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Scienza

Le migliori perle del nuovo metodo scientifico

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La scienza, anche detta «lascienza» o la «scienzah», domina oggi le nostre vite. Ufficialmente.

 

Quindi, a proposito di metodo scientifico vogliamo passare in rassegna alcune recenti  perle di razionalità del regime sanitario imperante. 

 

 

Ora, domandiamo, le vaccinazioni per under 50 – la fascia anagrafica delle donne che rimane incinta – sono partite a maggio. Se non è un’opinione, le gestazioni durano 9 mesi. Su quali basi scientifiche si può affermare a settembre 2021 che i vaccini anti-COVID non abbiano effetti collaterali sui nascituri?

1) I vaccini per le donne incinta sono sicuri e raccomandati. Già durante l’estate del 2021 in Italia il vaccino veniva raccomandato per le gestanti.

 

Citiamo da Il Sole 24 Ore del 24 settembre:

 

«In considerazione delle crescenti evidenze sulla sicurezza della vaccinazione in gravidanza l’Istituto di Sanità ha aggiornato le precedenti indicazioni ad interim raccomandando l’estensione dell’offerta vaccinale, con vaccini a mRNA, a tutte le donne in gravidanza nel secondo e terzo trimestre che desiderino vaccinarsi. Le nuove indicazioni, in linea con quelle portate avanti da alcuni mesi da regioni come la Lombardia e l’Emilia Romagna, sono contenute nella circolare del ministero della Salute (…) emanata alla luce delle crescenti evidenze sull’efficacia e sulla sicurezza nei confronti del feto e della mamma».



Ora, domandiamo, le vaccinazioni per under 50 – la fascia anagrafica delle donne che rimane in cinta – sono partite a maggio. Se non è un’opinione, le gestazioni durano 9 mesi. Su quali basi scientifiche si può affermare a settembre 2021 che i vaccini anti-COVID non abbiano effetti collaterali sui nascituri?

 

Su quali basi scientifiche si afferma che non avranno effetti a medio-lungo termine sullo sviluppo dei bambini?

Su quali basi scientifiche si afferma che non avranno effetti a medio-lungo termine sullo sviluppo dei bambini?

 

 

2) «La fase di sperimentazione è terminata e possiamo escludere effetti a lungo termine». Alberto Mantovani , direttore scientifico dell’Humanitas di Milano, su Open del 6 ottobre

 

«Esistono effetti collaterali a lungo termine dei vaccini? “Non ci possono essere dati su questo – ha sottolineato – ma non è mai successo che i vaccini abbiano dato problemi simili. Gli effetti collaterali eventuali, più che sopportabili in questo caso, sono sempre a breve termine”».

 

Su quale evidenza scientifica si esclude che tra 4 anni chi ha ricevuto 2, 3, 5 dosi di farmaci mRNA (mai testati prima nella storia umana) possa manifestare effetti collaterali cronici o tumori?

Peccato che le fasi di sperimentazione dei farmaci durino in genere dai 5 ai 10 anni e prevedano diverse fasi, tra  cui l’osservazione nell’incidenza di tumori o interferenze genetiche a distanza di anni. Ma «nel caso dei vaccini non ci sono mai stati problemi», dicono gli scienziati televisivi. 

 

Ora, a parte il fatto che è falso perché storicamente sono stati ritirati dei vaccini e pure durante questa campagna vaccinale (vedasi Astrazeneca per i giovani), i vaccini anti-COVID come Pfizer e Moderna si basano su una tecnologia mai sperimentata. Sono terapie geniche mai usate prima.

 

Su quale evidenza scientifica si esclude che tra 4 anni chi ha ricevuto 2, 3, 5 dosi di farmaci mRNA (mai testati prima nella storia umana) possa manifestare effetti collaterali cronici o tumori?

 

E se andasse storto qualcosa e ci accorgessimo di avere miliardi di persone con effetti collaterali cronici tra qualche anno? Siamo agli atti di fede?

 

 

3) I vaccini mRNA non causano sterilità sui bambini. Probabile, ma  come fanno a saperlo? Lo sapremo nel 2035, minimo. A che età mettono su famiglia questi bambini? Facciamogli finire le scuole elementari almeno.

