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L’arcivescovo Aguer: il tour asiatico di Papa Francesco è stata una «caricatura eterodossa» di un viaggio apostolico

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Renovatio 21 pubblica il testo a firma di monsignor Hector Aguer, arcivescovo emerito di La Plata, Argentina, sul recente viaggio di Bergoglio nel Sud-Est asiatico apparso su LifeSiteNews.

 

Ho seguito il tour di 12 giorni di Papa Francesco in Asia e Oceania su La Prensa. È ammirevole che il Pontefice si assuma un compito così impegnativo a quasi 88 anni. Sembra proprio che l’intero Vaticano sia al seguito, con dottori, infermieri e altri dipendenti attenti a ogni esigenza di Francesco: c’erano molti servitori che si alternavano a spingere la sua sedia a rotelle. Non voglio pensare al costo esorbitante di questo tour. (Soros pagherà?)

 

Qualcosa che è nato spontaneamente nella mia mente è stato un contrasto con l’invio degli apostoli da parte di Gesù: «Andate per tutto il mondo» (Mc 16,15). Nel greco originale, l’accento non è tanto su «andate» (poreuthentes eis ton kosmon apanta) -– che dovrebbe essere tradotto come «andare in tutto il mondo…» – ma sull’azione da compiere, vale a dire, ciò per cui ci sta inviando , che è insegnare e battezzare (matheteusate panta ta ethne, baptizontes). L’insistenza è sull’azione di battezzare, cioè fare nuovi cristiani, ripopolare il mondo con discepoli di Gesù.

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La storia della Chiesa ha mostrato come il mandato è stato adempiuto in ogni epoca: dai momenti iniziali fino a quel pieno compimento di un impero cristiano che è succeduto all’impero romano. E il mandato di uscire, insegnare e battezzare è stato esercitato anche nel Nuovo Mondo, in America. Numerosi Dottori della Chiesa hanno illustrato che cosa significhi essere cristiani, frutto del mandato di Gesù, e hanno superato errori ed eresie, deformazioni accidentali che non hanno potuto oscurare la realtà.

 

Il tour di Francesco è iniziato in Indonesia, dove ha sollecitato il dialogo con l’Islam ed espresso la sua preoccupazione per il cambiamento climatico. Ha elogiato il «rispetto reciproco per le particolarità culturali, etniche, linguistiche e religiose» e ha raccomandato ai giovani di discuterne tra loro perché è qualcosa che «fa crescere».

 

La contraddizione con un autentico messaggio cristiano è stata particolarmente evidente nella sua esortazione a resistere all’estremismo e all’intolleranza: ha chiesto al clero locale di non porre la propria fede «in opposizione a quella degli altri».

 

Un successo in mezzo a tanto orrore: ha denunciato le «leggi della morte» che limitano le nascite e si è chiesto perché ci siano alcune famiglie che preferiscono «avere un gatto o un cucciolo piuttosto che un bambino». Ha sottolineato le differenze tra il mondo e l’Indonesia, un Paese che ospita matrimoni che «invece hanno quattro o cinque figli, il che è positivo. Continuate così». Una parte considerevole dell’umanità non ha i mezzi per avere una vita dignitosa e si trova ad affrontare gravi e crescenti squilibri sociali che innescano gravi conflitti. Il Papa ha detto che «questo non può essere risolto con una legge che limita il tasso di natalità», che è già basso in molti Paesi, molti dei quali in Europa.

 

Sempre in Indonesia, ha partecipato a un incontro con il movimento Scholas Occurrentes, che ha radunato 1.500 persone. Ha dichiarato di voler implementare il dialogo interreligioso e ha partecipato a un incontro ecumenico in una moschea, perché «se tutte le cose fossero uguali sarebbe una noia» (che frivolezza!).

 

A Timor Est, secondo La Prensa, il Papa ha ricevuto un’accoglienza entusiastica. Lì ha elogiato la ripresa del Paese e ha fatto un’allusione velata a uno scandalo di abusi.

 

Arrivato in Papua Nuova Guinea ha esclamato: «È incredibile che io sia qui». Questo è un paese povero con poche infrastrutture, dove più di mille tribù vivono in zone di giungla. Lì è stato guidato da missionari argentini appartenenti all’Istituto del Verbo Incarnato (IVE). Non sono ben considerati da molti in un’Argentina progressista, eppure sono richiesti da diversi episcopati poiché lavorano molto bene nell’evangelizzazione – e lo stesso vale per il suo ramo femminile, le Serve del Signore e della Vergine di Matará.

