Cina
La Thailandia rimpatria in Cina 40 uiguri in violazione dei diritti umani
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nonostante il rischio di persecuzioni, Bangkok ha espulso 40 uiguri detenuti da oltre un decennio. Attivisti e ONG denunciano il rischio di persecuzione che il gruppo dovrà affrontare in Cina. Il governo thailandese ha confermato la notizia solo in un secondo momento, mentre per Pechino si tratta di un caso di «migrazione clandestina».
La Thailandia ha espulso 40 detenuti uiguri che si trovavano nel Paese del sud-est asiatico da quasi 11 anni, rimpatriandoli in Cina nonostante il rischio di persecuzioni. L’espulsione, avvenuta questa mattina, è stata confermata dal ministro della Difesa thailandese, Phumtham Wechayachai, che ha detto di aver ricevuto rassicurazioni dalla Cina sul trattamento benevolo che verrà garantito al gruppo.
Inizialmente, il capo della polizia nazionale Kittharath Punpetch si era rifiutato di commentare la notizia, citando ragioni di sicurezza nazionale. Attivisti e gruppi per i diritti umani temono che gli uiguri possano subire torture, venire nuovamente incarcerati o addirittura essere condannati a morte.
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Le voci sul rimpatrio avevano cominciato a circolare dopo che alcuni testimoni avevano documentato la partenza di camion con i finestrini oscurati che nella notte avevano lasciato il centro di detenzione diretti verso un aeroporto. Successivamente, un volo della China Southern Airlines ha effettuato un collegamento non programmato da Bangkok allo Xinjiang, regione abitata dalla minoranza uigura. La CCTV, emittente statale cinese, ha riferito che «40 immigrati clandestini cinesi» sono stati rimpatriati, senza specificarne l’etnia, ma una foto pubblicata dalla stessa emittente mostrava un gruppo di uiguri.
Per la Cina, che nei giorni scorsi ha rimpatriato diverse altre centinaia di cittadini dai centri per le truffe online in Myanmar, si tratta di un caso di immigrazione clandestina. In un pezzo del Global Times, il quotidiano del Partito comunista cinese, che commenta la notizia, si legge che «l’immigrazione clandestina e l’attraversamento delle frontiere sono attività criminali riconosciute a livello internazionale che disturbano gravemente la gestione delle frontiere e le normative internazionali sui viaggi».
Per la legge thailandese, la presenza sul suolo nazionale degli uiguri è classificata come una questione di sicurezza nazionale. Ai membri della minoranza etnica è quindi vietato accedere alle pratiche che permettono ai migranti di fare richiesta dello status di rifugiato.
La decisione thailandese è stata ampiamente criticata da legislatori e attivisti locali. Il deputato Kannavee Suebsang ha scritto su X che la deportazione degli uiguri rappresenta una grave violazione dei diritti umani: «sono stati detenuti per 11 anni. Abbiamo violato abbastanza i loro diritti. Ci sono soluzioni migliori».
Anche il senatore statunitense Jim Risch ha dichiarato che questi uomini «rischiano la tortura, la prigionia e persino la morte al loro ritorno in Cina» e ha definito «sconsiderata» l’espulsione.
Anche diverse agenzie internazionali, come l’UNHCR, hanno espresso la loro contrarietà nei confronti della decisione del governo thailandese. ↔L’agenzia ha ripetutamente cercato di entrare in contatto con il gruppo e di ottenere rassicurazioni dalle autorità thailandesi sul fatto che questi individui, che avevano espresso il timore di essere rimpatriati, non sarebbero stati espulsi. Non è stato concesso alcun accesso e, quando contattate per chiarimenti, le autorità del governo thailandese hanno dichiarato che non era stata presa alcuna decisione di espellere il gruppo», ha commentato l’Agenzia ONU per i rifugiati.
Anche Amnesty International ha sottolineato che il calvario degli uiguri in Thailandia era «già agghiacciante» di per sé: «sono fuggiti dalla repressione in Cina, per poi ritrovarsi arbitrariamente detenuti in Thailandia per più di dieci anni. Il fatto che ora possano essere rimpatriati con la forza in un Paese in cui gli uiguri e altri gruppi etnici non han [l’etnia maggioritaria in Cina] dello Xinjiang hanno subito torture e maltrattamenti, detenzioni arbitrarie e sparizioni forzate è crudele oltre ogni immaginazione».
