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«La vita nascosta» di Terrence Malick. Una recensione

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Il lettore di Renovatio 21 sa che il nostro impegno quotidiano consiste nell’informarvi di ciò che nel mondo concorre, in diversi campi, a demolire il disegno di Dio sulla Sua Creazione, denunciando gli attentati alla vita umana, alla morale cristiana e a tutto ciò che richiama il sacro e la dimensione trascendentale dell’esistenza.

 

Ebbene oggi vogliamo farvi un dono, a nostro avviso molto prezioso: vogliamo regalarvi tre ore di puro Paradiso. Già, perché solo in Paradiso conosceremo persone come Franz Jägerstätter, contadino cattolico  austriaco beatificato nel 2007. 

Franz coraggiosamente rifiuta di prestare giuramento al Führer, ostinandosi a negare il proprio consenso a combattere per Hitler di fronte a qualsiasi tipo di minaccia o privazione

 

Il film del 2019 Vita nascosta (titolo originale A Hidden Life) di Terrence Malick, ne ripercorre gli ultimi mesi di vita, quando, nel pieno del secondo conflitto mondiale, Franz coraggiosamente rifiuta di prestare giuramento al Führer, ostinandosi a negare il proprio consenso a combattere per Hitler di fronte a qualsiasi tipo di minaccia o privazione. 

 

Il film, che avrebbero dovuto distribuire in Italia ad aprile – ma è stato rimandato a causa del COVID-19 – è comunque acquistabile in lingua francese o inglese online.

 

Si tratta di un inno alla retta coscienza dell’uomo illuminato dalla Grazia, non filtrata da manie o pretese soggettivistiche

Si tratta di un inno alla retta coscienza dell’uomo illuminato dalla Grazia, non filtrata da manie o pretese soggettivistiche, ma  completamente abbandonata tra le braccia del Padre.

 

Soprattutto in questi tempi in cui, ahinoi, innumerevoli cattolici (o presunti tali) si illudono di combattere l’Anticristo imbracciando le armi giocattolo del liberalismo (libertà di espressione, libertà di stampa, libertà di pensiero, libertà di educazione, e chi più ne ha più ne metta), Franz ci insegna come l’unica Via sia quella della radicalità. 

 

La Fede cristiana, e la filosofia scolastica che la supporta, sono limpide nell’evidenziare come non esista alcun diritto per l’errore al cospetto della Verità immutabile; e di rimando, la Verità non può essere degradata allo status di opinione (ricordiamo il cartello «Non si può andare in prigione, solo per un’opinione» in voga tra i manifestanti «cattolici» nelle piazze anti legge Zan lo scorso sabato, 11 luglio). 

 

Quest’uomo meraviglioso lo sapeva, non chiedeva pari dignità per le «sue idee» o «opinioni» rispetto ai disvalori del nazionalsocialismo in voga nel 1943 tra milioni di austriaci e tedeschi, ma piuttosto riconosceva di essere portatore sano del seme della Verità, in un’epoca in cui Essa veniva anestetizzata dall’ideologia e dalla propaganda, esattamente come ai giorni nostri. 

In questi tempi in cui innumerevoli cattolici si illudono di combattere l’Anticristo imbracciando le armi giocattolo del liberalismo (libertà di espressione, libertà di stampa, libertà di pensiero, libertà di educazione, e chi più ne ha più ne metta), Franz ci insegna come l’unica Via sia quella della radicalità

 

Al cristiano, consapevole  di questa grande responsabilità davanti a Dio e agli uomini del suo tempo, non rimane altra strada che quella di farsi roccia, scudo per proteggere questo Seme prezioso, costi quel che costi, persino il martirio stesso, donato consapevolmente e come atto di profondo amore. 

 

I minuti di questo straordinario ed imperdibile film, in concorso al Festival di Cannes nel 2019, scorrono all’unisono con il battito del cuore dello spettatore, catturato dalle immagini di un’esistenza meravigliosa, tra campi fioriti, montagne rassicuranti, una moglie fedele fino alla fine e tre figlie a cui lasciare il testimone di una Fede incrollabile anche di fronte all’odio dei più vicini. La potenza di questo film sta, a mio parere, nel mostrare come Franz, al contrario di tanti uomini persi della nostra contemporaneità, avesse tutto da perdere: l’amore puro e profondo della propria famiglia, la stima degli amici, la prospettiva di una vita da trascorrere nel crescere le proprie figlie in un vero e proprio paradiso terrestre.