 

 

I vaccini mRNA non causano sterilità sui bambini. Probabile, ma  come fanno a saperlo? Lo sapremo nel 2035, minimo. A che età mettono su famiglia questi bambini? Facciamogli finire le scuole elementari almeno

4) «Vacciniamo tutti per eliminare il contagio». È ormai di dominio pubblico (da giugno 2021) che i vaccinati rimangono contagiabili e contagiosi. Diamo pure per veri i dati statistici raccolti dal Ministero della Salute italiano; e vediamo che un vaccinato sarebbe contagiabile il 40-50% in meno. Che cosa cambia da un punto di vista epidemiologico?

 

Il contagio anziché arrivare oggi, arriva dopodomani.  Volendo fare un esempio, anche rallentando la colata lavica di un vulcano, i Paesi alle pendici verranno raggiunti con qualche ora o giorno di ritardo. Pertanto l’argomento dell’utilità collettiva della vaccinazione per fasce non direttamente a rischio non ha basi scientifiche. Tralasciamo gli aspetti giuridici legati al principio ripugnante dell’utilità collettiva

 

 

5) «La vaccinazione di massa impedisce la genesi di nuove varianti». Ah, davvero? E allora perché in medicina non si danno antibiotici in massa? Meglio fare un ripassino di biologia evoluzionista. (Ci dedicheremo noi un articolo)

 

 

«La vaccinazione di massa impedisce la genesi di nuove varianti». Ah, davvero? E allora perché in medicina non si danno antibiotici in massa?

6) «Gli eventi avversi attribuiti ai vaccini non sono risultato dell’inoculazione in sé, ma sono dovuti a una risposta dell’organismo opposta all’effetto placebo, ossia all’effetto “nocebo”, alla convinzione che si manifesteranno».

  

Sembra roba da cavalieri Jedi di Guerre Stellari, invece è uno uno studio sugli effetti collaterali coordinato dall’Università di Torino, pubblicato su The Lancet Regional Health-Europe.

 

Provate anche voi a pensarci: quando sospettate che vi abbiano avvelenato, poi il giorno dopo vi viene un infarto mentre fate jogging. Infatti il KGB non ha mai fatto uso di veleni,  lasciava semplicemente alla vittima un biglietto con scritto «ti ho avvelenato».

 

 

«Gli eventi avversi attribuiti ai vaccini non sono risultato dell’inoculazione in sé, ma sono dovuti a una risposta dell’organismo opposta all’effetto placebo, ossia all’effetto “nocebo”, alla convinzione che si manifesteranno»

7) Vaccinare i bambini?  È utilissimo secondo, Annamaria Staiano, presidente della Società italiana di pediatria (SIP).

 

«Recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato in tale fascia di età la presenza di gravi complicanze renali o di complicanze multisistemiche, anche al di là della ben codificata MIS-C, conseguenti ad un’infezione pauci o asintomatica da Sars-CoV-2, come sta emergendo per l’adulto».



Quali ricerche? Quanti casi? E se portiamo in vacanza in nostri figli e poi cade l’aereo?  Meglio proibire le vacanze.

 

E poi la stessa pediatra  condensa tutti gli errori scientifici visti sopra:

 

Provate anche voi a pensarci: quando sospettate che vi abbiano avvelenato, poi il giorno dopo vi viene un infarto mentre fate jogging. Infatti il KGB non ha mai fatto uso di veleni,  lasciava semplicemente alla vittima un biglietto con scritto «ti ho avvelenato»

«In termini di sanità pubblica, la fascia di età pediatrica e adolescenziale può fungere da serbatoio per la diffusione del virus nell’intera popolazione. Per questo, seppur l’obbiettivo primario della vaccinazione è quello di non sviluppare la malattia, l’opportunità di implementare un’offerta vaccinale universale aiuterà notevolmente a ridurre non solo la circolazione dello stesso virus, ma soprattutto il rischio di generare varianti potenzialmente più contagiose o capaci di ridurre l’efficacia degli stessi vaccini in uso».

