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Geopolitica

La dura condizione dei profughi armeni del Karabakh

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Nonostante le misure stanziate dal governo di Erevan per le decine di migliaia di esuli scappati dall’area a maggioranza armena presa militarmente da Baku, molte persone non hanno tuttora un posto dove dormire e sono costretti a passare la notte a cielo aperto. Nessuno si fida delle promesse degli azeri che già nell’altra provincia contesa del Nakhicevan hanno cancellato ogni traccia delle radici cristiane.

 

Nonostante tutti gli sforzi del governo di Erevan, la popolazione fuggita dal Nagorno Karabakh ormai ceduto all’Azerbaigian si trova in una situazione molto difficile. Da pochi giorni le autorità dell’Armenia hanno cominciato a erogare i sussidi nella misura di 100mila drame armene (circa 235 euro ndr), e al centro di raccolta di Parakar i profughi cercano di capire quando e in che forma riceveranno questa somma.

 

Uno di essi, Karo Ovseljan proveniente dalla cittadina di Martuni, interrogato dai giornalisti di Azatutyun, racconta che «finora non abbiamo visto alcun tipo di aiuto, proprio niente». Come confermano molti altri, il sostegno per il momento viene soltanto dai parenti lontani e dai pochi conoscenti, e anche da persone generose di propria iniziativa. A Parakar cominciano però ad arrivare almeno letti e coperte.

 

Il primo ministro Nikol Pashinyan ha comunicato sulla sua pagina Facebook che «le 100mila drame promesse sono state trasferite a circa 50mila tra i nostri fratelli e sorelle che sono stati evacuati a forza dal Nagorno-Karabakh, almeno a quelli che al momento del trasferimento avevano a disposizione una carta di credito». Egli ha anche sottolineato che agli invalidi di prima e seconda categoria, e agli anziani sopra i 75 anni, i soldi verranno consegnati in contanti.

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La portavoce del governo, Nazeli Bagdasaryan, ha spiegato che le procedure per la distribuzione degli aiuti diventeranno più efficaci nei prossimi giorni, soprattutto se coloro che non hanno titoli di credito si recheranno in banca per aprire un conto, che verrà registrato senza alcun costo. Secondo le sue parole, «al momento stiamo incrociando i dati, e mano a mano che completiamo le schede si procede al trasferimento dei soldi», tenendo conto anche dei tempi necessari alle banche per l’invio dei bonifici.

 

Si attende anche la conferma di un altro provvedimento governativo, per cui ai profughi che non hanno alcuna residenza di riferimento in Armenia verranno inviate mensilmente 50mila drame per pagare l’affitto e i servizi comunali. Lo Stato armeno ha concesso un alloggio provvisorio a circa metà dei 100mila emigranti forzati, la maggior parte dei quali è suddiviso nelle varie regioni e non solo nella zona di raccolta, dove i centri di assistenza stanno lavorando a regime durissimo, con grande affanno.

 

I corrispondenti hanno incontrato molte persone che non hanno finora un posto dove dormire, e sono costretti a passare la notte a cielo aperto. Come racconta Elmira Nersisyan, «io e mia figlia ci siamo sistemati in un angolo riparato accanto alla porta della chiesa, non abbiamo parenti o amici in Armenia… ci hanno mandati qui, e continuiamo ad aspettare, finché qualcuno verrà a prenderci e darci una qualche sistemazione». Elmira ha 74 anni, e la figlia è invalida; sono scappati subito da Stepanakert, e ha saputo del centro di raccolta per caso, mentre vagava per le strade, «ma spero di trovare un lavoro e riuscire a cavarmela», assicura con spirito fiero.

 

Anche il pensionato Jasha Movsisyan è da solo, e dopo essere scappato dal villaggio di Nogarjukh della provincia di Askeran è riuscito ad arrivare fino a Erevan, dove ha ritrovato una nipote che gli ha concesso cibo e ospitalità, ma anche lui afferma di «non essere abituato a vivere a spese degli altri». La sistemazione è difficile per tutti, ma gli esuli del Nagorno Karabakh cercano di non abbattersi, e guardano al futuro con ottimismo.

