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Sport e Marzialistica

L’uomo dietro a 37 mondiali di Boxe: viaggio nel Messico di Nacho Beristain e del «Gimnasio Romanza»

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Corrado Beldì previamente apparso su Boxe Ring, inaugurando una nuova rubrica del sito che sarà dedicata agli sport di combattimento.

 

Ci muoviamo di prima mattina ma il taxi ci mette quasi cinquanta minuti per arrivare dal centro fino al quartiere di Iztacalco. Potremmo chiamarla periferia, ma è difficile capire quanto è periferico questo sobborgo di Città del Messico, solo case basse e palazzine anni cinquanta, in una metropoli brulicante di vita e tradizioni che ha ormai superato i 20 milioni di abitanti.

 

Non siamo solo nel Paese simbolo della cultura precolombiana, nella patria della tequila, del mezcal e della musica mariachi, nella terra dei rivoluzionari, di Octavio Paz e dei grandi pittori di murales, Rivera, Orozco, Siqueiros: per chi ama il pugilato, il Messico è un paese di enorme tradizione, secondo solo agli Stati Uniti, terra di grandi campioni come Ricardo «El Finito» Lopez, formidabile peso paglia degli anni Novanta, ritiratosi imbattuto come Rocky Marciano, anzi con una vittoria in più o Julio Cesar Chavez, da molti considerato il miglior pugile messicano di sempre, sei volte campione del mondo con 107 vittorie delle quali 86 per knock-out.

 

Ogni Paese ha la sua fucina di campioni e per il Messico il miglior fabbro è senza dubbio Ignacio «Nacho» Beristáin, forse il più grande allenatore della storia dopo Angelo Dundee, 37 mondiali vinti con pugili usciti dal suo Gimnasio Romanza, una palestra che abbiamo sentito citare mille volte e che non ci aspetteremmo di trovare in una via come questa, quasi deserta, con pochi negozi, un venditore di tacos e un baracchino di succhi di frutta all’angolo che attira la nostra attenzione verso un garage: stanno cambiando la gomma a una vecchia Mustang e proprio dietro al meccanico, molto serio e indaffarato, leggiamo sul muro una scritta azzurra. Allora capiamo che siamo arrivati.

 

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C’è una scala anonima, due rampe strette e in cima al pianerottolo notiamo subito il poster dell’ultimo fuoriclasse della palestra e idolo della nazione: Juan Manuel «Dinamita» Marquez, l’uomo che al quarto incontro con Manny Pacquiao, l’ha atterrato alla sesta ripresa con un destro micidiale, facendo sobbalzare i fan di mezzo mondo.

 

La palestra ha due stanze piuttosto piccole: una con gli specchi per la ginnastica, l’altra con tre sacos, quattro peras e un pungiball e un ring piuttosto piccolo. In mezzo ci sono gli spogliatoi e un ufficio poco più grande di una cabina telefonica, con una parete di vetro e tante fotografie attaccate a ogni centimetro libero. Viene da chiedersi: è davvero questa la palestra dei campioni? Non sappiamo ancora che il segreto di tanto successo sta nella semplicità di queste ruvide mura e nel sudore che ogni giorno, da tanti anni, cade su questo piccolo pavimento.

 

Ignacio ci accoglie con una gentilezza quasi commovente: settantacinque anni, di statura media con i baffetti e gli occhiali, siede su una scrivania stretta e parla lentamente, spesso con un sorriso. Lo sguardo corre spesso oltre il vetro: tiene d’occhio ogni cosa, assimila gli errori, ricorda il passato, indica cosa correggere, immagina il futuro di chiunque varchi l’ingresso del Gimnasio.

 

«Questa palestra è nata nel 1992, prima allenavo altrove. Romanza nasce dai nomi di due grandi campioni, due allievi che ho portato a vincere il mondiale: Gilberto Román e Daniel Zaragoza».

