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L’Intelligenza Artificiale rifà la voce di Darth Vader. L’attore umano è d’accordo
James Earl Jones, l’attore che diede l’indimenticabile voce baritonale al personaggio di Darth Vader, sta lavorando con una società ucraina per ricreare artificialmente la sua voce tramite Intelligenza Artificiale. Lo riporta Vanity Fair.
Jones avrebbe lavorato con Respeecher, questo il nome della società, per ricreare via Intelligenza Artificiale il suo timbro vocale già per la recente serie Disney Obi-Wan Kenobi. Si tratterebbe tuttavia della seconda volta che gli ucraini collaborano con la Lucasfilm, produttore diretto degli audiovisivi legati alla saga di Guerre Stellari.
Usando brani d’archivio, Respeecher, che nell’articolo è celebrata per il suo essere ucraino e per il subire le sirene antiaeree a Kiev, ha «clonato» sia la voce di Jones per Obi-Wan Kenobi che la versione più giovane del primo Luke Skywalker interpretato da Mark Hamill per le serie The Mandalorian e The Book of Boba Fett, scrive la rivista statunitense.
La voce di Darth Vader (chiamato per qualche ragione nelle prime versioni italiane «Lord Fener»), intervallata dal caratteristico respiro macchinale, è qualcosa di iconico, che ha ispirato infinite imitazioni e satire: in particolare vogliamo segnalare la segreteria telefonica di un amico trentino, che ci impressionava molto 20 anni fa.
Il personaggio di Darth Vader era in realtà interpretato dall’altissimo culturista britannico David Prowse (1935-2020), già noto per aver partecipato ad Arancia Meccanica di Stanley Kubrick (è il guardaspalle del borghese intellettuale menomato dai drughi) e a film del re del film erotico mammario Russ Meyer. Il Prowse non aveva però un timbro ed un accento particolarmente adatta al personaggio, tanto che sul set qualcuno lo chiamava «Darth Farmer» («Darth contadino»).
A insaputa del Prowse, in post-produzione il regista di Guerre Stellari George Lucas doppiò Vader con la voce di James Earl Jones, attore di colore noto per i suoi occhi chiari, attore in capolavori di Francis Ford Coppola (I giardini di pietra), di John Milius (Conan il barbaro: dove, da attore afroamericano, riesce a interpretare perfettamente un crudele re nordico!), John McTiernan (Caccia a Ottobre Rosso) e dello stesso Kubrick (Il dottor Stranamore).
Per i primi due episodi della saga non volle che il suo nome comparisse. Al terzo capì che era il caso. Il resto è leggenda.
È ovvio che la domanda che ci poniamo tutti è che cosa i robot e l’Intelligenza Artificiale non potranno sostituire: lavoratori di fast food, soldati, artisti, piloti da caccia.
Ora l’AI si prende pure Darth Vader: che, ricordiamolo, era in parte rimasto umano, al punto che proprio la sua umanità, infine, permette con il suo sacrifizio di salvare la galassia, come da profezia del prescelto della Forza.
Immagine di melatonin zero via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
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Attrici giapponesi che si vestono da uomini bullizzano collega fino a spingerla al suicidio
Dal Giappone arriva l’eco di un episodio di bullismo e violenza sistematica sfociati in un suicidio all’interno di una struttura esclusivamente femminile. Una sorta di suicidio femminicida, ma ad opera di femmine.
Teatro della vicenda è per il corpo teatrale Takarazuka, un’istituzione più che secolare nel mondo dello spettacolo giapponese. Il concetto alla base del corpo teatrale è che sono soltanto attrici a salire in scena, interpretando anche i ruoli maschili. Tale idea, di per sé spiazzante, inverte completamente la tradizione del teatro tradizionale Kabuki, dove sono gli attori maschi a ricoprire tutti i ruoli.
Gli spettacoli del Takarazuka sono tuttavia distanti anni luce dal rigido formalismo del Kabuki: qui si tratta di musical che attingono dalle fonti più disparate, da West Side Story all’Evgenij Onegin, spesso spingendo a tavoletta su elementi che qualche anno fa si definivano camp o kitsch, in italiano lo si potrebbe semplicemente chiamare «pacchianeria», benché estremamente professionale e ben fatta.
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Il seguito che hanno questi spettacoli nel contesto nipponico è impressionante, ancora di più perché per la grandissima maggioranza femminile: lo scrivente ricorda di essersi imbattuto in una lunghissima coda in attesa di entrare nel teatro di Tokyo – in zona centralissima, vicino al palazzo imperiale – dove si esibisce la compagnia. Si poteva constatare che gli uomini tra la folla erano appena una manciata.
Un ambiente quindi quasi completamente femminile, al sicuro da patriarcato e maschilismo tossico.
E allora, come si spiegano allora vessazioni di gruppo, ustioni procurate con le piastre per i capelli, carichi di lavoro insostenibili assegnati al solo scopo di umiliare e di lasciare soltanto tre ore di sonno al giorno? È questa l’ordalia che ha portato la 25enne Aria Kii a gettarsi nel vuoto per porre fine alla sua vita nel settembre del 2023.
