto ritorno alle fonti.

 

In questa prospettiva ai cardinali verrebbe attribuita una nuova prerogativa: quella di presiedere i consigli plenari nelle regioni da cui provengono. Al fine di istituire una sorta di sistema bicamerale nel governo della Chiesa, composto dal Sinodo dei vescovi e dal Consiglio dei cardinali. Mai visto prima nella Storia della Chiesa.

 

Un’interpretazione molto personale dell’evoluzione della funzione cardinale

Radicata inizialmente nella liturgia, la funzione cardinalizia si sarebbe, secondo le parole dell’ex professore dell’Università di Tubinga, «politicizzata» per diventare il giocattolo delle grandi famiglie romane fino a essere coinvolte nel declino della Roma decadente del tardo Medioevo.

 

In epoca moderna, la funzione cardinalizia si sarebbe poi ridotta all’esercizio del ruolo di funzionario della Curia Romana, prima della grande «riscoperta» di questa veneranda istituzione durante il Concilio Vaticano II, che costituisce tuttora l’alfa e l’omega della Chiesa per Mons. Kasper.

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Un’affermazione molto discutibile

Gli studi concordano nel vedere la lontana origine dei cardinali nel presbyterium, un’assemblea di sacerdoti e diaconi che assistono e consigliano il vescovo nella guida del suo gregge. Sant’Ignazio di Antiochia lo menziona come «il Senato del vescovo», al quale i fedeli devono rispetto perché rappresenta il vescovo, ma al di sotto di lui.

 

Anche il vescovo di Roma era circondato da un presbyterium. Ma, «dalla somiglianza di origine e dal fatto che il nome di cardinale era comune all’alto clero romano e all’alto clero di altre città vescovili, sarebbe errato concludere», precisa il Dizionario di Teologia Cattolica, «che questo nome rispondeva in entrambi i casi a identiche prerogative».

 

«Il titolo di papa veniva anticamente dato indiscriminatamente a tutti i vescovi e non venne mai in mente a nessun cattolico di metterli tutti, per questa ragione, sullo stesso rango. È il caso del nome cardinale: in origine era generico e non implicava di per sé alcun ruolo specifico; nessun grado uniforme di potere; il suo valore esatto è stato determinato in base alle circostanze».

 

«I cardinali di una determinata diocesi diversa da quella di Roma non hanno mai potuto ricevere dal loro vescovo, per condividerlo con lui, nessun altro potere se non quello contenuto entro i limiti di quella diocesi; ma i dignitari associati dal Sommo Pontefice all’amministrazione degli affari che gli spettavano acquistarono necessariamente potere e influenza estendendosi a tutta la Chiesa».

 

Bastano queste righe autorevoli per rimettere in discussione i meriti storici di questo «bicameralismo» che il cardinale Kasper difende, e che equivarrebbe a diluire ulteriormente l’autorità del Romano Pontefice.

 

«Speriamo di mantenere Francesco ancora per qualche anno e che i suoi successori completino le sue riforme», ha detto il cardinale Kasper.

 

Una conclusione carica di incertezza, che lascia intendere che il progressismo è ancora lungi dall’aver vinto e che nel prossimo conclave resta l’elezione di tutte le possibilità, sotto la benevola grazia dello Spirito Santo.

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Ritorno all’affare del catechismo olandese (1966-1968)

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È utile raccontare la vicenda del Catechismo olandese, che è stata richiamata da mons. Peter Kohlgraf come punto di paragone con l’evoluzione della Chiesa in Germania.  

Sfondo

I cattolici olandesi sono da tempo noti per la loro fede, perché fin dal XVI secolo hanno dovuto lottare contro un clima protestante ostile. Nel XX secolo sono diventati la maggioranza, con strutture importanti, una forte identità e numerosi missionari in tutto il mondo.   Ma dopo la guerra, il materialismo trasformò la vita. La pratica, superiore al 70%, era in declino. Dall’inizio degli anni ’60, tra i cattolici olandesi si diffuse l’uso dei contraccettivi, con la conseguente riduzione delle dimensioni delle famiglie, del numero dei candidati al seminario e una diminuzione del senso di fede. La tradizionale presa di distanza dai protestanti non aveva più senso.  