 

Ma Franz, al contrario di molti cattolici liberali di oggi, non creava della propria vita un idolo da sacrificare sull’altare del compromesso; sapeva benissimo che dietro a quel NO semplice e immodificabile che Dio gli chiedeva di pronunciare, si nascondeva la rinuncia di tutto ciò che fino a quel momento Dio stesso gli aveva donato. 

Al contrario di molti cattolici liberali di oggi, non creava della propria vita un idolo da sacrificare sull’altare del compromesso; sapeva benissimo che dietro a quel NO semplice e immodificabile che Dio gli chiedeva di pronunciare, si nascondeva la rinuncia di tutto ciò che fino a quel momento Dio stesso gli aveva donato

 

È qui che sta la grandezza dei santi martiri, la loro gloria: il riconoscere che la propria esistenza sia un dono gratuito indisponibile di Dio, finalizzato esclusivamente alla Sua Gloria. Franz fu sicuramente un martire (dal greco μάρτυς, «testimone»), esempio silenzioso di radicalità nel sottomettere la propria coscienza alla testimonianza della Volontà di Dio.

 

Di questi tempi ci verrebbe quasi da dire che sia più controrivoluzionario vivere una vita nascosta ma immersi nella radicalità che l’Amore geloso di Dio esige da noi, rispetto a sterili e inutili sceneggiate di piazza, utili soltanto a rafforzare il Nemico, bisognoso di affogare ciò che è immutabile, sacro ed eterno nel fango della soggettività e dell’antropocentrismo.

 

Buona visione a tutti.

 

«Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?»

 

 

Alessandro Corsini

 

 

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Piero Pelù dal rock ribelle agli appelli sociali per pioggia e vaccini

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Il lettore sa come il maltempo in questi giorni abbia creato non poche difficoltà in Toscana con esondazioni e allagamenti.

 

La quantità di acqua caduta in pochissimo tempo è stata pari a quella dell’alluvione fiorentina del 1966, rimandano subito alla mente quelle tristi e dolorose immagini di una Firenze immersa nel fango e nell’acqua che molti di noi hanno impresso nella mente. Vediamo in loop sui media nazionali scene di gente in strada che cerca di svuotare i propri garage e scantinati dall’inondazione improvvisa con una buona volontà, una tenacia e un senso di solidarietà verso il prossimo invidiabile.

 

Le cronache quindi riportano anche la storia del rocker Piero Pelù che sfortunatamente si è visto allagare lo studio di registrazione Parsifal, a Sesto Fiorentino. Parte di questo studio, ci dice lui, è stato invaso violentemente da un’ondata di acqua e fango creando ingenti danni alle attrezzature. Fortunatamente il piano superiore è stato risparmiato e gran parte della strumentazione più preziosa è stata risparmiata. È sempre una tragedia vivere dentro una catastrofe, ma da musicista, vedere il luogo della propria arte devastato fa ancora più male. 

 


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Il Pelù racconta quegl’attimi drammatici: «Il Rimaggio, rompendo l’argine, è andato veloce verso ovest investendo piazza del Comune e poi subito in via Tonietta dove c’è il nostro Parsifal, per questo è piombato qui con tanta forza. Per noi è più di uno studio: c’è dentro la storia della musica fiorentina degli ultimi 35 anni, tutti i miei materiali, strumenti rari anche. E poi è diventata una comunità. Noi Litfiba avevamo da poco lasciato la mitica cantina di via dei Bardi. Qui a Sesto si vive ancora come negli anni Ottanta: ci si parla quando ci incontriamo per strada, si venne subito a creare una simbiosi con la realtà fiorentina dove gli artisti venivano cacciati da ogni sala prove». 

 

Piero Pelù preso da un senso civico che oramai gli appartiene da tempo immemore, in un video in strada, sotto l’ombrello, ha fatto appello alla popolazione esortandola a non uscire di casa: «mi dice la Protezione Civile di avvertire tutti che sono saltati tutti i tombini, quindi di non camminare dove c’è l’acqua alta, perché i tombini diventano dei trabocchetti micidiali. Mi raccomando collaborate tutti stando a casa».

