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Pedofilia

Minorenni come «giocattoli sessuali» delle donne ISIS a fini riproduttivi

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Nei centri di detenzione dei familiari di jihadisti nel nord-est della Siria emergono vicende di sfruttamento dei giovanissimi, poco più che bambini. La missione è di fornire nuove leve per il «califfato». Per i critici è un pretesto usato dalle autorità curde per separare i figli dalle madri. Ma vi sono testimonianze che confermano un «fenomeno sommerso» ma vitale.

 

 

Andate e moltiplicatevi. E per farlo non esitate a ricorrere a giovani, alcuni poco più che bambini, rinchiusi nei campi profughi nel nord-est della Siria dove sono detenuti – sotto il controllo delle milizie curde – centinaia di familiari di combattenti e jihadisti affiliati allo Stato Islamico (SI, ex ISIS).

 

Il movimento radicale che voleva dar vita al califfato islamico e nel momento di massima espansione è arrivato a controllare metà dei territori di Siria e Iraq, sebbene sconfitto sul piano militare continua a costituire una minaccia sul piano ideologico. E non riuscendo ad arruolare come un tempo mercenari dall’estero o elementi radicali nell’area, i vertici di Daesh hanno affidato alle donne il compito di accrescere i numeri generando quanti più figli possibile.

 

Per rimanere incinte, non avendo accanto i loro compagni o non trovandone di nuovi, non esitano a «schiavizzare» minori, in alcuni casi di soli otto anni o poco più. «Lo scopo è quello di ampliare la popolazione dello Stato islamico e assicurarsi che lo slogan “Dawla Baqiya” [lo Stato rimarrà] sia mantenuto» osserva Nujin Derik, combattente curda con una lunga esperienza alle spalle e molteplici battaglie contro Daesh.

 

La donna, fra le responsabili della sorveglianza e del controllo dei centri di detenzione di al-Hol e Roj, riferisce ad al-Monitor di «informazioni» in base alle quali «i neonati nascono nei campi e vengono nascosti dalle loro madri». Questi, avverte, sono «ordini impartiti direttamente da Daesh».

 

Costretti al sesso

«Voglio diventare un dottore» racconta Salih, 15 anni, il nome di fantasia per proteggerne l’identità, uno fra le centinaia di giovani ospiti del centro di recupero di Orkesh, poco distante dalla città di Qamishli, nell’area curda nel nord-est della Siria. Egli è figlio di uno delle decine di migliaia di combattenti stranieri e delle loro mogli che hanno aderito, da varie parti del mondo, allo Stato Islamico.

 

Rinnegati dai loro Paesi di origine, circa 23mila figli di miliziani di entrambi i sessi sono condannati – loro malgrado – a un limbo perpetuo, al confino, alla miseria. Quando raggiungono la pubertà, i ragazzi sono allontanati dalle loro madri detenute nei famigerati campi di al-Hol e Roj, perché potrebbero essere suscettibili all’indottrinamento, inclini alla violenza e sfruttati a «scopo riproduttivo»

 

Salih, originario dei Balcani, è stato costretto a fare sesso con donne più anziane appartenenti all’ISIS e da tre mesi si trova al centro di Orkesh. Un responsabile di nome Bawer riferisce che il ragazzino avrebbe confessato «al suo insegnante che veniva usato dalle donne [del califfato] per metterle incinte». «E posso assicurarvi – prosegue – che non è l’unico».

 

Diversi educatori rilanciano denunce di sfruttamento sessuale di bambini e ragazzini all’interno dei campi di detenzione e, in alcuni casi, sono le stesse madri-combattenti dell’ISIS a spingere i figli a trasformarsi in «macchine riproduttive».

 

Mounir, un 18enne originario dell’Arabia Saudita trasferito a Orkesh dal centro di al-Hol assieme al fratello di 12 anni, conferma il quadro, fornendo ulteriori dettagli: «Un ragazzone sudanese – dice – mi ha raccontato tutto» durante il periodo in cui i due hanno condiviso la stanza. Diceva di fare abitualmente sesso con donne ad al-Hol «per rifornire di bambini lo Stato Islamico». La differenza, prosegue Mounir, è che «non ha mai detto di essere stato costretto a farlo. E penso che si divertisse, almeno all’inizio».

