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Mons. Strickland: «è chiaro che l’arcivescovo Lefebvre ha percorso la strada di un apostolo»

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Renovatio 21 traduce e ripubblica una lettera ai fedeli scritta dal vescovo emerito di Tyler, Texas, Giuseppe Strickland, cacciato tempo fa dalla sua diocesi da Bergoglio. Nella sua ex diocesi, è emerso il mese scorso, è stata ora cancellata ogni Santa Messa celebrata in rito antico. Mons. Strickland, già attivo oppositore della massoneria come «antitetica» a Cristo e per il quale recenti dichiarazioni ecumenistico-sincretiche del Bergoglio rasentano l’eresia, in questi mesi non ha lesinato nelle sue accuse di apostasia al vertice della Chiesa. Il prelato texano ha altresì respinto il Sinodo sulla Sinodalità in quanto «non cattolico». Il pubblico di Renovatio 21 ricorda inoltre il coraggio dello Strickland nella sua strenua battaglia contro i vaccini derivati da linee cellulari di aborto.

 

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

 

In questo periodo dell’anno, mentre aspettiamo Nostro Signore, vorrei attirare la nostra attenzione per un momento su San Giuseppe, una persona per lo più silenziosa ma molto importante nell’Avvento di Nostro Signore.

 

Conosciamo San Giuseppe come falegname perché San Matteo e San Marco usarono il termine greco tekton per descrivere il suo lavoro, che è un termine comune per un lavoratore del legno, un costruttore, un «falegname» – una persona le cui abilità nella lavorazione del legno includono «unire» pezzi di legno insieme. I padri latini interpretarono questa parola come «falegname».

 

La parola «falegname» è una parola adatta per San Giuseppe perché in molti modi fu chiamato a essere un costruttore di scale che fornivano gradini affinché il cielo «unisse» la terra e la terra «unisse» il cielo.

 

La Beata Vergine Maria fu chiamata a essere la Madre di Dio e San Giuseppe costruì una scala offrendo il suo matrimonio e una casa dove il Bambino Gesù potesse vivere sulla terra. Gesù Cristo dimorò nella casa che San Giuseppe fornì e, sebbene una casa e tutti i gradini che San Giuseppe costruì sarebbero stati fatti di materiali terreni, il cielo camminò su di essi, quindi si potrebbe dire che costruì una scala che collegava il cielo alla terra.

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Quando pensiamo alle scale e alle cose che «uniscono» cielo e terra, pensiamo naturalmente alla Chiesa di Cristo, perché come cattolici, stiamo su una scala, o un ponte, costruito da Cristo che collega la terra al cielo.

 

I gradini di questa scala sono i sacramenti che colmano l’abisso che separa il Creatore dal creato, e il Deposito della Fede è la struttura. Finché stiamo saldamente su questa scala, allora noi, come Maria che tiene in braccio il bambino Cristo, possiamo guardare il volto di Dio. Perché nella Sua Chiesa, Cristo ci incontra veramente sulla terra, come nella Sua Chiesa è veramente presente.

 

I sacramenti sono segni efficaci perché portano veramente sulla terra (e uniscono) ciò che simboleggiano. Affinché ciò accada, come sappiamo, deve essere «simboleggiato» correttamente (la scala deve essere costruita con i materiali giusti) sia nella «forma» che nella «materia».

 

Se una delle due viene cambiata, la forma (le parole pronunciate) o la materia (la parte fisica del Sacramento), allora la validità viene distrutta. Ogni tavola di questa scala è quindi parte integrante dell’insieme.

 

Questa scala, o ponte, che collega la terra al cielo è sempre rimasta salda, nonostante i continui attacchi dall’esterno nel corso della storia della Chiesa. Tuttavia, ora vediamo attacchi che hanno origine dall’interno della Chiesa stessa, e che hanno origine da coloro che affermano di avere l’autorità di scatenare questa guerra.

 

Ciò che sta accadendo ora è il culmine di ciò che i caduti hanno sistematicamente, con intento diabolico, pianificato, e di ciò che è stato profetizzato da molti santi nel corso della storia della Chiesa.

 

Tuttavia, le assi di questa scala sono state date da Cristo stesso, e qualsiasi materiale sostitutivo che venga messo al loro posto non sopporterà il peso di ciò che ci è stato dato. Pertanto, è di grave preoccupazione per me, come vescovo, che i fedeli non perdano di vista la vera scala e poi si ritrovino in piedi su una scala costruita con materiali sostitutivi, chiedendosi perché la loro Chiesa sembra così vuota.

 

Cristo sarà sempre presente nella Sua Chiesa, in piedi sulla scalinata che ha costruito, ma dobbiamo essere sicuri che è lì che ci troviamo anche noi, e che non siamo stati sorpresi dalla «scimmia della Chiesa», come l’ha giustamente chiamata l’arcivescovo Fulton Sheen.

 

Come vescovo, ho promesso, a qualunque costo, di restare saldo sulla vera scala che è stata data da Cristo e poggia su di Lui, e la cui struttura è il Deposito della Fede, e di proteggerla da chiunque tenti di scalzarne le assi. Sono chiamato a ricordare che il prezioso sangue di Cristo segna questa scala, e che è anche macchiata dal sangue dei martiri, e che devo anche essere disposto a versare il mio sangue per proteggerla.

 

Perché Cristo morisse per noi, era necessario che Lui diventasse uomo e si arrendesse all’atrocità della morte mentre deteneva la chiave stessa della vita. Ciò ha richiesto una volontà senza pari, ha richiesto la Volontà di Dio. Ed è lì che Egli chiama ciascuno di noi, a camminare completamente nella Volontà di Dio.