 

Gli appelli del frontman dei Litfiba sono oramai diversi, da quello in musica contro le guerre nel mondo con il brano – cantato insieme a Jovanotti e Ligabue – Il mio nome è mai più, alle prediche politiche dal palco del concertone del Primo Maggio. Tuttavia le paternali pelusiane che ci tornano alla mente sono quelle più recenti, appartenenti all’era pandemica.

 

Piero Pelù, come in una sorta di «pubblicità progresso» psicopandemica – che a noi ricordava la cura Ludovico di Arancia Meccanica – faceva appello al popolo italiano a rispettare le restrizioni COVID e a vaccinarsi, come in un’intervista rilasciata in hub vaccinale con tanto di mascherina nera d’ordinanza.

 

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«Finalmente! Sono molto contento. Ora devo partire in tournée per cui era assolutamente necessario iniettarsi un po’ di vaccino delle scimmie, tra l’altro, quindi mi sento già un po’ trasformato [ride]. Ragazzi non abbiate paura, perché il vaccino salva le vite, è molto semplice. Non vi fate fuorviare dalle propagande dei negazionisti che prima hanno negato l’esistenza del virus, poi hanno negato l’importanza dei vaccini e sicuramente negheranno quando qualcuno scomparirà perché non si è voluto vaccinare, quindi andate tranquilli. Io me lo son fatto un quarto d’ora fa. Come bere un caffè».

 

«Se c’hai paura dell’ago, ti ci accompagno io, ok? Lo faccio», ribadiva in un’altra occasione. Ma ancor prima, il 12 marzo 2020, appena fu dichiarato il primo lockdown nazionale, il Pelù già faceva «appelli sociali» in eco alle direttive governative: «Questa guerra si combatte in casa, si combatte per sottrazione. Bisogna sottrarsi al mondo, al contatto fisico», titolava il «clippino» pubblicato sulla sua pagina Facebook.

 

Insomma, «Spiri-to, libe-ro». Purché sierato. Huah.

 

Come riportato da Renovatio 21, del civismo peluso si parlò anche quando vi fu tra artisti ed intellettuali italiani la campagna per disincentivare la frequentazione il social X, ex Twitter, che una volta rilevato da Elon Musk, era stato boicottato dall’intellighènzia de’ Noantri.

 

Detto questo, auguriamo a Piero Pelù di risolvere al meglio la situazione nel suo studio di registrazione, aggiungendoci alla solidarietà di molti colleghi musicisti che gli hanno fatto arrivare. 

 

Francesco Rondolini

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Immagine di Sabrina Campagna via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

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E Bill Murray disse: hanno incastrato Nixon

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L’iconico attore cinetelevisivo Bill Murray ha rilasciato una pesante dichiarazione durante il podcast di Joe Rogan di cui era ospite: il presidente americano Richard Nixon, che si è dimesso l’8 agosto 1974, è stato «incastrato».   L’affermazione ha una sua grande portata nel contesto americano, specie per la generazione dei boomer che indicava in Nixon un concentrato di malvagità, quasi fosse l’incarnazione di tutto ciò che non andava nella precedente generazione e nella società USA tout court.   L’attore comico – amatissimo da plurime generazioni, che lo hanno visto in Ghostbuster (1984) e in Lost in Translation (2004) – ha detto di aver realizzato con orrore la manovra occulta contro il presidente Nixon dopo aver letto circa cinque pagine del libro di Bob Woodward – cioè il giornalista principale accusatore di Nixon, autore dello scoop che avrebbe portato allo scandalo Watergate – Wired (in italiano John Belushi: Chi tocca muore), basato sulla vita dell’attore comico John Belushi, suo compagno di set e grande amico.   «Ho letto circa cinque pagine di Wired e ho pensato, “Oh mio Dio. Hanno incastrato Nixon”», ha detto Murray.

