Pensiero
L’educazione sessuale come «educastrazione»
La notizia la leggiamo sepolta dentro un’intervista del quotidiano La Verità al presidente della Società Psicoanalitica Italiana, cioè al capo dei seguaci di Freud – autore divenuto, nell’era del gender, lettura mostruosamente proibita. Parlando della follia dei bloccanti alla pubertà inflitti ai bambini – la famosa triptorelina offerta gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale – Sarantis Thanopulous sgancia en passant un dato clamoroso:
«La sessualità è seriamente repressa. È usata come dispositivo eccitante e antidepressivo o come calmante, ma sotto lo spettacolo in superficie si diffonde l’astensione dalla profondità del coinvolgimento erotico profondo» commenta. «Tra il 1991 e il 2021 la percentuale degli adolescenti americani che durante le High School hanno fatto l’amore almeno una volta è scesa dal 60%al 30% (dati ufficiali del governo americano)».
Fermi tutti. Cosa ci dice Thanopulous? Che i giovani figli della società laica americana, dove pure si è creata una vaga antropologia della perdita della verginità legata al ballo di fine anno del liceo, non si accoppiano più?
La questione è gigantesca, e riguarda, in verità, tutto l’Occidente moderno: in un mondo dove il sesso è stato detabuizzato, dove le oscenità e le perversioni vanno a finire persino in TV, in radio, a Sanremo, dove la pornografia è destigmatizzata e ubiqua, dove le pornostar diventano modelli di vita, la gente copula di meno?
E ancora: adesso che la cosiddetta «educazione sessuale» viene imposta nelle scuole fin dalla più tenera infanzia, per rendere tutto esplicito, visibile in ogni dettaglio, accessibile sempre, e così demolire a forza l’innato senso del pudore, davvero i ragazzi fanno l’amore meno di quelli che erano cresciuti nel rigoroso silenzio del sesso, con i gettoni telefonici in tasca al posto degli smartphone?
Pare, secondo la statistica, che sia davvero così: il sesso liberato genera meno sesso. È una clamorosa eterogenesi dei fini, in apparenza. In realtà, non lo è affatto.
Tutto questo non nasce dal nulla. È un preciso un impegno istituzionale, continuo e radicatissimo, quello di spingere i giovani alla conoscenza di tutto ciò che riguarda il sesso, magari terminologicamente edulcorando il tema con ritocchi cosmetici orwelliani, come accade con l’etichetta tanto carina dell’«affettività».
Accade ovunque. Prendiamo l’esempio di un prestigioso liceo italiano, dove in tutte le classi nel corrente anno scolastico viene avviato il progetto di Educazione all’affettività e alla sessualità «approvato dal Collegio dei Docenti e realizzato in collaborazione e con il finanziamento del Comitato Genitori».
Si parte dalla lezione su «Emozioni e sentimenti: riconoscere, vivere e raccontare il mio sentire: riconoscere le emozioni e riconoscerle nel corpo», per arrivare presto a quella su «Anatomia sessuale: piacere, strutture biologiche esterne ed interne: la mia rappresentazione dei genitali», nella quale bisogna «creare un clima di condivisione e di confronto, anche in assenza dell’esperto, affrontare l’imbarazzo e conoscere e ri-conoscere le strutture anatomiche dei genitali esterni ed interni adibite al piacere e alla salute sessuale». Per familiarizzare col tema «ognuno disegna i genitali esterni maschili e femminili. Si disegnano insieme alla lavagna, analizzando l’anatomia genitale insieme, confrontandosi e lasciando spazio di espressione e dialogo ai ragazzi».
Non è impossibile pensare che tali discorsi anatomici possano causare, nei maschietti, tracolli di testosterone se non disfunzioni erettili conclamate.