 

Quando è iniziato il tentativo di distruzione di questa scalinata? Molti indicano il Vaticano II come colpevole. Sono nato nell’ottobre del 1958, lo stesso anno e mese in cui Papa Giovanni XXIII è stato eletto alla Cattedra di San Pietro come Pontifex Maximus (Sommo Pontefice), che significa grande costruttore di ponti. Lo menziono perché molto spesso quest’anno viene evidenziato come l’inizio del tumulto nella Chiesa che attualmente vediamo ribollire in innumerevoli modi. È vero che il suo pontificato e la sua decisione di convocare il Concilio Vaticano II sono stati un momento cruciale nella storia della Chiesa. L’11 ottobre 1962, Papa Giovanni XXIII aprì il Concilio Vaticano II; tuttavia, morì nel giugno del 1963 e Paolo VI, il suo successore, prese il suo posto. La quarta e ultima sessione del Concilio si concluse nel dicembre del 1965.

 

Fu questo l’inizio? Sembra che ci sia stato un tentativo sistematico di demolizione di ciò che era stato considerato «irriformabile» prima del Vaticano II. E tuttavia, come hanno tentato i responsabili di distruggere ciò che è eterno? Lo hanno fatto tentando di limitare ciò che era del cielo a una definizione terrena, e questo è fatto in modo più efficace tentando di sostituire materiali creati dall’uomo a ciò che è stato dato dal cielo. Tuttavia, quando un’estremità poggia sulla terra e un’estremità poggia in cielo, come fa la Chiesa, allora l’uomo non può distruggerla. Ciò che può fare, tuttavia, è oscurare la Verità offrendo la «scimmia della Chiesa» al suo posto.

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Non c’è dubbio che molto sia cambiato dopo il Vaticano II. C’è stata una nuova enfasi sulla Chiesa che cammina con il «mondo», e questo ha sicuramente aperto la porta a visioni teologiche che hanno compromesso l’identità unica della Chiesa. Idee come l’ecumenismo hanno colpito la scala, perché Cristo non ha mai detto che la Sua Chiesa dovesse essere una parte del mondo; in effetti, ha detto il contrario.

 

Con il Vaticano II, un movimento mirato ha iniziato a incoraggiare la Chiesa a impegnarsi nel «dialogo» con altre denominazioni. Eppure devo chiedere: «Di cosa c’era da dialogare?» Cristo ci ha dato la Sua Chiesa. Ora è chiaro che è stata la progressione logica di ciò che è venuto fuori dal Vaticano II che siamo ora al punto in cui il Santo Padre può fare una dichiarazione come «Tutte le religioni sono percorsi verso Dio», e la maggior parte dei vescovi e cardinali annuisce e basta, senza mai dire una parola.

 

E tuttavia sanno – non possono fare a meno di sapere – che stanno abbandonando la scala che hanno promesso di proteggere. Ciò che papa Bonifacio VIII nella sua Bolla Unam Sanctam (1302) ha infallibilmente insegnato è su quella scala: «costretti a credere ed a ritenere, che vi è una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica».

 

Questo crediamo fermamente e professiamo senza riserve. Fuori da questa Chiesa non c’è salvezza e remissione dei peccati. Così, lo sposo proclama nel Cantico: «una è la colomba mia, la mia perfetta, l’unica della madre sua, l’eletta per la sua genitrice» (Ct 6,8). Ora questa eletta rappresenta l’unico corpo mistico il cui capo è Cristo, e il capo di Cristo è Dio. In lei c’è «uno è il Signore, una la fede, uno il battesimo» (Ef 4,5). Perché al tempo del diluvio esisteva una sola arca, la figura dell’unica Chiesa”.

 

Ci sono molte parole divinamente ispirate sulla scala che ci porterebbero a concludere senza eccezioni che «No, tutte le religioni NON sono sentieri verso Dio». Perché, come ha affermato Papa Benedetto XV nella sua Enciclica papale Ad Beatissimi (1914), parole che sono anche su questa scala: «”Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo” (Credo di Atanasio); o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: “Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome”; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina».

 

La Chiesa cattolica ha SEMPRE condannato la falsa credenza che tutte le religioni siano buone e «di Dio». Questa è la falsa dottrina dell’indifferentismo religioso, ed è una tavola che non dovrebbe mai essere posta su questa sacra scala. Ci sono state molte, molte altre tavole che gli uomini hanno tentato di posizionare dopo il Vaticano II, fatte di materiali creati dall’uomo. Hanno cercato di sostituire i materiali creati dall’uomo a quelli celesti perché pensavano che i materiali originali fossero «fuori moda». Tuttavia, ciò che il cielo ha costruito non diventa mai fuori moda.

 

Molto di ciò che è uscito dal Secondo Concilio ha rappresentato un movimento dalla Chiesa cattolica alla chiesa conciliare. Ciò che è particolarmente tragico è che è probabile che a questo punto abbiamo perso l’attenzione di portare il mondo a Cristo.

 

Tuttavia, nulla è stato così dannoso per la scalinata come i cambiamenti avvenuti nel Santo Sacrificio della Messa. Sembra che ora gran parte della Chiesa si chieda con Santa Maria Maddalena quando incontrò la tomba vuota: «Dove l’hanno deposto?» I cambiamenti a cui la Chiesa ha assistito nel Santo Sacrificio della Messa dal Vaticano II hanno lasciato molti inconsapevoli di dove si trovi e del Suo sacrificio d’amore per tutta l’umanità, poiché la fede nella Presenza Reale è diminuita sostanzialmente.

 

La Messa Antica fu soppressa nel 1970 e molti cattolici abbandonarono la Chiesa, poiché Papa Paolo VI accusò chiunque osservasse la Messa Antica di essere un ribelle al Concilio. Mentre rifletto sui cambiamenti che si verificarono nella Messa in seguito al Vaticano II, mi viene in mente l’arcivescovo Marcel Lefebvre.