Contesto

Dal 1956 i professori dell’Istituto catechetico superiore di Nimega furono incaricati dall’episcopato olandese di comporre un catechismo per i bambini. Nel 1960 si decise di realizzarlo per adulti. Fu pubblicato nel 1966 con l’imprimatur del cardinale Bernardus Alfrink.   La direzione si deve al gesuita olandese Piet Schoonenberg (1911-1999) e al domenicano belga Edward Schillebeeckx (1914-2009), professori dell’Istituto. Fr. Schillebeeckx era una voce ascoltata al Concilio Vaticano II, anche se non era stato nominato esperto.

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Le origini delle gravi carenze del Catechismo

Il testo considera la situazione del mondo, cercando di cogliere in modo positivo le diverse religioni, compreso il marxismo, come espressioni della ricerca di Dio. Integra la prospettiva delle scienze e quella dell’evoluzione. Questo approccio era difettoso.   Ciò nonostante, la cosa peggiore non fu questa. Sono stati scoperti gravi errori, la cui radice risiedeva in due intenzioni sottostanti. Il primo: andare d’accordo con la parte protestante del Paese, cercando di migliorare le spiegazioni cattoliche, ma evitando anche ciò che potrebbe dispiacere ai riformati.   La seconda: si trattava di raggiungere il mondo moderno. Ciò ha portato alla ricerca di formule morbide, a evitare argomenti difficili (il peccato originale, i miracoli) e a interpretare altri, «meno credibili», come il concepimento verginale, gli angeli e la risurrezione, come metafore. Gli scrittori si erano convinti che questi punti non fossero propriamente questioni di fede e che fossero liberi di cercarne un’interpretazione simbolica.   Infine, gli scrittori hanno cercato espressioni alternative alle formule tradizionali della Fede, sostituendo la terminologia «filosofica». Ciò ha portato a ricostruzioni difficili e insolite dei dogmi centrali – la Trinità, la personalità di Gesù Cristo, il peccato, i sacramenti – che hanno perso precisione. Il problema sta in ciò che non è stato affermato o in ciò che è stato reinterpretato.  

Opposizione cattolica

L’opposizione sorse subito da parte dei cattolici ben formati. Hanno denunciato le carenze in un giornale (Confrontatiie) e hanno inviato una lettera al Papa, pubblicata sulla stampa cattolica (De Tijd). Gli autori del catechismo hanno reagito molto male.   Paolo VI nominò allora, d’accordo con Alfrink, una commissione mista composta da tre teologi romani (Edouard Dhanis, Jan Visser, Benedict Lemeer) e tre membri dell’Istituto di Nijmegen (Schoonenberg, Schillebeeckx e W. Bless). Si incontrarono a Gazzada (Italia) nell’aprile 1967, ma la delegazione dell’Istituto rifiutò per principio ogni cambiamento.  