Consapevoli del disagio che possiamo causare al lettore con la seguente citazione (della citazione), dopo averci pensato a lungo, ci sentiamo tuttavia di riportare un brano del Di[zion]ario erotico, bizzarro libro uscito lustri fa, del giornalista e scrittore Massimo Fini, perché rappresenta perfettamente ciò che potrebbe toccare ai giovani studenti. Si tratta di una lunga descrizione tecnica, tratta dall’Espresso, delle dinamiche biomeccaniche e biochimiche che investono l’organo maschile sottoposto a stimolo erotico: «”Lungo è il cammino che porta lo stimolo sessuale dall’ipotalamo (la zona del cervello dove ha sede l’eros) al muscolo liscio del pene causandone il rilassamento e il conseguente riempimento di sangue delle arterie che lo irrorano (l’erezione). A portare il messaggio al pene sono i trasmettitori che viaggiano lungo il midollo spinale fino ai nervi periferici situati nel pene. Qui, prima dell’arrivo del messaggio erotico, la situazione è tranquilla: il muscolo del pene è teso e arterie e vene fanno scorrere il sangue liberamente. Ma quando il neurotrasmettitore arriva col suo messaggio di eccitazione, le migliaia di caverne che formano il muscolo si rilassano, le spugne del tessuto si gonfiano di sangue, le arterie si dilatano e irrigano i corpi cavernosi e le vene bloccano il riflusso sanguigno mantenendo l’erezione. Uno dei messaggeri chimici che il cervello invia al pene è l’ossido di azoto che viene trasportato nell’organo genitale da un enzima, il GmpC. È questo enzima che induce l’erezione e, dopo l’orgasmo, viene distrutto da un’altra molecola, il Pde5, che ha il compito di ripristinare la quiete” (L’Espresso, 17 giugno 1999)».
L’autore quindi commenta: «È chiaro che dopo questa lettura terrorizzante uno il cazzo non se lo ritrova più, tanto è diventato piccolo, ci vuole la pila».
«La modernità – leggiamo ancora nel libretto finiano –, con la sua pretesa di illuminare tutto, spiegare tutto, smontare tutto, vivisezionare tutto, destrutturare tutto, ha tolto anche al sesso il mistero e quindi l’incanto. Il sesso vuole zone d’ombra, passaggi sconosciuti e mente sgombra da troppe elucubrazioni. “Il cazzo non vuole pensieri” dicono saggiamente i napoletani». Ancora: «il corpo funziona in base a certi automatismi di cui quello sessuale è uno dei più delicati. Per molte cose l’ignoranza è meglio della conoscenza. Se io mi metto a pensare intensamente al meccanismo che mi fa camminare mi paralizzo».
Torniamo ai programmi di «affettività» del prestigioso liceo. Un ulteriore incontro si intitola «Valori e norme interpersonali contrastanti in famiglia e nella società: il corpo delle donne» si tratterà di «potenziamento del pensiero critico, della libertà di scelta; legittimare la libertà di scelta e di pensiero. Identificare stereotipi e pregiudizi di genere». Possiamo immaginare di cosa si tratti questo fervore a favore della «scelta» (ci basta tradurre in inglese: pro-choice), ed è interessante che si tirino fuori, così, esplicitamente, gli eventuali contrasti tra quanto si respira in famiglia e l’aria che tira nella società.
Non accade solo dei licei. Anche le scuole inferiori sono oramai zeppe di pratiche di riprogrammazione psicosessuale dei bambini.
Raccogliamo storie da una chat di genitori sempre più sconvolti.
«Il mio l’ha fatto in terza media. Solo il primo incontro poi l’ho tenuto a casa. Ha portato a casa dei disegni che a momenti vomitavo io. Passando oltre ai soliti genitali descritti con minuzia, addirittura una partoriente con bimbo mezzo fuori in veduta frontale. Vi lascio il tempo di visualizzare e vomitare» dice una madre disgustata. «Ditemi a cosa serve in terza media sapere esplicitamente come nasce un bambino. L’avessi visto io alla sua età manco avrei fatto figli». La signora, forse inconsapevolmente, centra alla perfezione il discorso.
L’educazione sessuale, alla pari della cosiddetta «rivoluzione sessuale» (e la sua musica: l’espressione Rock and Roll è di fatto un riferimento osceno al sesso prematrimoniale che i giovani praticavano in auto, magari nei drive in), è stata concepita come strumento di controllo sociale, o meglio, come strumento e sterilizzazione delle masse.