 

Ci alziamo e andiamo insieme dietro il ring, dove svetta una grande bandiera messicana e la foto di Román, morto tragicamente nel 1990 in un incidente automobilistico quando ancora avrebbe potuto scrivere pagine importanti di una carriera luminosa che lo ha portato a vincere due volte il mondiale dei superpiuma.

«Vedi la candela? Resta sempre accesa. Giorno e notte. Román è stato un grande campione, è sempre nel mio cuore e non potrò mai dimenticarlo».

 

Ancora oggi gli appassionati di boxe discutono su chi è stato, tra lui e Chavez il pugile con la miglior tecnica nella storia messicana. Gli chiediamo allora di Daniel Zaragoza, «El Bulldog de Tacubaya», un pugile inconfondibile: stempiato, spalle larghe e grande incassatore.

 

 

«Daniel è stato il miglior peso gallo che io abbia mai allenato. Ciò che mi colpiva era la sua scarsa potenza: tutto tecnica e schivate. Aveva un jab formidabile. Sempre pronto a pungere. Non per niente, se guardiamo le statistiche, in carriera ha vinto 28 incontri per KO».

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Beristáin fa un segno oltre il vetro e chiama in ufficio un ragazzo: si chiama Mario Robles, è un massimo di diciannove anni, per ora dilettante ma di grandi speranze. Appena entra gli chiede di togliersi il guantone sinistro e di sollevare la manica. Lo aiuto.

 

 

«Vedi, la scorsa settimana mi ha chiesto di fare la mia firma su un foglio di carta e poi se l’è tatuata: questo è proprio matto!»

 

Mario ride e torna ad allenarsi. Ha una bella struttura. Oskar, l’allenatore in seconda chiamato da tutti «Tin Tán», lo fa lavorare sul gancio basso.

 

«Il Messico non ha mai avuto pugili di grande stazza, ma un giorno sono certo che vinceremo un mondiale anche nei massimi».

 

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Non manca una parentesi italiana, il ricordo di un viaggio nella penisola, le bellezze, i ristoranti e l’incontro con Umberto Branchini.

 

«Arrivai a Milano con Zaragoza per combattere contro Valerio Nati. Ricordo ancora il viaggio in treno fino a Forlì, dove si svolse l’incontro. Era il 1988, alla fine di novembre e c’era neve dappertutto. Poi andammo a Roma e Branchini mi fece vedere la città, di giorno e di notte: non lo dimenticherò mai».

 

Gli chiediamo qual è il segreto di una palestra che ha sfornato così tanti campioni.

 

«Il lavoro. Il lavoro duro. Mia nonna mi ha insegnato a non risparmiarmi mai. Diceva sempre: se per raggiungere un risultato ti basta un’ora di lavoro, cerca di lavorare sempre almeno tre ore e vedrai che quel lavoro verrà molto meglio».

Juan Manuel Marquez è esattamente il modello di pugile simbolo del sacrificio, un esempio per tutto il movimento.

 

«Con lui il problema è esattamente l’opposto: si sacrifica troppo, non vuole riposarsi mai, lavora senza tregua».

 

Gli chiediamo quali saranno i prossimi incontri per Marquez: ci sarà una quinta sfida con Pacquiao? Ci sarà la rivincita con Mayweather?

 

«A febbraio voliamo a Londra per discutere il possibile incontro con il campione IBF in carica dei pesi welter: Kell Brook, un inglese molto forte e imbattuto. Marquez può batterlo, ma dovrà usare tutti i suoi colpi. Speriamo di combattere a Las Vegas e non a Londra, come vorrebbero loro. Ad ogni modo, se proprio dovremo combattere in casa sua, andremo a Londra e vinceremo».

 

Beristáin guarda oltre il vetro verso una ragazza che sta facendo sparring. Si blocca e fa un cenno a Tin Tán: «non fa movimento laterale. Vedi? Così non può difendersi dai colpi di incontro». Poi ricomincia a raccontare.