La vicenda era stata prontamente insabbiata dall’azienda che gestisce la compagnia teatrale ma è stata riportata a galla dall’ineffabile Shuukan Bunshun, testata con una lunga e gloriosa tradizione di caccia agli scheletri negli armadi. Nella primavera di quest’anno i dirigenti dell’azienda in questione hanno pubblicamente ammesso la loro responsabilità nel non essere stati in grado di vigilare adeguatamente l’ambiente lavorativo delle attrici.
Duole dire che per la società giapponese uno scenario così è tutto fuorché inconsueto: il proverbio «il chiodo che sporge verrà martellato» illustra ancora con una certa fedeltà le dinamiche sociali che si formano all’interno delle istituzioni giapponesi – siano esse scuole, aziende, partiti.
Negli ultimi tempi c’è un evidente cambiamento in atto soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro, ma il bullismo allo scopo di creare coesione all’interno di un gruppo è una pratica a cui i giapponesi ricorrono abitualmente e che non sembra soffrire di particolare disapprovazione sociale.
Dal Giappone ci chiediamo con sincerità come un giornalista italiano – di area woke, ma anche solo attento a seguire i dettami del politicamente corretto elargiti ai corsi di deontologia dell’Ordine – potrebbe riportare la notizia della triste morte di Aria, con lo stuolo di angherie subite in un contesto esclusivamente femminile.
Taro Negishi
Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo
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Lucerna annulla il concerto della Netrebko, Berlino la invita a cantare
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La nona di Beethoven trasformata nel canto banderista «Slava Ukraini»
La direttrice Keri-Lynn Wilson, moglie del direttore generale del Metropolitan Opera di Nuova York Peter Gelb, ha annunciato che la sua «Ukrainian Freedom Orchestra» eseguirà la famosa nona sinfonia di Beethoven, quella ispirata all’ode Inno alla gioia (An die Freude) del drammaturgo tedesco Friedrich Schiller. Lo riporta EIRN.
Tuttavia, secondo quanto si apprende, la Wilson starebbe sostituendo la parola «Freude» nel testo con «Slava». «Slava ukraini» o «Gloria all’Ucraina» era il famigerato canto delle coorti ucraine di Hitler guidate dal collaborazionista Stepan Bandera durante la Seconda Guerra Mondiale. Da allora è stato conservato come canto di segnalazione dalle successive generazioni di seguaci di Bandera, i cosiddetti «nazionalisti integrali», chiamati più semplicemente da alcuni neonazisti ucraini o ucronazisti.
A causa di quanto accaduto nella prima metà del secolo, in Germania non si può cantare «Heil!» in tedesco senza invocare «Heil Hitler!», né si può dichiarare ad alta voce «Slava!» in Ucraina senza invocare lo «Slava Ukraini» canto dei sanguinari collaboratori locali del Terzo Reich, in particolare il Bandera.
La Wilson, che si vanta delle sue origini ucraine via nonna materna e della sua comunità ucraina di Winnipeg, Canada (Paese, come è emerso scandalosamente con il caso Trudeau-Zelens’kyj, pieno di rifugiati ucronazisti), ha rilasciato ieri il suo comunicato stampa.
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«La decisione di cantare il grande testo di Schiller per la Nona Sinfonia di Beethoven in ucraino è stata per noi un’importante dichiarazione artistica e culturale più ampia» ha dichiarato il direttore. «Putin sta letteralmente cercando di mettere a tacere una nazione. Non saremo messi a tacere. Il nostro unico emendamento a Schiller è che invece di cantare “Freude” (Gioia) canteremo “Slava” (Gloria), dal grido della resistenza ucraina di fronte alla spietata aggressione russa, Slava Ukraini! (Gloria all’Ucraina!)».
Notiamo l’interessante inversione in corso presso la sinistra e l’establishment: la «resistenza», oggi, la fanno i nazisti…
«Mentre l’Ucraina continua la sua lotta a nome del mondo libero, ha bisogno più che mai del nostro sostegno e porteremo con orgoglio il nostro messaggio in tutta Europa e negli Stati Uniti» ha continuato la Wilsona, che ha eseguito per la prima volta la sua versione banderizzata di Beethoven il 9 nel dicembre 2022 a Leopoli con la sua Ukraine Freedom Orchestra.
Nel 2023, l’importante casa discografica della classica Deutsche Grammophon ha registrato l’esecuzione del suo primo tour europeo a Varsavia, e quest’anno vi sarà la pubblicazione, proprio nel bicentenario dell’opera di Beethoven. Vi sarà quindi una tournée quest’estate che toccherà Parigi, Varsavia, Londra, Nuova York e Washington.
Secondo quanto riporta EIRN, «si dice inoltre che il prossimo progetto della Wilson coinvolga la sostituzione della parola “agape”» (cioè, in greco, amore disinteressato, infinito, universale), termine contenuto nella lettera di San Paolo ai Corinzi (capitolo 13), «con «agon» o «eris» (cioè, contesa, lotta, conflitto)».
Se fosse vero, sarebbe un altro tassello del quadro che si sta dipanando dinanzi ai nostri occhi. Dalla gioia alla guerra. Da Cristo a Nietzsche.
Va così, perfino nella musica classica.
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