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«Se questo è ciò che scrive del mio amico che conosco, sai, da metà della mia vita adulta, il che è completamente inaccurato, parlando con le persone della cerchia esterna, ottenendo la storia – cosa diavolo hanno potuto fare a Nixon? Ho solo pensato che se avesse fatto questo al mio amico in questo modo, e riconosco di aver letto solo cinque pagine, ma le cinque pagine che ho letto mi hanno fatto venire voglia di dare fuoco a tutta la faccenda».   Il Murray lamenta che le fonti utilizzate da Woodward per il suo libro – la cui tesi riguarda la vita di eccessi di Belushi – sono inattendibili, lontanissime dalla vita di John, dipinto quindi in maniera non veritiera.   «Ho pensato, “se ha fatto questo a Belushi, quello che anche ha fatto in Nixon è probabilmente sporco per me”. Non posso, non posso sopportarlo», ha detto Murray. «E so che dici, beh, “Potresti avere due fonti e tutto il resto”, ma le due fonti che aveva, se le aveva per il libro di Wired, erano così lontane dalla cerchia ristretta che era, era criminale».  

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Murray dice quindi che le storie di droghe su Belushi sono riportate in modo errato, in quanto non era in grado di reggere più di qualche bicchiere di birra e la morte è avvenuta la prima volta che ha assunto lo «speedball», una mistura di eroina o morfica con cocaina o crack.   Il libro del 1974 di Woodward, All the President’s Men, scritto in collaborazione con il collega propagandista del WaPo Carl Bernstein, descriveva in dettaglio il resoconto dello scandalo Watergate, che ebbe un ruolo chiave negli eventi che portarono alle dimissioni del presidente Nixon. Nel 2020 Woodward ha pubblicato Fear, un libro di retroscena sulla Casa Bianca di Trump, ostile al presidente.   Negli ultimi anni una sorta di grande revisionismo sta crescendo intorno al caso di Nixon e, di riflesso, al lavoro di Woodward, fino a ieri venerato come un dio del giornalismo verso il quale tutti devono avere devozione e riverenza. Tucker Carlson ha più volte ricordato di essere stato sconvolto dall’aver appreso che Woodward aveva lavorato nell’Intelligence della Marina prima di arrivare come cronista novellino al Washington Post, il giornale più importante del Paese con il New York Times, dove epperò gli viene affidato subito il caso del secolo, quello spiattellato dalla fonte «gola profonda» con i dettagli sugli illeciti commessi dal presidente.   L’idea è quella che Nixon, che aveva una visione precisa del Paese e che si dice volesse addirittura desecretare qualcosa sull’assassinio del suo vecchio rivale JFK, sia stato fatto fuori politicamente dal Deep State, lo stesso che ora tenta di fermare Donaldo Trump.   Potrebbe esserci, dice l’iconico-comico, un motivo personale dietro l’odio del Woodward per il Belushi: il giornalista potrebbe essere risentito di essere solo «la terza persona più famosa di Wheaton, Illinois», il paesino che ha dato i natali anche al giocatore di football professionista Red Grange e, guarda caso, John Belushi.

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Durante il podcast Murray ha spaziato su vari temi, dalle gioie e i dolori della vita da attore, al ricordo di colleghi scomparsi, alla sua amicizia con lo scrittore di culto Hunter S. Thompson, quello di Paura e delirio a Las Vegas, di cui era intimo.   Bill Murray in passato ha speso parole di peso anche per quanto riguarda la Santa Messa e i suoi cambiamenti dopo il Concilio Vaticano II. «Non sono sicuro che tutti quei cambiamenti siano stati giusti. Tendo a discordare con quella che viene definita la nuova Messa» aveva dichiarato nel 2019. «Penso che abbandonando il latino abbiamo perso qualcosa. Ora se si va a una Messa cattolica ad Harlem può essere in spagnolo, in etiope, in tutta una serie di lingue. La forma, le immagini, sono le stesse, ma le parole no».   Murray rimarrà noto alla posterità anche per il film Groundhog’s Day (1993), in italiano tradotto per qualche ragione con il titolo Ricomincio da capo, incentrato sul bizzarro rituale americano di previsioni metereologiche di fine inverno basato sul comportamento della marmotta Punxsutawney Phil.   Come riportato da Renovatio 21, l’oracolare roditore statunitense a inizio febbraio ha predetto per quest’anno altre sei settimane di inverno.

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Bezos ha licenziato la storica produttrice di James Bond perché aveva chiamato «idioti» i suoi manager

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Il patron di Amazon Jeff Bezos ha assunto il pieno controllo creativo del franchise di James Bond dopo che la produttrice di lunga data della serie Barbara Broccoli avrebbe definito i suoi dirigenti «fottuti idioti». Lo riporta Hollywood Reporter.