 

Padre Tomás Ravaioli, un porteño [cittadino di Buenos Aire, ndt] di 42 anni, figlio del mio caro e sempre ricordato amico Luis Aldo Ravaioli, padre di una famiglia feconda ed entusiasta leader pro-life. Coloro che criticano e indeboliscono l’IVE dovrebbero riconoscere il suo spirito missionario e il suo servizio al rinnovamento della Chiesa.

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Il lungo tour del Papa, predicatore dell’ecumenismo e attivista ecologico, si è concluso a Singapore. Ha presieduto un evento gioioso con i giovani, che ha esortato a «fare confusione», e anche una messa in uno stadio per 55.000 persone. Vale la pena notare che i cristiani sono appena il 3% della popolazione di Singapore.

 

Il Papa non ha osato presentare Gesù Cristo come Salvatore universale a cui dobbiamo aderire attraverso la fede.

 

Ho intenzionalmente presentato il viaggio del Pontefice come un tour, non un viaggio missionario. È scandaloso che questa dimostrazione di forza e denaro promuova «il dialogo interreligioso e la cura della Terra di fronte al cambiamento climatico» quando le persone hanno oggettivamente bisogno di essere informate sulla Storia Sacra, incentrata sulla manifestazione di Dio a Israele, e di essere esortate a riconoscere il Signore come vero Dio e vero uomo, come il Salvatore che dà senso a ciò che fa nel mondo aprendo le porte dell’eternità.

 

Il tour pontificio è una caricatura eterodossa del viaggio apostolico dei Dodici. Il volto della Chiesa viene così alterato, senza nemmeno ottenere l’ammirazione del mondo politico. Sarebbe più economico e più sano restare a casa e insegnare il Catechismo.

 

Questo viaggio contrasta anche con i viaggi apostolici di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che erano veramente apostolici, non tour.

 

+ Héctor Aguer
Arcivescovo emerito di La Plata

 

Buenos Aires, giovedì 19 settembre 2024

San Gennaro, vescovo e martire

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia.

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Immagini della FSSPX al pellegrinaggio di Chartes

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Per la terza, i pellegrini sono partiti proprio all’alba. A differenza dei due giorni precedenti, sono stati i bambini a lasciare per primi il bivacco, verso le 6 del mattino, per prendere gli autobus che li avrebbero portati al punto di partenza. Poco dopo, la colonna di adulti e adolescenti ha seguito l’esempio, con la regione Poitou-Charentes in testa.  

Indispensabili, agiscono nell’ombra

Senza di loro, il pellegrinaggio non esisterebbe: questi sono i volontari. Diverse centinaia di persone in paramenti variopinti che lavorano giorno e notte per tre giorni – e molto di più – per aiutare i pellegrini: trasportando borse, montando le tende, cucinando, mantenendo pulito il bivacco e così via.   Come eroi leggendari, operano nell’ombra. Mentre gli ultimi pellegrini se ne vanno, Trou Moreau pullula di volontari che stanno riordinando il luogo. Per evitare di interrompere il pellegrinaggio, il tempo stringe, ma né la stanchezza né il carico di lavoro possono smorzare il buonumore dei volontari!  

Pellegrini da tutto il mondo

Domenica pomeriggio, le due colonne si sono incontrate all’ippodromo di Longchamp. Il programma prevedeva un meritato pranzo, seguito dalla preparazione del corteo. Gli organizzatori hanno approfittato di questa pausa per offrire una piccola dedica ai pellegrini stranieri.   «Quest’anno sono arrivati ​​200 pellegrini dalla Germania, 200 dalla Svizzera e 200 dai Paesi del Benelux. Abbiamo anche 40 irlandesi, 12 inglesi, 10 polacchi, 2 americani, 2 spagnoli, uno scozzese, un cileno e un seminarista keniota», ha annunciato l’oratore tra un fragoroso applauso.   Il pellegrinaggio ha registrato anche 500 partecipanti in più rispetto al 2024 e lo scorso anno ne aveva già registrati 1.500 in più rispetto all’anno precedente, segno di una fede e di una devozione rinnovate.  