La Commissione Cardinalizia

Paolo VI nominò poi una commissione di sei cardinali (giugno 1967): Josef Frings, Joseph-Charles Lefebre, Lorenz Jaeger, Ermenegildo Florit, Michael Browne, Charles Journet. Sarebbero assistiti da sette teologi. L’elenco dei punti da correggere o chiarire è lungo:   L’esistenza degli angeli e dei demoni, la creazione immediata dell’anima da parte di Dio, il peccato originale, il poligenismo, il concepimento verginale di Cristo, la verginità perpetua di Maria, la soddisfazione espiatoria del sacrificio della Croce, la perpetuazione del sacrificio nell’uomo Eucaristia, Transustanziazione, Presenza Reale, infallibilità della Chiesa, sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune, primato di Roma, conoscenza della Trinità, coscienza divina di Gesù, battesimo, sacramento della Penitenza, miracoli, morte e risurrezione, giudizio e del Purgatorio, l’universalità delle leggi morali, l’indissolubilità del matrimonio, il controllo delle nascite, i peccati veniali e mortali e lo stato matrimoniale.   La commissione pubblicò una Dichiarazione (15 ottobre 1968), indicando le necessarie correzioni e integrazioni. Come riferisce Omnes, «L’Istituto si rifiutò di correggere il testo e promosse traduzioni in tedesco, francese, inglese e spagnolo, senza rettifiche o nihil obstat […] [E] erano sicuri che la loro proposta fosse il futuro della Chiesa universale ed erano pronti a difenderlo ad ogni costo.   «Si è deciso poi di convertire le correzioni in un Supplemento di circa 20 pagine, che potrebbe aggiungersi ai volumi invenduti delle varie edizioni e traduzioni, previo benestare degli editori».  

Influenza del «Consiglio» pastorale olandese

Questo «concilio», iniziato nel 1966, è stato influenzato dagli errori del Catechismo olandese. In particolare, la terza sessione (1969) fu molto segnata dal clima creato dalla questione del Catechismo e dalla tensione con Roma scaturita dal suo esame e poi dalla Dichiarazione della Commissione Cardinalizia.   Ciò spiega in parte gli eccessi che questo «concilio» ha esaminato e poi votato con la benedizione dell’episcopato olandese.   Paolo VI, su richiesta di Jacques Maritain e del cardinale Charles Journet, che prepararono l’ossatura del testo, reagì con la pubblicazione del Credo du peuple de Dieu, proclamato solennemente in Vaticano il 30 giugno 1968, per la chiusura dell’Anno della fede. Il Papa ha sostanzialmente riaffermato le verità di fede negate o messe in discussione dal Catechismo olandese senza nominarlo.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Mons. Viganò: omelia per le Rogazioni contro il cancro conciliare

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Renovatio 21 ripubblica questo discorso di monsignor Carlo Maria Viganò.

 

 

FIRMAMENTUM MEUM

Omelia nelle Litanie Maggiori, o Rogazioni Pozzolatico (Firenze). 25 Aprile 2024

 

 

 

Dominus firmamentum meum, et refugium meum, et liberator meus.
Il Signore è mia roccia, mia fortezza e mio liberatore.

Ps 17, 3

Le Rogazioni riportano molti di noi a tempi remoti, nei quali il 25 Aprile era dedicato alla Benedizione dei campi. Ed era nelle campagne, un tempo nemmeno troppo distanti dalle città, che vedevamo processioni di fedeli e popolo seguire il sacerdote al canto delle Litanie.

 

Ut fructus terræ dare et conservare digneris… Contadini vestiti con l’abito della festa accompagnavano i nostri parroci fino ai loro poderi, dove la sua preghiera echeggiava in un silenzio rotto solo dal canto degli uccelli. Gli alberi da frutto erano in fiore e nell’aria volavano i semi dei pioppi. E si sapeva, nell’intimo di una coscienza che parlava ancora, che il Signore premia il giusto e punisce il malvagio: non solo perché questo era ciò che si sentiva predicare in chiesa, ma anche perché questa giustizia semplice nella comprensione e divina nelle sue manifestazioni mandava le cavallette nel campo di chi lavorava la domenica, e rendeva feconde le coltivazioni, generosi i fianchi delle mucche e delle pecore di chi viveva in Grazia di Dio. 

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La nostra educazione radicatamente cattolica ci mostrava incastonati in un elaboratissimo disegno della Provvidenza; ed anche se il Creato ci era ostile dopo la cacciata dall’Eden, eravamo nondimeno aiutati dal ritmo sereno delle stagioni e dallo scandire confortante delle ricorrenze religiose a condurre una vita ancora rispondente all’armonia voluta dal Creatore. 

