Economia
La Banca Centrale tailandese propone di eliminare i dollari negli scambi commerciali
La Banca di Thailandia sostiene l’uso delle valute locali al posto del dollaro USA negli scambi con i partner internazionali, secondo il vice governatore dell’ente regolatore per la stabilità monetaria, Alisara Mahasantana.
Il funzionario ha affermato che l’uso delle valute locali dovrebbe ridurre al minimo il rischio rappresentato dalle fluttuazioni del dollaro americano, che recentemente hanno raggiunto l’8-9%.
Alisara ha sottolineato che l’obiettivo della mossa è fornire un’alternativa alle imprese tailandesi per pagare beni e servizi. «Durante i periodi di significativa volatilità del dollaro, gli operatori commerciali possono invece scegliere di utilizzare queste valute locali per i pagamenti. Ciò riduce il rischio associato ai tassi di cambio, rendendo più facili le negoziazioni commerciali», ha spiegato.
Ad agosto, Indonesia, Malesia e Tailandia hanno firmato un accordo tripartito per promuovere l’uso delle valute locali nelle transazioni bilaterali. L’accordo mira a rilanciare il commercio attraverso regolamenti accessibili ed efficienti in valuta locale, secondo la dichiarazione congiunta rilasciata dalle banche centrali dei tre Paesi.
All’inizio di quest’anno, i media hanno riferito che l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) stava progettando di discutere l’eliminazione del dollaro americano, dell’euro, dello yen e della sterlina dalle transazioni e di passare agli accordi nelle valute locali.
Il recente passaggio globale alle valute nazionali è stato parzialmente attribuito alle politiche di sanzioni secondarie che Washington sta perseguendo.
La de-dollarizzazione è montata sulla scia delle sanzioni radicali introdotte dalle nazioni occidentali contro Mosca, uno dei maggiori produttori ed esportatori di energia al mondo, per la sua operazione militare in Ucraina.
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Vari Paesi del mondo stanno infatti concludendo accordi di fornitura energetica senza passare più per la valuta americana.
Tre mesi fa, la compagnia petrolifera Indian Oil Corp. ha acquistato un milione di barili di petrolio dalla Abu Dhabi National Oil Company in una transazione senza dollari.
Come riportato da Renovatio 21, l’India – che è il terzo importatore di petrolio al mondo – ha già acquistato petrolio dalla Russia utilizzando yuan cinesi. Lo stesso ha fatto il vicino Pakistan, considerato storicamente un alleato di ferro di Washington.
Come l’India, l’Indonesia, il Bangladesh, la Malesia, lo Sri Lanka, il Pakistan la Bolivia, l’Argentina e altre Nazioni del Sud del mondo (con timidi accenni perfino in Isvizzera) stanno seguendo si stanno sganciando dal dollaro. A inizio anno la Banca Centrale Irachena ha annunciato che consentirà scambi con la Cina direttamente in yuan cinesi, senza passare dal dollaro, mentre il Ghana si è rivolto non alla moneta statunitense, ma all’oro per stabilizzare la propria valuta nazionale.
La dedollarizzazione coinvolge da mesi, pur sottotraccia, non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in Cina, in Arabia Saudita, e, oramai da più di un anno, nelle Banche Centrali di Paesi come il Brasile e perfino Israele. L’Argentina ha annunciato che utilizzerà lo yuan per pagare il FMI e non toccherà le riserve in dollari. Anche la Bolivia ha iniziato a commerciare in yuan, allontanandosi dal dollaro.
Lo scambio di petrolio senza l’intermediazione del dollaro, iniziata l’anno scorso con le dichiarazioni dei sauditi sulla volontà di vendere il greggio alla Cina facendosi pagare in yuan, porterà alla dedollarizzazione definitiva del commercio globale.
A gennaio, il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan ha dichiarato al World Economic Forum che il Regno è aperto a discutere il commercio di valute diverse dal dollaro USA.
«Non ci sono problemi con la discussione su come stabiliamo i nostri accordi commerciali, se è in dollari USA, se è l’euro, se è il riyal saudita», aveva detto Al-Jadaan in un’intervista a Bloomberg TV durante il WEF di Davos. «Non credo che stiamo respingendo o escludendo qualsiasi discussione che contribuirà a migliorare il commercio in tutto il mondo».
Victoria Nuland, la grande pupara neocon dietro la guerra in Ucraina, ha definito la de-dollarizzazione «una chiacchiera».
Più concretamente, riguardo al processo de-dollarizzazione, a inizio conflitto ucraino il ministro degli Esteri russi Lavrov si era chiesto se gli USA non avessero perso la testa.
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Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Economia
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