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L’autorità, la vera posta in gioco del Sinodo – parte terza

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L’autorità secondo il Vaticano II? «Un partito al potere e tutti gli altri in prigione», Mikhail Tomski (1880-1936), sindacalista rivoluzionario e poi membro del Politbüro nell’URSS sotto Stalin.

 

1. «La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto». Questa proposizione condannata, la 61ª del Syllabus di Pio IX, descrive abbastanza bene l’azione pastorale di papa Francesco, almeno in ogni caso, in quanto non nega di fatto l’ammissione dei pubblici peccatori alla ricezione della santa Eucaristia. E presto forse la benedizione delle unioni LGBT?

 

Potremmo anche paragonare questa proposta del Syllabus con la recente destituzione di mons. Strickland. Ma già nel 1976, il cattolico perplesso e stupito aveva potuto vedere la condanna di un «seminario selvaggio», il seminario di Econe, dove mons. Lefebvre, ex arcivescovo di Dakar, si limitava ad applicare i decreti del santo concilio di Trento.

 

Un cambiamento nella definizione della natura dell’autorità

2. Questo modo di esercitare l’autorità corrisponde a un cambiamento di definizione della natura stessa dell’autorità. Infatti, se consacra e impone il fatto, è perché è l’espressione cruda del Numero, della volontà di una maggioranza. L’autorità diventa allora ciò che è nel Contratto sociale di Rousseau, cioè l’espressione della volontà generale. Diventa anche quello che è nel modernismo, cioè l’espressione della Coscienza comune del Popolo di Dio.

 

3. Il bene comune non è quindi più esattamente, nel modernismo del Vaticano II, quello che è stato fino ad oggi, nella dottrina della Chiesa, secondo la spiegazione data da Aristotele e san Tommaso. Per questi ultimi il bene comune è il Fine, cioè la causa prima da cui tutto il resto dipende e in vista della quale tutto il resto deve essere organizzato.

 

E questo Fine, questa causa, è anzitutto la trasmissione del deposito della fede, espressione della duplice legge divina, naturale e rivelata, alla quale gli uomini devono conformare le loro azioni se vogliono ottenere la salvezza eterna delle loro anime. Con il Vaticano II e Francesco il bene comune è quello di una «fratellanza universale», cioè di una comunione voluta per se stessa, anzi voluta come segno di speranza per l’unità di tutta l’umanità.

 

Non un Fine ma un segno – o un sacramento. La costituzione pastorale Gaudium et spes afferma infatti che «il santo Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all’umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d’instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione» (Prefazione, n. 3).

 

Per effetto della quale la costituzione dogmatica Lumen gentium definisce la Chiesa «popolo messianico», vale a dire: «per tutta l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza», inviato «a tutto il mondo […] quale luce del mondo e sale della terra» (capitolo II, n. 9).

 

La missione della Chiesa è quella della testimonianza, espressione della coscienza comune del Popolo di Dio che cristallizza i bisogni dell’umanità, ed è per questo che l’autorità si definisce nella Chiesa come un servizio, nella misura in cui sancisce questa espressione e ne garantisce la permanenza.

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4. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato nel 2005 sotto la responsabilità di Benedetto XVI, già diceva, al n. 15: «A chi è affidato il deposito della fede? Il deposito della fede è affidato dagli Apostoli alla totalità della Chiesa. Tutto il popolo di Dio, con il senso soprannaturale della fede, sorretto dallo Spirito Santo e guidato dal Magistero della Chiesa, accoglie la Rivelazione divina, sempre più la comprende e la applica alla vita».

 

Rivelazione che si identifica con la coscienza comune, ribattezzata «senso della fede soprannaturale». Il Compendio riprende qui il n. 91 del Catechismo della Chiesa Cattolica: «Tutti i fedeli sono partecipi della comprensione e della trasmissione della verità rivelata. Hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo che insegna loro ogni cosa e li guida “alla verità tutta intera».

 

E nell’Esortazione Verbum Domini, che nel 2010 trae le conclusioni del sinodo del 2008, anche papa Benedetto XVI ha dichiarato che «la sua Parola ci coinvolge non soltanto come destinatari della Rivelazione divina, ma anche come suoi annunciatori (1) […] Poiché tutto il Popolo di Dio è un popolo “inviato”, il Sinodo ha ribadito che “la missione di annunciare la Parola di Dio è compito di tutti i discepoli di Gesù Cristo come conseguenza del loro battesimo”».

