Eutanasia
L’Assemblea Nazionale francese ha votato per la morte
La legge detta «aiuto a morire» è appena stata approvata in prima lettura dall’Assemblea nazionale con 305 voti favorevoli, 199 contrari e 57 astensioni.
Si tratta di un progetto eutanatico per il suicidio assistito dallo Stato che respinto nel giugno 2024, quando l’Assemblea nazionale fu sciolta e includeva, nello stesso disegno di legge, la morte assistita e la promozione delle cure palliative.
«L’unione di questi due progetti opposti nella stessa legge aveva lo scopo di farci credere che si trattasse di due facce della stessa medaglia. E questo ha costretto coloro che desideravano le cure palliative ad accettare l’eutanasia» scrive il dottor Philippe de Geofroy sul La Porte Latine. Tuttavia questi due aspetti sono molto diversi. Le cure palliative consistono nell’accompagnare il malato terminale fino alla fine del suo percorso di vita, cercando di aiutarlo e di alleviarlo «non solo dal dolore fisico e psicologico, ma anche a livello sociale e spirituale», come indicato nello statuto della Società francese di cure palliative e di assistenza (SFAP).
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«L’eutanasia, anche se mascherata dal “suicidio assistito”, consiste nell’abbandonarla sotto l’egida dell’umanesimo e di altri “buoni sentimenti”» scrive de Geogroy, che scrive che «l’attuale Primo Ministro, François Bayrou, che si definisce cattolico, ha tergiversato senza troppa convinzione, ma non è riuscito a resistere alla forza della lobby pro-eutanasia guidata da Olivier Falorni, il parlamentare che ha redatto la relazione sulla legge». Di fatto il Bayrou è riuscito ad ottenere solo una concessione simbolica, vale a dire la separazione dei due aspetti dell’eutanasia e delle cure palliative in due leggi distinte.
Secondo i criteri di ammissibilità al suicidio assistito, il richiedente deve essere maggiorenne, di nazionalità francese e risiedere stabilmente e regolarmente in Francia, e deve essere affetto da una «malattia grave e incurabile, qualunque ne sia la causa, che metta in pericolo la vita, in fase avanzata» o «terminale». Ciò significa che siamo entrati in «un processo irreversibile caratterizzato dal peggioramento dello stato di salute del malato e che incide sulla sua qualità di vita».
Sono stati sollevati molti commenti contro la natura relativamente vaga di queste definizioni. «Si riscontra nello spostamento antropologico che ancora una volta costituisce la trasgressione del divieto “Non uccidere”. Quanto alle linee rosse e alle barriere insormontabili, abbiamo visto cosa significano negli ultimi 50 anni con l’evoluzione della legislazione sull’interruzione di gravidanza, passata da eccezione alla regola del rispetto della vita a diritto fondamentale sancito dalla Costituzione» scrive il medico. «Le barriere possono essere invalicabili, ma possono essere spostate con una piccola spinta».
Il paziente deve inoltre presentare «una sofferenza fisica e psicologica costante» che è «o refrattaria al trattamento o insopportabile a seconda della persona» quando ha «scelto di non ricevere o di interrompere» il trattamento. La sofferenza psicologica da sola non è sufficiente per «trarre beneficio» dal «suicidio assistito», specifica il testo.
«Questa condizione richiede due osservazioni: la prima riguarda la legittimità morale di interrompere il trattamento quando diventa doloroso e non vi è alcuna speranza di guarigione. La cessazione dell’ostinazione irragionevole, anche se comporta la perdita di alcuni giorni di dolorosa fine della vita, non è in alcun modo paragonabile all’eutanasia» commenta de Geofroy.
«La seconda osservazione riguarda la sofferenza fisica o psicologica resistente alle cure. Tutti i medici di cure palliative ci dicono che quando un paziente con gravi sofferenze morali e psicologiche viene curato correttamente, quasi tutte le richieste di eutanasia scompaiono». È importante sottolineare che oggigiorno esistono molti metodi efficaci per far scomparire il dolore e restituire un certo benessere al paziente. Ci sono però casi in cui ciò è impossibile. Si può allora proporre al paziente una sedazione proporzionata «ma dopo che questi abbia potuto soddisfare i suoi gravi doveri morali, sia materiali che spirituali».
La richiesta deve essere rivolta espressamente al medico, che ha circa due settimane di tempo per decidere e comunicarlo al medico curante. Può rivolgersi a uno specialista che ha accesso alla cartella clinica del paziente e a un operatore sanitario coinvolto nel trattamento in corso, ma la decisione finale, che deve essere scritta e motivata, spetta a lui.