 

L’arcivescovo Lefebvre, che fondò la Fraternità di San Pio X (la FSSPX), una società sacerdotale tradizionalista, fu etichettato come disobbediente, ribelle e persino scismatico negli anni ’70 e ’80 per essersi rifiutato di celebrare la Nuova Messa. Tuttavia, Lefebvre sentiva che la Chiesa stava vivendo una profonda «crisi di fede» a causa dell’infiltrazione del modernismo e del liberalismo.

 

Sentiva che c’era un tentativo attivo di staccare le assi della scala e sostituirle con le assi del mondo. Consacrò quattro vescovi «conservatori della tradizione» senza l’approvazione papale (sebbene avesse ripetutamente cercato l’approvazione per anni dopo che gli era stato precedentemente detto che l’approvazione sarebbe stata concessa) perché riteneva che senza vescovi che sostenevano gli insegnamenti tradizionali e la messa latina tridentina la continuità della tradizione della Chiesa sarebbe stata a rischio.

 

E, quindi, si assicurò che la scalinata fosse preservata intatta.

 

Nel 1976, quando Lefebvre stava per ordinare 13 sacerdoti nella Società, l’arcivescovo Giovanni Benelli della Segreteria di Stato vaticana gli scrisse chiedendogli fedeltà alla chiesa conciliare, e l’arcivescovo Lefebvre rispose: «Qual è quella chiesa? Non conosco una chiesa conciliare. Sono cattolico!».

 

Io stesso, essendo stato in seminario in un’epoca in cui il latino non era nemmeno insegnato, e avendo sempre celebrato come sacerdote e vescovo il Novus Ordo (Nuova Messa), ho intrapreso un viaggio per comprendere questo problema. Vorrei esortare tutti noi a riconoscere, come ho imparato a riconoscere, che i problemi con la Santa Messa sono iniziati a causa di un tentativo di spostare l’attenzione lontano da Gesù Cristo e dal Suo sacrificio che È la Santa Messa.

 

Credo che dovremmo tutti sforzarci di essere cristiani del primo secolo nel ventunesimo secolo, e questo è particolarmente significativo nell’area della Santa Messa.

 

L’alba della Chiesa includeva la celebrazione della Santa Messa, l’Ultima Cena, rendendo presente il sacrificio di Cristo di Sé stesso una volta per tutte. Racconti come quello di San Giustino Martire ci offrono descrizioni molto antiche di ciò che accadde durante la Santa Messa, e la bellezza di questi resoconti è che sono così vicini nel tempo al sacrificio che la Messa commemora.

 

Dobbiamo mantenere la nostra attenzione su Gesù Cristo come fecero i primi cristiani, in modo che la distanza temporale dal Suo Sacrificio cada nell’insignificanza perché siamo concentrati sullo stesso Signore Crocifisso e Risorto come i primi cristiani.

 

Non c’è dubbio che con la Nuova Messa ci sia stata una minore attenzione a Gesù Cristo. Questo è stato spesso visto in modi sottili, ma abbiamo anche assistito a una drastica negligenza della Presenza Reale di Gesù Cristo che raggiunge il livello della bestemmia in molti casi dal Vaticano II. Quando la liturgia ha spostato la sua attenzione sul popolo e lontano da Gesù Cristo, ha aperto la porta a un’estrema negligenza della Sua Sacra Presenza.

 

È interessante notare che, sebbene il Novus Ordo sia solitamente celebrato in lingua volgare, la lingua comune del Paese in cui viene celebrato, mentre la Messa tradizionale è celebrata in latino, la lingua normativa del Novus Ordo è anch’essa il latino. Sebbene siano state prese disposizioni affinché la Messa fosse celebrata in lingua volgare locale per ragioni pastorali, si è sempre dato per scontato che la Messa avrebbe continuato a essere celebrata in latino, e Papa Benedetto XVI ha sollecitato la reintroduzione del latino nel Novus Ordo.

 

Quando fu introdotto il Novus Ordo, molte balaustre dell’altare furono rimosse. Tuttavia, la balaustra dell’altare ci ha aiutato a mantenere la distinzione tra il santuario (dove si trova l’altare e che rappresenta il cielo, dove conduce la nostra scalinata) e il resto della Chiesa (che rappresenta la terra e dove inizia la nostra scalinata). Nella Messa latina tradizionale, i comunicanti si inginocchiano alla balaustra dell’altare (la porta del cielo) e ricevono l’Eucaristia sulla lingua dal sacerdote.

 

Sebbene ci siano molte messe sacre e belle del Novus Ordo celebrate in modo coerente, è un dato di fatto che la Nuova Messa ha rappresentato una rottura in secoli di continuità liturgica. E con ciò è arrivato un massiccio declino nella partecipazione alla Messa, nelle vocazioni e nella fede negli insegnamenti cattolici fondamentali. Papa Benedetto XVI ha affrontato queste preoccupazioni con il suo motu proprio Summorum Pontificum del 2007 in cui ha ampliato l’accesso alla Messa latina tradizionale.

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Tuttavia, nel suo motu proprio Traditionis Custodes del 2021 , Papa Francesco ha nuovamente limitato severamente l’accesso alla Messa latina tradizionale. Ma leggiamo queste parole di Papa Pio V nella sua Costituzione apostolica Quo Primum del 1570 riguardo alla Messa latina tradizionale:

 

«In virtù dell’Autorità Apostolica, Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l’Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: così che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta, né, d’altra parte, possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale. Similmente decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò, non ostanti: precedenti costituzioni e decreti Apostolici; costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concilii sia Provinciali che Sinodali; qualunque statuto e consuetudine in contrario, nonché l’uso delle predette Chiese, fosse pur sostenuto da prescrizione lunghissima e immemorabile (…)».

