Cina
Milioni di cinesi di nuovo in lockdown per il COVID-19
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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La megalopoli di Chengdu ha annunciato la chiusura dopo un’ondata di caldo torrido e ripetute interruzioni delle forniture elettriche. Anche a Chongqing e Shenzhen tamponi di massa. Utente web che aveva previsto le restrizioni a inizio settimana è stato arrestato per «aver creato disordini».
Milioni di cinesi sono di nuovo in lockdown per il COVID-19. Le autorità di Chengdu hanno ordinato ai residenti di rimanere in quarantena a casa dal primo settembre: fino al quattro settembre nella capitale del Sichuan saranno effettuati tamponi di massa. Una persona per famiglia può acquistare cibo e beni di prima necessità ogni giorno con un test negativo nelle 24 ore precedenti.
Le misure sanitarie comportano la chiusura della città, che conta oltre 20 milioni di abitanti. Si tratta del più grande lockdown da quello di Shanghai in aprile, quando la megalopoli era stata messa in quarantena integrale per due mesi.
Non è ancora chiaro però se le autorità locali rimuoveranno le restrizioni dopo il quattro settembre. Shanghai aveva prolungato il lockdown più volte perché le autorità non riuscivano a controllare la diffusione del virus. Di fronte alle critiche, i governanti cinesi evitano di parlare di «blocco» negli annunci ufficiali, suggerendo invece alla gente di «rimanere a casa».
Più del 70% dei voli negli aeroporti di Chengdu sono stati cancellati dopo l’annuncio del lockdown. Ieri in Cina si sono avute più di 2mila nuove infezioni: 137 sono a Chengdu.
Negli ultimi giorni l’aumento dei contagi ha fatto preoccupare la popolazione locale. Il 29 agosto un utente web, «Tropical Rainforest», aveva avvertito della possibilità di un blocco; la blogosfera cinese ha condiviso poi il messaggio provocando un ampio afflusso di persone ai supermercati per fare la spesa. La polizia di Chengdu ha messo in stato di fermo il netizen per 15 giorni; l’accusa nei suoi confronti è di aver «causato panico tra i residenti» con il suo post e aver «creato problemi al controllo e alla prevenzione delle epidemie».
Secondo il governo locale, non era necessario fare scorte di cibo e beni di prima necessità.
A Chongqing, un’altra megalopoli della Cina sud-occidentale, oltre 10 milioni di persone sono state costrette a sottoporsi a test con tampone durante la torrida ondata di caldo di fine agosto. Molti residenti si sono messi in fila per i test a mezzanotte per evitare il caldo.
La temperatura nel sud-ovest della Cina ha toccato livelli record quest’estate e Chongqing ha registrato per la prima volta una massima di 45 gradi centigradi.
La lunga ondata di caldo e la siccità che hanno colpito la Cina sudoccidentale hanno causato gravi carenze di energia a causa dei bassi livelli di acqua nelle dighe idroelettriche e dell’uso di condizionatori d’aria.
Le autorità hanno imposto dei limiti all’uso dell’elettricità nelle fabbriche per garantire forniture alle famiglie. Le limitazioni hanno costretto molti stabilimenti a sospendere l’attività nella regione.
A Shenzhen, il polo economico della Cina meridionale, il governo ha intensificato le misure sanitarie a causa del crescente numero di infezioni. Le autorità cittadine hanno chiuso i padiglioni espositivi e cancellato o rinviato diverse mostre e fiere commerciali. Le aziende si sono lamentate di essere state avvisate solo poche ore prima dell’apertura delle fiere, con enormi perdite.
Malgrado il duro impatto sull’economia, il governo cinese non rinuncia alla politica «zero-COVID» voluta da Xi Jinping. Il Politburo, l’organo decisionale supremo del Partito comunista cinese, ha lasciato intendere che l’obiettivo di crescita annuale del 5,5% non potrà essere raggiunto.
La leadership continua però a censurare i discorsi che criticano la linea sanitaria del regime prima del 20° Congresso del Partito.
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Cina
La Cina accusa: la NATO trae profitto dal conflitto in Ucraina
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I Paesi della NATO stanno traendo profitto dal conflitto in Ucraina, ha dichiarato giovedì ai giornalisti il portavoce del ministero della Difesa cinese Zhang Xiaogang.
A Zhang è stato chiesto di commentare la dichiarazione adottata all’inizio di questo mese in un summit della NATO a Washington, che ha etichettato Pechino come «un decisivo facilitatore della guerra della Russia contro l’Ucraina», liquidando il documento come «pieno di bugie e pregiudizi».
«Gli alleati della NATO guidati dagli USA continuano ad alimentare il fuoco e a trarre profitto dalla guerra. La NATO deve riflettere su se stessa, invece di scaricare la colpa sulla Cina», ha detto il Zhang, che ha continuato accusando il blocco atlantico di istigare conflitti in tutto il mondo.
«Dall’Ucraina all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia, ha portato guerra e disastri in queste regioni e nei loro popoli», ha affermato il Zhango, ribadendo che Pechino «promuove attivamente i colloqui di pace» tra Mosca e Kiev.
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Pechino ha ripetutamente respinto le accuse secondo cui sta aiutando Mosca a eludere le sanzioni e sta aiutando l’industria della difesa russa. Nel febbraio 2023, la Cina ha proposto una tabella di marcia in 12 punti per la pace e da allora ha compiuto sforzi per mediare il conflitto durante i successivi incontri con funzionari russi e ucraini.