 

Mondo sommerso di sfruttamento

Anne Speckhard è direttrice dell’International Center for the Study of Violent Extremism, professore associato di psichiatria alla Georgetown University e lavora come consulente ai programmi di riabilitazione e de-radicalizzazione dei detenuti Isis. Finora ne ha incontrati 273 e, in un articolo pubblicato a febbraio per The Daily Beast e il primo marzo sul Jerusalem Post, ha denunciato per prima lo «sfruttamento» degli adolescenti: ragazzi usati per «servire l’espansione dello Stato Islamico, diventando mariti temporanei», prendendo «fino a quattro donne alla volta».

 

In un primo momento si mostrava scettica rispetto alle voci di sfruttamento ma col passare del tempo, ascoltando testimonianze «da persone di fiducia» e accumulando incontri si è ricreduta.

 

Una guardia del centro di al-Hol riferisce di almeno 10 giovani coinvolti, ma i numeri reali sono difficili da inquadrare. Nessuno conosce il numero esatto di gravidanze registrate nei centri, ma a detta della stessa intelligence curdo-siriana sono «molti» e non dovrebbero accadere «visto che gli uomini sono detenuti in luoghi separati».

 

Va detto che alcune gravidanze potrebbero essere il risultato di relazioni illecite con le guardie nonostante le misure del caso, ma resta la certezza su un vasto fenomeno di «schiavismo sessuale» che vede protagoniste donne del califfato e minori. A rendere difficile le stime vi è anche il fatto che molte partoriscono senza nemmeno avvisare i vertici del centro, con l’aiuto di altre detenute che svolgono le funzioni di medici, infermiere e ostetriche.

 

Vicende analoghe riguardano al-Roj, dove un giovanissimo è dovuto ricorrere a cure ospedaliere dopo una massiccia assunzione di una sostanza con effetti simili al Viagra.

 

Cuccioli del califfato in cattività

In questi anni trascorsi nei centri i giovani, con l’aiuto delle loro madri, hanno dato nuovamente vita ai cosiddetti «cuccioli del califfato», l’esercito di bambini combattenti usati in passato dall’ISIS per decapitazioni pubbliche e video di propaganda che tanto orrore hanno suscitato nel mondo. «Fanno pratica con bersagli, usando spade e oggetti appuntiti, si allenano nel judo e si nascono dentro chador e niqab» racconta Derik.

 

«Le loro madri – prosegue – li sottopongono al lavaggio del cervello», anche per questo i figli vengono separati dai genitori dall’età di 12 anni se iniziano a mostrare comportamenti violenti o atteggiamenti aggressivi. «Vi sono state – ammette – diverse decapitazioni nel centro. Ecco perché non abbiamo scelta».

 

Le Nazioni Unite e i gruppi pro diritti umani hanno criticato duramente la politica delle autorità curde siriane di separazione, definendola illegale e immorale.

 

Secondo alcuni, infatti, è forte la preoccupazione che le affermazioni sullo sfruttamento sessuale e sull’indottrinamento siano – in realtà – solo un pretesto per legittimare divisioni forzate di massa. Accuse alimentate dal fatto che i curdi siriani, almeno sinora, non sono stati in grado di fornire prove fotografiche di nuovi bambini nati nel quadro della campagna «andate e moltiplicatevi».

 

Un funzionario delle Forze democratiche siriane (SDF) afferma che i bambini sono difficili da ritrarre perché le donne «usano le ostetriche per nasconderli nelle tende» appena nati e gli informatori sono «troppo spaventati» per scattare foto «col rischio di essere scoperti». Ma il fenomeno è reale, come emerge dalle parole di una donna che si fa chiamare Umm Seydullah e che spezza di proposito la cortina di silenzio e mistero: «Con il permesso di Allah, il nostro Dawla (Stato) – afferma – tornerà di nuovo. E sarà più forte che mai. Scrivi anche questo. La storia [del califfato] non finirà qui».

 

 

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

 

 

 

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Autismo

Epstein andava alla ricerca di bambini autistici da impiegare per la sua società di DNA e Intelligenza Artificiale

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Nuovi allucinanti dettagli continuano ad uscire dalla storia di Epstein. Dopo gli incontri con il capo della CIA, l’ex premier israeliano, Woody Allen, i Rothschild e Noam Chomsky, emergono altri sorprendenti incontri del ricco pedofilo: quelli con bambini autistici delle Isole Vergini, da utilizzare negli algoritmi di una sua società di raccolta dati DNA.

 

Siamo oramai ben oltre il film, il romanzo, la fiction: siamo alla pura allucinazione. Che, epperò, dice tanto, tantissimo su ciò che sta succedendo oggi nelle nostre vite.