 

Le parole che l’arcivescovo Lefebvre pronunciò all’ordinazione di 13 sacerdoti nel 1976 sono parole che dovremmo prendere a cuore. Egli affermò:

 

«Perché se la santissima Chiesa ha voluto custodire nel corso dei secoli questo tesoro prezioso che ci ha donato del rito della Santa Messa che è stato canonizzato da San Pio V, non è stato senza scopo. È perché questa Messa contiene tutta la nostra Fede, tutta la Fede cattolica: Fede nella Santissima Trinità, Fede nella Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, Fede nella Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo, Fede nel Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo che è sgorgato per la redenzione dei nostri peccati, Fede nella grazia soprannaturale, che ci viene dal Santo Sacrificio della Messa, che ci viene dalla Croce, che ci viene attraverso tutti i Sacramenti. Questo è ciò che crediamo. Questo è ciò che crediamo nel celebrare il Santo Sacrificio della Messa di tutti i tempi. È una lezione di Fede e allo stesso tempo una fonte della nostra Fede, indispensabile per noi in quest’epoca in cui la nostra Fede è attaccata da tutte le parti. Abbiamo bisogno di questa Messa vera, di questa Messa di sempre, di questo Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo per riempire realmente le nostre anime con lo Spirito Santo e con la forza di Nostro Signore Gesù Cristo».

 

Papa Benedetto XVI ha detto: «Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere all’improvviso del tutto proibito o addirittura considerato dannoso. È doveroso per tutti noi preservare le ricchezze che si sono sviluppate nella fede e nella preghiera della Chiesa».

 

Ritengo che sia anche importante affermare qui che la FSSPX non è al di fuori della Chiesa cattolica e che, sebbene sia canonicamente irregolare, non è scismatica. Il vescovo Athanasius Schneider ha condotto uno studio approfondito sulla FSSPX e, di conseguenza, ha fornito una difesa chiara e coerente della Società. Ha affermato che i cattolici possono partecipare alle messe della FSSPX e ricevere i sacramenti dal suo clero senza preoccupazioni. Sebbene riconosca la «situazione canonica irregolare» della FSSPX, afferma che ciò non equivale a essere al di fuori della Chiesa e ha elogiato la FSSPX per aver sostenuto la fede e la liturgia cattolica tradizionale. Il vescovo Schneider ha anche chiesto il loro pieno riconoscimento canonico da parte del Vaticano, affermando che la FSSPX aderisce agli insegnamenti e ai sacramenti cattolici tradizionali così come sono stati praticati per secoli prima del Vaticano II.

 

In conclusione, vorrei citare una famosa dichiarazione fatta dall’arcivescovo Lefebvre nel 1974. È chiaro che l’arcivescovo Lefebvre ha percorso la via dell’apostolo ed è stato portato a stabilire un luogo sicuro, un rifugio, dove si potesse trovare la Messa dei secoli nella sua forma pura, un luogo dove il Deposito della Fede sarebbe stato protetto e la scalinata preservata intatta, anche mentre la scimmia della Chiesa stava staccando le assi e gettando via tutto ciò che è più prezioso. Ecco la dichiarazione dell’arcivescovo Lefebvre:

 

«Ci atteniamo saldamente, con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra anima, alla Roma cattolica, custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie a preservare questa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità. Noi rifiutiamo, d’altra parte, e ci siamo sempre rifiutati di seguire la Roma di tendenze neo-moderniste e neo-protestanti, che si sono chiaramente evidenziate nel Concilio Vaticano II e, dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono derivate».

 

«Tutte queste riforme, infatti, hanno contribuito e contribuiscono tuttora alla distruzione della Chiesa, alla rovina del sacerdozio, all’abolizione del Sacrificio della Messa e dei sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa, ad un insegnamento naturalista e teilhardiano nelle università, nei seminari e nella catechesi; insegnamento derivato dal liberalismo e dal protestantesimo, più volte condannato dal solenne Magistero della Chiesa.

 

«Nessuna autorità, neppure la più alta nella gerarchia, può costringerci ad abbandonare o sminuire la nostra fede cattolica, così chiaramente espressa e professata dal Magistero della Chiesa per diciannove secoli. «Ma anche se noi stessi», dice San Paolo, «o un angelo del Cielo venisse ad annunziarvi [un Vangelo] diverso da quello che vi abbiamo annunziato noi, sia egli anàtema». (Gal 1,8). Non è forse questo che il Santo Padre ci ripete oggi? E se possiamo discernere una certa contraddizione nelle sue parole e nei suoi atti, come in quelli dei dicasteri, ebbene scegliamo ciò che è sempre stato insegnato e facciamo orecchie da mercante alle novità che distruggono la Chiesa».

 

«È impossibile modificare profondamente la lex orandi senza modificare la lex credendi. Al Novus Ordo Missae corrispondono un nuovo catechismo, un nuovo sacerdozio, nuovi seminari, una Chiesa pentecostale carismatica, tutte cose opposte all’ortodossia e all’insegnamento perenne della Chiesa. Questa Riforma, nata dal Liberalismo e dal Modernismo, è avvelenata da cima a fondo; deriva dall’eresia e finisce nell’eresia, anche se tutti i suoi atti non sono formalmente eretici. È quindi impossibile per qualsiasi cattolico coscienzioso e fedele sposare questa Riforma o sottomettersi ad essa in qualsiasi modo».

