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Economia

L’«inverno delle criptovalute» è finito?

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La principale criptovaluta del mondo, il Bitcoin, ha il potenziale per raggiungere un record di 100.000 dollari l’anno prossimo, secondo le previsioni di Standard Chartered lunedì, affermando che il cosiddetto «inverno delle criptovalute» è finito.

 

Secondo il rapporto del colosso bancario britannico, citato dai media, la recente crisi del settore bancario ha parzialmente contribuito a «ristabilire l’uso di Bitcoin come risorsa digitale scarsa decentralizzata».

 

«L’attuale stress nel settore bancario tradizionale è altamente favorevole alla sovraperformance di BTC», ha scritto l’analista di Standard Chartered Geoff Kendrick nella nota, che è stata vista da CNBC.

 

«Dati questi vantaggi, riteniamo che la quota di BTC della capitalizzazione di mercato totale degli asset digitali potrebbe spostarsi nel range del 50-60% nei prossimi mesi (da circa il 45% attuale)», ha affermato, aggiungendo: «Mentre permangono fonti di incertezza, pensiamo che il percorso verso il livello di 100.000 dollari americani stia diventando più chiaro».

 

Dopo il recente sconvolgimento del mercato azionario causato dalla crisi bancaria statunitense, alcuni analisti hanno suggerito che Bitcoin potrebbe acquisire un crescente appeal come «rifugio sicuro» per gli investitori.

 

Il prezzo del bitcoin è salito del 65% finora quest’anno, superando i 30.000 dollari ad aprile per la prima volta in dieci mesi. I guadagni hanno seguito un crollo del 65% nel 2022, quando quasi 1,4 trilioni di dollari sono stati spazzati via dal mercato delle criptovalute a causa dei fallimenti nel settore.

 

Il principale exchange di criptovalute FTX e la piattaforma di pagamento blockchain Terra si sono bloccati, provocando un crescente controllo normativo sulle risorse digitali.

 

La drammatica svendita ha poi suscitato preoccupazioni per un cosiddetto «inverno delle criptovalute», che ricorda il grande crollo delle criptovalute del 2018. Allora, dopo un boom senza precedenti, Bitcoin era crollato di oltre l’80% a un minimo di 3.100 dollari e non ha raggiungere un nuovo massimo fino a dicembre 2020.

 

Il cosiddetto «grande crollo delle criptovalute» è stato peggiore del crollo del 78% della bolla Dotcom nel marzo 2000.

 

Come scrive RT, gli economisti sono stati divisi nelle loro previsioni sul futuro della criptovaluta, con un analista di Citi che ha suggerito nel novembre 2020 che il Bitcoin potrebbe salire fino a 318.000 dollari entro la fine del 2022. Altri, come il cripto-scettico Peter Schiff, hanno avvertito che non esiste valore in criptovalute e gli investitori dovrebbero vendere le loro risorse digitali prima che diventino inutili.

 

Lo scorso martedì, Bitcoin veniva scambiato a 27.423 dollari, in calo dello 0,1%.

 

Come riportato da Renovatio 21, il governo degli Stati Uniti ha iniziato a liquidare circa 51.352 bitcoin sequestrati nel caso di Ross Ulbricht, il padrone del famoso marketplace del Dark Web Silk Road, chiuso con il suo arresto oramai una diecina di anni fa.

 

Qualche mese fa è stata avanzata tuttavia la teoria che il governo USA possa aver comprato una grande quantità di bitcoin lo scorso gennaio quando, per la prima volta dopo l’11 settembre, l’intero traffico aereo fu sospeso: stessa cosa accaduta settimane prima nelle Filippine e poi in Canada. Per alcuni si sarebbe potuto trattare di un attacco cibernetico ransomware, per il quale – come avviene altrove – è stato pagato il riscatto richiesto in Bitcoin. Di fatto, in quelle ore, il prezzo del bitcoin era salito di molto.

 

Come riportato da Renovatio 21, non è impossibile tuttavia che le criptovalute saranno messe in breve al bando – da leggi, o ulteriori scandali e arresti – per lasciare il posto alle CBDC, cioè ai «bitcoin di Stato» che verranno a breve implementati praticamente in ogni Paese del mondo, con l’assoggettamento dell’economia ad un unica piattaforma elettronica controllata dall’alto.

 

L’arrivo delle valute digitali non mette a rischio solo il Bitcoin ma anche le banche, che potrebbero divenire obsolete, essere disrupted, disintermendiate. Il crollo delle banche in AmericaSvizzera e Germania di questi giorni potrebbe essere l’ouverture di quello che potrebbe avvenire ovunque.