Solo apparentemente si tratta di qualcosa di controintuitivo: più il sesso è libero e disinibito, più diventa centrale nella vita dell’individuo (al punto da generare minoranze), più ne sono ossessivamente esplorati, indagati, esaminati i meccanismi, meno è gioioso e fecondo. Semplicemente viene abbattuto il suo slancio vitale.
La «rivoluzione sessuale» del resto viene introdotta, casualmente, proprio quando compaiono sul mercato ormoni steroidei in grado di sterilizzare la donna (la pillola, dei cui allucinanti effetti collaterali si parla solo ora) e mentre spuntano leggi che, nei vari ordinamenti, permettono di sbarazzarsi degli effetti indesiderati della sessualizzazione precoce e totale, ovvero con la legalizzazione dell’aborto.
Più sesso, meno popolazione. Una contraddizione solo apparente. Ora i dati raccontano che si è andati ben oltre: più educazione sessuale, più pornografia, meno sesso.
Con ciò certamente il padrone del vapore vuole degradarci e umiliarci, e il sesso disordinato è una tecnica sublime per farlo. Ma non è questa la cosa che gli importa di più. Vuole, soprattutto, la diminuzione della popolazione sulla terra. E ci sta riuscendo. Sessualità, omosessualità, transessualità, polisessualità, sono tutti strumenti per contrarre le nascite.
A rivoluzione sessuale (anzi omotransessuale) pienamente compiuta, ci tocca usare una parola coniata da Mario Mieli, tratta da un suo famigeratissimo passo – che non ripeteremo – contenuto nel suo libro-manifesto Elementi di critica omosessuale: «educastrazione». E tocca persino ringraziare per lo spunto. Grazie, Mario!
È un fatto. L’educazione sessuale è precisamente questo: educastrazione. L’educazione sessuale è di fatto un anticoncezionale. Un modo per allontanare l’essere umano non solo dalla riproduzione, ma perfino dal sesso in generale. Un sistema di controllo biologico fatto per interrompere la vita con i suoi processi.
Del resto, nella follia dei cambi di sesso promossa presso i giovani, le castrazioni sono materialmente una pratica centrale. Gli educastrati, imbottiti di ormoni sintetici e mutilati delle parti intime (quelle mostrate loro con perizia alla lavagna) non faranno figli. Ma ne faranno meno anche quelli che semplicemente si sono sciroppati a scuola anni di letteratura biomedica sul membro, con gli effetti anatomo-patologici di cui parlava più su il Fini.
Il progetto è tutto qua ed è chiarissimo. Chi combatte la vita vuole riportarvi all’inorganico – quindi non solo darvi la morte, ma evitarvi la riproduzione.
Se per realizzarlo devono distruggere i magici tremori dell’adolescenza – viva la mononucleosi! – di milioni di esseri umani, pazienza: l’hanno già fatto chiudendoli in camera per due anni in compagnia di un schermo elettronico.
Ora si tratta di capitalizzare il disagio prodotto e di ingranare un cambio di marcia, e accelerare sull’autostrada diretta verso un inferno dove la tangenziale della fornicazione corre il rischio di restare deserta, o chiusa per sempre.
RDB
EF
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Pensiero
Trump e la potenza del tacchino espiatorio
🦃 America’s annual tradition of the Presidential Turkey Pardon is ALMOST HERE!
THROWBACK to some of the most legendary presidential turkeys in POTUS & @FLOTUS history before the big moment this year. 🎬🔥 pic.twitter.com/QT2Oal12ax — The White House (@WhiteHouse) November 24, 2025
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Civiltà
Da Pico all’Intelligenza Artificiale. Noi modernissimi e la nostra «potenza» tecnica
Se Pico della Mirandola fosse vissuto nel nostro secolo felice, non avrebbe avuto di certo le grane che gli procurò la Chiesa del suo tempo.