 

«Nessun credente in Cristo può sentirsi estraneo a questa responsabilità che proviene dall’appartenere sacramentalmente al Corpo di Cristo. Questa consapevolezza deve essere ridestata in ogni famiglia, parrocchia, comunità, associazione e movimento ecclesiale. La Chiesa, come mistero di comunione, è dunque tutta missionaria e ciascuno, nel suo proprio stato di vita, è chiamato a dare un contributo incisivo all’annuncio cristiano». (2)

 

5. Nel Discorso pronunciato durante il Sinodo mercoledì scorso, 25 ottobre, Papa Francesco è tornato su questa idea, con parole immagine, di cui conosce il segreto. «Mi piace pensare alla Chiesa come a questo popolo semplice e umile che cammina alla presenza del Signore, il popolo fedele di Dio (…)».

 

«Una delle caratteristiche di questo Popolo fedele è la sua infallibilità; sì, è infallibile in credendo. (In credendo falli nequit, dice Lumen gentium, n° 12) Infallibilitas in credendo. (…) Mi viene in mente un’immagine: il Popolo fedele riunito all’ingresso della cattedrale di Efeso».

 

«La storia (o la leggenda) narra che la gente si trovava ai due lati della strada verso la cattedrale, mentre i vescovi entravano in processione, e ripeteva in coro “Madre di Dio”, chiedendo alla gerarchia di dichiarare dogmatica questa verità che già posseduta come Popolo di Dio. (Alcuni dicono che avevano dei bastoni in mano e li mostravano ai vescovi)».

 

«Non so se sia una storia o una leggenda, ma l’immagine è buona. (…) Noi, membri della gerarchia, veniamo da questo Popolo e abbiamo ricevuto la fede di questo popolo, in genere dalle loro madri e nonne, “tua madre e tua nonna”, diceva Paolo a Timoteo». Su questo punto, dunque, Francesco segue Benedetto XVI e il Sinodo del 2023-2024 è una continuazione di quello del 2008.

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La confutazione anticipata di questa concezione da parte di San Pio

6. Nell’Enciclica Pascendi, san Pio X spiega chiaramente che questo principio non è che una variazione (o un adattamento) del principio protestante, il principio dell’autonomia della coscienza – o del libero esame – per cui la Rivelazione si identifica con la coscienza – o con il «senso soprannaturale della fede» o anche «l’unzione dello Spirito Santo».

 

Se la Rivelazione divina (cioè la comunicazione della verità e della legge fatta da Dio agli uomini) si identifica con la coscienza (o con una consapevolezza), allora l’autorità nella Chiesa diventa logicamente l’organo della coscienza. Il protestantesimo identifica la Rivelazione con la coscienza individuale e per questo introduce un fermento di divisione e di anarchia, sia intellettuale che morale.

 

I protestanti possono neutralizzarlo solo a costo di una contraddizione, reintroducendo nella Chiesa il dominio di un’autorità che il loro principio del libero esame rende impossibile. Il Modernismo identifica la Rivelazione con la coscienza comune, e con il Vaticano II il «senso soprannaturale della fede» o «l’unzione dello Spirito Santo» è prerogativa dell’intero Popolo di Dio.

 

Questa variazione del tema protestante permette di mantenere l’autorità come principio di unità, senza cadere in contraddizione. Ma ciò avviene al prezzo di un cambiamento totale nella definizione di autorità, un cambiamento che equivale a un’inversione.

 

L’autorità non scende più dall’alto; emerge dal basso. San Pio X, quando evoca questa «equivalenza tra coscienza e Rivelazione» e «la legge che stabilisce la coscienza religiosa come regola universale, tutta in pari con la Rivelazione», precisa che tutto deve esserle soggetta «fino all’autorità suprema nella sua triplice manifestazione, dottrinale, culturale, disciplinare».

