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Intelligence

La CIA ammette: dozzine di suoi agenti all’estero sono stati catturati e uccisi

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Uno scoop del New York Times sta scuotendo il mondo dell’Intelligence. 

 

Il giornale newyorkese sostiene che la CIA avrebbe lanciato l’allarme in tutte le sue stazioni all’estero e i suoi agenti all’estero riguardo al fatto che numerosi informatori del servizio di Intelligence USA vengono catturati e giustiziati.

 

Ci sarebbero «dozzine» di questi casi, recita una nota dell’agenzia. Ci sarebbe, cioè, un cospicuo numero di morti, con la possibilità, quindi, che tutte le reti coperte create con fatica in tanti Paesi potrebbero essere compromesse: sarebbero quindi pericolose, inutili, o controproducenti, perché le informazioni raccolte potrebbero essere esattamente quelle che il controspionaggio degli altri Paesi vuole che siano trapelate agli americani nel giuoco di specchi tipico dei servizi segreti.

Ci sarebbe un cospicuo numero di morti, con la possibilità, quindi, che tutte le reti coperte create con fatica in tanti Paesi potrebbero essere compromesse

 

Ma potrebbe essere pure peggio: potrebbe esserci una talpa all’interno dell’Agenzia; oppure essa è stata hackerata in qualche modo non ancora immaginabile.

 

L’articolo del Times in teoria costituisce un caso incredibilmente raro in cui i media si sono impossessati di un documento altamente riservato e decisamente imbarazzante per Langley.

 

«Il messaggio, in un insolito cablogramma top-secret, diceva che il centro di missione di controspionaggio della CIA aveva esaminato dozzine di casi negli ultimi anni che coinvolgevano informatori stranieri che erano stati uccisi, arrestati o molto probabilmente compromessi», scrive il NYT. 

 

«Il messaggio, in un insolito cablogramma top-secret, diceva che il centro di missione di controspionaggio della CIA aveva esaminato dozzine di casi negli ultimi anni che coinvolgevano informatori stranieri che erano stati uccisi, arrestati o molto probabilmente compromessi»

«Anche se breve, il cablo illustra il numero specifico di agenti giustiziati dalle agenzie di Intelligence rivali, un dettaglio estremamente riservato che i funzionari del controspionaggio in genere non condividono in tali cablogrammi».

 

«Agenti» in questo contesto significa risorse straniere e locali reclutate dalla CIA per spiare «la concorrenza» nei loro paesi d’origine, un’impresa pericolosa che mette a rischio diretto la persona in questione – compresa la propria famiglia –  che fornisce informazioni sensibili all’agenzia di intelligence statunitense. 

 

Il cablogramma citava anche le crescenti capacità e consapevolezza da parte delle agenzie straniere rivali dei metodi dei servizi segreti USA. 

 

Secondo il quotidiano quello che è riportato nei fogli top secret:

 

«Il cablo ha evidenziato la lotta che l’agenzia di spionaggio sta avendo mentre lavora per reclutare spie in tutto il mondo in ambienti operativi ostili. Negli ultimi anni, servizi di intelligence avversari in Paesi come Russia, Cina, Iran e Pakistan hanno dato la caccia alle fonti della CIA e in alcuni casi le hanno trasformate in doppi agenti». Notiamo, en passant, che nella lista dei Paesi nemici ora in pratica si è inserito anche il Pakistan, fino a ieri, sulla carta, un alleato – e pure con potenza termonucleare.

 

In particolare, è riportato, la crescente tecnologia biometrica utilizzata dalla Cina è vista come un serio problema per il mantenimento della copertura delle risorse locali. 

 

In particolare, è riportato, la crescente tecnologia biometrica utilizzata dalla Cina è vista come un serio problema per il mantenimento della copertura delle risorse locali.

L’exposé  precisa infatti che che «il gran numero di informatori compromessi negli ultimi anni ha anche dimostrato la crescente abilità di altri paesi nell’impiego di innovazioni come scansioni biometriche, riconoscimento facciale, intelligenza artificiale e strumenti di hacking per tracciare i movimenti degli ufficiali della CIA al fine di scoprire le loro fonti».