 

«L’unico atteggiamento di fedeltà alla Chiesa e alla dottrina cattolica, in vista della nostra salvezza, è il rifiuto categorico di accettare questa Riforma.Ecco perché, senza alcuno spirito di ribellione, amarezza o risentimento, proseguiamo la nostra opera di formazione dei sacerdoti, con il Magistero senza tempo come nostra guida. Siamo persuasi che non possiamo rendere un servizio più grande alla Santa Chiesa Cattolica, al Sommo Pontefice e alla posterità».

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«Ecco perché ci atteniamo saldamente a tutto ciò che è stato creduto e praticato nella fede, nella morale, nella liturgia, nell’insegnamento del catechismo, nella formazione del sacerdote e nell’istituzione della Chiesa, dalla Chiesa di tutti i tempi; a tutte queste cose come codificate in quei libri che videro il giorno prima dell’influenza modernista del Concilio. Questo faremo fino a quando la vera luce della Tradizione dissiperà l’oscurità che oscura il cielo della Roma Eterna».

 

«Facendo questo, con la grazia di Dio e l’aiuto della Beata Vergine Maria, e quello di San Giuseppe e San Pio X, siamo certi di rimanere fedeli alla Chiesa cattolica romana e a tutti i successori di Pietro, e di essere i fideles dispensatores mysteriorum Domini Nostri Jesu Christi in Spiritu Sancto. Amen».

 

L’arcivescovo non ha scritto questo con spirito di ribellione, ma piuttosto come un grido di battaglia per tutti coloro che vogliono combattere per Cristo Re. Offro questa stessa dichiarazione come anche il mio grido di battaglia per combattere per Lui.

 

Nel concludere questa lettera, lo faccio rinnovando la nostra attenzione su Gesù Cristo. La Chiesa è Sua, la Messa è Sua, Egli si è offerto al Padre una volta per tutte per la salvezza delle nostre anime. Resistiamo a qualsiasi ulteriore tentativo di diminuire la nostra attenzione su di Lui e invece attiriamo tutta la Chiesa – ordinata, religiosa e laica – a conoscerLo più profondamente «nello spezzare il pane». E proclamiamo al mondo che Gesù Cristo è Salvatore e Signore di tutti.

 

E ai miei confratelli vescovi cito le parole di San Papa Giovanni Paolo II: «Dobbiamo difendere la verità a tutti i costi, anche se fossimo ridotti di nuovo a soli dodici».

 

Che Dio Onnipotente vi benedica e che la nostra Santa e Immacolata Madre vi protegga e vi guidi sempre verso il suo Divin Figlio, Nostro Signore Gesù Cristo.

 

Joseph E. Strickland

Vescovo emerito

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Immagine di Jim, the Photographer e Stv26 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0); immagine modificata

 

 

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Papa Leone saluta subito gli ebrei. In nome del Concilio

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Non c’è voluto molto prima che il nuovo pontefice mandasse un segnale all’importante destinatario. Non parliamo dei cattolici conservatori, né degli LGBT, né i tradizionalisti, né i teologi della liberazione: parliamo degli ebrei.   Il 13 maggio, giorno della Madonna di Fatima, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha ricevuto il messaggio personale da papa Prevost, con cui è stato informato della sua elezione a nuovo pontefice della Chiesa cattolica, scrivono le agenzie stampa, che riportano che nella sua nota, Leone XIV si impegna «a continuare e a rafforzare il dialogo e la cooperazione della Chiesa con il popolo ebraico nello spirito della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano secondo».   Il rabbino Capo di Roma – il quale ricordiamo siede anche nel Comitato Nazionale di Bioetica, «sarà presente alla celebrazione della inaugurazione del pontificato, ha accolto con soddisfazione e gratitudine le parole a lui dirette dal nuovo papa», scrive una nota emessa dalla Comunità ebraica di Roma. Il rabbino – che aveva fatto sapere di aver partecipato ai funerali di Bergoglio sabato 26 aprile «nel rispetto dello Shabbat», ovvero arrivando a San Pietro a piedi – sarà presente alla celebrazione della inaugurazione del pontificato. Si dice che saranno presenti altri rappresentanti della religione giudaica.