 

«Credo che Marquez debba cercare avversari che sono nel suo range di peso: se pesi 139 libbre non puoi combattere conto Pacquiao che ne pesa 147 o contro Mayweather che arriva a 150. Certo, puoi provarci: la vittoria con Pacquiao è stata fantastica, ma l’incontro è sbilanciato fin dal principio».

 

Per un attimo siamo distratti da un’immagine sul muro: è la locandina del giorno in cui Beristáin è stato accolto nella International Boxing Hall of Fame, insieme a Mike Tyson, Julio Cesar Chavez e Sylvester Stallone. Ci viene naturale chiedergli chi avrebbe voluto allenare tra i grandi campioni della storia.

«Ci credi? Non ho mai avuto di questi sogni: mi è sempre piaciuto lavorare per costruire la tecnica di un pugile poco a poco, giorno dopo giorno. Come il piccolo Chavez, vedi questo ragazzo?»

 

Solo in quel momento mi accorgo che dietro di me, su uno sgabello, è seduto un ragazzino che ci ascolta in silenzio e forse è qui fin dal mio arrivo.

 

«È forte, ha solo dodici anni ma potrebbe diventare un campione. Deve solo cancellare i difetti che ha preso dal padre, che era un buon pugile, ma non certo un trainer. Bisogna lavorare di cesello, ogni giorno, con pazienza. Correggere, potenziare, far uscire il talento».

 

Beristáin fa un cenno e il ragazzino esce e comincia a mettersi le fasce.

 

«Certo, ho avuto sempre una grande ammirazione per Mohammed Alì. Chi non avrebbe voluto allenarlo? È sempre stato un mio eroe. Tuttavia, lavorare con pugili già formati è molto difficile: solo in due casi sono riuscito a combinare qualcosa, con Gonzalez e con Lopez. Con Humberto “Chiquita” González abbiamo vinto un altro mondiale ed è stata una bella soddisfazione perché era il suo terzo titolo nella stessa categoria (come Mohammed Alì, Evander Holyfield e Sugar Ray Robinson, N.d.R.). Ricardo Lopez invece è arrivato da me imbattuto e se n’è andato ancora imbattuto: ho lavorato solo sui dettagli. Ho tentato poi di aiutare Oscar de la Hoya a battere Pacquiao ma non fu possibile: Pacquiao era troppo forte e Oscar era ormai arrivato all’ultima tappa della sua grande carriera. Peccato».

 

Gli chiediamo se il pugilato può avere un ruolo politico e sociale, soprattutto in un paese come il Messico dove esistono ancora enormi diseguaglianze.

 

«L’idea che il pugilato si riduca alla storia del povero, che inizia boxare per guadagnare soldi e far vivere bene la sua famiglia, fa ormai parte del passato. Esistono ovviamente casi come questo, ma oggi il pugilato è uno sport molto diffuso, anche tra persone mediamente ricche che scelgono di andare in palestra semplicemente perché vogliono migliorare il proprio benessere fisico. Star bene è importante, ma in fin dei conti non ha nulla a che fare né con la politica né con la morale delle persone».

 

Abbiamo letto decine di articoli che parlano di un possibile trasloco del Gimnasio Romanza in una nuova sede.

 

«Assolutamente no! Non c’è nulla di vero: sono voci che sono state diffuse da qualcuno che voleva abbattere questo edificio per costruire una palazzina con una decina di appartamenti, lasciando alla palestra uno spazio sul tetto. Per fortuna ci sono state molte lamentele e una raccolta di firme e siamo riusciti a fermare il progetto. Da qui non ce ne andiamo».

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Torniamo per un attimo a Marquez, chiedendogli se ormai, nella storia della boxe messicana, può davvero essere considerato all’altezza di Chavez.

 

«Sento parlare le persone nei bar e per la strada, li ascolto e ormai vedo una grande consapevolezza sul fatto che Juan Manuel, per la sua tecnica e per il suo modo di combattere, è arrivato a eguagliare Chavez. Credo che entrambi resteranno nella storia della boxe e nei cuori di tutti i messicani. Allo stesso livello, con la stessa importanza».