 

Il giornale tuttavia dimentica che proprio la tecnologia biometrica segreta made in USA, con cui avevano scansionato la popolazione afghana, è ora caduta nelle mani dei talebani, e quindi, probabilmente, dei pakistani e dei cinesi loro partner.

 

L’inchiesta del quotidiano americano cita inoltre ex agenti della CIA che hanno descritto un sistema interno e una burocrazia alquanto imperfetti, con promozioni degli ufficiali o degli operativi CIA vengono spesso distribuite agli operatori che reclutano il maggior numero di agenti all’estero. 

 

Un ex agente della CIA, Douglas London, ha dichiarato al Times: «Nessuno alla fine della giornata viene ritenuto responsabile quando le cose vanno male con un agente», cioè un collaboratore delle spie CIA.

 

Sempre il Times nel maggio 2017 aveva pubblicato un altro articolo-rivelazione in cui metteva nero su bianco la débacle che la CIA stava subendo in territorio cinese.

 

«Il governo cinese ha sistematicamente smantellato le operazioni di spionaggio CIA nelPpaese a partire dal 2010, uccidendo o imprigionando più di una dozzina di fonti per due anni e paralizzando la raccolta di informazioni di intelligence lì per anni dopo».

 

In seguito fu arrestato un ex agente CIA di origine cinese in pensione, il 67enne Alexander Yuk Ching Ma, accusandolo di aver cospirato con un suo parente (pure lui anche un ex ufficiale CIA) nel trasmettere informazioni classificate di livello Top Secret ai funzionari dell’Intelligence della Repubblica Popolare Cinese.

 

Sempre pochi anni fa una colossale brutta figura sarebbe stata rimediata dalla CIA a Mosca, dove un suo agente sarebbe stato  beccato mentre tentava di corrompere uno scienziato russo. Il supposto agente CIA arrestato, Ryan Fogle, era in Russia come diplomatico. Dopo il suo arresto, fu mostrato pubblicamente alle telecamere assieme alla sua parrucca bionda e ad una serie di altri gadget da 007 (inclusi dispositivi tecnologici e una parrucca mora). I media mandarono in onda i nastri dei suoi dialoghi con l’asset che cercava di reclutare.

 

La giornalista Megyn Kelly ha dedicato una trasmissione all’idea che la CIA si sia oggettivamente indebolita, chiedendosi come fosse possibile. Il suo ospite, il giornalista d’inchiesta Green Greenwald (colui che lavorò con Edward Snowden per portare le sue rivelazioni al mondo) ha risposto che la cultura woke, poteva essere un fattore, indicando un famoso spot di reclutamento della CIA tutto incentrato su questioni di politicamente corretto, del tipo «sono il primo agente donna latinoamericana… etc.».

 

In pratica, la CIA non proietta più il rispetto, e il potere, di una volta.

 

Capita quando ti fai vedere in giro in questo modo.

 

Guardate la serie di spot Humans of CIA: «Sono una donna di colore. Una mamma. Una cis-gender millennial a cui è stata diagnosticato un disordine di ansietà generalizzato».

 

Ma c’è anche la signora non-vedente con la felpa pro-matrimonio LGBT che ti dice quanto è bello lavorare per la CIA che è un «ambiente inclusivo».

 

Insomma, gli anni uno tentava la carriera alla CIA per le guerre occulte a Berlino, in Cile, in Africa, in Asia o in Italia, o anche per semplice patriottismo, sono finiti.

 

La CIA è cool perché woke.

 

Buona fortuna a spiegarlo ai russi e ai cinesi.

 

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Cina

La Nuova Zelanda accusa la Cina di aver hackerato il suo Parlamento

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L’agenzia di spionaggio neozelandese ha affermato che un gruppo di hacker sponsorizzato dal governo cinese ha effettuato un attacco informatico contro il Parlamento del paese, rubando dati su alcuni dei suoi parlamentari. Pechino ha respinto l’accusa, che a suo dire non è supportata da alcuna prova.

 

La presunta violazione si è verificata nel 2021 e ha preso di mira l’ufficio di consulenza parlamentare e il servizio parlamentare, ha dichiarato lunedì il ministro Judith Collins dell’Ufficio per la sicurezza delle comunicazioni governative (GCSB).

