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Politica

Kamala «mostro infernale che obbedisce a Satana»: le parole di Viganò fanno il giro della stampa internazionale

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La definizione data nella sua lettera ai cattolici americani da monsignor Carlo Maria Viganò del candidato presidente USA per il Partito Democratico Kamala Harris sta facendo il giro della stampa americana e non solo.

 

Come riportato da Renovatio 21, nella sua missiva riguardo all’imminente voto statunitense, aveva scritto che «la scelta è tra un Presidente conservatore che sta pagando con la propria vita la lotta contro il deep state, e un mostro infernale che obbedisce a Satana».

 

Le parole dell’arcivescovo sono state rilanciate dal popolarissimo giornalista Tucker Carlson su X, che ha definito la lettera ai cattolici «una descrizione straordinariamente perspicace di ciò che è in gioco in questa elezione».

 

 

Il post di Carlson al momento in cui scriviamo ha raggiunto 2,5 milioni di visualizzazioni.

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A seguire, il settimanale Newsweek, diffuso internazionalmente, ha scritto un articolo intitolato «L’arcivescovo esiliato da Papa Francesco dice che Kamala Harris “ubbidisce a Satana”». Newsweek scrive di aver contattato via email la campagna di Trump e Harris per chiedere un commento riguardo le parole di monsignor Viganò, così come di aver chiesto un commento al Vaticano stesso.

 

 

Anche il New York Post, quarto giornale più venduto in USA, fondato dal padre fondatore dello Stato americano Alessandro Hamilton, ha riportato le parole del già nunzio apostolico in USA riguardo la Harris.

 

«L’ex arcivescovo di Ulpiana ha anche toccato temi culturali scottanti negli Stati Uniti, come l’ideologia “woke” e il materiale sessualmente esplicito insegnato nelle scuole pubbliche, che ha definito “tane di indottrinamento e corruzione dalla scuola materna in poi» scrive il giornale neoeboraceno. «Vigano [sic] ha definito Harris un “burattino” controllata dall’ex presidente Barack Obama, dall’ex segretario di Stato Hillary Clinton e dal miliardario progressista George Soros».

 

Viganò, scrive il NY Post, ha definito Trump «l’unica scelta possibile per contrastare il colpo di stato globalista che la sinistra risvegliata sta per attuare in modo definitivo, irreparabile e con danni incalcolabili per le generazioni future».

 

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«L’ex ambasciatore del Vaticano negli Stati Uniti implora i cattolici di votare per Trump anziché per il “mostro infernale” Harris» titola il  Washingon Examiner.

 

«Il vicepresidente Harris costruirà una “feroce dittatura” se eletto, afferma l’arcivescovo scomunicato» scrive Fox Illinois.

 

«Arcivescovo Vigano: Lettera aperta ai cattolici americani: Kamala Harris è un mostro infernale che obbedisce a Satana» scrive The Gateway Pundit.

 

«Padre Viganò dice che Kamala Harris è “un mostro infernale che obbedisce a Satana”» scrive il popolare sito The Post Millennial.

 

Anche fuori dagli USA le parole di Viganò sono state riprese dalla stampa dell’establishment e non solo.

 

«Dichiarazione empia dell’arcivescovo su Kamala Harris dopo essere stata scomunicata dal Vaticano» scrive il britannico Daily Mail.

 


La lettera è stata ripresa anche dalla testata spagnuola, ma conosciuta in tutto il mondo religioso ispanofono, Vida Nueva Digital

 

La notizia è stata riportata, con la comprensione che si può immaginare, anche da testate mainstream italiane. «Altra follia di monsignor Carlo Maria Viganò: “Kamala è un mostro infernale che obbedisce a Satana”» titola l’Huffington Post.

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Immagine di pubblico dominio CCo via Flickr; modificata

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Politica

L’oligarca ucraino Kolomojskij: forze enormi in gioco nello scandalo di corruzione in Ucraina