 

 

8) Sempre sui vaccini ai bambini.  Guido Castelli Gattinara, ospedale Bambin Gesù, fa parte del tavolo tecnico sulle vaccinazioni della società italiana di pediatria ed è presidente della società italiana di infettivologia pediatrica. Intervistato dal Corriere il 4 giugno 2021:

 

Quindi – ci pare di capire – se nostro figlio prende la miocardite per il vaccino, possiamo portarlo all’ospedale. In genere qualche mese e passa tutto

«Ricordo inoltre che la maggior parte dei casi di miocardite rilevati sono di lieve gravità e sono stati risolti con terapie mediche. Forme dunque transitorie e non credo che siano sufficienti dei sospetti per indurre i pediatri a sconsigliare la vaccinazione che nei giovani».



Ottimo, quindi – ci pare di capire – se nostro figlio prende la miocardite per il vaccino, possiamo portarlo all’ospedale. In genere qualche mese e passa tutto. Comunque, non ci piove, per il figlio è meglio una miocardite piuttosto che stare a casa qualche giorno con febbre  e COVID: in effetti poi potrebbe guardare troppi cartoni animati.

 

 

9) «Con la terza dose il vaccino protegge fino a 5-10 anni», lo ha sostenuto Sergio Abrignani, immunologo del Comitato tecnico scientifico sul Corriere del 9 novembre, sebbene le evidenze scientifiche abbiano constatato che la stimolazione immunologica dei vaccini duri 6 mesi.

 

«Con la terza dose il vaccino protegge fino a 5-10 anni». Prime due dosi, durata immunità nemmeno un anno. Terza dose 5-10 anni. Tutto chiarissimo. Ineccepibile

Prime due dosi combinate, durata immunità nemmeno un anno. Terza dose 5-10 anni. Tutto chiarissimo. Ineccepibile.

 

Una perla dopo l’altra.

 

Questa è la scienza che oggi domina le nostre vite.

 

 

Gian Battista Airaghi

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Salute

Scimmie immortali o quasi: scienziati rovesciano l’invecchiamento con super-cellule staminali

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Un gruppo di ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze ha compiuto una svolta senza precedenti nel campo della biologia dell’invecchiamento, riuscendo a invertire alcuni dei principali segni dell’età in primati anziani.

 

Lo studio, pubblicato lo scorso mese sulla rivista Cell, apre scenari fino a poco tempo fa ritenuti fantascientifici: è possibile riportare un organismo anziano a uno stato biologicamente più giovane, almeno nei macachi.

 

Alla base della ricerca ci sono le cellule progenitrici mesenchimali (MPC), cellule staminali presenti nel midollo osseo e nei tessuti connettivi, con la capacità di rigenerare ossa, cartilagini, muscoli e grasso, oltre a secernere fattori riparativi. Tuttavia, con l’avanzare dell’età, anche queste cellule invecchiano e vanno incontro alla senescenza: smettono di dividersi e iniziano a produrre molecole tossiche e infiammatorie, contribuendo al degrado generale dell’organismo.

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Per contrastare questo processo, gli scienziati si sono concentrati su una proteina chiamata FoxO3, nota per essere un regolatore genetico della longevità. In organismi giovani, FoxO3 attiva la riparazione del DNA, le difese contro lo stress ossidativo e altri meccanismi protettivi. Ma con l’età, la sua attività diminuisce, rendendo le cellule più vulnerabili ai danni.

 

Gli scienziati cinesi hanno quindi modificato geneticamente le cellule MPC affinché FoxO3 restasse costantemente attivo nel nucleo, dando così vita a cellule resistenti alla senescenza (SRC), potenziate anche nei geni legati alla funzione mitocondriale e alla risposta allo stress.

 

Queste cellule sono state trapiantate in macachi anziani — l’equivalente di un essere umano di circa 60 o 70 anni. I risultati sono stati sorprendenti. Le scimmie hanno mostrato un rallentamento, e in alcuni casi una vera e propria inversione, del declino osseo. Dove normalmente si osserva una perdita di densità simile all’osteoporosi umana, gli animali trattati hanno mantenuto o addirittura migliorato la robustezza dello scheletro.