 

Come noto, il Wall Street Journal sta pubblicando una serie di documenti inediti, tra cui l’agenda degli appuntamenti di Epstein. Vi sono altri documenti legali: come noto, la procura delle Isole Vergini americane sta procedendo contro Epstein coinvolgendo anche la banca JP Morgan e tutta una serie di magnati a cui sono stati spediti dei mandati di comparizione, compreso Elon Musk e compreso Larry Page di Google, che risulta però irreperibile.

 

Qualcuno sospetta che la fonte del WSJ sia la stessa procura delle Isole Vergini, dove la figura della procuratrice generale che indagava sul piano Epstein, Denise M. George, è stata licenziata dal governatore.

 

Forse a causa di questi accadimenti, stanno uscendo notizie sempre più sbalorditive.

 

Nel 2007, dopo 13 mesi di detenzione in Florida per aver procurato una ragazza minorenne per la prostituzione, Epstein ha spostato il centro dei suoi interessi commerciali nelle Isole Vergini americane, dove – oltre che a possedere l’Isola di Little Saint James dove sarebbe avvenuto il traffico delle minorenni ai potenti della Terra – nel 2012, ha fondato Southern Trust, una società di data mining (cioè di raccolta dati) del DNA che mirava a lavorare con Big Pharma.

 

«Southern Trust stava cercando di valutare la predisposizione dei clienti al cancro “fondamentalmente organizzando algoritmi matematici”», scrive un articolo del New York Times dell’ottobre 2019.

 

Epstein disse all’epoca alla Commissione per lo sviluppo economico delle Isole Vergini americane che voleva coinvolgere i bambini locali nelle attività di programmazione e Intelligenza Artificiale della sua azienda.

 

Intervistata per la trasmissione YouTube Redacted, la giornalista investigativa Whitney Webb – che ha appena dato alle stampe due densi volumi sul caso Epstein – sostiene che il miliardario pedofilo avrebbe preso di mira specificamente i bambini vulnerabili, svantaggiati e poveri, una strategia che ha replicato la sua precedente tattica di adescare ragazze adolescenti economicamente svantaggiate.

 

«Alcuni di questi sforzi che stava creando nelle Isole Vergini prendevano di mira bambini maltrattati, bambini orfani e delinquenti minorili», sostiene la Webb. «Molti di quei bambini potrebbero non avere genitori, quindi ancora una volta questo è molto inquietante».

 

Storie come questa ci inducono a pensare che lo Epstein in realtà non gestisse solo una rete di traffico di minorenni da usare per eventuali ricatti ai potenti. La sua ragnatela era molto più fitta, e copriva diversi ambiti.

«Epstein stava reclutando ragazzi per lavorare in un’officina di programmazione dalle scuole delle Isole Vergini, ma ci è permesso parlare dei suoi crimini di traffico sessuale a Palm Beach dal 2000 al 2006 solo per quanto riguarda i media mainstream. C’è molto di più qui».

 

Il caso Epstein è sempre più una finestra sui sistemi utilizzati dall’oligarcato. «Questo è solo un microcosmo in un gruppo più ampio di persone che si mascherano da filantropi, ma in realtà stanno costruendo una prigione digitale» dice l’autrice. «Lo stanno sperimentando proprio ora su bambini vulnerabili, principalmente bambini neri, in Africa e nei Caraibi».

 

«Si tratta di legare un ID digitale a un portafoglio digitale e creare fondamentalmente un apparato di sorveglianza in cui vengono monitorate le prestazioni di questi bambini nelle scuole e ciò che fanno nella loro vita e i dati vengono salvati. E lo stanno usando per alimentare algoritmi di Intelligenza Artificiale, molto probabilmente senza il loro consenso».

 

«Alla fine della giornata, l’intenzione è di avere tutti i bambini e tutte le persone su questo tipo di sistema – su questa griglia di sorveglianza digitale – legati al tuo portafoglio digitale che contiene un CBDC [le monete digitali di Stato in arrivo, ndr] e avere tutto tracciato. Epstein stava cercando di anticipare questo oltre un decennio fa con la sua compagnia, Southern Trust, e aveva i tuoi dati genetici legati alla tua istruzione, legati alle tue finanze».

 

La Webb afferma che gli sforzi commerciali di Epstein nelle Isole Vergini americane fanno luce sulla «natura predatoria delle persone che stanno cercando di portare avanti» questa rete di sorveglianza che comprende i dati del cittadino.