 

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore…

 

Potevamo ancora ammirare all’alba, in questa stagione, il cielo che si schiariva e brillava nel suo blu radioso: oggi ci siamo ormai abituati alla grigia coltre di cieli irrorati artificialmente. E comprendiamo, solo oggi, quanto dessimo per scontata la luce del sole, che qualche autoproclamato filantropo vorrebbe schermare: 

 

de te, Altissimo, porta significatione.

 

Pensiamoci bene: l’odio del Nemico sembra progressivamente mostrarsi con sempre maggior arroganza, e privare il genere umano della luce del sole è un’inquietante figura dell’oscuramento di Cristo, Sol justitiæ, da parte dei servi dell’Avversario. 

 

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

 

Quella società ancora cattolica, pur essendo minata dagli errori del liberalismo o del materialismo ateo, è riuscita a sopravvivere fino agli Anni Sessanta perché era tenuta in vita dall’opera santificatrice della Chiesa e da una generazione di sacerdoti formati secondo l’impostazione tradizionale.

 

Per far ingoiare a questi buoni parroci e religiosi l’indigesto boccone del Vaticano II furono necessari anni e anni di rieducazione e di epurazioni, ma nel frattempo – anche dove il rito riformato aveva sostituito la Messa cattolica – dai pulpiti veniva ancora predicata la Fede di Cristo. Solo per questo gli errori moderni non poterono attecchire ovunque: rimaneva nelle anime il timor di Dio, il rispetto della santità della vita, il riconoscimento del ruolo sociale della famiglia, la volontà di Bene.

 

Nel frattempo il cancro conciliare si diffondeva nelle Università pontificie, nei Seminari, nei Conventi, nelle associazioni cattoliche. 

 

Fu allora che la Gerarchia Cattolica lasciò cadere le Rogazioni, considerandole una vieta manifestazione di fideismo quasi superstizioso. La mente orgogliosa e superba dei novatori non poteva tollerare che il popolo cristiano chiedesse perdono per i propri peccati, invocando la misericordia del Signore e propiziando le Sue benedizioni sui campi.

 

Era una visione «medievale», indegna delle elevate e adulte coscienze dei modernisti. Era un ostacolo al dialogo religioso, perché riconosceva alla Maestà divina una centralità che l’uomo moderno rivendicava a sé e alla sua dignitas infinita – intelligenti pauca. Così la Provvidenza venne bandita sia nel Suo intervento nella Storia, sia nella nostra possibilità di invocarLa.

 

Il Vaticano II, con la sua visione orizzontale, ci ha precluso quella consolante consapevolezza di essere parte di un cosmo in cui la nostra esistenza individuale è insostituibile perché frutto dell’amore provvidente del Dio Creatore, Redentore e Santificatore. 

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La voce della «chiesa conciliare» ci faceva credere che eravamo tutti salvi per il solo fatto che Cristo fosse uomo come noi; e quindi che non vi poteva essere nessuna punizione perché non vi era alcuna colpa da punire; dunque non vi era più un Dio da implorare perché fermasse il braccio della Sua giusta ira su di noi peccatori.

 

Questo voleva dire – e lo vediamo confermato oggi – che non serviva nemmeno un Redentore, e che il Sacrificio della Croce era inutile. Ma se tutti si salvano, a cosa serve la Chiesa? Se non c’è diluvio, a cosa serve l’Arca? Se il mondo può vivere in pace e in armonia senza Dio, perché dovremmo pregarLo? Se vogliamo la pioggia, ce la facciamo cadere noi, e se i campi inaridiscono facciamo crescere piante ogm in idrocultura, creiamo la carne sintetica, sostituiamo il frumento con gli scarafaggi, la natura con i pannelli solari, la vita con la sua grottesca replica in provetta. 