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Sullo sfondo, vi sono le mancate condoglianze per la morte di papa Francesco da parte dello Stato di Israele, con il governo Netanyahu che avrebbe detto alle ambasciate di cancellare i tweet di cordoglio per la scomparsa del vertice della Chiesa cattolica. Come noto, Bergoglio aveva parlato di «genocidio» a Gaza, provocando l’ira funesta dello Stato degli ebrei e di tanti ebrei in generale – proprio loro, che erano così entusiasti delle sue visite da farlo divenire un cartoon pubblicitario per il ministero del turismo israeliano.   Tuttavia papa Leone non ha scritto solo al rabbino Di Segni, ma alle comunità ebraiche di tutto il mondo. Il messaggio è lo stesso: il pontefice rafforzare il dialogo della Chiesa cattolica romana con loro.   Il rabbino Noam Marans, direttore degli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee, ha pubblicato la lettera sulla piattaforma social X nella tarda serata di lunedì.   «Confidando nell’assistenza dell’Onnipotente, mi impegno a continuare e rafforzare il dialogo e la cooperazione della Chiesa con il popolo ebraico nello spirito della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II», ha affermato Leone nella lettera.   Colpisce come, in pochi giorni dall’elezione al Soglio, il nuovo papa torni a parlare del Concilio Vaticano II. Lo aveva fatto una prima volta nelle prime battute del suo primo discorso al Collegio cardinalizio. Come riportato da Renovatio 21 il vescovo kazako Athanasius Schneider ha notato come sia strano che un papa citi un Concilio ad inizio pontificato, cosa ben rara.   Nostra Aetate è stato un documento fondamentale del Concilio del 1962-1965, che ripudiò il concetto di colpa collettiva ebraica per la morte di Gesù e incoraggiò il dialogo con le religioni non cristiane. La preparazione del documento è stata in gran parte sotto la direzione del cardinale Augustin Bea, presidente del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, insieme ai suoi periti, tra cui l’eccentrico gesuita Malachi Martin, il quale avrebbe fatto conoscere al porporato leader ebrei, come il rabbino Abraham Joshua Heschel, incontrato dal Martin 1961 e nel 1962.  
  Il cardinale Bea incontrò anche Morris B. Abram, presidente dell’American Jewish Committee, e tentò di rassicurarlo sullo stato del documento e sulle controversie contemporanee.   In un articolo del 1966 sulla rivista Look Magazine sul dibattito sugli ebrei durante il Concilio Vaticano II Il giornalista Joseph Roddy affermò che una stessa persona, sotto tre diversi pseudonimi, aveva scritto o agito per conto di gruppi di interesse ebraici, come l’American Jewish Committee, per influenzare l’esito dei dibattiti.   Roddy scrisse che due articoli tempestivi e remunerati del 1965 furono scritti sotto lo pseudonimo di F.E. Cartus, uno per Harper’s Magazine e uno per la rivista dell’American Jewish Committee, Commentary. Nel suo libro del 2007 Spiritual Radical: Abraham Joshua Heschel in America, Edward K. Kaplan ha confermato che Martin collaborò con l’American Jewish Committee durante il Concilio «per una serie di motivi, sia nobili che ignobili (…) principalmente consigliava il comitato su questioni teologiche, ma forniva anche informazioni logistiche e copie di documenti riservati».

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Il documento Nostra Aetate è finito per avere molto più significato di quello contenuto nelle sue parole, e interpretato come un stand-down de facto del cattolicesimo nei confronti di qualsiasi argomento coinvolga gli ebrei, mentre il mondo preparava la strumentalizzazione di una parola di conio recente, «antisemitismo», per etichettare come indesiderabile il discorso di certuni – se non di farli direttamente arrestare, vista l’entrata in vigore in alcuni Paesi di psicoreati a base «antisemitismo».   Una riflessione precisa sull’argomento è stata compiuta dallo studioso cattolico americano E. Michael Jones. «Il dialogo tra cattolici ed ebrei fallì perché, mentre i cattolici consideravano Nostra Aetate un’offerta di pace, gli ebrei la consideravano un’arma nel loro arsenale di guerra culturale» ha scritto il professore filadelfiano nel suo libro Pope Francis in Context. Jones parla quindi dei cattolici presi tra «l’incudine del Vaticano II e le critiche martellanti dei gruppi ebraici, furono apportati».   Analizzando un caso riguardante i cattolici bavaresi, e un libro a riguardo, Jones dice che questi «venivano duramente colpiti, e venivano duramente colpiti solo a causa di Nostra Aetate. Senza quel documento, avrebbero potuto facilmente deviare i colpi ebraici. Con esso, gli ebrei potevano ora usare il vescovo contro il suo gregge come il modo migliore per sventrare il ruolo di qualsiasi cosa nei Vangeli che gli ebrei trovassero ripugnante». Di fatto, la Nostra aetate citata da Leone XIV è divenuta l’arma con cui gli ebrei attaccano i cattolici non appena questi dicono qualcosa che ritengono anche solo vagamente inaccettabile: come, ad esempio, la colpa ebraica per la morte di Cristo, per il quale fu duramente attaccato il film del 2004 La Passione di Cristo come pure il suo regista Mel Gibson, accusato automaticamente di antisemitismo e emarginato via via sempre più da Hollywood.  
  Come noto, la situazione è arrivata al punto che le leggi anti-antisemitismo proposte lo scorso anno in America rendevano tecnicamente proibiti vari passaggi dei Vangeli.   Ciò detto, ci sono voluti anni prima che la situazione tra i due Stati religiosi si normalizzasse. Il Vaticano e Israele firmarono un «accordo fondamentale» nel 1993 e l’anno successivo si scambiarono ambasciatori a pieno titolo. Negli ultimi tempi il rapporto si era deteriorato totalmente. A dicembre 2024 l’ambasciatore del Vaticano in Israele era stato convocato al ministero degli Esteri dello Stato Ebraico dopo che papa Francesco aveva criticato la «crudeltà» degli attacchi aerei a Gaza.   Va anche ricordata l’inquietante presente, prima dell’ultimo conclave, del rabbino Shmuley, personaggio molto controverso. Il rabbino, che tra le altre cose promuove l’azienda di giocattoli sessuali della figlia, è accusato da vari negli USA di essere coinvolto in tanti casi opachi, come con Michael Jackson, di cui era divenuto confidente; poi ne divulgò le conversazioni intime.   Alcuni ora accusano il «rabbino dei VIP» di essere l’«handler» (maneggiatore) del segretario per la Salute USA Robert Kennedy jr., difendendolo a spada tratta dalle accuse di antisemitismo che gli sono pavlovianamente cadute addosso appena è arrivato sulla scena politica.   Lo Shmuley è poi entrato in dibattiti osceni con la giornalista Candace Owens, indicandola come, indovina indovina, «antisemita». Il rabbì sionista, ad ogni modo, ha offerto al mondo video di sé non sempre edificanti.  