 

L’esito fallimentare del lunghissimo conflitto con l’Azerbaigian era in fondo atteso da tempo, e la maggior parte degli abitanti della regione aveva comunque deciso di andarsene, non fidandosi delle promesse degli azeri. A tutti è nota la politica di cancellazione delle tradizioni e della religione cristiana nelle terre occupate da Baku, come già avvenuto nell’altra provincia a lungo contesa del Nakhicevan, dove di 83 chiese armene se ne sono salvate soltanto un paio.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Geopolitica

Oltre 100 stati contro Israele per aver dichiarato il capo dell’ONU persona non grata

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Oltre 100 stati membri delle Nazioni Unite hanno firmato una lettera a sostegno del presidente dell’organizzazione, Antonio Guterres, denunciando la decisione del governo israeliano di impedirgli di entrare nel Paese.   La petizione è stata avviata dal Cile dopo che Israele ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite persona non grata il 2 ottobre, accusandolo di non aver «condannato inequivocabilmente» l’Iran.   Dopo l’attacco dell’Iran, Guterres ha dichiarato di essere «estremamente preoccupato per l’escalation del conflitto in Libano» e ha condannato l’intensificazione del conflitto in Medio Oriente con «escalation dopo escalation».   In seguito ha affermato che «avrebbe dovuto essere ovvio» che condanna «i massicci attacchi missilistici di ieri dell’Iran contro Israele».

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In una lettera pubblicata venerdì dal Ministero degli Esteri del Cile, presumibilmente firmata da una coalizione di 104 nazioni delle Nazioni Unite e dall’Unione Africana, i membri hanno espresso «profonda preoccupazione» e «condanna della recente dichiarazione del Ministro degli Esteri israeliano», sostenendo che «tali azioni compromettono la capacità delle Nazioni Unite di svolgere il proprio mandato, che include la mediazione dei conflitti e la fornitura di sostegno umanitario».   «In Medio Oriente, ciò potrebbe ritardare ulteriormente la fine di tutte le ostilità e ostacolare l’istituzione di un percorso credibile verso una soluzione a due Stati», si legge nella lettera, aggiungendo che il lavoro di Guterres «resta fondamentale per garantire il dialogo, facilitare gli sforzi umanitari e promuovere la pace e la stabilità in tutto il mondo».   I firmatari hanno ribadito il loro «pieno sostegno e fiducia» in Guterres e nel suo impegno per «la pace e la sicurezza» e per «promuovere il rispetto del diritto umanitario internazionale», chiedendo un «dialogo significativo» per porre fine alle ostilità e raggiungere una pace duratura in Medio Oriente.   Il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha difeso la decisione di inserire Guterres nella lista nera, sostenendo che è stata motivata dal suo ripetuto «comportamento antisemita e anti-israeliano» e che non sarebbe stata revocata.   «Guterres può continuare a cercare di raccogliere firme a suo sostegno all’interno delle Nazioni Unite, ma la decisione non cambierà», ha detto Katz su X sabato.  

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Guterres lo scorso novembre aveva chiesto un cessate il fuoco a Gaza, ottenendone in risposta dal ministro degli Esteri israeliano la richiesta di essere cacciato dal segretariato ONU.   Come riportato da Renovatio 21, il segretario ONU da mesi lancia l’allarme riguardo la situazione globale. A inizio anno fa aveva detto che il mondo stava entrando in un’«era del caos».   A fine luglio il Katz aveva avvertito che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan potrebbe finire come l’ex leader iracheno Saddam Hussein, rovesciato e giustiziato da una coalizione sostenuta dagli Stati Uniti, se tentasse di intervenire nella guerra di Gaza.  

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Immagine di Europea Parliament via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
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Geopolitica

L’Ucraina discute di cedere territorio in cambio della pace: Der Spiegel

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Kiev sta ora valutando opzioni di pace che includono perdite nel suo territorio. Lo riporta la testata tedesca Der Spiegel in un nuovo articolo pubblicato il 13 ottobre.

 

«Per la prima volta dall’invasione russa nel febbraio 2022, nella capitale ucraina si stanno seriamente discutendo scenari in cui il paese si astiene dal riconquistare completamente i suoi territori occupati», scrive il giornale tedesco. «A Kiev, c’è una vivace discussione sul modello della Germania occidentale».

 

L’articolo riflette il crescente riconoscimento che l’Ucraina sta perdendo la guerra e non ha alcuna speranza di lanciare una presunta controffensiva l’anno prossimo.