 

La «attività informatica dannosa» è stata rapidamente rilevata dalle autorità neozelandesi, che hanno impedito agli hacker di accedere a dati di natura «strategica o sensibile», ha affermato.

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Secondo Collins, responsabile dell’attacco è stato un gruppo chiamato Advanced Persistent Threat 40 (APT 40), che secondo il GCSB è collegato al Ministero della Sicurezza di Stato cinese.

 

«L’uso di operazioni di spionaggio informatiche per interferire con le istituzioni e i processi democratici ovunque è inaccettabile», ha affermato.

 

Il ministro del GCSB ha detto che Wellington ha affrontato Pechino riguardo al presunto attacco informatico, ma ha sottolineato che la Nuova Zelanda non ha intenzione di sanzionare la Cina per l’incidente.

 

La dichiarazione di Collins è arrivata lo stesso giorno in cui il Dipartimento di Giustizia americano ha diffuso le foto di sette cittadini cinesi ricercati con l’accusa di essersi infiltrati nelle comunicazioni di obiettivi britannici e americani per un periodo di 14 anni attraverso e-mail dannose.

 

Si diceva che gli uomini fossero membri di un’entità descritta come un gruppo di hacking sponsorizzato dallo stato, noto come APT 31 o «Violet Typhoon», il «Tifone viola», riporta RT.

 

Il ministro del GCSB ha sottolineato l’importanza di una risposta collettiva da parte dell’Occidente alla presunta minaccia alla sicurezza informatica posta dalla Cina, affermando che «è importante che le democrazie liberali difendano altre democrazie liberali».

 

L’ambasciata cinese in Nuova Zelanda ha respinto le accuse di Wellington definendole «infondate e irresponsabili», affermando che Pechino ha espresso «forte insoddisfazione e risoluta opposizione» alle autorità dell’isola.

 

«Quando si indaga e si determina la natura dei casi informatici, è necessario disporre di prove adeguate e oggettive, invece di diffamare altri Paesi quando i fatti non esistono, e ancor meno politicizzare o addirittura trasformare in armi le questioni di sicurezza informatica», ha affermato l’ambasciata in una dichiarazione martedì.

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Pechino non si intromette negli affari interni degli altri Paesi e «accusare la Cina di ingerenze straniere è completamente sbagliato», hanno aggiunto i diplomatici cinesi con un evidente riferimento agli Stati Uniti.

 

La Cina è pronta a promuovere la cooperazione con Wellington «sulla base del rispetto reciproco» e spera che anche la Nuova Zelanda lavori nella stessa direzione, astenendosi dalla «diplomazia del megafono», si legge nella dichiarazione.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato hacker legati alla Repubblica Popolare Cinese erano stati accusati di aver rubato 60 mila email del dipartimento di Stato USA. A maggio 2023 Microsoft aveva rivelato che un gruppo di hacker statali cinesi ha condotto una sofisticata operazione di sorveglianza sulle principali risorse infrastrutturali statunitensi.

 

Nel 2022 la Cina si è veementemente opposta al coinvolgimento del Giappone nella Difesa cibernetica NATO, di cui ha voluto far parte anche la Corea del Sud. I due Paesi asiatici hanno voluto cioè far parte del Centro di Eccellenza per la Difesa Informatica Cooperativa (CCDCOE) della NATO, cioè il comando per la guerra cibernetica del Patto Atlantico. La conclusione che qualcuno poteva trarre è che la Microsoft possa coordinare, oltre che con gli USA; anche con la UE, l’Ucraina e la NATO.

 

A gennaio 2023 un attacco cibernetico ritenuto provenire dalla Cina aveva colpito istituzioni accademiche sudcoreane.

 

Lo scorso giugno era stata rivelata la possibilità di un possibile attacco cibernetico contro sistemi militari USA di stanza a Guam, l’isola del Pacifico che è territorio e base militare degli Stati Uniti. Secondo alcuni osservatori poteva trattarsi di un’operazione il cui vero obiettivo potrebbe essere Taiwan.

