Geopolitica
La Russia ritiene l’Italia non qualificata per mediare la pace: prima stop all’invio di armi e di mine antiuomo
Il primo ministro italiano Giorgia Meloni aveva dichiarato alla sua conferenza stampa finale del 29 dicembre che «l’Italia è pronta» (espressione della sua campagna elettorale, ripetuta fino a farci venire alcuni dubbi) per essere il «garante di un possibile accordo di pace».
«E questa è la ragione per la quale, per esempio, io ho detto al Presidente Zelens’kyj che l’Italia è pronta a farsi garante di un eventuale accordo di pace e che è pronta ovviamente ad aiutare per coadiuvare questo processo» continuava la Meloni.
«È la ragione per la quale penso di recarmi a Kiev prima della fine di febbraio, cioè prima dell’anniversario dell’invasione del 24 di febbraio, perché credo che il 24 di febbraio potrebbe essere una data nella quale fare qualcosa a livello di iniziativa per e quindi vorrei recarmi a Kiev prima, di questo ho parlato col presidente Zelens’kyj».
Durante una conferenza stampa del 4 dicembre scorso, la stampa ha posto alla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova una domanda specificatamente sulle parole della Meloni, che offre l’Italia come «garante».
«È strano sentire offerte di mediazione da paesi che hanno assunto una posizione anti-russa inequivocabile e molto aggressiva fin dall’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina, e non solo hanno sostenuto il sanguinario regime di Kiev, ma gli hanno anche fornito un significativo assistenza militare e tecnico-militare, rendendo deliberatamente l’Ucraina piena di armi all’avanguardia» ha dichiarato la Zakharova.
«È noto che l’Italia, insieme a una vasta gamma di armi e attrezzature militari, fornisce a Kiev mine antiuomo» ha rivelato la portavoce russa. A seguito di queste dichiarazioni, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha risposto definendole «completamente false, infondate e gravemente denigratorie dell’onore del nostro Paese».
Nella conferenza stampa la Zakharova ha continuato: «queste azioni irresponsabili non solo moltiplicano il numero delle vittime, compresi i civili del Donbass, e ritardano la fine del conflitto, ma potrebbero anche trascinare i paesi della NATO in uno scontro militare diretto con la Russia. Tuttavia, gli sponsor occidentali di Kiev, tra cui purtroppo anche l’Italia, non pensano nemmeno di fermarsi; al contrario, stanno costruendo le loro scorte».
Per rispondere alle velleità meloniane di un’Italia «garante, «ovviamente», data la posizione di parte dell’Italia, non possiamo considerare né un onesto mediatore né un possibile garante in un processo di pace» ha detto Zakharova.
Per poi dare un consiglio alla Meloni in partenza per Kiev: «sarebbe meglio se le pseudo forze di pace europee interrompessero il loro sostegno militare a Kiev e concentrassero i loro sforzi su un lavoro più fermo ed esigente con il presidente dell’Ucraina Vladimir Zelens’kyj, che ha ripetutamente espresso un rifiuto totale di un accordo di pace nel conflitto; e il 30 settembre 2022 ha persino firmato un ordine esecutivo sul rifiuto di negoziare con il presidente russo Vladimir Putin».
In effetti, come sia saltato in mente al presidente del Consiglio di dire una cosa del genere non riusciamo a capirlo. L’Italia è parte integrante di questa guerra alla Russia, non solo per le forniture militari (con cui magari nemmeno tutto l’esercito sarebbe d’accordo: così qualcuno legge il grottesco caso dei carrarmati diretti in Ucraina fermati dai vigili urbani in Campania) ma anche per il ruolo dell’allora primo ministro Draghi nel sequestro di 300 miliardi di dollari della Banca Centrale Russa depositati presso Banche Centrali estere.
Il Financial Times, che diede conto dell’operazione e del ruolo di Draghi (assieme a quello della Von der Leyen e del presidente della FED americana Janet Yellen, tirata dentro da draghi), descrisse l’evento come il primo vero atto di guerra economica della storia dell’uomo.
Però tranquilli: possiamo essere dei neutrali, prestigiosi arbitri in questo conflitto.
Ma che roba è?
Immagine di Siren via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0); immagine modificata
Geopolitica
Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati
Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.
In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».
Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.
Sostieni Renovatio 21
Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.
Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.
L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.
«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».
Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».
Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.
«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.
Aiuta Renovatio 21
«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato
Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.
L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.
Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.
Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Geopolitica
Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Geopolitica
L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.
Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.
«Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.
Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in Israele.
L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.
La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.
Sostieni Renovatio 21
Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.
Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.
Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.
Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.
Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di duma.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
-
Pensiero2 settimane fa
La giovenca rossa dell’anticristo è arrivata a Gerusalemme
-
Cervello1 settimana fa
«La proteina spike è un’arma biologica contro il cervello». Il COVID come guerra alla mente umana, riprogrammata in «modalità zombie»
-
Salute2 settimane fa
I malori della 15ª settimana 2024
-
Salute7 giorni fa
I malori della 16ª settimana 2024
-
Pensiero1 settimana fa
Foreign Fighter USA dal fronte ucraino trovato armato in Piazza San Pietro. Perché?
-
Animali2 settimane fa
«Cicala-geddon»: in arrivo trilioni di cicale zombie ipersessuali e forse «trans» infettate da funghi-malattie veneree
-
Spirito2 settimane fa
Sinodo 2024, grandi manovre in favore dell’ordinazione delle donne
-
Autismo1 settimana fa
Autismo, 28enne olandese sarà uccisa con il suicidio assistito: i medici la ritengono che «incurabile»