 

«L’ottimismo che l’avanzata ucraina sul territorio russo vicino a Kursk ad agosto aveva innescato tra molti nel paese è evaporato», riporta Der Spiegel. «I soldati sono esausti, la società è stanca della guerra. Ci sono crescenti critiche al presidente».

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Der Spiegel riconosce anche il fallimento dell’Ucraina nell’ottenere il permesso di utilizzare missili occidentali a lungo raggio per attacchi in Russia. In seguito al continuo rifiuto della Casa Bianca di approvare tali attacchi, sia il Regno Unito che la NATO hanno cambiato idea.

 

A Londra la scorsa settimana, durante la visita del nuovo Segretario generale della NATO Mark Rutte al Primo Ministro britannico Keir Starmer, un portavoce di Starmer ha affermato che il Regno Unito non ha revocato le restrizioni sui missili Storm Shadow e ha aggiunto che «nessuna guerra è mai stata vinta da una singola arma e non c’è alcun cambiamento nella politica del governo sull’uso di missili a lungo raggio».

 

Rutte, parlando ai giornalisti dopo l’incontro con Starmer, ha anche rifiutato, dicendo «non concentriamoci su un sistema, un sistema d’arma in assoluto. Non sarà un sistema d’arma a fare il cambiamento. Quindi capisco cosa sta chiedendo Zelens’kyj, ma allo stesso tempo, concorda anche sul fatto che c’è una questione più ampia da discutere per assicurarsi che prevalgano».

 

Come riportato da Renovatio 21, lo Zelens’kyj era stato eletto con la promessa di riconciliazione con i ribelli del Donbass, ma ha infine ceduto alle pressioni dei nazionalisti filo-Maidan, che lo hanno minacciato di proteste di massa – e non solo quello: un esponente dell’estrema destra ucraina, subito dopo le elezioni del 2019, disse in un’intervista che il neoeletto presidente attore, in caso avesse messo in dubbio l’integrità territoriale ucraina, sarebbe stato impiccato ad un albero del Kreshatyk, che è l’elegante vialone di Kiev che porta a piazza Maidan.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0); Immagine tagliata

 

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Geopolitica

Il presidente serbo sventola la bandiera russa alla partita di calcio

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Secondo un video che circola sui social media, sabato il presidente serbo Aleksandar Vucic avrebbe srotolato una doppia bandiera serbo-russa durante una partita di calcio.   Vucic e Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, una delle regioni a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina, hanno assistito a una partita tra Svizzera e Serbia nella città serba di Leskovac.   Secondo un video condiviso da Dodik, i due leader, insieme a numerosi funzionari governativi presenti alla partita, si sono alzati dai loro posti mentre veniva suonato l’inno nazionale serbo.   Pochi istanti dopo, Dodik ha preso una bandiera della Republika Srpska, mentre Vucic, che era seduto accanto a lui, ha prontamente seguito l’esempio, tirando fuori dalla tasca una sciarpa con una bandiera serba e una russa. Le due bandiere hanno gli stessi colori (il tricolore panslavo), ma in un ordine diverso.  

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La partita tra la Serbia e la squadra svizzera, tra cui figuravano diversi giocatori nati in Kosovo, si è conclusa con una vittoria per 2-0 per i padroni di casa.   Il gesto di Vucic ha suscitato alcune critiche sui social media, con il leader del Partito Repubblicano di Serbia Nikola Sandulovic che lo ha descritto come un chiaro messaggio al popolo serbo: Vucic è e sarà un alleato della Russia, «soprattutto ora che stiamo cercando di essere il “cavallo di Troia” della Russia in Occidente».   Sebbene l’Unione delle associazioni calcistiche europee (UEFA) non abbia completamente vietato le bandiere russe dagli eventi sportivi, ha fatto un’eccezione per le partite che coinvolgono la nazionale ucraina a causa del timore che il tricolore potesse essere considerato «provocatorio». Tutte le squadre russe sono state bandite dagli eventi UEFA dall’inizio del conflitto in Ucraina.   La Serbia, che ha stretti legami con la Russia, ha costantemente sfidato la pressione occidentale per unirsi alle sanzioni contro Mosca per la crisi ucraina. Vucic ha anche ripetutamente chiesto un cessate il fuoco immediato tra Mosca e Kiev.   Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato il governo serbo aveva apertamente ringraziato i servizi russi per l’avvertimento che una rivoluzione colorata stava per abbattersi su Belgrado all’altezza delle ultime elezioni.

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