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Intelligence

La Gran Bretagna è «in guerra» con la Russia, dice l’ex capo dell’MI6

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La Gran Bretagna è impegnata in una «guerra grigia» con la Russia, ma né le autorità né l’opinione pubblica stanno prendendo la situazione abbastanza sul serio, ha avvertito l’ex capo della famosa agenzia di spionaggio MI6, Richard Dearlove.   L’esercito britannico non riceve abbastanza soldi per poter contrastare le «minacce» poste da Mosca e Pechino, ha detto venerdì in un’intervista a Politico il Dearlove, che ha guidato i servizi segreti britannici tra il 1999 e il 2004.   La dichiarazione fa seguito all’annuncio della settimana scorsa del bilancio del Regno Unito per il prossimo anno finanziario, nel quale non vi è stato alcun aumento della spesa per la difesa. Rimane al 2% del PIL del Paese.

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«Se fermassi qualcuno per strada qui nel Regno Unito e gli chiedessi se pensa che la Gran Bretagna sia in guerra, ti guarderebbero come se fossi pazzo. Ma siamo in guerra – siamo impegnati in una guerra grigia con la Russia, e sto cercando di ricordarlo alla gente», ha detto l’ex capo dello spionaggio, già noto per aver ammesso quattro anni fa che il COVID è artificiale e scappato da un laboratorio.   Le autorità britanniche devono «fare alcune scelte difficili, e temo che le scelte difficili siano di fronte a noi proprio adesso. Dovremmo spendere almeno il 2,5%» per la difesa, ha insistito.   «Abbiamo urgentemente bisogno di costruire più navi. Abbiamo bisogno di una marina molto più grande. E abbiamo bisogno di più uomini sul campo, per l’amor di Dio», ha sottolineato Dearlove.   I combattimenti tra Russia e Ucraina hanno dimostrato l’importanza della manodopera sui moderni campi di battaglia, ha affermato il 79enne. Le dimensioni dell’esercito britannico sono state ridotte di oltre 26.000 unità rispetto al 2006, e attualmente conta poco più di 74.000 soldati a tempo pieno.   Il mese scorso, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha accusato il Regno Unito di essere «direttamente coinvolto» nel conflitto tra Mosca e Ucraina, reagendo a un articolo del Times in cui si affermava che il capo delle forze armate britanniche, l’ammiraglio Tony Radakin, aveva «aiutato gli ucraini con la strategia per distruggere le navi russe e aprire il Mar Nero».   Secondo Peskov, «non è un segreto» per Mosca che gli inglesi «forniscano diverse forme di sostegno» a Kiev, come «persone sul campo e Intelligence».   A febbraio, il ministro degli Esteri russo Sergio Lavrov ha affermato che il Regno Unito è stato «ancora più aggressivo, più elaborato nella sua provocatoria assertività» nei confronti di Mosca rispetto a qualsiasi altra nazione occidentale durante il conflitto.   Il Regno Unito è stato uno dei principali sostenitori dell’Ucraina in Europa dall’inizio dei combattimenti più di due anni fa, impegnandosi a fornire a Kiev 12 miliardi di sterline (14 miliardi di euro) in sostegno complessivo, compresi 7,1 miliardi di sterline (8,29 miliardi di euro) in assistenza militare.

