La Slovacchia ha avvertito mercoledì che non sarà in grado di accettare la proposta della Commissione Europea di vietare il petrolio russo e ha chiesto più tempo per trovare fornitori di combustibili alternativi. Lo riporta la testata di Stato russa RT, attualmente bandita in Occidente.
L’embargo proposto fa parte delle ultime sanzioni legate all’Ucraina contro Mosca che vedrebbero le importazioni di greggio dalla Russia gradualmente eliminate entro sei mesi e prodotti raffinati entro la fine dell’anno. È stata redatta un’esenzione per Slovacchia e Ungheria, che dipendono fortemente dalla Russia, dando loro tempo fino alla fine del 2023 per conformarsi.
Il lasso di tempo proposto «purtroppo non è sufficiente», ha detto mercoledì a Politico il viceministro dell’economia slovacco responsabile della politica energetica.
«Ci aspettiamo almeno tre anni», ha aggiunto Karol Galek, spiegando che una raffineria chiave nel paese richiede petrolio russo pesante e che è impossibile garantire forniture alternative entro il termine proposto.
La Slovacchia ottiene circa il 96% del suo petrolio dalla Russia.
Galek ha sottolineato che l’attuale proposta «distruggerà la nostra economia europea», poiché non solo danneggerà le forniture energetiche nel suo Paese, ma anche in Austria, Repubblica Ceca e Ucraina.
L’attuale progetto per la messa al bando del petrolio russo deve essere approvato all’unanimità dai 27 Stati membri del blocco per entrare in vigore.
L’Ungheria ha espresso riserve, affermando che l’Unione europea finora non ha fornito garanzie a Budapest in merito alla sua sicurezza energetica.
Ulteriori dati devastanti sul collasso occupazionale in Germania.
Il settimanale Der Spiegel ha riportato uno studio dell’Istituto dell’Economia Tedesca (IW) che ha formulato una prospettiva assai cupa simulando due diversi scenari.
L’ente economico afferma nel suo rapporto stime sorprendenti quanto drammatiche.
Se i prezzi del gas aumentano del 50%, afferma l’IW, è probabile che l’inflazione aumenti in media dello 0,9% quest’anno e dell’1,3% l’anno prossimo.
Se i prezzi del gas raddoppiassero, che è attualmente uno scenario «realistico», l’inflazione aumenterebbe dell’1% quest’anno e di quasi il 4% l’anno prossimo.
Nel loro studio, i ricercatori dell’IW hanno simulato le conseguenze per il mercato del lavoro e l’economia se i prezzi del gas dovessero aumentare del 50% nel terzo trimestre rispetto al secondo trimestre, nonché nel caso in cui i prezzi raddoppiassero. Lo studio si basava sulla presa in considerazione delle conseguenze della guerra in Ucraina, in particolare della crisi energetica.
Lo studio ha quindi calcolato che se i prezzi del gas raddoppiano, circa 30.000 persone potrebbero perdere il lavoro quest’anno, mentre l’anno a venire perderebbero lo stipendio altre 307.000 persone.
Il motivo è semplicissimo: se il gas scarseggia, le imprese che non possono permettersi prezzi più alti per il gas come principale fonte di energia ridurranno la produzione e, di conseguenza, ridurranno anche l’occupazione.
L’IW ha anche calcolato le conseguenze sul PIL di un raddoppio dei prezzi del gas nel terzo trimestre da luglio a settembre: l’economia tedesca potrebbe quindi contrarsi dello 0,2% quest’anno, per poi crollare del 2% l’anno prossimo, il che corrisponde a una perdita di 70 miliardi di euro.
Il rapporto sottolinea che i calcoli non tengono nemmeno conto degli effetti dei fermi produttivi in caso di interruzione delle forniture di gas. «Ciò provocherebbe ulteriori shock di prezzo elevato nelle catene del valore», ha affermato Thomas Obst, uno degli autori dello studio.
Tutta la Germania è già dentro ad una sostanziale contrazione della produzione industriale, consumando il 14,3% in meno di gas tra gennaio e maggio rispetto all’anno precedente, secondo l’Associazione tedesca delle industrie dell’energia e dell’acqua (BDEW).
Anche il direttore del megagruppo automotive Volkswagen ha domandato apertamente il governo la fine della guerra e i negoziati di pace per il bene dell’industria tedesca.
Come riportato da Renovatio 21, alcuni sindaci della Germania settentrionale hanno chiesto l’apertura del gasdotto Nord Stream 2, il nuovo tubo gasiero che unisce Russia e Germania che doveva inaugurare, guarda guarda, proprio nei mesi dell’escalation ucraina.