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Così, è con sgomento che si è arrivati a poche ore dal Conclave con lo Shmuley a Roma che si faceva fotografare con Parolin. Quale manovra potesse esserci dietro, non possiamo saperlo, ma tanti hanno fatto certi pensieri.     Rimane esemplificativa la storia, ricordata a più riprese da Renovatio 21, di Teodoro Herzl, il fondatore del sionismo sulla cui tomba Bergoglio si lasciò portare da Netanyahu nel 2014, che nel 1903 riuscì a farsi ricevere da papa San Pio X – il papa che comprese e bloccò il modernismo religioso –chiedendogli aiuto per far tornare gli ebrei in Palestina. Il Santo rispose con un sereno, cordiale, netto «no».   «Sostenere gli ebrei nell’acquisizione dei Luoghi Santi, quello non possiamo farlo» disse San Pio X al fondatore del sionismo, rifiutando l’idea di un ritorno degli ebrei nelle terre di Gesù.   «Noi, e io come il capo della Chiesa, non possiamo fare questo. Ci sono due possibilità. O gli ebrei si aggrappano alla loro fede e continuano ad attendere il Messia che, per noi, è già apparso. In questo caso essi non faranno che negare la divinità di Gesù e noi non li possiamo aiutare. Oppure vanno lì senza alcuna religione, e allora potremo essere ancora meno favorevoli a loro».   «La religione ebraica è il fondamento della nostra; ma è stata sostituita dagli insegnamenti di Cristo, e non possiamo concederle alcuna ulteriore validità. Gli ebrei, che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere Gesù Cristo, non l’hanno fatto fino ad ora» proseguì il santo romano pontefice.   «Il nostro Signore è venuto senza potere. Era povero. È venuto in pace. Non ha perseguitato nessuno. È stato perseguitato».   «È stato abbandonato anche dai suoi apostoli. Solo più tardi è cresciuto in statura. Ci sono voluti tre secoli alla Chiesa per evolvere. Gli ebrei hanno avuto quindi il tempo di riconoscere la sua divinità, senza alcuna pressione. Ma non l’hanno fatto fino ad oggi».   Così parlò il papa Santo.  

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Spirito

Mons. Schneider: il primo impegno del papa è il Vangelo, non il Vaticano II

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Dopo il discorso di apertura di papa Leone XIV, il vescovo Athanasius Schneider ha messo in guardia dal basare un pontificato esclusivamente sul Vaticano II, affermando che il «primo impegno» di un papa è verso il Vangelo.

 

Nel suo discorso inaugurale al Collegio Cardinalizio, sabato mattina, papa Leone XIV ha sottolineato la priorità del Concilio Vaticano II per il suo pontificato. «Vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione, in tale cammino, alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II», aveva affermato lo scorso 10 maggio il nuovo Pontefice.

 

Un simile commento ha suscitato l’interesse di molti, soprattutto di coloro che si sono preoccupati degli aspetti predominanti del pontificato di Francesco, tra cui il vescovo Athanasius Schneider, ausiliare dell’arcidiocesi di Astana, in Kazakistan.

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«Penso che un papa non dovrebbe parlare in questo modo perché il nostro primo impegno completo è verso il Vangelo di Gesù Cristo: questo è il primo impegno di ogni papa e vescovo», ha detto il vescovo durante un’intervista lunedì scorso.

 

«Un concilio è un atto del Magistero… che è l’ufficio di insegnamento della Chiesa», ha aggiunto Schneider. «L’ufficio di insegnamento della Chiesa è definito come non superiore alla tradizione, ma subordinato ad essa».

 

Proseguendo, ha respinto l’idea secondo cui i papi dovrebbero fare di un particolare concilio il fulcro del pontificato, attingendo a precedenti storici per sostenere la sua argomentazione: «non era comune per i papi nella storia presentare l’inizio del loro pontificato con un impegno pubblico a un concilio specifico. Nemmeno nel famoso concilio di Nicea… che fu più importante del Vaticano II, che fu solo pastorale».

 

Un concilio specifico «non può essere il nostro primo impegno», ha ribadito Schneider. «Il nostro primo impegno sono le parole e l’insegnamento chiari di Nostro Signore, il costante e chiaro insegnamento della tradizione e degli Apostoli, e tutto l’insegnamento solenne e definitivo del Magistero. Questo dovrebbe essere il nostro primo impegno».

 

Il monsignore ha aggiunto che, sebbene i cattolici dovrebbero «trarre una certa ispirazione positiva da ogni concilio», un concilio in particolare non dovrebbe essere «assolutizzato» in modo da costituire il centro dell’insegnamento magisteriale sotto un pontefice.

 

 

Sottolineando inoltre di non poter fare previsioni certe sul nuovo pontefice, Schneider ha accolto con favore il fatto che «almeno la sua apparizione» e il suo discorso di apertura dal balcone siano stati «positivi» e abbiano dato «speranza e incoraggiamento».

 

Il comportamento di Leone era «molto spirituale», ha aggiunto Schneider, che si è detto anche incoraggiato dall’evidente devozione del papa per Maria. «Aveva una sorta di radiosa calma», ha commentato Schneider.

 

I cattolici dovrebbero «ringraziare il Signore per la sua elezione» invece di altri candidati «che avrebbero davvero danneggiato la Chiesa», ha affermato Schneider a proposito di Leone, la cui elezione ha definito «un segno positivo».

 

Interrogato dall’intervistatore Matt Gaspers su quali «questioni urgenti» avrebbe raccomandato al Papa di affrontare, Schneider ha evidenziato questioni dottrinali e liturgiche, insieme alle nomine del personale.

 

«Primo: confermare, rafforzare tutti i fedeli nella fede come Gesù l’ha donata a Pietro e a lui anche in questo caso, di fronte all’evidente confusione in cui è sprofondata la Chiesa a livello dottrinale, morale, è davvero urgente rafforzare e confermare nella fede».