 

7. Se l’autorità, nella Chiesa, diventa portavoce della coscienza comune del Popolo di Dio, allora, dice san Pio X, «imbavagliare la critica, impedendole di spingere per gli sviluppi necessari, non è quindi più un uso del potere impegnato a fini utili, è un abuso di autorità».

 

Vediamo che Papa Francesco lascia tutta la libertà di espressione a coloro che egli designa come «periferie della Chiesa» e che spingono proprio a questi necessari sviluppi, di cui l’ultimo Sinodo ha voluto dimostrare la consapevolezza. E se mette a tacere le critiche di mons. Strickland è proprio perché si pone contro tali sviluppi, e per lo stesso motivo anche contro il Sinodo.

 

8. Con Francesco e l’ultimo Sinodo, l’autorità del Papa nella Chiesa si trova quindi a un bivio.

 

Don Jean-Michel Gleize

Don Jean-Michel Gleize è professore di Apologetica, Ecclesiologia e Dogma al Seminario San Pio X di Econe. È il principale collaboratore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali con Roma tra il 2009 e il 2011.

 

NOTE

1) Verbum Domini, n° 91.

2) Verbum Domini, n° 94

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine: Adolfo Müller-Ury (1862–1947), Ritratto di Pio X (1911); immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia.

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Ritorno all’affare del catechismo olandese (1966-1968)

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È utile raccontare la vicenda del Catechismo olandese, che è stata richiamata da mons. Peter Kohlgraf come punto di paragone con l’evoluzione della Chiesa in Germania.  

Sfondo

I cattolici olandesi sono da tempo noti per la loro fede, perché fin dal XVI secolo hanno dovuto lottare contro un clima protestante ostile. Nel XX secolo sono diventati la maggioranza, con strutture importanti, una forte identità e numerosi missionari in tutto il mondo.   Ma dopo la guerra, il materialismo trasformò la vita. La pratica, superiore al 70%, era in declino. Dall’inizio degli anni ’60, tra i cattolici olandesi si diffuse l’uso dei contraccettivi, con la conseguente riduzione delle dimensioni delle famiglie, del numero dei candidati al seminario e una diminuzione del senso di fede. La tradizionale presa di distanza dai protestanti non aveva più senso.  

Contesto

Dal 1956 i professori dell’Istituto catechetico superiore di Nimega furono incaricati dall’episcopato olandese di comporre un catechismo per i bambini. Nel 1960 si decise di realizzarlo per adulti. Fu pubblicato nel 1966 con l’imprimatur del cardinale Bernardus Alfrink.   La direzione si deve al gesuita olandese Piet Schoonenberg (1911-1999) e al domenicano belga Edward Schillebeeckx (1914-2009), professori dell’Istituto. Fr. Schillebeeckx era una voce ascoltata al Concilio Vaticano II, anche se non era stato nominato esperto.

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Le origini delle gravi carenze del Catechismo

Il testo considera la situazione del mondo, cercando di cogliere in modo positivo le diverse religioni, compreso il marxismo, come espressioni della ricerca di Dio. Integra la prospettiva delle scienze e quella dell’evoluzione. Questo approccio era difettoso.   Ciò nonostante, la cosa peggiore non fu questa. Sono stati scoperti gravi errori, la cui radice risiedeva in due intenzioni sottostanti. Il primo: andare d’accordo con la parte protestante del Paese, cercando di migliorare le spiegazioni cattoliche, ma evitando anche ciò che potrebbe dispiacere ai riformati.   La seconda: si trattava di raggiungere il mondo moderno. Ciò ha portato alla ricerca di formule morbide, a evitare argomenti difficili (il peccato originale, i miracoli) e a interpretare altri, «meno credibili», come il concepimento verginale, gli angeli e la risurrezione, come metafore. Gli scrittori si erano convinti che questi punti non fossero propriamente questioni di fede e che fossero liberi di cercarne un’interpretazione simbolica.   Infine, gli scrittori hanno cercato espressioni alternative alle formule tradizionali della Fede, sostituendo la terminologia «filosofica». Ciò ha portato a ricostruzioni difficili e insolite dei dogmi centrali – la Trinità, la personalità di Gesù Cristo, il peccato, i sacramenti – che hanno perso precisione. Il problema sta in ciò che non è stato affermato o in ciò che è stato reinterpretato.  