La tradizionale processione per le vie di Parigi

Dopo la pausa pranzo, i pellegrini, ai quali si unirono numerose famiglie e numerosi passeggiatori, si rimisero coraggiosamente in cammino verso l’ultima tappa di questo pellegrinaggio: prossima tappa, Place Vauban, per la solenne messa di chiusura del pellegrinaggio.   Al ritmo della fanfara, l’interminabile colonna avanza nella capitale sotto lo sguardo stupito, e a volte meravigliato, dei passanti. In testa, le truppe scout seguite dai lupetti, dai lupetti e dalle guide, poi i gruppi dei bambini e, infine, la colonna degli adulti si unisce agli Invalides recitando il rosario.   Trocadéro, Pont de l’Alma e, naturalmente, la Torre Eiffel, la colonna è entrata in Place Vauban intorno alle 16:00, applaudita dai servizi di sicurezza. Poi è iniziata la messa solenne, celebrata da Padre Peignot.     Al termine della Messa, dopo la consacrazione del distretto di Francia al Sacro Cuore di Gesù, i pellegrini sono invitati a continuare il loro apostolato «per la nostra madre la Santa Chiesa», dando appuntamento con loro l’anno prossimo, ma prima ancora a Roma per il giubileo del prossimo agosto!   Articolo apparso su FSSPX.News

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  Immagine da FSSPX.News  
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Rombo di tuono sul Monte Sinai

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Dopo quindici secoli di turbolenta esistenza, il Monastero di Santa Caterina, incastonato nel cuore dell’aspro territorio del Monte Sinai, ha visto le sue sorti cambiare ancora una volta. Questo luogo di culto della cristianità ha appena perso la sua autonomia amministrativa.

 

Con una sentenza emessa il 28 maggio 2025 dal tribunale di Ismailia (Egitto), i suoi beni sono stati confiscati a beneficio dello Stato egiziano, scatenando un’ondata di preoccupazioni sul futuro di questo santuario e della comunità monastica che lo abita.

 

Fondato nel VI secolo sotto l’egida dell’imperatore Giustiniano, il monastero di Santa Caterina è sopravvissuto ai secoli, resistendo al tumulto di guerre, conquiste e persecuzioni. La sua longevità è in parte dovuta al suo status di Waqf, che designa un luogo sacro protetto dalla tradizione coranica, che gli ha fatto guadagnare il rispetto dei beduini del deserto del Sinai.

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Patrimonio dell’umanità UNESCO, questo gioiello custodisce tesori inestimabili: icone antiche, manoscritti rari, reliquie sacre e una biblioteca eccezionalmente ricca. Fino a poco tempo fa, questi beni erano amministrati da una comunità di venti monaci, membri del Patriarcato greco di Gerusalemme (non unito a Roma), che godevano di un’autonomia pressoché assoluta.

 

Questo privilegio, frutto di una lunga tradizione, garantiva la conservazione spirituale e materiale del monastero, conferendogli al contempo un’aura di indipendenza rara in una regione segnata da sconvolgimenti. Il verdetto del tribunale di Ismailia, pronunciato il 28 maggio 2025, ha posto bruscamente fine a questa autonomia. I beni del monastero sono ora sotto il controllo dello Stato egiziano.

 

I monaci, custodi secolari di questo luogo, sono soggetti a severe restrizioni: il loro accesso ad alcuni edifici è limitato e la loro presenza è tollerata solo per scopi religiosi, secondo le condizioni dettate dalle nuove autorità pubbliche. Questa decisione giunge in un contesto regionale già travagliato, dove si intrecciano tensioni religiose e politiche.

 

I monaci, in una dichiarazione segnata da gravità, parlano di una «espulsione di fatto» dal loro monastero. Questa confisca, lungi dall’essere un evento isolato, è il culmine di una lunga battaglia legale. Per diversi anni, lo Stato egiziano ha cercato a intermittenza di porre il monastero sotto la sua autorità.

 

Questa offensiva, iniziata sotto il governo dei Fratelli Musulmani, si è intensificata, rivelando complesse lotte di potere all’interno dell’apparato statale egiziano.

 

Alcuni analisti la vedono come l’influenza di uno «Stato profondo», in cui fazioni, talvolta legate a gruppi salafiti, sfuggono al controllo del presidente Abdel Fattah Sisi. Quest’ultimo, nonostante la sua immagine di uomo forte, sembra incapace di frenare queste dinamiche interne, il che indebolisce ulteriormente la posizione del monastero.

 

La confisca avviene in un contesto geopolitico teso. Il Sinai è teatro di operazioni da parte di gruppi jihadisti che hanno minacciato il sito con attacchi. La decisione del tribunale indebolisce anche la posizione del monastero nelle controversie civili, in particolare quelle relative alle rivendicazioni di usucapione, in cui terzi cercano di appropriarsi di terreni o proprietà.

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Inoltre, esacerba le tensioni diplomatiche tra Egitto e Grecia, quest’ultima percepisce la misura come un attacco al patrimonio ellenico e ortodosso. La reazione della Grecia, profondamente legata al patrimonio ortodosso del Monte Sinai, è stata particolarmente forte.