 

Genetica, Algoritmi, Intelligenza Artificiale, sistemi di sorveglianza biometrica. Colpisce quanto Epstein già lustri fa fosse avanti con l’agenda che stia vedendo dipanarsi sotto i nostri occhi, tra mRNA, green pass, euro digitale, tracking carbonico e discorsi cinesi, climatici e transumanisti vari da Grande Reset e Quarta Rivoluzione Industriale made in Davos.

 

Colpisce nell’intervista, tuttavia, un riferimento all’autismo. Secondo quanto dice l’intervistatore Clayton Morris, che cita documenti del caso, vi sarebbe stata una predilezione di Epstein per arruolare in questo suo progetto di algoritmi genetici dei bambini autistici.

 

«È come un cattivo di James Bond» dice Morris «come se dovessi scrivere una parte per un film, ma ti dicessero che è ridicolo pensare a un miliardario che va alle Isole Vergini e cerca bambini per fare ricerca biomedica impiantando cose nei loro cervelli… e poi nella sua testimonianza nei documenti che ho visto, parla specificatamente di bambini autistici…. tipo un quarto di loro erano autistici… cercava specificatamente per bambini nello spettro».

 

Epstein aveva dichiarato un interesse per l’autismo anche in una vecchia intervista ad una rivista scientifica nel 2017, ripescata dal New York Post, dove si discuteva del suo interesse per il Massachusetts Institute of Technology, detto anche MIT, cioè il prestigiosissimo politecnico bostoniano. Qui l’enigmatico magnate pedofilo dichiarava di essere stato attratto dal MIT a causa della natura psicologica suo corpo studentesco unico: «Direi che il 25 percento dei bambini è autistico, nello spettro… Non lavorano davvero in gruppo. Non stanno prendendo lezioni. Non danno incarichi di insegnamento. Non hanno molto da fare, sono lì per pensare».

 

Secondo Whitney Webb, potrebbe essere che Epstein cercasse le capacità matematiche riconosciute in certi casi di autismo.

 

«Qualcosa di cui parla nella sua testimonianza alla Commissione delle Isole Vergini è l’idea di voler sequenziare geneticamente gli isolani, in quanto popolazione isolata, e poi parla di come quell’informazione genetica può essere usata per educare quei bambini».

 

Siamo dinanzi, senza ombra di dubbi, a microprogrammi prototipali di eugenetica del XXI secolo, dove la macchina va a giocare un ruolo fondamentale, e la popolazione viene schedata biologicamente e incoraggiata e/o scoraggiata alle attività in base del loro profilo genetico.

 

Non è una novità per il lettore di Renovatio 21, dove è stata ampiamente discussa la cifra eugenetica di Epstein, che voleva – tra le altre cose – usare le «sue» ragazzine come portatrici di embrioni concepiti dallo sperma di professori-geni che frequentavano il miliardario pedofilo. Secondo quanto riportato, il luogo dove le ragazze avrebbero dovuto portare avanti la gravidanza doveva essere un ranch in New Mexico.

 

Renovatio 21 ha ipotizzato che alla base dell’amicizia tra Bill Gates ed Epstein (una mai del tutto spiegata, che anche oggi imbarazza l’uomo Microsoft) potrebbe esserci stato anche l’eugenetica.

 

Se pensavate che l’eugenetica fosse sparita con Hitler vi sbagliate di grosso: gli stessi oligarchi che, in fine, Hitler lo avevano finanziato, sotto il naso delle sedicenti democrazie l’hanno portata avanti per tutto il XX secolo e ora, nel XXI, si servono di tecnologie informatiche e di intere popolazioni assoggettate.

 

Ci sembra ogni giorno di più che Epstein sia solo la punta dell’iceberg eugenetico delle élite occidentali.

 

Stiamo per vedere l’eugenetica scatenarsi come mai avremmo immaginato. Perché, ricordatelo sempre, fare i bambini con la bioingegneria «sarà come vaccinarli».

 

E, abbiamo capito, vanno vaccinati tutti – ma proprio tutti.

 

 

Roberto Dal Bosco

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Arte

Il giudice stabilisce che la scena di nudo nel «Romeo e Giulietta» di Zeffirelli non è pedopornografia

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Un giudice americano ha archiviato una causa intentata dai due attori del Romeo e Giulietta cinematografico firmato da Franco Zeffirelli nel 1968. I due, oramai anziani, che sostenevano che una scena di nudo che avevano girato durante l’adolescenza costituiva pornografia infantile e che erano stati abusati sessualmente durante le riprese.