Già lo scorso anno gli esperti delle Nazioni unite sui diritti umani avevano inviato una lettera al governo thailandese, condannando la detenzione degli uiguri e sottolineando che gli eventuali rimpatri avrebbero costituito una violazione del diritto internazionale.
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Gli uiguri sono minoranza musulmana e turcofona della regione autonoma cinese dello Xinjiang. Da anni sono oggetto di una dura repressione da parte di Pechino, che li accusa di estremismo. Si stima che oltre un milione di uiguri siano stati detenuti in campi di «rieducazione», dove sono state segnalate violazioni sistematiche dei diritti umani, torture, sterilizzazioni e lavori forzati. Pechino sostiene che gli uiguri rimpatriati dalla Thailandia fossero stati «ingannati da organizzazioni criminali».
Gli uomini deportati facevano parte di un gruppo di oltre 300 uiguri arrestati in Thailandia nel 2014 mentre tentavano di raggiungere la Turchia. Nel 2015, Bangkok ne aveva già rimpatriati 109 in Cina, scatenando proteste internazionali. Altri 173, per lo più donne e bambini, erano stati inviati in Turchia. Dei 53 uomini che erano rimasti in Thailandia, cinque, tra cui due bambini, sono morti in detenzione per le dure condizioni carcerarie. Secondo diversi attivisti, gli uiguri hanno vissuto in condizioni disumane per anni, senza contatti con l’esterno.
A dicembre la prima ministra Paetongtarn Shinawatra aveva incontrato il presidente cinese Xi Jinping e negli ultimi mesi sono aumentate le pressioni di Pechino per rimpatriare i propri connazionali dalla Thailandia.
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Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
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Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
Le principali app di incontri gay in Cina, Blued e Finka, sono state eliminate dall’Apple Store locale su ordine dell’autorità di regolamentazione internet di Pechino. Lo riporta Wired. Nel contesto è tuttavia utile ricordare che sino a qualche anno fa la Cina controllava l’app di incontri gay più diffusa al mondo.
Lanciata nel 2012, Blued è la più grande app di incontri gay in Cina, che in passato contava oltre 60 milioni di utenti nel mondo, prima che i controlli statali più rigidi ne riducessero la portata globale. Finka, concorrente più recente e popolare tra i giovani, è diventata una delle piattaforme LGBT in più rapida crescita in Cina grazie alle funzioni di social networking e all’interfaccia in stile gaming.
Secondo Wired, Apple ha rimosso entrambe le app dal suo App Store cinese su disposizione della Cyberspace Administration of China (CAC), che supervisiona i contenuti online e la sicurezza dei dati.
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L’articolo della rivista statunitense non specifica quando o perché sia stato emesso l’ordine, ma utenti dei social cinesi hanno notato la scomparsa delle app dagli store online durante il fine settimana. Le app, secondo quanto riferito, restano funzionanti per gli utenti esistenti, ma non sono più scaricabili per nuovi utenti.
Apple ha confermato la rimozione in una dichiarazione rilasciata lunedì.
«Rispettiamo le leggi dei Paesi in cui operiamo. In base a un ordine del CAC, abbiamo rimosso queste due app solo dallo store cinese», ha dichiarato un portavoce di Apple in un’e-mail alla testata. L’azienda ha aggiunto che entrambe le app erano già state ritirate da altri mercati. Né Blued né Finka hanno risposto alle richieste di commento.
La Cina ha depenalizzato l’omosessualità negli anni ’90, ma continua a vietare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Sotto la presidenza di Xi Jinping, le autorità hanno intensificato gli sforzi per promuovere i valori familiari tradizionali e contrastare quella che definiscono «influenza occidentale». La campagna mira ad aumentare i tassi di natalità, rafforzare i ruoli di genere e scoraggiare stili di vita ritenuti incompatibili con i valori tradizionali. Gli attivisti LGBTQ+ cinesi affermano che la campagna ha alimentato censura e sorveglianza, con la chiusura di molti gruppi gay, il divieto di eventi Pride, la rimozione di contenuti omosessuali dai media e lo scioglimento di associazioni universitarie.
La maggior parte delle app di incontri LGBT è già bloccata in Cina. Grindr, con sede negli Stati Uniti, è stata rimossa dall’App Store cinese di Apple nel 2022 dopo l’inasprimento delle norme sulla sicurezza informatica e sulla privacy dei dati, che impongono l’archiviazione locale dei dati degli utenti. ZANK, un tempo tra le principali app di incontri gay in Cina, è stata chiusa nel 2017 per «diffusione di contenuti pornografici».