Il testo prevede inoltre che l’autosomministrazione della sostanza giuridica resti la regola (ciò corrisponde a ciò che viene chiamato suicidio assistito), ma, se il paziente non è in grado di farlo, la somministrazione può essere effettuata da un medico o da un infermiere. Per il momento esiste una clausola di coscienza specifica per gli operatori sanitari che consente loro di rifiutare di eseguire questa procedura. Questa clausola probabilmente non esisterà per i farmacisti, come già avviene per i prodotti abortivi, perché non sono considerati «ausiliari medici».
«Oggi questa legge si basa sulla partecipazione volontaria della futura vittima. Cosa succederà domani? Si può temere una rapida evoluzione delle cose, come si è visto con la legge Veil del 1975, ma anche più di recente in altri Paesi che hanno legiferato sull’eutanasia, come il Belgio e il Canada. Ricordiamo che la legge Claeys-Leonetti del 2016 ha introdotto il concetto di direttive anticipate opponibili al medico, consentendo a un adulto di esprimere le proprie volontà in merito al fine della propria vita» scrive il medico francese, citando la legge che 50 anni iniziò l’aborto di Stato nel Paese.
«Anche se si può contestare questa nozione di direttive anticipate, che si fonda sulla nozione “sacrosanta” di autonomia, sembra comunque ragionevole utilizzarla per indicare che si rifiuta l’eutanasia e anche per esprimere il desiderio di una sedazione che, se necessaria, resti proporzionata e non sistematicamente “profonda fino alla morte”».
«È stato quindi appena compiuto un passo importante verso la legalizzazione dell’eutanasia. Ma il processo legislativo non è ancora completato. Si prevede che il Senato esaminerà questa legge all’inizio dell’autunno. La camera alta è un po’ più conservatrice dell’Assemblea nazionale» continua il dottor de Geofroy. «Possiamo sperare, senza sognare troppo, che il testo non venga votato, almeno nella sua forma attuale. Alcuni senatori hanno espresso opinioni dissenzienti, ma non è ancora chiaro cosa emergerà dal voto finale. L’obiettivo del governo rimane quello di far sì che la legge venga adottata prima della fine del mandato quinquennale. In caso di stallo, non si può escludere del tutto la possibilità di un referendum».
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Va notata la dichiarazione di un giovane deputato del partito macroniano Renaissance (ex En Marche) Charles Sitzenstuhl durante i dibattiti parlamentari.
«Credevo di aver capito che quando si è più a sinistra, la vocazione primaria resta quella di proteggere i deboli, di proteggere i vulnerabili (…) avete appena votato un emendamento che mirava a eliminare la protezione per le persone che hanno problemi di discernimento, cosa che per voi non ha creato alcuna difficoltà».
Come riportato da Renovatio 21, tutti i Paesi Europei, dal Portogallo all’Irlanda alla Spagna all’Estonia, galoppano verso la dolce morte di Stato, che ha attecchito anche in Gran Bretagna, Colombia, Danimarca e Australia, mentre Paesi come il Canada hanno già raggiunto livelli parossistici di sterminio eutanatico, dove vengono istituite vere e proprie case della morte funzionari statali propongono direttamente ai disabili di farsi uccidere.
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Eutanasia
Il vero volto del suicidio Kessler
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Eutanasia
Gemelle Kessler, Necrocultura Dadaumpa
Alice ed Ellen Kessler erano diventate membri della Deutsche Gesellschaft fur Humanes Sterben (società tedesca per la morte umana) da oltre sei mesi e avevano deciso di morire insieme il 17 novembre. Secondo quanto riportato da una testata bavarese, un avvocato e un medico della DGHS avrebbero condotto dei colloqui preliminari con le famose gemelle e alla data stabilita si sarebbero recati nella loro casa di Grunwald per «assisterle».
In Germania il suicidio assistito è stato depenalizzato nel 2020 dalla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato incostituzionale una norma che lo proibiva. La sentenza in questione stabiliva infatti che deve esserci «margine sufficiente affinché un individuo possa esercitare il proprio diritto a una morte autodeterminata».
La Corte Costituzionale ha specificato altresì che nessuno può essere obbligato a favorire il suicidio assistito e ha lasciato al Parlamento la facoltà di introdurre una legislazione sul tema, ma finora i tentativi di arrivare a una legge sono tutti falliti. In Germania è consentito ricorrere a tale pratica solamente ad alcune condizioni: colui o colei che intende ricorrervi deve dimostrare di agire responsabilmente e di propria spontanea volontà, di essere maggiorenne e di avere riconosciuta la propria capacità giuridica.