 

Il giudice della Corte Superiore Alison Mackenzie si è pronunciata a favore dell’imputato Paramount Pictures (la società che aveva prodotto la pellicola) questa settimana dopo che gli attori Olivia Hussey e Leonard Whiting, che ora hanno entrambi 72 anni, hanno affermato in una dichiarazione legale che una scena in cui erano esposti i seni nudi di Hussey e le natiche di Whiting equivaleva a un abuso infantile.

 

Il giudice Mackenzie ha respinto il reclamo giovedì, affermando che la coppia «non ha presentato alcuna autorità che dimostri che il film qui può essere considerato sufficientemente sessualmente allusivo per una questione di legge da ritenersi definitivamente illegale».

 

 

Hussey e Whiting avevano affermato durante il caso che il regista del film, l’ex senatore di Forza Italia Franco Zeffirelli, aveva inizialmente affermato che la nudità non sarebbe stata richiesta. Ma hanno detto che il defunto Zeffirelli in seguito li ha informati che indossare abiti color carne non sarebbe stato sufficiente e ha insistito sul fatto che gli adolescenti si esibissero nudi.

 

Il film è stato un grande successo al momento della sua uscita ed è stato presentato nei programmi scolastici di diversi Paesi nonostante la breve nudità.

 

«Crediamo fermamente che lo sfruttamento e la sessualizzazione dei minori nell’industria cinematografica debbano essere affrontati e affrontati legalmente per proteggere le persone vulnerabili dai danni e garantire l’applicazione delle leggi esistenti», ha affermato l’avvocato di Hussey e Whiting, Solomon Gresen, dopo il verdetto. Paramount Pictures non ha commentato la sentenza.

 

 

Il figlio del regista, Pippo Zeffirelli, ha detto al quotidiano britannico Guardian all’inizio di quest’anno che la decisione degli attori di intraprendere una causa legale è stata «imbarazzante» e ha sostenuto che non era realistico per loro “svegliarsi per dichiarare di aver subito un abuso che li ha causati anni di ansia e disagio emotivo” circa 55 anni dopo l’uscita del film.

 

Hussey e Whiting intendono presentare nuovamente la causa in tribunale federale, ha detto il loro avvocato.

 

Franco Zeffirelli, all’anagrafe Gian Franco Corsi, è morto a Roma nel 2019, ebbe una carriera internazionale ai vertici del cinema e della regia dell’opera lirica, partito dalla densa collaborazione con il regista milanese Luchino Visconti.

 

Lo Zeffirelli si dichiarava cattolico praticante ed omosessuale.  Durante la sua vita si oppose tuttavia al movimento gay sostenendo un lato «classico» dell’omofilia: «l’omosessuale non è uno che sculetta e si trucca. È la Grecia, è Roma. È una virilità creativa», ebbe a dire in un’intervista del 2009 a Il Giornale.

 

Fu senatore per il partito di Silvio Berlusconi per sette anni, dal 1993 al 2001. Berlusconi, che gli fu sempre amico, gli evitò nel 2001 lo sfratto da Villa Grande, la sua prestigiosa dimora sull’Appia Antica. Dopo la morte del regista, l’imprenditore milanese ha eletto la magione zeffirelliana quale sua residenza romana.

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

Immagine copyright Paramount Pictures, riprodotta in osservanza dell’articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, modificata dalla legge 22 maggio 2004 n. 128, poiché trattasi di «riassunto, […] citazione o […] riproduzione di brani o di parti di opera […]» utilizzati «per uso di critica o di discussione»

 

 

 

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Arte

Macron condanna l’atto vandalico contro un’«opera d’arte» accusata di «promuovere la pedofilia»

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Nelle scorse settimane vi è stata polemica per il presidente francese Emmanuel Macron quando questi aveva condannato il vandalismo di un’opera d’arte accusata di promuovere la pedofilia.

 

«In questo 8 maggio, quando celebriamo la vittoria della libertà, condanno l’atto di vandalismo commesso ieri al Palais de Tokyo, aveva twittato Macron lunedì. «Attaccare un’opera è attaccare i nostri valori. In Francia l’arte è sempre gratuita e il rispetto per la creazione culturale è garantito».

 

Macron non è il solo che si è mosso per difendere l’opera esposta nella prestigiosa galleria della capitale. «È un attacco diretto alla libertà di espressione, che è piuttosto grave», ha aggiunto il ministro della Cultura francese Rima Abdul Malak.