 

Anche a livello cognitivo, i miglioramenti sono stati notevoli: i test di memoria e apprendimento hanno evidenziato un netto vantaggio nei soggetti trattati, capaci di riconoscere oggetti e orientarsi nei labirinti con maggiore efficienza rispetto ai coetanei non trattati.

 

Gli esami del sangue hanno rilevato una forte riduzione dei marcatori infiammatori, un fenomeno significativo se si considera che l’infiammazione cronica (o inflammaging) è uno dei principali motori delle malattie legate all’età. Scansioni e biopsie, infine, hanno rivelato un generale ringiovanimento di numerosi organi, tra cui il cervello e gli apparati riproduttivi.

 

Secondo i ricercatori, questo effetto sistemico sarebbe mediato dagli esosomi, minuscole vescicole rilasciate dalle SRC che trasportano segnali molecolari capaci di stimolare la rigenerazione anche nelle cellule vicine. Come ha spiegato Si Wang, uno degli scienziati a capo del progetto, «vediamo prove evidenti di ringiovanimento».

 

Il valore della scoperta risiede anche nel modello animale scelto. Finora, molte delle terapie anti-invecchiamento testate, come la rapamicina o i mimetici del digiuno, avevano dato risultati convincenti solo nei roditori. I macachi, però, hanno una fisiologia molto più simile a quella umana e una vita più lunga, rendendo i risultati di questo studio particolarmente promettenti.

 

Secondo i ricercatori, l’invecchiamento non sarebbe solo una lenta usura, ma anche un processo in parte programmabile, quindi potenzialmente reversibile. Le MPC rappresentano in questo scenario l’hardware, mentre FoxO3 è il software aggiornato che le mantiene giovani.

 

Restano ancora molte incognite. Le cellule resistenti alla senescenza potrebbero comportarsi in modo imprevedibile nell’organismo umano. È ancora ignoto se i benefici osservati siano duraturi nel tempo, e non è chiaro se la produzione su larga scala di queste cellule sia possibile senza rischi di rigetto immunitario.

 

Inoltre, si aprono interrogativi etici tipici della questione transumanista: come verranno testate queste terapie sull’uomo? Chi potrà accedervi? Quali saranno le implicazioni sociali?

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Un gerontologo indipendente ha commentato così la ricerca: «È una pietra miliare, ma non dobbiamo saltare subito ai titoli sull’immortalità. Il dato veramente rivoluzionario è che l’invecchiamento sistemico nei primati può essere modulato. E questo, di per sé, è un fatto straordinario».

 

Per ora, i macachi continuano a essere monitorati, i loro organismi raccontano con silenziosa eloquenza gli effetti del trattamento. Se in futuro approcci simili si rivelassero sicuri anche per l’uomo, la medicina potrebbe compiere un cambio di paradigma: non più curare le malattie una per una, ma agire alla radice comune dell’invecchiamento.

 

Una possibilità che, fino a ieri, sembrava solo un’ipotesi da narrativa sci-fi. Ma che oggi, per la prima volta, inizia a prendere la forma della realtà.

 

Le conseguenze sociali, e spirituali, di una tale evenienza non sono ancora state ponderate, se non, appunto in romanzi di fantascienza più o meno distopica.

 

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Immagine di Daisuke tashiro via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

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Scienza

Qualcosa di impossibile sta accadendo nello spazio profondo: segnali di collisione tra buchi neri captati dagli scienziati

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Alcuni scienziati hanno scoperto un qualcosa in più sui misteriosi buchi neri spaziali che amplia ulteriormente i confini sia della fisica che della credibilità: una collisione titanica di due buchi neri già enormi, così estrema da far domandare agli scienziati se l’evento rilevato sia possibile.   Come descritto in un nuovo articolo di un consorzio di fisici, ancora in fase di revisione paritaria, il buco nero risultante, il cui segnale è stato designato GW231123, vanta una massa sorprendente, circa 225 volte quella del nostro Sole, il che lo rende la più grande fusione di buchi neri mai rilevata. In precedenza, il record apparteneva a una fusione che aveva formato un buco nero di circa 140 masse solari.   «I modelli standard di evoluzione stellare proibiscono buchi neri di queste dimensioni», ha dichiarato Mark Hannam del Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO), che ha effettuato la rilevazione. «Questo è il sistema binario di buchi neri più massiccio che abbiamo osservato tramite onde gravitazionali e rappresenta una vera sfida per la nostra comprensione della formazione dei buchi neri».