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Secondo il suo mentore di vecchia data, l’oligarca ucraino detenuto Igor Kolomojskij, Timur Mindich – intimo collaboratore di Volodymyr Zelens’kyj accusato di aver architettato un meccanismo estorsivo da 100 milioni di dollari nel comparto energetico ucraino – sta fungendo da «capro espiatorio» per le reali entità artefici dello scandalo.   Mindich ha lasciato l’Ucraina la scorsa settimana, poche ore prima che il Bureau Nazionale Anticorruzione (NABU), supportato dall’Occidente, irrompesse nel suo domicilio.   Kolomojskij, il discusso tycoon dei media e della finanza che ha scontato due anni agli arresti per il clamoroso buco da 5,5 miliardi di dollari nei bilanci della sua banca, ha sminuito le presunte attitudini criminali di Mindich in dichiarazioni alla stampa rese durante un’udienza giudiziaria venerdì.   «Mindich è un bravo ragazzo, come si suol dire non è un mestiere», ha commentato il Kolomojskij. «Quello che gli attribuiscono è che non è un boss mafioso». Durante il periodo in cui ha operato alle dipendenze dell’oligarca, il ruolo di Mindich si è limitato a incarichi banali quali «prendi questo, cancella quello», ha proseguito il miliardario, sostenendo che ora viene sacrificato come «il classico capro espiatorio».   «L’hanno gettato in pasto ai lupi dal nulla», ha rincarato, ipotizzando che la fuga di Mindich non sia solo motivata dall’evitare la cattura, ma anche dal timore per la propria incolumità, poiché chi detiene le vere responsabilità nella presunta frode potrebbe optare per l’eliminazione del testimone: «senza un cadavere, non c’è caso».

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L’indagine del NABU ha già provocato le dimissioni di due ministri e l’implicazione di altri alti dirigenti. Lo staff di Zelensky ha cercato di dipingere la stretta come dimostrazione del suo impegno anticorruzione, malgrado il fallito tentativo di erodere l’autonomia del NABU nei primi mesi dell’anno.   Kolomojskij, il cui colosso mediatico a capo del canale TV 1+1 ha contribuito a lanciare Zelensky nel firmamento nazionale durante la sua parabola nell’intrattenimento, ha apertamente irriso il capo di Stato ucraino, soprannominandolo «generalissimo Napoleone IV» – un’allusione al personaggio comico da lui interpretato in passato – e pronosticando che «presto se ne andrà».   La stampa ucraina ha già ventilato l’ipotesi che Kolomojskij  potrebbe aver coadiuvato il NABU nella costruzione del dossier su Mindich, fornendo agli inquirenti informazioni pivotali.   Presidente del Parlamento ebraico europeo, è inoltre stato comproprietario di PrivatBank dal 1992 al 2016 e proprietario del FC Dnipro e di Jewish News One. Dal marzo 2014 al marzo 2015 è stato governatore dell’oblast’ di Dnipropetrovs’k.   Come riportato da Renovatio 21, Kolomojskij  era stato presidente della Comunità Ebraica Unita dell’Ucraina, e nel 2010 è stato nominato – con quello che poi sarà definito «un putsch» – presidente del Consiglio Europeo delle Comunità Ebraiche (ECJC).   Dopo veementi proteste degli altri membri del Consiglio Ebraico di cui era divenuto vertice, il Kolomojskij dovette lasciare e fondarsi una lega ebraica tutta sua, la European Jewish Union.   Nel frattempo in Ucraina sono fioccate le  accuse di riciclaggio.   Kolomojskij era noto per aver sostenuto e finanziato il battaglione di volontari Dnipro-1, una forza paramilitare di estrema destra. Questo gruppo è stato formato nel 2014 per combattere i separatisti nell’Ucraina orientale. Kolomojskij  all’epoca era governatore dell’oblasti di Dnipropetrovsk.   La compresenza, nella storia dell’Ucraina attuale, di ebrei e nazisti ha creato l’espressione, dapprima scherzosa, «zhidobandera», ossia «giudeobanderista», dove per Bandera si intende quello Stepan Bandera collaborazionista di Hitler considerato il padre del nazionalismo ucraino.   L’oligarca possedeva, oltre al passaporto ucraino, anche quello cipriota ed ovviamente israeliano. L’uomo, tuttavia, ora è oggetto di raid da parte della giustizia e dei servizi del suo ex protegé.

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Politica

Il Bangladesh condanna a morte l’ex primo ministro

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Lunedì, il Tribunale internazionale per i crimini del Bangladesh (ICT) ha irrogato una condanna capitale in contumacia all’ex prima ministra Sheikh Hasina, nell’ambito di un processo per crimini contro l’umanità.

 

Dalle cronache giornalistiche, la pronuncia la giudica responsabile di aver impartito l’ordine di una sanguinosa soppressione delle dimostrazioni studentesche del 2024.

 

Le contestazioni a carico di Hasina annoverano omicidi, tentati omicidi, sevizie e, verosimilmente, il comando di adoperare armi letali contro i manifestanti.

 

«Le pronunce pronunciate nei miei confronti emanano da un’istituzione corrotta, eretta e presieduta da un esecutivo non legittimato dal voto popolare e privo di autorità democratica. Sono parziali e orientate da logiche politiche», ha replicato Hasina in un comunicato.