Opposizione cattolica

L’opposizione sorse subito da parte dei cattolici ben formati. Hanno denunciato le carenze in un giornale (Confrontatiie) e hanno inviato una lettera al Papa, pubblicata sulla stampa cattolica (De Tijd). Gli autori del catechismo hanno reagito molto male.   Paolo VI nominò allora, d’accordo con Alfrink, una commissione mista composta da tre teologi romani (Edouard Dhanis, Jan Visser, Benedict Lemeer) e tre membri dell’Istituto di Nijmegen (Schoonenberg, Schillebeeckx e W. Bless). Si incontrarono a Gazzada (Italia) nell’aprile 1967, ma la delegazione dell’Istituto rifiutò per principio ogni cambiamento.  

La Commissione Cardinalizia

Paolo VI nominò poi una commissione di sei cardinali (giugno 1967): Josef Frings, Joseph-Charles Lefebre, Lorenz Jaeger, Ermenegildo Florit, Michael Browne, Charles Journet. Sarebbero assistiti da sette teologi. L’elenco dei punti da correggere o chiarire è lungo:   L’esistenza degli angeli e dei demoni, la creazione immediata dell’anima da parte di Dio, il peccato originale, il poligenismo, il concepimento verginale di Cristo, la verginità perpetua di Maria, la soddisfazione espiatoria del sacrificio della Croce, la perpetuazione del sacrificio nell’uomo Eucaristia, Transustanziazione, Presenza Reale, infallibilità della Chiesa, sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune, primato di Roma, conoscenza della Trinità, coscienza divina di Gesù, battesimo, sacramento della Penitenza, miracoli, morte e risurrezione, giudizio e del Purgatorio, l’universalità delle leggi morali, l’indissolubilità del matrimonio, il controllo delle nascite, i peccati veniali e mortali e lo stato matrimoniale.   La commissione pubblicò una Dichiarazione (15 ottobre 1968), indicando le necessarie correzioni e integrazioni. Come riferisce Omnes, «L’Istituto si rifiutò di correggere il testo e promosse traduzioni in tedesco, francese, inglese e spagnolo, senza rettifiche o nihil obstat […] [E] erano sicuri che la loro proposta fosse il futuro della Chiesa universale ed erano pronti a difenderlo ad ogni costo.   «Si è deciso poi di convertire le correzioni in un Supplemento di circa 20 pagine, che potrebbe aggiungersi ai volumi invenduti delle varie edizioni e traduzioni, previo benestare degli editori».  

Influenza del «Consiglio» pastorale olandese

Questo «concilio», iniziato nel 1966, è stato influenzato dagli errori del Catechismo olandese. In particolare, la terza sessione (1969) fu molto segnata dal clima creato dalla questione del Catechismo e dalla tensione con Roma scaturita dal suo esame e poi dalla Dichiarazione della Commissione Cardinalizia.   Ciò spiega in parte gli eccessi che questo «concilio» ha esaminato e poi votato con la benedizione dell’episcopato olandese.   Paolo VI, su richiesta di Jacques Maritain e del cardinale Charles Journet, che prepararono l’ossatura del testo, reagì con la pubblicazione del Credo du peuple de Dieu, proclamato solennemente in Vaticano il 30 giugno 1968, per la chiusura dell’Anno della fede. Il Papa ha sostanzialmente riaffermato le verità di fede negate o messe in discussione dal Catechismo olandese senza nominarlo.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Mons. Viganò: omelia per le Rogazioni contro il cancro conciliare

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Renovatio 21 ripubblica questo discorso di monsignor Carlo Maria Viganò.

 

 

FIRMAMENTUM MEUM

Omelia nelle Litanie Maggiori, o Rogazioni Pozzolatico (Firenze). 25 Aprile 2024

 

 

 

Dominus firmamentum meum, et refugium meum, et liberator meus.
Il Signore è mia roccia, mia fortezza e mio liberatore.

Ps 17, 3

Le Rogazioni riportano molti di noi a tempi remoti, nei quali il 25 Aprile era dedicato alla Benedizione dei campi. Ed era nelle campagne, un tempo nemmeno troppo distanti dalle città, che vedevamo processioni di fedeli e popolo seguire il sacerdote al canto delle Litanie.