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Questi fenomeni cosmici possono produrre enormi increspature nello spaziotempo, chiamate onde gravitazionali, già previste da Einstein nel 1916. Quasi cento anni dopo, LIGO, composto da due osservatori situati agli angoli opposti degli Stati Uniti, ha rilevato per la prima volta queste vibrazioni cosmiche.   La fusione è stata individuata nel novembre 2023 in un’onda gravitazionale, GW231123, che è durata solo una frazione di secondo. Ciononostante, è stata sufficiente per dedurre le proprietà dei buchi neri originali. Uno aveva una massa pari a circa 137 volte quella del Sole, e l’altro a circa 103 masse solari. Durante il periodo precedente la fusione, i due buchi neri si sono rinchiusi come combattenti in un anello, prima di scontrarsi definitivamente per formarne uno solo.   Questi buchi neri sono fisicamente problematici perché è probabile che uno, se non entrambi, rientri in un «gap di massa superiore» dell’evoluzione stellare. A tali dimensioni, si prevede che le stelle che li hanno formati siano morte in un tipo di esplosione particolarmente violenta chiamata supernova a instabilità di coppia, che provoca la completa distruzione della stella, senza lasciare alcun residuo, nemmeno un buco nero.   Alcuni astronomi sostengono che il «gap di massa» sia in realtà una lacuna nelle nostre osservazioni e non la causa di una fisica curiosa. Ciononostante, l’idea è che «alcune persone siano state disposte a farsi ferire, se non addirittura a morire», ha dichiarato a ScienceNews Cole Miller dell’Università del Maryland, non coinvolto nella ricerca.   Ma forse i buchi neri non sono nati da una singola stella. «Una possibilità è che i due buchi neri in questo sistema binario si siano formati attraverso fusioni precedenti di buchi neri più piccoli», ha affermato lo Hannam nella sua dichiarazione.   Altrettanto estreme delle loro classi di peso sono le loro rotazioni incredibilmente veloci, con il più grande che ruota al 90% della sua velocità massima possibile e l’altro all’80%, entrambe pari a frazioni molto significative della velocità della luce. In termini terrestri, si tratta di circa 400.000 volte la velocità di rotazione del nostro pianeta, stando a quanto dichiarato dalla scienza.   «I buchi neri sembrano ruotare molto rapidamente, quasi al limite consentito dalla teoria della relatività generale di Einstein», ha affermato Charlie Hoy, membro della LIGO Scientific Collaboration presso l’Università di Portsmouth. «Questo rende il segnale difficile da modellare e interpretare. È un eccellente caso di studio per accelerare lo sviluppo dei nostri strumenti teorici».   «Ci vorranno anni prima che la comunità sveli completamente questo intricato schema di segnali e tutte le sue implicazioni», secondo Gregorio Carullo, membro del LIGO presso l’Università di Birmingham. Quindi, è probabile che stiamo solo scalfendo la superficie di questo mistero.   Lo studio di questi fenomeni cosmici non finisce mai di stupire.

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Come riportato da Renovatio 21, qualche mese fa alcuni astronomi hanno individuato un buco nero risalente a 1,5 miliardi di anni dopo il Big Bango e si sono accorti che sta divorando materia a una velocità impressionante.   In un’altra recente scoperta spaventosa, si è visto un buco nero bulimico che mastica stelle e sputa gli avanzi verso il pianeta Terra.   Vi è poi il caso del team di scienziati della Ohio State University (OSU) afferma di aver trovato il buco nero più vicino alla Terra mai scoperto. L’oscuro corpo celeste sarebbe ad una distanza di «soli» 1.500 anni luce di distanza.   I buchi neri sono fra noi, appena fuori dall’uscio di casa.