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L’anno passato l’ex vicepresidente ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Demetrio Medvedev, commentando una dichiarazione rilasciata ieri dal ministro degli Esteri britannico James Cleverly secondo cui l’Ucraina aveva il «diritto di proiettare la forza oltre i suoi confini», cioè attaccare la Russia, aveva affermato che il Regno Unito fornisce all’Ucraina materiale e specialisti e sta conducendo una «guerra non dichiarata» contro la Russia e che quindi i funzionari britannici diventano «un obiettivo militare legittimo».   Come riportato da Renovatio 21, pochi giorni prima il Medvedev aveva definito Londra «nemico eterno» della Russia, sottolineando che i droni Poseidon sarebbero in grado di sommergere l’isola con tsunami radioattivi. A inizio anno era emerso che sono state date alle forze ucraine anche proiettili all’uranio impoverito, che, secondo alcuni avrebbero causato una nube radioattiva che minaccia l’Europa. Londra avrebbe avuto un ruolo anche negli attacchi antirussi nel Mar Nero degli scorsi mesi, al punto che Mosca ha convocato l’ambasciatore britannico per chiederne conto.   In un video-omaggio per l’incoronazione di re Carlo III, l’Esercito ucraino aveva ringraziato dettagliosamente Londra per ogni tipo di arma inviato. Con i missili britannici Storm Shadow forniti a Kiev, ha dichiarato Mosca, sarebbero stati colpiti a Kherson due mesi fa rifugi per gli sfollati della diga.   Nel 2022 emersero video di istruttori britannici che addestrano personale ucraino all’uso di droni subacquei.   Due mesi fa, la portavoce degli Esteri Maria Zakharova aveva detto che dietro il bombardamento di Belgorod, definito «atto terroristico», c’era Londra, accusando anche la UE.   L’azione di disturbo di Albione contro Mosca tramite uomini di Kiev non si limiterebbe alla sola Ucraina. Secondo una storia fatta circolare dalle agenzie di stampa russe, il servizio di Intelligence straniero britannico MI6 avrebbe preparato un gruppo di sabotatori  composto da circa 100 «militanti nazionalisti e neonazisti ucraini» per interrompere la crescente cooperazione economica della Russia con gli Stati africani.

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Geopolitica

Funzionario israeliano afferma che gli USA stanno cercando di rovesciare Netanyahu

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Dopo che una valutazione dell’intelligence statunitense ha concluso che il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è vulnerabile, un alto funzionario israeliano ha suggerito che Washington stia tentando di rovesciare il governo di guerra di Tel Aviv. lo riporta il quotidiano israeliano Jerusalem Post.

 

Secondo quanto riportato, il presidente americano Joe Biden sarebbe divenuto molto critico del premier israeliano Netanyahu. Tuttavia, la Casa Bianca starebbe cercando di distinguere tra il sostegno a Israele e al suo leader, e l’amministrazione USA afferma che non ridurrà il sostegno a Tel Aviv.

 

In un commento al giornale gerosolomitano, in alto funzionario israeliano ha criticato l’amministrazione Biden dicendo: «ci aspettiamo che i nostri amici agiscano per rovesciare il regime terroristico di Hamas e non il governo eletto in Israele» e aggiungendo che «i cittadini israeliani, e nessun altro, eleggono il primo ministro. Israele non è un protettorato degli Stati Uniti ma un paese indipendente e democratico i cui cittadini sono quelli che scelgono il governo».

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La dichiarazione fa seguito alla «valutazione della minaccia» annuale compilata dalle agenzie di Intelligence statunitensi, pubblicata lo scorso lunedì. Il rapporto dello spionaggio USA mette in dubbio la presa del potere di Netanyahu.

 

«La vitalità di Netanyahu come leader, così come la sua coalizione di governo composta da partiti di estrema destra e ultraortodossi che hanno perseguito politiche intransigenti sulle questioni palestinesi e di sicurezza, potrebbero essere in pericolo» scrive la valutazione dell’Intelligence americana. «La sfiducia nella capacità di Netanyahu di governare si è approfondita e ampliata tra l’opinione pubblica rispetto ai livelli già elevati prima della guerra, e ci aspettiamo grandi proteste che chiedono le sue dimissioni e nuove elezioni. Un governo diverso e più moderato è una possibilità».

 

Tuttavia, anche se Netanyahu potrebbe non essere personalmente popolare tra gli israeliani, le sue politiche lo sono.

 

«Gli israeliani mostrano ripetutamente un livello storicamente basso di fiducia nel primo ministro, mentre il sostegno al suo partito Likud continua a diminuire», ha scritto Ksenia Svetlova per il Consiglio Atlantico. «Allo stesso tempo, è anche chiaro che l’opinione pubblica in Israele sostiene le politiche di Netanyahu… circa due terzi (63%) dell’opinione pubblica ebraica non sostiene che Israele accetti in linea di principio uno Stato palestinese indipendente e smilitarizzato».

 

Tali sviluppi seguono le esternazioni ufficiali del leader della maggioranza al Senato americano, il senatore democratico Charles Schumer, il quale ha di fatto «sfiduciato» il primo ministro dello Stato Ebraico.