 

Ut fructus terræ dare et conservare digneris… Contadini vestiti con l’abito della festa accompagnavano i nostri parroci fino ai loro poderi, dove la sua preghiera echeggiava in un silenzio rotto solo dal canto degli uccelli. Gli alberi da frutto erano in fiore e nell’aria volavano i semi dei pioppi. E si sapeva, nell’intimo di una coscienza che parlava ancora, che il Signore premia il giusto e punisce il malvagio: non solo perché questo era ciò che si sentiva predicare in chiesa, ma anche perché questa giustizia semplice nella comprensione e divina nelle sue manifestazioni mandava le cavallette nel campo di chi lavorava la domenica, e rendeva feconde le coltivazioni, generosi i fianchi delle mucche e delle pecore di chi viveva in Grazia di Dio. 

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La nostra educazione radicatamente cattolica ci mostrava incastonati in un elaboratissimo disegno della Provvidenza; ed anche se il Creato ci era ostile dopo la cacciata dall’Eden, eravamo nondimeno aiutati dal ritmo sereno delle stagioni e dallo scandire confortante delle ricorrenze religiose a condurre una vita ancora rispondente all’armonia voluta dal Creatore. 

 

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore…

 

Potevamo ancora ammirare all’alba, in questa stagione, il cielo che si schiariva e brillava nel suo blu radioso: oggi ci siamo ormai abituati alla grigia coltre di cieli irrorati artificialmente. E comprendiamo, solo oggi, quanto dessimo per scontata la luce del sole, che qualche autoproclamato filantropo vorrebbe schermare: 

 

de te, Altissimo, porta significatione.

 

Pensiamoci bene: l’odio del Nemico sembra progressivamente mostrarsi con sempre maggior arroganza, e privare il genere umano della luce del sole è un’inquietante figura dell’oscuramento di Cristo, Sol justitiæ, da parte dei servi dell’Avversario. 

 

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

 

Quella società ancora cattolica, pur essendo minata dagli errori del liberalismo o del materialismo ateo, è riuscita a sopravvivere fino agli Anni Sessanta perché era tenuta in vita dall’opera santificatrice della Chiesa e da una generazione di sacerdoti formati secondo l’impostazione tradizionale.

 

Per far ingoiare a questi buoni parroci e religiosi l’indigesto boccone del Vaticano II furono necessari anni e anni di rieducazione e di epurazioni, ma nel frattempo – anche dove il rito riformato aveva sostituito la Messa cattolica – dai pulpiti veniva ancora predicata la Fede di Cristo. Solo per questo gli errori moderni non poterono attecchire ovunque: rimaneva nelle anime il timor di Dio, il rispetto della santità della vita, il riconoscimento del ruolo sociale della famiglia, la volontà di Bene.

 

Nel frattempo il cancro conciliare si diffondeva nelle Università pontificie, nei Seminari, nei Conventi, nelle associazioni cattoliche. 

 

Fu allora che la Gerarchia Cattolica lasciò cadere le Rogazioni, considerandole una vieta manifestazione di fideismo quasi superstizioso. La mente orgogliosa e superba dei novatori non poteva tollerare che il popolo cristiano chiedesse perdono per i propri peccati, invocando la misericordia del Signore e propiziando le Sue benedizioni sui campi.

 

Era una visione «medievale», indegna delle elevate e adulte coscienze dei modernisti. Era un ostacolo al dialogo religioso, perché riconosceva alla Maestà divina una centralità che l’uomo moderno rivendicava a sé e alla sua dignitas infinita – intelligenti pauca. Così la Provvidenza venne bandita sia nel Suo intervento nella Storia, sia nella nostra possibilità di invocarLa.

 

Il Vaticano II, con la sua visione orizzontale, ci ha precluso quella consolante consapevolezza di essere parte di un cosmo in cui la nostra esistenza individuale è insostituibile perché frutto dell’amore provvidente del Dio Creatore, Redentore e Santificatore. 

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La voce della «chiesa conciliare» ci faceva credere che eravamo tutti salvi per il solo fatto che Cristo fosse uomo come noi; e quindi che non vi poteva essere nessuna punizione perché non vi era alcuna colpa da punire; dunque non vi era più un Dio da implorare perché fermasse il braccio della Sua giusta ira su di noi peccatori.