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Quantum

Viaggio nel tempo con esperimento quantistico?

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La meccanica quantistica è il regno della scienza in cui nulla è normale e tutto sembra minare le basi della nostra comune comprensione della realtà. Tuttavia i fisici quantistici, che si vantano di scrutare l’abisso e carpirne i segreti inquietanti, hanno scoperto un altro fenomeno sconcertante: il «tempo negativo».

 

Come descritto in uno studio ancora in fase di revisione paritaria pubblicato da Scientific American, un team di ricercatori afferma di aver osservato fotoni che presentano questo bizzarro comportamento temporale come risultato di quella che è nota come eccitazione atomica.

 

Ciò che è successo in sostanza, come spiega Scientific American, è che quando i fotoni sono stati irradiati in una nube di atomi, sembravano uscire dal mezzo prima di entrarvi.

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«Un ritardo temporale negativo può sembrare paradossale, ma significa che se si costruisse un orologio “quantistico” per misurare quanto tempo gli atomi trascorrono nello stato eccitato, la lancetta dell’orologio, in determinate circostanze, si sposterebbe all’indietro anziché in avanti», ha spiegato alla rivista Josiah Sinclair dell’Università di Toronto, i cui primi esperimenti hanno costituito la base dello studio, anche se non è stato direttamente coinvolto.

 

I fotoni – particelle prive di massa che formano quella che conosciamo come luce visibile – possono essere assorbiti dagli atomi che attraversano. Quando ciò accade, l’energia che trasportano fa sì che gli elettroni degli atomi saltino a uno stato energetico superiore. Questa è l’eccitazione atomica a cui abbiamo accennato prima.

 

Ma gli atomi possono anche de-eccitarsi, tornando allo stato fondamentale. Uno dei modi in cui ciò accade è che l’energia viene riemessa sotto forma di fotoni. A un osservatore, questo sembra come se la luce che ha attraversato il mezzo fosse ritardata.

 

I ricercatori erano sconcertati dal fatto che non ci fosse un «consenso tra gli esperti» su cosa accadesse realmente a un singolo fotone durante tale ritardo. «All’epoca non eravamo sicuri di quale fosse la risposta e pensavamo che una domanda così elementare su qualcosa di così fondamentale dovesse essere facile da rispondere», ha detto il Sinclair a Scientific American.

 

Negli esperimenti condotti, impulsi di fotoni venivano sparati attraverso una nube di atomi a temperature prossime allo zero assoluto. Ed è qui che è successo il fenomeno più strano: nei casi in cui i fotoni li attraversavano senza essere assorbiti, si è scoperto che gli atomi ultrafreddi rimanevano eccitati per l’esatto periodo di tempo in cui li avevano effettivamente assorbiti.

 

Al contrario, nei casi in cui i fotoni venissero assorbiti, verrebbero riemessi senza ritardo, o prima che gli atomi ultrafreddi potessero diseccitarsi.

 

Ciò che accade realmente è che i fotoni viaggiano in qualche modo attraverso la nube atomica più velocemente quando eccitano gli atomi – o quando dovrebbero essere assorbiti da essi – rispetto a quando gli atomi rimangono inalterati. Poiché i fotoni non trasportano informazione, la causalità rimane intatta, si legge nella rivista scientifica.

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Le incertezze intrinseche a livello quantistico hanno l’effetto di confondere l’intero processo. In particolare il fenomeno della sovrapposizione, in cui particelle quantistiche come i fotoni possono trovarsi in due stati diversi contemporaneamente. Per un rivelatore che misura quando entrano ed escono da un mezzo, questo significa che i fotoni possono produrre un valore positivo così come uno negativo. E quindi, un tempo negativo.

 

Questo non cambia la nostra comprensione del tempo, affermano i ricercatori. D’altra parte, almeno per quanto riguarda il campo dell’ottica, che il tempo negativo abbia «un significato fisico più profondo di quanto si sia generalmente ritenuto» per quanto riguarda la trasmissione dei fotoni, hanno poi scritto nello studio.

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