Avrebbe potuto discutere tranquillamente le sue 900 tesi, tutte più o meno volte a dimostrare la grandezza dello spirito e dell’ingegno umano. Soprattutto avrebbe venduto in ogni filiale Mondadori milioni di copie del proprio best seller sulla superiorità dell’uomo e della sua creatività benefica, ben rappresentata in Sistina dall’ eloquente immagine delle mani di un possente Adamo e del suo creatore, che si sfiorano e dove, in effetti, non si sa bene quale sia quella dell’ essere più potente.
Insomma Pico non avrebbe dovuto darsela a gambe nottetempo da Roma per finire prematuramente i propri giorni nelle terre avite, raggiunto da una febbre malsana di origine sconosciuta, manco gli fosse stato iniettato a tradimento un vaccino anti-COVID. Eppure era stato frainteso, o a Roma si era temuto che potesse essere frainteso dai suoi contemporanei e dai posteri. Che avrebbero potuto interpretare quella sbandierata superiorità dell’uomo come una divinizzazione capace di escludere la sua condizione di creatura.
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Ma oggi proprio così fraintesa, quella affermata superiorità dell’uomo faber serve ad alimentare la accettazione compiaciuta di qualunque gabbia tecnologica in cui ci si consegna per essere tenuti volontariamente in ostaggio. Sullo sfondo, l’ambizione tutta moderna ad essere liberati dalla condizione involontaria di creature, e dall’inconveniente di una fatale finitezza. Non per nulla la prima cosa di cui si incarica la scuola è quella di rassicurare i bambini circa la loro consolante discendenza dalle scimmie.
Ed è con questa superiorità che hanno a che fare le meraviglie abbaglianti della tecnica.
Dopo la navigazione di bolina e la scoperta dell’America, dopo il telaio meccanico e la ghigliottina, l’idea della onnipotenza umana ha trovato conferma definitiva in quella che a suo tempo è apparsa la conquista più ingegnosa della tecnica moderna: la capacità di uccidere il maggior numero di individui nel minor tempo possibile. Gaetano Filangeri annotava infatti già alla fine del Settecento come fosse proprio questo il massimo motivo di compiacimento che emergeva dai discorsi di tutti i politici incontrati in Europa.
Di qui, di meraviglia in meraviglia, si è capito che non solo si possono fare miracoli, prescindendo dalla natura, ma che è possibile un’altra natura, prodotta dall’uomo creatore. E se Dio il settimo giorno riconobbe che quanto aveva creato era anche buono, non si vede perché non lo debba pensare anche l’evoluto tecnico, o il legislatore o il giudice che si scopra signore della vita e della morte.
Sia che crei la pecora Dolly, o inventi il figlio della «madre intenzionale», o renda una coppia di maschi miracolosamente fertile, oppure stabilisca chi e come debba essere soppresso perché inutile o semplicemente desideroso di morire per mano altrui.
O, ancora, applichi a scatola chiusa quel criterio della morte cerebrale che serve a dare qualcuno per morto anche se è vivo. Una trovata perfetta capace di salvare capra e cavoli: perché mentre soddisfa la sacrosanta aspirazione del cliente ad ottenere un pezzo di ricambio per il proprio organo in disuso, appone sull’operazione il sigillo altrettanto sacrosanto della scientificità, che tranquillizza tutti e preserva dalle patrie galere.
Con la tecnica si manipolano le cose ma anche i linguaggi e quindi le coscienze. Si può mettere pubblicamente a tema se sterminare una popolazione inerme etnicamente individuata seppellendola sotto le sue case, costituisca o meno genocidio. Con la logica conseguenza che, se la risposta fosse negativa, la cosa dovrebbe essere considerata politicamente corretta mentre l’eventuale giudizio morale può essere lasciato tranquillamente sui gusti personali.
Tuttavia senza l’approdo ultimo alla cosiddetta «Intelligenza Artificiale», tutte le meraviglie del nostro tempo non avrebbero potuto elevare il moderno creatore tecnologico alla odierna apoteosi, molto vicina a quella con cui i romani presero a divinizzare i loro imperatori, senza andare troppo per il sottile.