 

 

Domenica 7 maggio Domenica, un anziano vandalo aveva dipinto con lo spray l’opera della pittrice svizzera di origini ebraiche Miriam Cahn all’interno della galleria del Palais de Tokyo a Parigi. Il quadro era intitolato «fuck abstraction».

 

Non mostreremo le immagini. Il lettore è libero di cercarsele da solo su Twitter o in rete dove vuole.

 

Il Times of Israel, che ha seguito l’episodio (la Cahn aveva già fatto parlare di sé quando tolse le sue opere da uno spazio che aveva ospitato «una controversa collezione dell’era nazista») ha scritto che «l’autore dell’attacco con vernice spray, descritto come anziano secondo una fonte vicina al caso, era “scontento della rappresentazione sessuale di un bambino e di un adulto presentata nel dipinto” ma non era affiliato a un gruppo di attivisti».

 

Secondo quanto riportato l’opera raffigura quello che sembra essere un bambino con le mani legate che esegue una fellatio su una figura maschile adulta.

 

L’opera, in mostra da febbraio, era già stata accusata a marzo dall’associazione Juristes pour l’Enfance (Avvocati per i bambini), che ha sostenuto che il dipinto dovrebbe essere rimosso perché «rappresenta la fellatio imposta da un uomo nudo eretto su un bambino legato».

 

L’artista sostiene invece che il quadro rappresenta i crimini di guerra in Ucraina. «Questo dipinto tratta del modo in cui la sessualità viene usata come arma di guerra, come un crimine contro l’umanità», ha affermato la Cahn, nota per opere a tema femministe con «rituali femminili quali il parto o il ciclo mestruale, nonché “violente e scioccanti rappresentazioni degli organi sessuali”», scrive l’enciclopedia online.

 

I Juristes pur l’Enfance avevano intentato una causa per far rimuovere il dipinto , definito «pedopornografico» in un loro comunicato, «sulla base del fatto che la legge francese vieta l’esposizione di rappresentazioni pornografiche di minori», aveva scritto il sito ArtNet.com. Tuttavia, un giudice aveva archiviato la causa alla fine di marzo, e successivamente il ministro della Cultura Malak ha celebrato il fatto che il dipinto che raffigura in modo efficace lo stupro di minori ora possa continuare legalmente ad essere appeso nel museo. «In accordo con l’artista, il Palais de Tokyo continuerà a presentare il dipinto e l’esposizione», ha detto Malak, «con tracce del danno fino alla fine della stagione, il 14 maggio».

 

Come riportato da Renovatio 21, abbiamo esempi di come il vandalismo, in realtà finisca talvolta per aiutare l’artista e la sua mostra: è il caso dello sfregio delle foto pornografiche portate alla Biennale di Venezia 1992 da Jeff Koons, l’artista concettuale già marito della pornostar e deputata magiaro-italiana Ilona Staller detta Cicciolina, che aveva pensato bene di portare alla prestigiosa rassegna lagunare delle gigantografie di sé e sua moglie che copulavano. Qualcuno tagliò la tela, e la pubblicità per l’opera e Koons divenne immensa.

 

Notiamo come sia strana la libertà di espressione nel 2023: a Renovatio 21 censurano perfino la pubblicazione di omelie di vescovi, i social buttano fuori chiunque non sia minimamente allineato con la narrativa dominante, interi complessi industriali (finanziati con milionate) eseguono fact checking per controllare il discorso (e il processo politico) permettendo al contempo la diffusione di immani balle di regime – perfino sui videogiochi, con il programma di passare pure alle app di messagistica privata.

 

Tuttavia, l’oscenità di un quadro con bambini schiavizzati sessualmente da adulti non è possibile toccarla: altrimenti reagisce il presidente della Francia, cioè, come disse Carla Bruni quando ne sposò uno, «un’uomo dalla potenza nucleare».

 

E notiamo anche come gli ecozeloti – quelli ben finanziati da qualche speculatore miliardario – che vandalizzano musei, palazzi storici, fontane antiche, opere d’arte classiche (il Lacoonte in Vaticano, il Van Gogh a Londra, etc.) non incorrano nelle medesime condanne da parte dei vertici degli Stati moderni.

 

La battaglia della Necrocultura, inutile negarlo, è anche, e soprattutto, estetica. Perché si tratta di una guerra del Bene contro il Male. E il Bene è bellezza, mentre il Male è orrore.

 

 

 

 

 

 

Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

 

 

 

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