 

Ignacio Beristáin ha settantacinque anni e una vita di successi alle spalle. Guardare avanti è inevitabile: quali sogni vorrebbe realizzare in futuro?

 

«Ho coronato tutti i sogni che avevo: ho fondato una palestra di successo, ho lavorato con pugili che ho preso da bambini e cresciuto fino a farli diventare adulti e poi uomini. Molti di loro sono diventati campioni del mondo. Forse l’ultimo sogno rimane quello di tornare ad allenare la squadra olimpica: le emozioni più forti le ho provate proprio quando allenavo la nazionale. Alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico abbiamo vinto due medaglie d’oro (Ricardo Delgado e Antonio Roldán) e due medaglie di bronzo (Joaquim Rocha e Augustin Zaragoza, fratello di Daniel) e poi ancora un bronzo con Juan Paredes nel 1976 a Montreal. Oggi la squadra è in mano ad allenatori mediocri. Mi piacerebbe tornare ad allenare la nazionale soprattutto per aiutare il mondo dei dilettanti. Purtroppo ciò non accadrà e devo arrendermi all’evidenza dei fatti: comincio a essere affaticato e non riuscirei ad avere le energie necessarie».

Dagli occhi del grande maestro traspare un misto di gioia, desiderio e nostalgia. In primavera uscirà la sua biografia, chissà se si troverà un editore italiano pronto a pubblicarla. Per ora siamo felici e orgogliosi di aver raccontato, seppur in breve, la storia del Gimnasio Romanza e di aver incontrato un uomo così umano e semplice, nella sua grandezza, come Ignacio Beristáin.

 

Per un attimo ci incantiamo a osservare i tanti cimeli di una vita passata a bordo ring: il tempo alla palestra sembra non finire mai e vorremmo star qui un’altra settimana ad aspettare il ritorno di Dinamita Marquez.

 

Arriva un vecchio campione messicano, ora medico in un ospedale del centro: porta alcuni regali, ceramiche e cioccolatini. Beristáin assaggia con gusto e continua a raccontare e a guardarsi incontro, a richiamare, a correggere. Poi scopriamo di essere nati nello stesso giorno e allora mi chiede di tornare l’indomani per l’allenamento delle 7 del mattino, con i ragazzi della palestra.

 

«Preparati: sarà molto duro!»

 

Com’è andata lo racconterò soltanto in privato. Siamo seri: in queste pagine si parla solo di grandi campioni.

 

Corrado Beldì

 

Articolo previamente apparso su Boxe Ring, pubblicato su gentile concessione dell’autore.

Immagini di Corrado Beldì.

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Sport e Marzialistica

Affari tra gas e judo nella cerchia in Uzbekistan

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Nonostante le sbandierate campagne anticorruzione del presidente, a Tashkent è venuta alla luce una vicenda di contratti estremamente vantaggiosi a beneficio di una società legata alla sua famiglia. Con al centro il genero Umarov, «eminenza grigia» di un sistema di potere che va dalle grandi imprese al mondo dello sport.   Un’inchiesta di Radio Ozodlik, ripresa da diversi altri media, ha rivelato gli affari di una compagnia quasi sconosciuta e legata alla famiglia del presidente dell’Uzbekistan, Šavkat Mirziyoyev, che ha stretto accordi segreti con lo Stato per oltre 100 milioni di dollari, soprattutto un contratto multimilionario per la consegna del gas a una delle principali aziende cementifere del Paese a prezzo maggiorato.   L’affare estremamente vantaggioso per il marginale Ultimo Group Limited lascia intendere che i personaggi coinvolti, soprattutto i parenti di Mirziyoyev, ricevano dividendi molto consistenti grazie alle relazioni con i politici di alto livello. Lo stesso presidente aveva affidato agli organismi interessati, lo scorso anno, il compito di sradicare i fenomeni di corruzione nel settore energetico e dei carburanti, chiedendo più volte la massima trasparenza e di cessare una volta per tutte la pratica delle tangenti.   L’Uzbekistan, il Paese più popoloso dell’Asia centrale che ha superato i 37 milioni di abitanti, possiede ampie riserve di gas, e da quando è succeduto al primo storico presidente, l’autoritario Islam Karimov morto nel 2016, Mirziyoyev non perde occasione per ribadire che «non abbiamo più il diritto di andare avanti come prima, dobbiamo garantire lo sviluppo e il benessere di tutta la popolazione».   Eppure l’inchiesta di Ozodlik dimostra come il contratto assai poco trasparente dell’Ultimo Group sia stato concesso nel 2021, con la vendita al principale produttore di cemento Qizilqumsement, allora di proprietà dello Stato, per una somma di oltre 36 milioni di dollari. E si trattava della prima vendita di gas della compagnia semi-sconosciuta.