Anzi, dopo più di un secolo di riflessione filosofica, di scrupoli, timori, ansie e visioni apocalittiche, di pessimismo sistematico e speranze di redenzione, di fughe in avanti e pentimenti inconsolabili come quello di chi dopo avere donato al mondo la bomba atomica ne aveva verificato meravigliato gli effetti, dopo tanta fatica di pensiero, le acque sembrano tornate improvvisamente tranquille proprio attorno all’oasi felice della cosiddetta «Intelligenza Artificiale».
Ogni dubbio antico e nuovo su dominio della tecnica ed emancipazione umana potere e libertà, civiltà e barbarie, sembra essersi dissolto in un compiacimento che non risparmia pensatori pubblici e privati, di qualunque fascia accademica, e di qualunque canale televisivo. Anche l’antico monito di Prometeo che diceva di avere dato agli uomini «le false speranze» ha perso di significato, di fronte a questo nuovissimo miracolo che entusiasma quanti, quasi inebriati, toccano con mano i vantaggi di questa nuova manna. Mentre le più ovvie distinzioni da fare e la riflessione doverosa sui problemi capitali di fondo che il fenomeno pone, sembrano sparire da ogni orizzonte speculativo.
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Dunque si può tornare a dire «In principio fu la meraviglia» ovvero lo stupore e il timore reverenziale di fronte alla potenze soverchianti della natura che portarono il primo uomo a venerare il sole e la madre terra e a riconoscere una volontà superiore davanti alla quale occorreva prostrasi. Eppure allora iniziò anche qualche non insignificante riflessione sull’essere umano e sul suo destino.
Oggi lo stupore induce al riconoscimento ottimistico di una nuova forza creatrice tutta umana e quindi controllabile e allo affidamento alle sorti progressive che comunque si ritengono assicurate.
Incanta il miracolo nuovo che eliminando la fatica di fare e pensare induce compiacimento e fiducia. Il discorso attorno a questo miracolo non ha alcuna pretesa filosofica perché assorbito dalla meraviglia si blocca sulla categoria dell’utile. La prepotenza della funzione utilitaristica assorbe la riflessione critica. Non ci si preoccupa perché la tecnica «non pensa» come vedeva Heidegger alludendo alla indifferenza dei suoi creatori circa la qualità delle conseguenze. La constatazione trionfalistica dell’utile fornito in sovrabbondanza dalla tecnica basta a fugare ogni scrupolo, ogni dubbio, ogni timore, ogni preoccupazione sui risvolti esistenziali non più e non solo derivanti dalla volontà di dominio delle centrali di potere che la governano.
Viene eluso in modo sorprendente il nodo centrale del fatale immiserimento delle capacità critiche logiche e speculative, in particolare di quelle del tutto indifese, perché non ancora formate, dei più giovani, esposti ad un progressivo e forse irrecuperabile deterioramento intellettuale. Eppure questa avrebbe dovuto essere la preoccupazione principale sentita da una civiltà evoluta.
Come accadde in tempi lontanissimi all’avvento della scrittura, quando ci si chiese se essa avrebbe mortificato le capacità mnemoniche di popolazioni che avevano fondato la propria cultura sulla tradizione orale.
Noi ci compiaciamo dell’avvento della scrittura, che ci ha permesso di tesaurizzare quanto del pensiero umano altrimenti sarebbe andato perduto. Ma ciò non toglie che quella coscienza arcaica avesse chiaro il senso dei propri talenti e avesse la preoccupazione della possibile perdita di una capacità straordinaria acquisita nel tempo, dello straordinario patrimonio accumulato grazie ad essa e in virtù della quale quel patrimonio avrebbe potuto essere trasmesso, pur con altri mezzi.
la mancanza di questa preoccupazione prova una inconsapevoleza e un arretramento culturale senza precedenti, ed è lecito chiedersi se tutto questo non sia già il frutto avvelenato proprio delle acquisizioni tecnologiche già incorporate nel recente passato.