 

L’ arcivescovo di Atene (non cattolico), Ieronymos, ha espresso la sua indignazione in termini toccanti: «non voglio e non posso credere che l’ellenismo e l’ortodossia stiano oggi vivendo una nuova “conquista” storica». Per lui, il monastero di Santa Caterina, «faro spirituale dell’ortodossia e dell’ellenismo», si trova di fronte a una minaccia esistenziale.

 

Ma non dobbiamo illuderci: la deplorevole decisione dello Stato egiziano è anche una lontana conseguenza di questo status di autocefalia coltivato dall’Ortodossia. Rifiutando l’unità romana, queste «Chiese» – da una prospettiva puramente politica – si sono indebolite e si sono messe nelle mani dei poteri locali. Nel bene e nel male…

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di Berthold Werner via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported2.5 Generic2.0 Generic1.0 Generic

 

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Immagini dalla processione tradizionalista Parigi-Chartres 2025. Il vescovo dice ai 20 mila fedeli che Leone XIV «prega per ogni pellegrino»

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Anche quest’anno, come l’anno scorso, diecine di migliaia di cattolici tradizionalisti hanno marciato da Parigi sino alla cattedrale di Chartres, evento che si pone come il maggiore per il mondo tradizionista, con fedeli che arrivano da tutta Europa e tutto il mondo.   Accogliendo i quasi 20.000 fedeli in pellegrinaggio alla cattedrale di Chartres, in occasione della Santa Messa in rito antico, il vescovo diocesano ha informato il gruppo delle preghiere di papa Leone XIV per tutti i pellegrini, senza tuttavia indicare se il messaggio del papa fosse rivolto specificamente ai partecipanti al pellegrinaggio a Chartres. Lo riporta LifeSite.   Lunedì pomeriggio, il tradizionale pellegrinaggio di massa di dimensioni record organizzato da Notre Dame de Chrétienne è arrivato alla cattedrale di Chartres, concludendo l’escursione del fine settimana dalla chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, iniziata sabato mattina.   «Sappiamo che Papa Leone prega affinché ogni pellegrino possa vivere un incontro personale con Cristo», ha detto il vescovo Philippe Christory ai pellegrini prima della messa celebrata lunedì all’interno dell’antica cattedrale.  

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  Christory non ha specificato alcun messaggio particolare del Papa ai pellegrini di Chartres, lasciando poco chiaro se si riferisse alle preghiere di Leone per i pellegrini in generale durante l’attuale Anno Giubilare o se ci fosse un messaggio specifico per il pellegrinaggio di Chartres.   L’edizione di quest’anno del pellegrinaggio annuale con Messa in latino ha registrato un altro record di partecipanti, con oltre 19.000 persone che hanno partecipato al cammino. Grazie all’enorme numero di giovani e famiglie, si stima che l’età media sia di circa 20 anni.          

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A causa in parte dell’attuazione da parte del Vaticano delle restrizioni imposte da papa Francesco alla messa tradizionale, si era temuto che la consolidata tradizione di celebrare la messa conclusiva nella cattedrale potesse essere ridotta; tuttavia, gli organizzatori del pellegrinaggio hanno chiarito che l’evento si sarebbe svolto normalmente all’inizio della primavera.  
   

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  Il vescovo Athanasius Schneider, ha celebrato la Santa Messa della domenica di Pentecoste durante il pellegrinaggio tradizionalista.   «Cosa significa essere cristiani, essere cattolici? Significa che Cristo è il Re della mia vita. Significa non vergognarsi mai di confessare Cristo e la verità della fede cattolica. Significa osservare i comandamenti di Dio, con l’aiuto della sua grazia, la purezza dell’anima e la castità del corpo, il perdono reciproco e l’instancabile carità verso il prossimo» ha affermato monsignor Schneider nella sua omelia.  

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Come riportato da Renovatio 21, a dicembre dell’anno scorso si era avuto lo strano caso di un politico protestante dell’Irlanda del Nord – Jim Shannon, membro del Partito Unionista Democratico dell’Irlanda del Nord per Strangford (cioè, i protestanti da secoli in lotta con i cattolici), nella contea di Down – che ha chiesto al governo britannico nella Camera dei Comuni se sarebbe intervenuto presso la Santa Sede in merito al futuro del pellegrinaggio della messa in latino a Chartres, dopo che erano state sollevate preoccupazioni circa il fatto che sarebbe stato soggetto a restrizioni.   Non sappiamo se l’onorevole Shannon fosse alla processione di quest’anno, ma certo avrebbero dovuto invitarlo con estremo calore.  

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