 

Questo voleva dire – e lo vediamo confermato oggi – che non serviva nemmeno un Redentore, e che il Sacrificio della Croce era inutile. Ma se tutti si salvano, a cosa serve la Chiesa? Se non c’è diluvio, a cosa serve l’Arca? Se il mondo può vivere in pace e in armonia senza Dio, perché dovremmo pregarLo? Se vogliamo la pioggia, ce la facciamo cadere noi, e se i campi inaridiscono facciamo crescere piante ogm in idrocultura, creiamo la carne sintetica, sostituiamo il frumento con gli scarafaggi, la natura con i pannelli solari, la vita con la sua grottesca replica in provetta. 

 

Nelle Rogazioni è riassunta l’anima del popolo cattolico, perché nell’invocare la misericordia e la benedizione di Dio sui frutti della terra che vanno maturando nei campi e lungo i filari, quel popolo si riconosceva con umile realismo peccatore, capace di emendarsi, di far penitenza, di difendere la propria Fede con il generoso e sincero impeto di Pietro: Signore, con Te sono pronto ad andare in prigione e alla morte (Lc 22, 33).

 

Quel mondo cristiano, cari fratelli, è stato cancellato: in molte nazioni seguirne i principi è considerato un reato. Ma se è umanamente arduo pensare che sia possibile ricostruire quel modello sulle rovine di un’umanità abbrutita e ribelle, abbiamo tuttavia la possibilità di formare piccole comunità in cui sia custodita e conservata la Fede cattolica secondo quel modo di vivere antico e sacro, nella consapevolezza che dovremmo forse adattarci anche alla clandestinità e alla macchia. Sarà allora che i nostri figli scopriranno con stupore e incredulità quanto sia preferibile arare un campo, dissodare un orto, coltivare frutta, allevare il bestiame, pascolare le pecore, saper fare il formaggio e cuocere il pane. Perché quel benedetto sudore della fronte ci riporta alla concretezza della nostra condizione di exsules filii Hevæ ma ci affranca dalla servitù dei call center, dall’usura, dalla necessità di comprare e mangiare quel che altri hanno deciso. 

 

Tornare alla Fede è possibile creando piccole comunità tradizionali, in cui confrontarsi con gli elementi, seguire i ritmi delle stagioni, la fatica dell’estate e il riposo dell’inverno, la preghiera costante a punteggiare le giornate; giornate in cui ci si alza con la luce del Sole e il segno della Croce, e alla fine delle quali ci si corica con il nome di Gesù e di Maria sulle labbra; giornate in cui la grandine si allontana con una giaculatoria e accendendo la candela benedetta, in cui l’agonia di un’anima è accompagnata dal rintocco della campana, e non dall’arroganza di medici corrotti e infermieri senza cuore. 

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Ecco perché preghiamo oggi: perché vi siano agricoltori nei campi, vignaioli nelle vigne, pastori per le greggi, operai infaticabili nei tempi di sereno e di tempesta, nella canicola e con la galaverna. E questo vale per le coltivazioni e il bestiame, ma anche e soprattutto per il campo del Signore, per la Sua vigna, per il Suo gregge: è il motivo per cui nelle Litanie invochiamo di essere risparmiati a fulgure et tempestatea peste, fame et bello, ma anche per cui preghiamo ut domnum Apostolicum et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris.

 

A questo servono i Ministri dell’Altissimo: a dissodare e seminare la Parola di Dio con la predicazione; a moltiplicare i grappoli dell’unica vite; a pascere le pecore che il Signore ha affidato loro. 

 

L’anniversario dell’Ordinazione sacerdotale di don Lorenzo e don Emanuele e della mia Consacrazione episcopale ci ricordano l’importanza del Sacerdozio cattolico, specialmente in un’epoca in cui i Ministri rimasti fedeli a Cristo sono sempre meno.

 

Il Collegium Traditionis è appunto un seminarium, un luogo – e lo comprenderanno bene quanti conoscono la vita di campagna – in cui il seme della Vocazione è fatto crescere e portato a sviluppo, prima che la pianta possa esser messa a dimora e irrobustirsi dando frutto.