La riflessione dell’uomo sulle proprie possibilità ha accompagnato la «consapevolezza della propria ignoranza e le domande fondamentali sull’origine dell’universo e sul significato dell’essere». Ma presto, il pensiero greco aveva messo in guardia l’homo faber dalla tracotante volontà di potenza di fronte alla natura e alle sue leggi, e aveva eletto a somma virtù la misura. Esortava a quella conoscenza del limite oltre il quale c’è l’ignoto. Hic sunt leones! Come avrebbero scritto gli antichi cartografi.
Del resto la saggezza antica suggeriva anche di tenere ben distinto il mondo dei mortali da quello incorruttibile degli dei che ai primi rimaneva precluso. La stessa divinizzazione degli imperatori romani era una messinscena politico demagogica sulla quale si poteva anche imbastire una satira feroce.
Il valore dell’uomo si misurava sulle imprese di quelli che erano capaci di lasciare il segno in una storia che inghiottiva tutti gli altri, senza residui.
Poi per gli umanisti in generale, a destare meraviglia fu l’uomo in se’, ovvero l’essere superiore capace di dotarsi di pensiero filosofico e speculativo, e di un bagaglio culturale elevato, in cui vedere riflessa la propria superiorità. Pico scrive il manifesto di questo riconoscimento intitolandolo Oratio Hominis dignitate. La grandezza dell’uomo non si esprime in opere dell’ingegno ma nella capacità di rigenerarsi come essere superiore. Attraverso la ragione può diventare animale celeste, grazie all’intelletto, angelo e figlio di Dio. È la potenza del pensiero a farne il signore dell’universo accanto all’Altissimo. Del quale però rimane creatura. Precisazione indispensabile per Pico, che doveva salvarsi l’anima, se non la vita. Gli artisti cominciavano a firmare le proprie opere ma l’arte era ancora la scintilla divina che essi riconoscevano nel proprio creare.
Col tempo, la vertiginosa progressione tecnica fino alla impennata tecnologica contemporanea ha invece condotto l’uomo contemporaneo, ad un senso di sé che si declina come volontà di potenza espressa nelle opere dell’ingegno di cui egli è creatore e fruitore.
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Tuttavia, se la tecnica serve per uccidere il maggior numero di uomini nel minor tempo possibile, si capisce come da nuova meraviglia e nuova natura, possa farsi problema. Si è presa coscienza vera delle sue applicazioni e implicazioni economiche, politiche, e antropologiche in senso ampio, della mercificazione umana di cui diventa portatrice. Ma anche della necessità di risalire alla matrice prima di questo processo, ovvero alla ragione, la dote distintiva dell’uomo che da guida luminosa può degenerare in mezzo di autodistruzione.
Giovanbattista Vico aveva visto nelle sue degenerazioni il germe di una seconda barbarie. Quella stessa ragione che ha scoperto i mezzi per vincere l’ostilità della natura, procurare condizioni più favorevoli di vita, e controllare la paura dell’ignoto, ha sviluppato la tecnica, soprattutto nella modernità occidentale, secondo una progressione geometrica. Ma questa stessa ragione umana da fattore di liberazione si rovescia in strumento di dominio, proprio attraverso la tecnica.
Tale rovesciamento, come è noto, è stato al centro della Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno che lo hanno fissato genialmente nell’incipit memorabile: «L’illuminismo ha sempre perseguito il fine di togliere all’uomo la paura dell’ignoto, ma la terra interamente illuminata, splende all’insegna di trionfale sventura». Dove per illuminismo si allude appunto all’impiego della ragione calcolante, e al suo sforzo primigenio per vincere lo smarrimento e la sottomissione indotte dalle forze della natura. Ma il mondo creato attraverso il processo di razionalizzazione diventa a sua volta naturale e quindi domina i rapporti umani, ne produce la reificazione, e a sua volta risulta ingovernabile. Dunque la ragione è creatrice degli strumenti di dominio sotto la maschera della liberazione.