SCHUMER DICE CHE IL PRIMO MINISTRO ISRAELIANO NETANYAHU È UN “GRANDE OSTACOLO ALLA PACE” CHE SI È “TROPPO FREQUENTEMENTE PIEGATO ALLE RICHIESTE DEGLI ESTREMISTI”

 

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«Il leader della maggioranza al Senato Charles E. Schumer chiederà al governo israeliano di indire nuove elezioni in un discorso avvertendo che Israele rischia di diventare un “paria” internazionale sotto la guida del primo ministro Benjamin Netanyahu e del suo gabinetto di destra» ha scritto il Washington Post.

 

Mentre Biden ha dovuto affrontare crescenti critiche da parte dei democratici per il suo sostegno incondizionato a Israele, la Casa Bianca ha tentato di distinguere il sostegno a Israele e Netanyahu. La scorsa settimana Biden ha criticato più volte Netanyahu, dicendo che avrebbe voluto avere un incontro risolutivo con il leader dello Stato ebraico.

 

 

Sabato, in un’intervista con MSNBC, Biden ha accusato Netanyahu di «ferire Israele», mentre il sito Axios ha riferito che la Casa Bianca sarebbe «frustrata» per l’«ingratitudine» del Primo Ministro di Israele.

 

Tuttavia, anche se Netanyahu rimanesse primo ministro e violasse le linee rosse di Biden, l’amministrazione afferma che non fermerà i trasferimenti di armi a Tel Aviv, riporta Zerohedge.

 

Durante le proteste massive anti-Netanyahu di un anno fa – una vera rivolta contro la riforma giudiziaria ad opera del governo più di destra e religiosamente estremista della storia dello Stato degli ebrei – circolò con insistenza la voce che vi fosse la mano americana dietro al caos. Trapelarono quindi, piuttosto oscuramente, documenti americani che indicavano nel Mossad la guida della protesta contro il governo in carica.

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Come riportato da Renovatio 21, molti segni facevano proprio pensare che in Israele fosse in corso una «rivoluzione colorata» del tipo utilizzato dagli americani (con l’aiuto, in genere persistente, di George Soros e delle sue fondazioni «filantropiche») i per i tentativi di regime change in Paesi di tutto il mondo a cavallo tra gli anni Novanta e i 2000.

 

Possiamo solo ipotizzare che Netanyahu, un sabra (ebreo nato in Israele) cresciuto negli USA, sia obiettivo di un tentativo di defenestrazione forse per i suoi rapporti intensi avuti con Putin nel corso dei decenni di premierato, in previsione di una guerra con Mosca che potrebbe presto divenire totale. L’appoggio di Israele a Kiev è stato altalenante, con rifiuti, pur sotto la pressione di Washington, di fornire gli ucraini di armi, comprese quelle cibernetiche.

 

L’appoggio profondo degli USA a Israele tuttavia non sembra ancora vacillare. A dicembre presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha espresso il suo impegno «incrollabile» per la sicurezza di Israele durante un ricevimento alla Casa Bianca lunedì, in occasione della festa ebraica di Hanukkah, promettendo un continuo sostegno militare allo Stato Ebraico nel conflitto contro Hamas e dichiarando solennemente: «sono un sionista».

 

Il sionismo ha avuto diverse declinazioni ideologiche, tutte però con la costante del ritorno e del possesso del Paese «ancestrale»: tra i vari tipi di sionismo, è possibile elencare il sionismo politico, il sionismo liberale , il sionismo operaio, il sionismo culturale, il sionismo religioso e il sionismo revisionista, quello cui appartiene il padre di Netanyahu, studioso nonché assistente dell’ammiratore di Mussolini Ze’ev Zabotinsky.

 

I sostenitori del sionismo lo vedono come un movimento di liberazione nazionale per il rimpatrio di un popolo indigeno (che era soggetto a persecuzione e condivideva un’identità nazionale attraverso la coscienza nazionale), nella patria dei suoi antenati, rivendicando la storia antica. I critici del sionismo invece lo vedono come un’ideologia o movimento colonialista, razzista, o eccezionalista, accusando i sionisti di «suprematismo ebraico».

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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