 

Chiediamo anche noi, sull’esempio e per l’intercessione del glorioso Apostolo ed Evangelista Marco, di veder benedetti i frutti soprannaturali di questo vivaio di futuri sacerdoti: per la gloria di Dio, l’onore della Chiesa, la salvezza delle anime. E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

25 Aprile 2024
S.cti Marci Ev.

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Immagine: Jules Breton, La Bénédiction des blés en Artois (1867), Museo di Orsay, Parigi.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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I vescovi tedeschi preparano le «diaconesse»

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Il vescovo ausiliare di Essen, mons. Ludger Schepers, ha celebrato il 15 aprile 2024 la messa di chiusura di un corso di formazione per «diaconesse». Il Netzwerk Diakonat der Frau, o Rete del Diaconato femminile, propone una serie di corsi pluriennali, volti a preparare l’inserimento delle diaconesse nella Chiesa. È stata organizzata per la terza volta nel convento di Waldbreitbach.  

Presentazione della formazione deviante

Il Netzwerk Diakonat der Frau, fondato nel 1997, organizza dal 1999 corsi per donne che si sentono chiamate a diventare diaconi. La presidente, Irmentraud Kobusch, spiega: «Siamo un’organizzazione indipendente e possiamo offrire e certificare tali corsi per le donne».   Ufficialmente il corso si intitola: «Educazione continua: servizi di leadership diaconale per le donne nella Chiesa». La formazione appena conclusa è la terza, la prima ha avuto luogo nel 1999.   La formazione si svolge a Waldbreitbach, nei locali del convento delle Suore Francescane. È richiesto il corso per corrispondenza teologica di Würzburg. La formazione si estende su tre anni al ritmo di un fine settimana ogni due mesi. 37 donne sono state formate in tre cicli.   Irmentraud Kobusch dice che l’idea di questa formazione le è venuta dopo aver letto la Lettera Ordinatio sacerdotalis in cui si afferma che il sacerdozio è riservato agli uomini, per diritto divino, e conclude che «il diaconato delle donne» non riguarda.   La presidente ripone la sua speranza in Francesco e nel Cammino sinodale. «Come rete, discutiamo con il gruppo di lavoro sul diaconato permanente», spiega Kobusch. Un ministero comune per uomini e donne sarebbe il modello ideale per il futuro della Chiesa.   Irmentraud Kobusch è convinta che un giorno ci saranno donne diacono cattoliche, in modo del tutto ufficiale. «Persevereremo finché la prima donna non sarà ordinata diacono in Germania», ha detto. Ci vorrà ancora un po’ di tempo.

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La cerimonia del 15 aprile con mons. Ludger Schepers

In un comunicato si ricorda il sistema formativo delle neodiplomate. Il vescovo ausiliare, mons. Schepers, sostiene e accompagna da tempo la rete del diaconato femminile» precisa il comunicato.   E continua: «Nella sua omelia, pronunciata con suor Edith-Maria Magar, superiora generale dei francescani di Waldbreitbach, ha sottolineato che anche le donne vengono chiamate. Le donne si sentono giustamente discriminate ed emarginate nella Chiesa a causa della loro vocazione».   Il comunicato continua: «Le donne sono scioccate dal fatto che questo squilibrio non sia considerato un problema a cui bisogna porre rimedio. (…) Sebbene non potesse ancora ordinare le donne, il vescovo le ha benedette quando hanno ricevuto il certificato».   Il presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing, ha inviato un messaggio di congratulazioni: «Sei una benedizione per la nostra Chiesa», ha scritto.  

Un percorso chiaramente scismatico ed eretico

Tutta questa energia porterà o allo scisma e all’eresia, oppure all’abbandono della Chiesa. Bisogna (ancora) ricordare che, secondo una definizione del Concilio di Trento, che sancisce soltanto una dottrina ancora creduta, il sacramento dell’Ordine è uno, ed è composto di almeno tre gradi: episcopato, sacerdozio e diaconato.   Chi riesce a ricevere l’ultimo potrà ricevere gli altri due. L’impossibilità dell’ordinazione sacerdotale implica quindi quella dell’ordinazione diaconale… o della consacrazione episcopale.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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