Questi autori hanno visto da vicino, anche per esperienza personale, come l’avanzata incessante del progresso tecnico possa diventare incessante regressione verso quella seconda barbarie preconizzata da Vico tre secoli prima. Hanno visto la barbarie ideologica e pratica prodotta dai sistemi totalitari. E poi, una volta emigrati negli Stati Uniti, lo imbarbarimento di una società che dal di fuori era ritenuta politicamente più evoluta. Avevano constatato come l’umanità del XX secolo avesse potuto regredire a «livelli antropologici primitivi che convivevano con stadi più evoluti del progresso».
E infine, come in questo orizzonte regressivo i capi avessero «l’aspetto di parrucchieri, attori di provincia, giornalisti da strapazzo», «al vuoto di un capo, corrispondesse una massa vuota, e alla coercizione quella adesione generalizzata che rende la prima quasi irreversibile». Inutile dire che di questi fenomeni abbiamo ora sotto gli occhi la forma più compiuta.
Con la modernità la ragione che per Pico avvicinava l’uomo a Dio, è diventata irrimediabilmente strumentale e soggettiva. Non si mette in discussione la qualità dei fini ma si adotta in ogni campo e senza riserve, fraintendendone il senso, la lezione di Machiavelli. Non per nulla, nella versione Reader’s Digest, questo rimane l’autore di riferimento, dei teorici dell’espansionismo imperiale e americano fino ai giorni nostri.
Ma se con la ragione strumentale si impone la logica dei rapporti di forza, questa, portata alle estreme conseguenze,, fa cadere anche il limite e il discrimine tra bene e male, secondo la filosofia di De Sade, che sembra farsi largo in una società ormai nichilista. Così negli ospedali londinesi si possono sopprimere impunemente i neonati troppo costosi per il sistema sanitario, a dispetto dei genitori. Si possono destabilizzare i governi a dispetto dei popoli, si possono roversciare i canoni etici, estetici, religiosi e logico razionali.
Dunque, quella diagnosi pessimistica, dovrebbe tornare quanto mai attuale oggi che l’approdo alla cosiddetta intelligenza artificiale si è compiuto, ed essa è già diabolicamnete applicata all’insaputa delle vittime, o trionfalmente accolta dai suoi ammirati fruitori. Torna attuale per avere messo a tema la torsione della ragione liberatrice in strumento di dominio anche se non era ancora possibile intravedere il rovesciamento ulteriore, l’Ultima Thule della autoschiavizzazione che avviene con la sottomissione spontanea e felice alla sovraestensione tecnologica.
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Invece sembra che si sia dimenticata, per incanto, tutta la riflessione intorno alla tecnica , che ha affaticato il pensiero di un intero secolo. Ora che le metamorfosi di una intera Civiltà, diventate presto di dimensioni planetarie, mostrano più che mai la necessità di riprendere il tema filosofico per eccellenza, sulla essenza e sul destino dell’uomo.
Ed è con questo tema che noi abbiamo a che fare più che mai. Infatti non si tratta più o non solo di prendere coscienza della esistenza di centri di potere che hanno in mano le redini degli strumenti con cui siamo dominati. Perché questa, bene o male, è diventata coscienza abbastanza diffusa almeno in quella parte di dominati che hanno la capacità di riflettere sulla propria condizione di sudditanza.
Tutti più o meno si sono accorti della manipolazione del consenso e della potenza della pubblicità e della forza della propaganda. Nonché della dipendenza dalla tecnologia e delle sue controindicazioni. Anche se ogni diffidenza e ogni riconoscimento di dipendenza viene poi spesso temperato dalla convinzione che si possa comunque controllare lo strumento.
Il salto di qualità l’ha prodotto la meraviglia. Questa volta non turbata dal timore della propria impotenza. L’utile immediato è metafisico, e il miracolo salvifico non megtte in discussione la bontà della volontà che lo genera. Il miracolo crea fedeli e discepoli confortati. Gli agnostici tutt’al più vogliono toccare con mano, anche Tommaso diventa il più convinto dei credenti di fronte alla evidenza dei risultati. Ogni aspetto problematico della faccenda viene messo da parte perché è comunque meglio una gallina oggi che un uovo domani.