 

Nelle Rogazioni è riassunta l’anima del popolo cattolico, perché nell’invocare la misericordia e la benedizione di Dio sui frutti della terra che vanno maturando nei campi e lungo i filari, quel popolo si riconosceva con umile realismo peccatore, capace di emendarsi, di far penitenza, di difendere la propria Fede con il generoso e sincero impeto di Pietro: Signore, con Te sono pronto ad andare in prigione e alla morte (Lc 22, 33).

 

Quel mondo cristiano, cari fratelli, è stato cancellato: in molte nazioni seguirne i principi è considerato un reato. Ma se è umanamente arduo pensare che sia possibile ricostruire quel modello sulle rovine di un’umanità abbrutita e ribelle, abbiamo tuttavia la possibilità di formare piccole comunità in cui sia custodita e conservata la Fede cattolica secondo quel modo di vivere antico e sacro, nella consapevolezza che dovremmo forse adattarci anche alla clandestinità e alla macchia. Sarà allora che i nostri figli scopriranno con stupore e incredulità quanto sia preferibile arare un campo, dissodare un orto, coltivare frutta, allevare il bestiame, pascolare le pecore, saper fare il formaggio e cuocere il pane. Perché quel benedetto sudore della fronte ci riporta alla concretezza della nostra condizione di exsules filii Hevæ ma ci affranca dalla servitù dei call center, dall’usura, dalla necessità di comprare e mangiare quel che altri hanno deciso. 

 

Tornare alla Fede è possibile creando piccole comunità tradizionali, in cui confrontarsi con gli elementi, seguire i ritmi delle stagioni, la fatica dell’estate e il riposo dell’inverno, la preghiera costante a punteggiare le giornate; giornate in cui ci si alza con la luce del Sole e il segno della Croce, e alla fine delle quali ci si corica con il nome di Gesù e di Maria sulle labbra; giornate in cui la grandine si allontana con una giaculatoria e accendendo la candela benedetta, in cui l’agonia di un’anima è accompagnata dal rintocco della campana, e non dall’arroganza di medici corrotti e infermieri senza cuore. 

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Ecco perché preghiamo oggi: perché vi siano agricoltori nei campi, vignaioli nelle vigne, pastori per le greggi, operai infaticabili nei tempi di sereno e di tempesta, nella canicola e con la galaverna. E questo vale per le coltivazioni e il bestiame, ma anche e soprattutto per il campo del Signore, per la Sua vigna, per il Suo gregge: è il motivo per cui nelle Litanie invochiamo di essere risparmiati a fulgure et tempestatea peste, fame et bello, ma anche per cui preghiamo ut domnum Apostolicum et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris.

 

A questo servono i Ministri dell’Altissimo: a dissodare e seminare la Parola di Dio con la predicazione; a moltiplicare i grappoli dell’unica vite; a pascere le pecore che il Signore ha affidato loro. 

 

L’anniversario dell’Ordinazione sacerdotale di don Lorenzo e don Emanuele e della mia Consacrazione episcopale ci ricordano l’importanza del Sacerdozio cattolico, specialmente in un’epoca in cui i Ministri rimasti fedeli a Cristo sono sempre meno.

 

Il Collegium Traditionis è appunto un seminarium, un luogo – e lo comprenderanno bene quanti conoscono la vita di campagna – in cui il seme della Vocazione è fatto crescere e portato a sviluppo, prima che la pianta possa esser messa a dimora e irrobustirsi dando frutto.

 

Chiediamo anche noi, sull’esempio e per l’intercessione del glorioso Apostolo ed Evangelista Marco, di veder benedetti i frutti soprannaturali di questo vivaio di futuri sacerdoti: per la gloria di Dio, l’onore della Chiesa, la salvezza delle anime. E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

25 Aprile 2024
S.cti Marci Ev.

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Immagine: Jules Breton, La Bénédiction des blés en Artois (1867), Museo di Orsay, Parigi.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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