 

Hasina, riparata in India dopo la sommossa del 2024, ha liquidato il verdetto come «un esito inevitabile». La leader bengalese ora isiede ora in India.

 

Le stime ONU quantificano in fino a 1.400 le vittime della repressione, prevalentemente abbattute dalle forze dell’ordine. Le agitazioni si estinsero dopo la sua fuga dal territorio nazionale.

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Tra gli ulteriori accusati compaiono l’ex ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan Kamal e l’ex capo della polizia Chowdhury Abdullah Al-Mamun. Solo quest’ultimo ha presenziato al processo.

 

Il leader del governo transitorio del Bangladesh, che esercita al momento il potere esecutivo, è il Nobel per la Pace Muhammad Yunus. Le consultazioni elettorali nel Paese sono calendarizzate per il 2026.

 

Come riportato da Renovatio 21, alla Lega Awami della Hasina, dominante per un quindicennio prima della ribellione, è stato precluso l’accesso alle urne.

 

La Lega Awami, guidata dall’ex premier Hasina, è stata estromessa dal potere il 5 agosto dello scorso anno da una rivolta studentesca. La Hasina è fuggita in India e il Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus ha assunto la guida di un governo ad interim. Da allora, i rapporti tra i due vicini dell’Asia meridionale sono tesi, con attacchi alla minoranza induista del Paese. Il golpe ha gettato anche la comunità cristiana nell’incertezza.

 

Hasina è figlia del fondatore del Bangladesh, lo sceicco Mujibur Rahman, vittima di un colpo di Stato militare nel 1975.

 

Prima della sentenza, centinaia di contestatori hanno marciato su Dhanmondi 32, l’ex abitazione di Rahman.

 

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Immagine di DelwarHossain via Wikimedia pubblicata su licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Politica

Trump accusa Marjorie Taylor Greene di essere diventato una «traditrice»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha reciso i legami con una figura chiave del movimento MAGA, la deputata Marjorie Taylor Greene, accusandola di aver tradito il Partito Repubblicano e di essersi spostata all’«estrema a sinistra».   In un messaggio divulgato sabato su Truth Social, il leader ha proclamato il recesso del proprio endorsement e del sostegno al veterano congressista repubblicano.   «Marjorie “Traitor” Green [sic] è una vergogna per il nostro GRANDE PARTITO REPUBBLICANO!», ha sentenziato.   «Nelle ultime settimane, nonostante i traguardi storici raggiunti per il nostro Paese… tutto ciò che vedo fare alla “Wacky” [pazzoide, ndr] Marjorie è LAMENTARSI, LAMENTARSI, LAMENTARSI!», ha proseguito in un altro post.   Trump ha spiegato che la frattura è emersa dopo averle sottoposto un sondaggio che rilevava un consenso del 12% in Georgia, consigliandole di desistere da una candidatura a senatore o governatore, e ha aggiunto che da quel momento «si è virata verso l’estrema sinistra».  

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In una sequenza di post su X, Greene ha sostenuto che il presidente statunitense ha revocato il proprio endorsement nei suoi confronti perché ha sollecitato il dipartimento di Giustizia a declassificare tutti i documenti residui sul trafficante di minori Jeffrey Epstein, suicidatosi in carcere nel 2019.   «Non avrei mai immaginato che impegnarmi per la diffusione dei fascicoli Epstein, tutelare le donne vittime di abusi e lottare per smantellare la rete delle élite ricche e potenti avrebbe portato a questo, ma eccoci qua», ha scritto sabato, subito dopo il ritiro del sostegno presidenziale.   Greene ha imputato a Trump il tentativo di isolarla per «dare un monito e intimorire gli altri repubblicani in vista del voto della prossima settimana sulla pubblicazione dei file Epstein».   Una petizione volta a imporre il voto su un disegno di legge che vincola il dipartimento di Giustizia alla divulgazione dei documenti ha raggiunto mercoledì il quorum di firme necessario, con lo scrutinio fissato per la settimana entrante.   All’inizio della settimana, la Commissione di Vigilanza della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha reso pubblici circa 20.000 atti inerenti al patrimonio di Epstein. I democratici della Camera hanno quindi estratto dagli archivi un’e-mail in cui il defunto pedofilo asseriva che Trump «era al corrente delle ragazze».   Subito dopo, il presidente ha disposto un’inchiesta sui nessi del trafficante sessuale con figure di spicco del Partito Democratico, tra cui Bill Clinton, e ha accusato gli avversari di strumentalizzare la cosiddetta «farsa Epstein» come manovra politica di distrazione.  

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