Geopolitica
L’Algeria mette in guardia contro l’intervento militare in Niger
Una delegazione militare algerina guidata dal capo di stato maggiore tenente generale Said Chengriha è stata a Mosca all’inizio di questa settimana.
Il 1° agosto i delegati militari di Algeri hanno tenuto con il ministro della Difesa russo Sergej Shoigu, dove, secondo una dichiarazione del ministero della Difesa russo, il ministro russo «ha notato che le relazioni russo-algerine si stanno sviluppando in modo particolarmente dinamico e positivo».
«Abbiamo dato un chiaro segnale al mondo intero che la Russia e l’Algeria sono determinate a perseguire una politica estera indipendente e a difendere i propri interessi nazionali, nonostante le pressioni senza precedenti dell’Occidente (…) Siamo interessati alla posizione di leadership dell’Algeria nel rafforzamento della sicurezza e della stabilità regionali in Nord Africa».
«Da parte sua, il ministero della Difesa russo è pronto ad aiutare ad aumentare le capacità di combattimento delle forze armate algerine», ha affermato lo Shoigu.
Sempre il 1° agosto il ministero degli Esteri algerino ha rilasciato una dichiarazione in cui metteva in guardia contro un intervento militare in Niger al fine di restaurare il governo eletto che è stato rovesciato da un gruppo di ufficiali dell’esercito il 26 luglio.
بيان وزارة الشؤون الخارجية والجالية الوطنية بالخارج pic.twitter.com/JcDvPZJLRQ
— وزارة الشؤون الخارجية| MFA-Algeria (@Algeria_MFA) August 1, 2023
«L’Algeria avverte: invita alla prudenza e alla moderazione di fronte alle aspirazioni di intervento militare straniero, che purtroppo sembrano essere opzioni reali e fattibili, pur essendo fattori che complicano e aggravano solo l’attuale crisi», ha affermato il ministero in una nota in francese e in arabo.
Mentre il governo di Algeri ha ribadito il suo sostegno al presidente del Niger Mohamed Bazoum, la dichiarazione afferma che «l’ordine costituzionale deve essere ripristinato con mezzi pacifici in modo da evitare che il fraterno Niger e l’intera regione sprofondino ulteriormente in problemi di insicurezza e instabilità».
Come riportato da Renovatio 21, gli Stati Uniti e soprattutto la Francia hanno emesso dure minacce contro la giunta militare golpista installatasi a Niamey.
Sparsasi la voce di un possibile intervento di Parigi, migliaia di nigerini si erano radunati davanti all’ambasciata francese all’interno di una manifestazione massiva che accusava la Francia, l’Unione Africana e l’ECOWAS (organizzazione transnazionale dell’Africa occidentale), e al contempo inneggiava apertamente alla Russia e a Putin.
Come riportato da Renovatio 21, ieri con un comunicato stampa congiunto Burkina Faso e Mali hanno espresso la loro solidarietà al Niger, avvertendo che qualsiasi intervento militare contro il Paese equivarrebbe a una dichiarazione di guerra contro i due Paesi.
Il 30 luglio il Niger ha sospeso le esportazioni di uranio e oro. La Francia importa dal Niger finanche il 30% dell’uranio necessario a far funzionare il suo programma nucleare. Curiosamente, quattro settimane prima del colpo di Stato Cina e Niger avevano firmato un accordo proprio sull’Uranio.
Immagine screenshot da Twitter
Geopolitica
Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.
Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.
Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».
Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.
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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».
«Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.
Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.
Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».
«La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.
Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.
Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania
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Geopolitica
Sanzioni sul petrolio, Trump ora è «completamente sul piede di guerra con la Russia»: parla Medvedev
L’ex presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedevha qualificato le recenti sanzioni imposte dal presidente Donald Trump ai colossi petroliferi russi come un «atto di guerra» che colloca gli Stati Uniti in aperta ostilità con Mosca.
«Gli Stati Uniti sono nostri nemici, e il loro chiacchierone “pacificatore” ha ormai intrapreso la via della guerra contro la Russia», ha affermato Medvedev, alto esponente della sicurezza nazionale russa. «Le decisioni adottate rappresentano un atto di guerra contro la Russia. E ora Trump si è completamente allineato con l’Europa folle», ha precisato nella sua dichiarazione.
Rosneft e Lukoil, le principali compagnie petrolifere russe, sono state bersaglio delle sanzioni del Tesoro statunitense, unitamente a decine di loro filiali, con un conseguente rialzo del 3% dei prezzi mondiali del petrolio giovedì. Ulteriori effetti si sono riverberati sull’India, primo importatore di greggio russo, che sta considerando una contrazione dei propri acquisti.
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Trump ha ripetutamente sostenuto che «la guerra non sarebbe mai dovuta iniziare» e che le responsabilità ricadono su Joe Biden, ma Medvedev ha criticato anche il leader repubblicano su questo punto, secondo i media statali russi.
Medvedev ha ipotizzato che Trump sia stato influenzato da falchi interni e internazionali a irrigidirsi, piuttosto che da una convinzione ideologica come per il suo predecessore Biden. «Ma ora è il suo conflitto», ha concluso, ribadendo che la Russia deve puntare al raggiungimento degli obiettivi militari anziché ai negoziati.
«Certo, diranno che non aveva scelta, che è stato costretto dal Congresso e così via», ha ammesso Medvedev nella dichiarazione. Tuttavia, non emergono indizi chiari che l’amministrazione Trump abbia esercitato pressioni concrete sul suo alleato Zelens’kyj per concedere cessioni territoriali sostanziali o per abbandonare definitivamente l’aspirazione all’adesione alla NATO. Al contrario, Trump ha autorizzato attacchi a lungo raggio sul suolo russo e ha persino approvato il supporto dei servizi segreti agli ucraini per colpire infrastrutture energetiche nel cuore del Paese.
Con queste escalation promosse da Trump, Medvedev asserisce che il presidente è in carico ormai il conflitto in atto, anche dopo che la Casa Bianca ha confermato l’annullamento del vertice di Budapest con Putin. «Non voglio che un incontro sia sprecato», aveva detto Trump all’inizio della settimana. «Non voglio buttare via tempo, quindi valuteremo cosa accadrà».
Anche il Cremlino aveva sottolineato che «serve una preparazione, una preparazione seria» prima di concretizzare un summit.
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Immagine di Bashkortostan.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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