Economia
Lavrov: l’inizio di un nuovo sistema finanziario ed economico dopo la guerra per procura degli Stati Uniti

In un’ampia intervista del 28 dicembre con il programma «Grande Gioco» del primo canale della TV russa, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha riferito che le accresciute tensioni dovute a varie misure statunitensi stanno spingendo a un sistema finanziario ed economico alternativo.
«Mi sembra che dopo le sanzioni imposte alla Russia a seguito del colpo di stato contro di essa e dopo il referendum in Crimea, la maggioranza degli Stati non occidentali si fosse già resa conto che il sistema in cui si trovavano con altri Paesi era inaffidabile. Questo è un sistema di valuta internazionale, di finanza, di globalizzazione, di catene logistiche, di assicurazioni per le spedizioni internazionali, di tariffe di trasporto e prodotti tecnologici prodotti da una manciata di Stati».
«Questo vale per gli stessi conduttori sui quali ora gli americani stanno cercando di imporre il veto. Hanno sanzionato le aziende cinesi che producono conduttori nel tentativo evidente di rallentare lo sviluppo della Repubblica Popolare Cinese. È successo tutto molto più velocemente”, ha dichiarato il Lavrov durante la trasmissione.
«Molti Paesi hanno dovuto fare una scelta lì per lì. Probabilmente è stato difficile, considerando quanto profondamente fossero intrecciati nel sistema della globalizzazione. È stato creato dagli americani e da loro screditato, perché Washington si è dimostrata un curatore e un operatore inaffidabile di questo sistema».
«Ho notato che qualcuno ha detto durante una delle vostre trasmissioni che la globalizzazione sta cedendo il passo alla regionalizzazione e che ci saranno diversi grandi blocchi formati attorno ai leader regionali. Questi blocchi creeranno gli strumenti ei meccanismi che sostituiranno gli strumenti ei meccanismi della globalizzazione di cui abusano coloro che li hanno creati. Il dibattito si è concentrato sul fatto che gli Stati Uniti fossero a conoscenza di tale processo. Qualcuno ha detto di sì e che gli americani vorrebbero accelerare la regionalizzazione dell’economia globale e delle relazioni internazionali in generale»
«Tuttavia, la Cina, che è anche consapevole dell’importanza della regionalizzazione e non è contraria alla regionalizzazione in quanto tale, sta creando i propri strumenti e strutture, ma vorrebbe che questo processo richiedesse il maggior tempo possibile».
«Non c’è dubbio che il processo sia in corso. E la scelta non è tra la maggioranza globale e l’Occidente; sceglieremo partner affidabili e onorevoli accordi, che mantengono una promessa quando si tratta di progetti a lungo termine e non cercheranno solo vantaggi a breve termine» ha detto il ministro degli Esteri del Cremlino.
Lavrov in questi mesi si è speso spesse volte in lucide analisi, come del mutamento della geografia causato dal conflitto ucraino, alla denuncia della strategia occidentale degli «incidenti inscenati» in Ucraina come venti anni fa in Kosovo.
In questi mesi il ministro ha accusato l’Occidente di «pirateria di Stato» e attaccato, riguardo alle cose africane, Francia e Europa come realtà «neocoloniali».
Dopo aver significato pubblicamente la sua opposizione alla dottrina Brzezinski, Lavrov ha messo in chiaro che l’operazione miliare speciale russa in Ucraina mira a porre fine la corsa degli USA al potere globale incontrastato – cioè alla fine del mondo unipolare per far emergere quel mondo multipolare di cui parla il presidente Putin.
A inizio conflitto Lavrov si disse stupito della diplomazia americana, che da una parte minacciava e sanzionava e dall’altra cominciava a vedersi dinanzi lo spettro della de-dollarizzazione globale: il ministro si chiese se i diplomatici USA non avessero perso la testa.
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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