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I documenti svelati dall’inchiesta mostrano come all’azienda della famiglia presidenziale siano stati trasferiti 66 milioni di dollari dal monopolista UzTransGaz, e che la compagnia abbia importato miliardi di metri cubi dal vicino Turkmenistan. La transazione è stata effettuata con una rete di partner non semplice da ricostruire, che si estende da New York a Hong-Kong, passando per Dubai.   La figura centrale di tutta la macchinazione è Azizžon Kamilov, capo della federazione di judo in Uzbekistan e vice-presidente del comitato olimpico nazionale, molto legato a Otabek Umarov, genero del presidente e alto funzionario statale, molto attivo nel settore sportivo.   Umarov viene spesso indicato come l’«eminenza grigia» del sistema di potere ai vertici dell’Uzbekistan, che secondo gli ultimi rapporti di Transparency International rimane «uno Stato autoritario con un alto livello di corruzione, di nepotismo e di abuso di potere», pur riconoscendo «qualche progresso» nelle ultime riforme di Mirziyoyev.   L’immagine pubblica di Umarov in questi anni è stato il suo brand personale 7Saber, che produce le uniformi sportive per le squadre nazionali, messe in commercio proprio da Ultimo Group.   L’azienda sotto inchiesta, fondata a marzo 2021 con un capitale di 9.500 dollari, è quasi un fantasma e non possiede un sito internet ufficiale, né alcuna forma di presentazione pubblica, e una delle persone indicate dai documenti tra i principali proprietari è un’anziana pensionata che non si era mai occupata di affari.   Solo uno degli azionisti, Tukhfat Anvarkhužaev, ha risposto ai giornalisti negando ogni rapporto con Umarov, con il quale sostiene sussistano solo «rapporti cordiali, ma non relazioni economiche».   Kamilov e Umarov sono invece due personaggi molto popolari in Uzbekistan, che si mostrano alle competizioni e in molte altre manifestazioni facendosi fotografare insieme al Anvarkhužaev. L’indagine ha mostrato molte altre relazioni ambigue dei personaggi coinvolti, con emiri arabi e faccendieri americani, spesso usando la copertura del Comitato olimpico e delle manifestazioni sportive.   L’ideale della trasparenza del «nuovo Uzbekistan» di Mirziyoyev appare ancora piuttosto lontano dalla realizzazione.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Conor McGregor torna a combattere in UFC

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L’ex campione Conor McGregor tornerà nell’ottagono a giugno per combattere Michael Chandler, ha confermato sabato il presidente dell’UFC Dana White. McGregor ha combattuto professionalmente l’ultima volta nel 2021, quando si è improvvisamente rotto una gamba in un incontro con Dustin Poirier.

 

McGregor e Chandler combatteranno come pesi welter alla fine dell’International Fight Week della UFC a Las Vegas, ha annunciato White dopo l’evento UFC 300 di sabato. Chandler, che attualmente è il sesto peso leggero della federazione, aveva ripetutamente chiesto un incontro da quando entrambi gli uomini avevano allenato squadre opposte nella stagione dello scorso anno del reality show della UFC «The Ultimate Fighter».