 

Secondo fonti interne, il Bezos ha reagito immediatamente, ordinando la sua rimozione a qualsiasi costo, il che ha portato alla fine a un accordo da 1 miliardo di dollari. Di conseguenza, Amazon ora detiene il pieno controllo sul futuro di James Bond.

 

Amazon aveva acquisito MGM nel 2022, ottenendo i diritti di distribuzione dei film, ma il controllo creativo era rimasto a Eon Productions sotto la Broccoli (figlia del primo produttore dei Bond, Albert Broccoli) e Michael G. Wilson. Il duo aveva resistito agli spin-off proposti da Amazon, tra cui una serie Moneypenny e un progetto 007 guidato da donne, preferendo mantenere la narrazione tradizionale di James Bond.

 

Le tensioni tra la Broccoli, Wilson e i dirigenti di Amazon sono aumentate verso la fine del 2024. A dicembre, il Wall Street Journal ha riferito che la Broccoli ha detto privatamente agli amici che non si fidava di «Amazon incentrata sugli algoritmi con un personaggio che ha contribuito a mitizzare attraverso la narrazione del grande schermo e l’istinto».

 

La produttrice aveva anche descritto lo stato del prossimo film di Bond come terribile, senza sceneggiatura, senza storia e senza attori scelti per il ruolo. Nella stessa conversazione, riferendosi all’azienda mentre era tra dirigenti, ha detto: «queste persone sono fottuti idioti».

 

Il commento fece infuriare Bezos, spingendolo a prendere misure drastiche, ha affermato l’Hollywood Reporter. «Ha letto la sua citazione sul Journal, ha preso il telefono e ha detto, “Non mi interessa quanto costa, liberatevi di lei», ha detto una fonte alla rivista. Poco dopo, Amazon ha stretto un accordo del valore di quasi 1 miliardo di dollari per rimuovere Broccoli e Wilson dal controllo creativo e portare il franchise sotto Amazon MGM Studios.

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Dopo che l’accordo fu finalizzato nel febbraio 2025, il Bezos aveva condiviso un titolo su X che recitava: «i produttori di lunga data di James Bond cedono il controllo ad Amazon», aggiungendo la didascalia: «Chi sceglieresti come prossimo Bond?».

 

Molti fan della serie di Bond erano già in rivolta contro i film di Daniel Craig, dove Bond – lungi dall’essere l’archetipo dell’uomo ironico ed invincibile che gli ha dato la fama – appare invece debole, stanco, traumatizzato, interessato superficialmente all’attualità: un uno degli ultimi capitoli della serie fa un riferimento al «bunga-bunga» di berlusconiana memoria.

 

Nello stesso film l’oltraggio continua, prima con la morte dell’eroe che si pensava immortale (inaudito) poi con l’introduzione di una «bondessa», ovviamente negra.

 

Alcuni apparivano già contrariati dalla scelta di un attore biondo, contrario alla tradizione dei mori che da Sean Connery arriva a Pierce Brosnan passando per Roger Moore.

 

Il Bezos era prima del suo divorzio dalla moglie Mackenzie Scott l’uomo più ricco della Terra. L’uomo è spesso scherzato per le mises poco immaginose della curvacea nuova fiamma e per i suoi esperimenti spaziali, come un razzo fallomorfico con cui ha fatto volare fuori dall’atmosfera proprio la prosperosa signora e pure l’attore che faceva il capitano Kirko su Star Trekko.

 

Sulle origini esoteriche di 007 Renovatio 21 prima o poi dovrà scrivere qualcosa: la cifra deriva dalla prima spia della storia britannica, John Dee, vero artefice dell’Impero britannico, configurato dopo il tradimento di Enrico VII e del Cattolicesimo. Il Dee era astrologo di corte, mago e negromante, esperto nell’evocazione di esseri non naturali. Si fermava con la cifra «007».

 

Come la firma John Dee sia finita per essere popolarizzata in tutto il mondo dalle storie di James Bond è qualcosa che svela più di qualcosa riguardo al suo autore, Ian Fleming, lui pure spia britannica, e con interessi occultistici non ancora del tutto venuti alla luce.

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Immagine di Montclair Film via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
 

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