Renovatio 21 ha spesse volte parlato di Grindr, l’applicazione usata dalla comunità omosessuale. La possibilità che i suoi dati fossero usati per fini di ricatto verso migliaia (milioni…) di persone con lavori sensibili per il governo spinse Trump, allora presidente, a chiedere ai cinesi, che l’avevano comprata, di averla indietro. I cinesi, incredibilmente, obbedirono, ma non è chiaro se possano essersi sbarazzati dei dati.
Grindr, che ad un certo punto pareva potesse essere comperata dall’apparentemente inarrestabile azienda italiana Bending Spoons, già coinvolta nell’app governativa di tracciamento COVID «Immuni» e partecipata da grandi famiglie del capitalismo nazionale, sarebbe subentrata anche in alcuni scandali che riguardavano la politica e pure il mondo religioso.
Renovatio 21 ha ipotizzato che parte del rapporto tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, sbocciata negli accordi sino-vaticani, potrebbe essere dovuta al kompromat da Grindr che i comunisti cinesi detengono su tanti consacrati segretamente omosessuali.
Su Grindr infatti si dice che siano presenti quantità massive di sacerdoti. Il fatto è tornato alla ribalta di recente con il caso di un sacerdote USA, noto per le posizioni intransigenti verso lo sdoganamento cattolico di Sodoma, beccato sulla piattaforma. Ma anche in Italia sarebbero stati trovati consacrati di un certo spessore. Di uno in particolare, scriveva il Giornale, che raccoglieva il sussurro di Dagospia: «nella sua seconda vita si dava alle droghe (ecstasy, ma anche crack, Ghb e chetamina) e alla conquista di amanti (rigorosamente di sesso maschile) su Grindr». Una storia con parole che sembrano riemergere anche ora.
L’uso intensivo della app di incontri gay da parte perfino dei seminaristi è raccontato da un recente libro del sociologo Marco Marzano, La casta dei casti.
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Nata a Los Angeles nel 2009, Grindr per un periodo finì nelle mani dei cinesi, che acquistarono la società. Nel 2016 la società aveva venduto una quota del 60% nella società per 93 di dollari milioni a un gruppo di sviluppo di videogiochi cinese, Kunlun Tech Co.
L’acquisizione di una tale massa di dati sensibili non passò inosservata. Nel 2019 governo Trump chiese alla Cina di farla tornare in mano americana, perché i servizi USA paventavano che le informazioni contenute in quella app mettessero a rischio la sicurezza nazionale: quante persone, nell’esercito e nella pubblica amministrazione, nel governo e nelle grandi aziende, potevano essere ricattate? Quanti funzionari, generali, ministri, soldati, uomini delle pulizie hanno una doppia vita e quindi possono essere manipolati?
I cinesi, piuttosto incredibilmente, accettarono l’ordine di Trump. Il gruppo Kunlun cercò un compratore per liberarsi dell’applicazione. Nel marzo 2020, Kunlun annunciò che avrebbe venduto la sua quota del 98,59% in Grindr alla San Vicente Acquisition LLC con sede negli Stati Uniti per 608,5 milioni di dollari. Il lead investor, Raymond Zage, viene dall’Illinois ma ha base ora a Singapore – un luogo dove gli interessi della Cina Popolare non sono sconosciuti.
All’altezza del 2018, Grindr indicava perfino se l’utente fosse sieropositivo o meno: la feature venne ritirata, perché i giornali sinceri e democratici rabbrividirono per mancanza di privacy sanitaria (cosa che adesso fa ridere…), senza capire che probabilmente dietro a questa nuova spunta poteva schiudersi il mondo dei bugchasers e dei giftgivers, coloro che volontariamente contagiano o si fanno contagiare con l’HIV.
Da Grindr deriva Tinder, la app di incontri usata dagli eterosessuali: anche quella è sicuramente stata causa di migliaia di disastri famigliari, perché può esporre la doppia vita di «cacciatore» di appuntamenti di un coniuge. Tuttavia Tinder, nonostante la disperazione che produce la promiscuità della hook-up culture («cultura del rimorchio») che ha generato, non è stato in grado di impensierire i servizi di Intelligence USA. Grindr, invece, sì.
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
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