I dati dei primi sei mesi del 2022 mostrano che il bilancio commerciale dei grandi paesi europei è drammaticamente peggioratoa causa delle politiche della Banca Centrale, della NATO e delle operazioni riguardanti l’Agenda Verde.
Paesi che un tempo erano campioni delle esportazioni si stanno rapidamente trasformando in nazioni con deficit delle esportazioni.
In Germania, la più grande economia dell’UE, le esportazioni sono aumentate del 13%, mentre le importazioni sono aumentate del 27%. L’avanzo commerciale è sceso da 69 a 36 miliardi di euro anno dopo anno.
Per quanto riguarda le importazioni, la Germania ha acquistato il 24% di energia in meno dalla Russia ma ha pagato il 51% in più.
La Francia, la seconda economia più grande, ha avuto un disavanzo commerciale di 71 miliardi di euro, con un aumento del 39% rispetto al secondo semestre del 2021.
L’Italia, secondo produttore dell’Eurozona, ha il primo deficit commerciale in dieci anni, con 13 miliardi di euro, contro un surplus di 29 miliardi di euro nel primo semestre del 2021.
Il fattore comune nel peggioramento della bilancia commerciale dei paesi dell’UE è l’energia. L’ironia è che le importazioni dalla Russia sono diminuite in volume, ma il loro costo e il loro impatto sul bilancio commerciale sono aumentati.
Allo stesso tempo, i volumi di gas liquefatto russi sono stati sostituiti con altri più costosi e non affidabili. L’Europa è alla canna del gas russo – come sempre.
Un altro fattore da considerare è il crollo delle esportazioni verso la Russia, che ha peggiorato l’altra estremità del saldo. Ad esempio, la Germania ha avuto un disavanzo di 13,9 miliardi di euro con la Russia nella prima metà dell’anno.
Infine, ma non meno importante, la svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro ha fatto aumentare il prezzo delle importazioni, incidendo così sul deficit.
Nel breve termine, il deprezzamento della valuta dà impulso alle esportazioni, e questo è sicuramente avvenuto per i 19 paesi dell’Eurozona, il che significa che senza svalutazione il deficit commerciale sarebbe ancora più grande.
Il presidente della Commissione federale svizzera per l’elettricità, Werner Luginbühl, ha sollevato la possibilità che la Svizzera abbia interruzioni dell’elettricità quest’inverno.
La Svizzera è un Paese dotato di centrali nucleari. La loro elettricità viene parzialmente venduta anche all’Italia denuclearizzata. Tuttavia anche gli elvetici semprano preoccupati dinanzi crescenti carenze energetiche che colpiscono l’Europa sulla scia delle sanzioni dell’UE contro la Russia.
Il Luginbühl garantisce tuttavia che «una situazione del genere sarebbe gestibile».
Egli si sente quindi, in uno spirito preparatorio di precisione elvetica, di mettere in guardia i cittadini: «sicuramente è consigliabile avere abbastanza candele in casa. E se hai una stufa a legna, dovresti immagazzinare abbastanza legna da ardere».
In pratica lo svizzero dice: tutto OK, fate solo provviste come se fosse la fine del mondo.
Ecco che ci tocca vedere anche il survivalismo delle autorità cantonali. E sono cose belle.
Il Commissario Luginbühllo forse non lo sa, ma il consiglio che ha dato sulla legna da ardere è esattamente il suggerimento fornito dal governo polacco ai suoi cittadini: andare ora nei boschi per raccogliere legna per l’inverno, che senza gas russo sarà al freddo e al gelo.
In Germania, come noto, si preparano invece «hub di riscaldamento» per gli «sfollati energetici» incapaci di pagare la bolletta o di privati di termosifoni caldi nelle loro abitazioni.
Come riportato da Renovatio 21, annunci di blackout energetici si susseguono in Europa e nel mondo da un anno – con blackout effettivi capitati dappertutto.
I blackout, come vaccini e green pass, sono un ulteriore strumento di controllo della popolazione, che si piegherà a qualsiasi cosa (e rinunciare in caso a qualsiasi diritto) pur di stare al caldo con la luce elettrica.
I blackout, soprattutto, decimeranno l’economia, distruggendo il tessuto produttivo delle aziende: un’ulteriore catastrofe che renderà il cittadino sempre più suddito dello Stato.
Lo abbiamo sentito al World Economic Forum di Davos di quest’anno, quando la a manager norvegese Kjerstin Braathen ha parlato della necessità di spiegare alle masse che «dobbiamo accettare che ci sarà dolore nel processo», e vi saranno «carenze di energia» e «pressioni inflazionistiche».
Il Grande Reset passa da qui: dal controllo sull’energia e quindi sulle nostre vite.
Ce lo stanno dicendo in faccia, ma non si sa bene quanti di noi stiano ad ascoltare.