Inoltre, chi assiste il richiedente non può eseguire personalmente l’atto, perché ciò sarebbe da considerare una pratica di «eutanasia attiva», che invece è vietata. La morte avviene tramite l’infusione endovenosa di un’alta dose di anestetico barbiturico che provoca, in breve tempo, l’arresto cardiocircolatorio del soggetto ricevente.
In un’intervista rilasciata nel 2019 al Quotidiano Nazionale Ellen Kessler aveva manifestato la volontà che le loro ceneri fossero unite a quelle della mamma e del cane: «ne abbiamo parlato noi due e abbiamo deciso di fare così, di stare tutte in un’urna. Anche il cane (…) lo spazio ci vuole. La gente è sempre di più, invecchia sempre di più, la morte purtroppo c’è per tutti e quindi la soluzione è questa: una tomba e un’urna per tutti. Molti in Germania adesso si fanno cremare e seppellire sotto un albero nella foresta (…) Non vogliamo certo finire in un asilo per anziani o per malati. Abbiamo un testamento biologico secondo cui se succede qualcosa di grave ci sono degli ospedali speciali che curano senza allungare la vita. Il mio sogno è andare a letto e non svegliarmi più, la morte più bella che ci possa essere».
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Mentre in un’intervista rilasciata lo scorso anno al quotidiano Bild le Kessler avevano dichiarato di non voler sopravvivere l’una all’altra e avevano anche aggiunto che una vita senza dignità non vale la pena di essere vissuta.
La loro decisione, tuttavia, non può essere compresa appieno senza considerare il contesto filosofico in cui si inserisce. In questa prospettiva, il materialismo del pensiero moderno identifica il principio vitale dell’essere umano nell’attività cerebrale, mentre la tradizione filosofica su cui la civiltà occidentale ha fondato il suo diritto e la sua morale, almeno fino alla metà del secolo scorso, afferma che l’uomo è composto di anima e corpo e ha nell’anima razionale il principio vitale che lo caratterizza. Tale principio pur essendo nel corpo non si trova in nessun organo, tessuto o funzione perché è di natura spirituale.
Pertanto, ciò che sostanzia l’essere umano non è l’autocoscienza e nemmeno la sua capacità di interagire con l’ambiente ma la presenza in lui dell’anima razionale che include l’uso di queste funzioni. La vita inizia con l’infusione da parte di Dio Creatore dell’anima nel corpo e termina con la separazione da esso, nel momento in cui l’organismo si dissolve nei suoi elementi costitutivi.
Ci troviamo di fronte a due concezioni dell’esistenza umana diametralmente opposte: una che riconosce e difende il suo valore intrinseco, l’altra che riconosce il suo valore solo a determinate condizioni. Nell’ottica cristiana l’uomo è Imago Dei mentre in quella del pensiero moderno è un mero agglomerato di organi e funzioni al pari di qualsiasi altro essere vivente; ancora, nell’ottica cristiana la dignità della persona umana è ontologica, mentre in quella del pensiero moderno dipende dalla persistenza o meno di determinate funzioni intellettive: la sofferenza fisica e/o psichica viene considerata un danno oggettivo alla qualità della vita di un essere umano che viene talvolta ritenuto motivo sufficiente per giustificarne l’eliminazione.
La concezione filosofica dell’esistenza che hanno espresso in vita le gemelle Kessler è esattamente quella che la Necrocultura diffonde con ogni modalità possibile e in tutti i campi. La loro fine rappresenta, in fondo, ciò che lo stato moderno si aspetta che ciascuno di noi faccia, ossia togliere il disturbo quando la nostra condizione non ci consente più di produrre o essere utile agli altri o alla comunità nel suo complesso.
Va da sé che il cosiddetto principio dell’autodeterminazione rappresenta il classico specchietto per le allodole: l’eutanasia e il suicidio assistito conducono necessariamente all’eliminazione di tutti coloro che non hanno una qualità di vita ritenuta sufficiente secondo i parametri della modernità, come abbiamo visto nei casi di Charlie Gard e Alfie Evans uccisi dalla giustizia inglese in ossequio al loro best interest, solo per fare qualche esempio. L’eliminazione programmata e obbligatoria dell’essere umano è un approdo che rischia di diventare solo questione di tempo.
La scelta delle gemelle Kessler diventa il simbolo di un conflitto sempre più evidente nella nostra società: da una parte una visione che riconosce alla vita umana un valore intrinseco, indipendente da condizioni di efficienza o autonomia; dall’altra una concezione che lega la dignità alla qualità percepita dell’esistenza e che vede nella fragilità e nella sofferenza un limite intollerabile.
Di fronte a questa deriva culturale, è necessario ribadire che la dignità umana non è negoziabile e non dipende dalle condizioni in cui ci si trova.
Alfredo De Matteo
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificatra
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