Sotto a tanta meravigliosa e meravigliata fiducia c’è la rinnovata fede nella divinità del genio umano che comunque appare lavorare per il bene dei mortali. Un bene tangibile, pronto e tutto svelato, nonché senz’altro proficuo per le nuove generazioni sollevate dalla fatica inutile di imparare a leggere, scrivere e fare di conto, e soprattutto da quella pericolosa attitudine a pensare, ricordare, esplorare e guardare al di là del proprio particulare.
Ancora una volta è dunque la ragione calcolante che dopo avere rinchiuso gli uomini nella gabbia dell’utile materialmente ponderabile tenuta dal potere, fa sì che essi vi si rinchiudano con rinnovato entusiaimo e di propria iniziativa. Insomma non si tratta più di un ingranaggio di dominio e manipolazione subito e del quale non tutti e non sempre hanno acquistato chiara consapevolezza. Si tratta della rinuncia volontaria alla propria capacità di autonomia e di sviluppo delle facoltà speculative destinate ad immiserirsi e isterilirsi per abbandono progressivo, e infine per non uso.
Di certo la difficoltà di uscire dall’ingranaggio, di fronte alla prepotenza dell’ordigno e alla accondiscendenza crescente degli stessi entusiasti utilizzatori diventa oggi drammatica quanto sottovalutata. Gli stessi Horkheimer e Adorno avevano esitato a proporre una soluzione per il problema, più oggettivamnete contenuto, che avevano affrontato allora con tanta acribia. Non bisogna però sottovalutare il suggerimento che essi formularono alla fine, ipotizzando la possibilità di riportare proprio la ragione calcolante alla autoriflessione sul proprio invasivo precipitato tecnologico.
Una soluzione utopica , si è detto, perché la ragione rinnegando se stessa dovrebbe paradossalmente rinunciare a tutto quello che ha anche fornito all’uomo come mezzi di sopravvivenza e di emancipazione dai condizionamenti della natura. Tuttavia non è insensato pensare che la autoriflessione possa condurre a stabilire il confine invalicabile oltre il quale il costo umano capovolge il senso stesso del calcolo razionale togliendo ad esso ogni giustificazione logica. Si tratta di vedere con disincanto tutta la realtà dei nuovi giocattoli antropofagi. Perché di questo si tratta: quella innescata dalle nuove frontiere della tecnica altro non è che autodistruzione morale e materiale, consegna senza scampo all’arbitrio incontrollabile di una potenza che fugge anche al controllo di chi la mette in moto.
Se «dialettica dell’illuminismo» significava nella riflessione dei suoi autori, rovesciamento della promessa di emancipazione della ragione in dominio e schiavizzazione sotto mentite spoglie, di questo rovesciamento la cosiddetta Intelligenza Artificiale è il compimento funesto e pericolosissimo perché capace non soltanto di neutralizzare attualmente ogni difesa, ma anche di isterilire nel tempo ogni potenzialità critica e speculativa. E appare del tutto irrisorio obiettare che è possibile controllare il processo perchè si è consapevoli che in ogni caso il meccanismo è un prodotto umano. Come se la valanga provocata dalla dinamite fosse per ciò stesso anche arrestabile.
Converrebbe piuttosto ricordare il monito di Benedetto XVI sulla necessità di allargare un concetto di ragione oramai ridotta a ragione calcolante per riconoscere di nuovo ad essa la funzione di guidare gli uomini verso l’ orizzonte spiritualmente ed eticamente più ampio ed elevato della cura e della vita buona, della consapevolezza e della corrispondenza tra il pensiero e il bene che va oltre l’immediatamente utile.
Per questo forse non basta lo sforzo di autoriflessione suggerito nella Dialettica dell’illuminismo, occorre ritrovare quel senso della trascendenza che allarga la mente oltre il vicolo cieco e le secche di un pensiero senza la luce di fini più grandi dell’utile contabile ed immediato.
Quell’uomo non a caso tanto presto dimenticato, perchè incompatibile con la miseria dei tempi, aveva compreso perfettamente, dall’alto di una grande intelligenza e di una solida fede, che sul ciglio del baratro occorre tornare indietro e buttare al macero «le false speranze».
Patrizia Fermani
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Eutanasia
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