La Russia ha citato la continua espansione della NATO verso est e la sua cooperazione militare con Kiev come una delle cause profonde del conflitto. Il presidente russo Vladimir Putin ha sottolineato che l’Ucraina deve diventare un paese neutrale e abbandonare il suo piano di entrare nella NATO affinché qualsiasi potenziale negoziato di pace abbia successo.
Il Cremlino ha anche affermato che «inondare» l’Ucraina di armi occidentali porterà solo a un’ulteriore escalation, ma alla fine non fermerà l’esercito russo.
Già poche settimane fa il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Lin Jian aveva ribadito che NATO è una minaccia per la pace e la stabilità globali a causa della sua «radicata mentalità da Guerra Fredda e dei suoi pregiudizi ideologici», affermando che la NATO è un «prodotto della Guerra Fredda e la più grande alleanza militare del mondo».
Nonostante sostenga di essere un’organizzazione regionale e difensiva, il blocco ha continuato a «espandere il suo potere oltre i confini, sfondare le zone di difesa e provocare scontri», aveva quindi aggiunto il Lin in un incontro con la stampa.
Come riportato da Renovatio 21, la NATO per bocca del suo segretario Jens Stoltenberg aveva dichiarato la Cina come il futuro nemico principale dell’Alleanza Atlantica in quanto minaccia alla sua sicurezza e ai suoi valori, qualsiasi cosa queste parole significhino.
La Cina ha ricambiato attaccando apertis verbis la NATO come fonte delle tensioni in Kosovo e mostrando insofferenza per l’inclusione di Giappone e Corea del Sud nella Difesa Cibernetica NATO.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina di recente ha attaccato anche il G7, trasformato, secondo il portavoce degli Esteri cinesi Lin, in uno strumento dell’egemonia globale USA.
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Cina
Pechino dà più autonomia fiscale agli enti locali in piena crisi finanziaria
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Cina
Test di gravidanza obbligatori nelle aziende cinesi
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Più di una dozzina di aziende in Cina sono state citate in giudizio per aver presumibilmente obbligato le candidate a sottoporsi a test di gravidanza, un’azione illegale secondo la legge cinese, ha riferito lunedì il Procuratorate Daily, un organo di informazione ufficiale del Paese.
Secondo il rapporto, la procura distrettuale di Tongzhou a Nantong, nella provincia orientale di Jiangsu, ha avviato un’indagine sulla questione a gennaio, dopo aver ricevuto la segnalazione da un gruppo locale di volontari dell’assistenza pubblica.
Dopo aver esaminato i registri di due importanti ospedali pubblici e di un centro di esami medici, gli investigatori hanno scoperto che 168 donne in cerca di lavoro presso 16 diverse aziende avevano effettuato test di gravidanza come parte dei loro controlli sanitari pre-assunzione. Hanno anche affermato che i registri di reclutamento e assicurazione del personale delle aziende indicavano che alle donne era stato chiesto di effettuare questi test, sebbene nella maggior parte dei casi le richieste non facessero parte dei requisiti ufficialmente documentati, ma fossero fornite verbalmente durante i colloqui di lavoro.
Il motivo addotto dai potenziali datori di lavoro per questa pratica e la loro riluttanza ad assumere donne incinte era l’indennità di maternità eccessivamente elevata che avrebbero dovuto versare dopo che la nuova dipendente avesse iniziato il congedo di maternità.
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L’indagine ha rivelato che almeno una donna che è stata trovata incinta al momento del controllo sanitario non è stata assunta. In seguito all’indagine, i procuratori hanno intentato una causa ufficiale contro le aziende, affermando che la pratica «aveva violato i diritti delle donne alle pari opportunità di lavoro».
Il rapporto non ha nominato nessuna delle aziende citate in giudizio, né ha detto se qualcuna di loro abbia affrontato misure punitive per le proprie azioni. Secondo la legge cinese, le aziende che violano le normative sulla parità di genere possono essere multate fino a 50.000 yuan (6.330 euro circa).
Il rapporto ha tuttavia rilevato che a quattro delle 16 aziende indagate era stato ordinato ufficialmente di rettificare le violazioni, mentre alle tre istituzioni mediche collegate al caso era stato «raccomandato» di rifiutarsi di includere test di gravidanza negli esami sanitari pre-assunzione quando richiesto dai potenziali datori di lavoro.
La donna che non era stata assunta dopo essere risultata positiva alla gravidanza ha poi ottenuto il lavoro e le è stato offerto un compenso.
La legge cinese proibisce ai datori di lavoro di includere test di gravidanza nei controlli fisici pre-assunzione, insieme ad altre forme di discriminazione di genere, come chiedere alle candidate donne informazioni sul loro stato civile o sui piani di avere figli.
Tuttavia, secondo una ricerca condotta lo scorso anno dall’Inspection Squad for Workplace Gender Discrimination watchdog, i candidati uomini hanno ancora un vantaggio sulle donne in alcuni ambiti, compresi i lavori governativi.
La ricerca ha scoperto che su quasi 40.000 lavori nel servizio civile nazionale, 10.981 erano contrassegnati come riservati agli uomini rispetto ai 7.550 riservati alle donne.
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