 

Peter Thiel, geniale investitore dietro a PayPal, Facebook e tanti altri investimenti di estremo successo, è uscito dal Bitcoin poco prima dell’ultimo crash. Non è chiaro se i suoi fondi siano tornati ad investirci.

 

 

 

 

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Cina

La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale

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Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.

 

Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.

 

Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.

 

«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».

 

Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.

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Economia

Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros

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Netflix avrebbe raggiunto un accordo per acquisire Warner Bros., inclusi i suoi studi cinematografici e televisivi, HBO e HBO Max, attraverso una transazione mista in contanti e azioni che valuta Warner Bros. Discovery a un valore aziendale di 82,7 miliardi di dollari (valore azionario di 72 miliardi di dollari), pari a 27,75 dollari per azione.   L’intesa dovrebbe essere finalizzata nel terzo trimestre del 2026, dopo lo scorporo programmato da parte di WBD della sua divisione Global Networks in una società quotata autonoma («Discovery Global»). Questa operazione giunge a pochi mesi dalla proposta avanzata da Paramount-Skydance per rilevare WBD.   L’accordo tra Netflix e WBD fonderà la piattaforma di streaming con un catalogo secolare e con franchise iconici come i supereroi della DC Comics, Harry Potter, Game of Thrones, I Soprano e The Big Bang Theory.

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In una nota ufficiale, Netflix ha dichiarato che l’operazione espanderà la sua library di contenuti, potenzierà le capacità produttive e favorirà una crescita sostenibile nel lungo periodo: «fornendo agli utenti una gamma più vasta di serie e film di alto livello, Netflix si attende di conquistare e trattenere un maggior numero di abbonati, incrementare l’engagement e generare entrate e profitti operativi aggiuntivi. L’azienda prevede inoltre di conseguire risparmi sui costi per almeno 2-3 miliardi di dollari annui entro il terzo anno e che la fusione avrà un effetto positivo sull’utile per azione GAAP già a partire dal secondo anno».   Secondo i termini dell’accordo, ogni azione WBD sarà convertita in 23,25 dollari in contanti più 4,50 dollari in azioni Netflix. I board di entrambe le società hanno approvato l’operazione all’unanimità.   La chiusura è attesa tra 12 e 18 mesi, subordinata all’esame regolatorio e all’ok degli azionisti di WBD. All’inizio dell’anno, Netflix ha superato le controfferte, tra cui quelle di Paramount-Skydance e Comcast.   Bloomberg ha rilevato che Hollywood non accoglie con entusiasmo questo nuovo connubio tra Netflix e WBD.   Warner Bros. Discovery ha avviato negoziati esclusivi per cedere i suoi studi cinematografici e televisivi insieme a HBO Max a Netflix, stando a fonti interne alla major – un’indicazione che il colosso dello streaming ha avuto la meglio su Paramount-Skydance e Comcast. Un’intesa del genere ridisegnerebbe il settore dell’intrattenimento e rappresenterebbe un turning point strategico per Netflix, già leader per capitalizzazione a Hollywood. Paramount ha bollato il processo di cessione come «contaminato», mentre l’attrice Jane Fonda, due volte premio Oscar, ha descritto il suo potenziale effetto sull’industria con un aggettivo più severo: «catastrofico».

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Nata come servizio di noleggio DVD via posta, Netflix ha prima annientato la catena Blockbuster e ora sta replicando il colpo con Hollywood, snobbando in larga misura le uscite cinematografiche in sala. L’accordo catapulterebbe Netflix al rango di superpotenza negli studi hollywoodiani. Tuttavia, il tutto resta appeso all’approvazione dei regolatori, con il repubblicano californiano Darrell Issa che ha già espresso opposizione a qualsivoglia acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix.   L’industria cinematografica è minacciata dall’avvento dell’IA, che potrebbe presto consentire a chiunque di produrre contenuti di livello cinematografico in un click, disintegrando un’intera filiera di lavoratori che vanno dagli attori ai cineoperatori, agli addetti al casting, agli elettricisti, registi, etc.   Si spiega così la corsa di Netflix verso le IP, cioè le proprietà intellettuali: avere un personaggio conosciuto e diffuso come, ad esempio Harry Potter, anche nell’era del cinema generato dall’AI potrebbe avere un valore strategico ed economico.

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Immagine di Fourbyfourblazer via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
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Economia

L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo

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Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.

 

A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.

 

Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.

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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.

 

Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.

 

Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.

 

Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».

 

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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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