 

Approfondendo l’aspetto dottrinale della crisi della Chiesa, Schneider la suddivide in tre ulteriori punti che, a suo dire, necessitavano di essere affrontati:

 

«Per affrontare concretamente tre temi che nella vita della Chiesa sono più confusi: La verità sull’unicità di Gesù Cristo come unica via di salvezza e sul fatto che le altre religioni non sono mezzi di grazia o vie di salvezza. Deve essere affermata con chiarezza cristallina»

 

«L’ordine divino della sessualità umana deve essere affrontato con una formula estremamente chiara. I temi principali che riguardano questo tema, che ai nostri giorni sta evidentemente causando tanta confusione nella Chiesa, riguardano l’immoralità intrinseca e la malvagità degli atti e dello stile di vita omosessuali, e poi il divorzio. Questo va sottolineato. E l’indissolubilità del matrimonio».

 

«Fare una solenne e definitiva precisazione circa il sacramento dell’ordinazione, stabilendo che il sacramento dell’ordine – essendo un sacramento unico nei tre gradi dell’episcopato, presbiterato e diaconato – è per diritto divinamente stabilito riservato ai fedeli di sesso maschile».

 

Per quanto riguarda la liturgia, Schneider ha ampliato la sua precedente condanna della restrizione della Messa tradizionale imposta da Papa Francesco, come contenuto nella Traditionis Custodes, chiedendo che il documento venga revocato: «per quanto riguarda il culto, il papa dovrebbe abrogare completamente la Traditionis Custodes»

 

«Si tratta davvero di un’umiliazione, di una persecuzione di una parte dei fedeli e anche di un rifiuto dell’intera tradizione liturgica della Chiesa. Quindi questo deve essere sanato. Deve ripristinare la completa libertà d’uso della liturgia in tutte le epoche».

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A parte eventuali piani particolari che Leone potrebbe già avere, la loro attuazione dipenderà fortemente dalla collaborazione della Curia Romana con i suoi desideri. In tali circostanze, il personale si rivelerà effettivamente una politica.

 

A tal fine, Schneider ha aggiunto che la selezione episcopale è fondamentale:

 

«Deve nominare i vescovi con molta attenzione, perché i vescovi devono essere veramente uomini di Dio, di fede cattolica. A questo dovrebbe prestare molta attenzione».

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Spirito

I giornalisti esaminano il passato mediatico di Leone XIV

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Ogni buon giornalista, di fronte all’elezione di un cardinale poco conosciuto al soglio di San Pietro, cerca di scoprire cosa potrebbe esserci di curioso, bizzarro o addirittura censurabile nel suo passato. Con le possibilità offerte dagli «archivi» del web, dagli interventi pubblici, dai discorsi, dagli interventi sui social network, tutto viene scrutinato e analizzato.   Uno degli interventi passati di Leone XIV attirò rapidamente l’attenzione: il discorso da lui pronunciato mentre era Priore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino – carica che ricoprì dal settembre 2001 al settembre 2013 – al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione nell’ottobre 2012. Il suo discorso si concentrò sull’impatto culturale dei media occidentali sulla trasmissione della fede.   «I media incoraggiano la compassione per pratiche contrarie al Vangelo, come l’aborto, l’eutanasia o lo stile di vita omosessuale», affermò all’epoca, in un discorso ripreso in un video prodotto dall’agenzia Catholic News Service. Il Priore Generale aveva sottolineato che queste rappresentazioni potrebbero significare che «quando si ascolta il messaggio cristiano, esso appare ideologico ed emotivamente crudele».

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Ha poi denunciato il fatto che «le famiglie alternative composte da coppie dello stesso sesso e dai loro figli adottivi» venivano presentate in modo «gentile e compassionevole» in televisione e al cinema, il che rendeva difficile la comprensione del messaggio cristiano. Ha anche criticato il modo in cui i media trattano l’aborto e l’eutanasia. Il futuro papa venne poi nominato vescovo della diocesi di Chiclayo in Perù.   Nel 2023 è stato promosso da papa Francesco alla guida del Dicastero per i vescovi, una nomina che ha colto in qualche modo di sorpresa, dato il tono del suo discorso del 2012, in contrasto con l’approccio di Francesco alla cultura contemporanea.   Nel corso di una cerimonia presso l’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede, l’esperto vaticanista Francesco X Rocca, che all’epoca lo aveva intervistato, gli ricordò questo intervento. Il vescovo Prevost rispose in modo enigmatico: «Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti». Sebbene fosse già stato creato cardinale, gli fu chiesto della sua posizione attuale sui temi affrontati nel suo intervento sinodale.  
  Ha risposto: «papa Francesco ha chiarito che non vuole che le persone siano escluse semplicemente a causa delle loro scelte, che si tratti del loro stile di vita, del loro lavoro, del loro modo di vestire o di qualsiasi altra cosa. La dottrina non è cambiata e nessuno ha ancora detto che un tale cambiamento sia auspicabile. Ma stiamo cercando di essere più accoglienti e aperti, e di dire che tutti sono benvenuti nella Chiesa».   Infine, il sito web di CBCP News. Datato 24 ottobre 2024, riporta la risposta ottenuta dal cardinale Prevost in merito alla controversia riguardante la Fiducia supplicans. «I vescovi delle conferenze episcopali africane hanno detto in sostanza che in Africa la loro realtà culturale è molto diversa… Non si trattava di rifiutare l’autorità dottrinale di Roma, ma di dire che la loro situazione culturale è tale che l’applicazione di questo documento semplicemente non funzionerà».   Una risposta che, senza schierarsi sulla sostanza, si accontenta di considerare gli atteggiamenti pratici e di sottoscrivere da una parte il movimento avviato da papa Francesco e dall’altra la forte resistenza opposta dai vescovi africani in questa vicenda. Un’ambiguità che potrà essere risolta solo in futuro.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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