 

«È tutta una questione di tempismo. Chandler era pronto ma Conor non lo era», ha detto White. «Quello che non vuoi che faccia è accettare un combattimento quando ha un sacco di obblighi e non può allenarsi al 100% per un combattimento, quindi eccoci qui stasera».

 

Dopo aver fatto il suo debutto in UFC nel 2013, McGregor ha ottenuto una serie di vittorie, culminate in uno straordinario knockout in 13 secondi contro il campione dei pesi piuma Jose Aldo nel 2015. La prima sconfitta in UFC di McGregor è arrivata in un incontro dei pesi welter con Nate Diaz nel marzo 2016, anche se il mancino irlandese riuscì a sconfiggere il californiano in agosto e a rivendicare la cintura dei pesi leggeri dal campione della divisione Eddie Alvarez a novembre.

 

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La perfetta vittoria di McGregor su Alvarez lo ha reso il primo campione in due divisioni dell’UFC, ma non ha mai difeso nessuno dei due titoli ed è stato privato di entrambe le cinture a causa dell’inattività. Da allora il dublinese ha combattuto solo a intermittenza, e la sua ultima incursione nell’ottagono nel 2021 si è conclusa in un disastro quando ha perso per la seconda volta in un anno contro Dustin Poirier dopo essersi rotto la tibia al primo turno.

 

 

Dopo anni di successi incontrastati, che lo portarono perfino sul ring di un evento attesissimo con il campione di boxe di pesi superwelter Floyd Mayweather, la carriera di McGregor aveva preso una piega inaspettata quando aveva perso contro il lottatore daghestano Khabib Nurmagomedov, figlio di un allenatore di sambo ed idolo delle Russie.

 

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Da quando aveva smesso, il McGregor si è concentrato sulla promozione del suo marchio di whisky e ha fatto il suo debutto a Hollywood nel remake del film Il duro del Road House, uscito il mese scorso.

 

In una recente intervista con il conduttore del talk show James Corden, McGregor ha affermato che intende competere in «quattro incontri in un anno». «Sono stato colpito solo una volta e poi mi si è rotta la gamba», ha detto. «Questo è tutto. Quindi, per quanto riguarda la freschezza, sono quanto di più fresco si possa desiderare in questo settore».

 

Nell’ambiente degli appassionati dell’UFC sono state fatte speculazioni, in primis dal commentatore MMA e popolarissimo podcaster Joe Rogan, sul recente uso di sostanze anabolizzanti da parte del McGregor, accuse al quale questi ha risposto con sdegno. Nel frattempo, alcuni hanno speculato che il nuovo McGregor abbia perfino cambiato faccia.

 

Come riportato da Renovatio 21, nell’ambito una rivolta di popolo che ha incendiato Dublino mesi fa quando un nordafricano aveva accoltellato per strada una donna e dei bambini, il McGregor aveva protestato pubblicamente, ottenendone in cambio dalle autorità un’indagine per hate speech.

 

Alcuni hanno speculato che lo stesso campione di MMA potesse voler correre per la carica di prossimo Taoiseach.

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Immagine di Andrius Petrucenia via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic 

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Steven Segal dichiara il suo profondo amore per la Russia

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L’attore di Hollywood e maestro di Aikido, nonché tulku buddista reincarnato, Steven Seagal ha dichiarato il suo profondo amore per la patria dei suoi nonni, che furono emigranti ebrei russi, in un’intervista al sito di informazione russo RT.   Il Seagal racconta che da bambino, durante la Guerra Fredda, gli era stato insegnato a temere la Russia, tuttavia visitare la patria dei suoi nonni gli aveva fatto capire che era la patria di alcune delle «culture più profonde e belle della Terra».

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Nato nel Michigan all’alba della Guerra Fredda nel 1952, Seagal ha affermato di essere «cresciuto in una famiglia russa» – le cui origini potrebbero essere tracciate in Siberia, tra buriati e iacuti, e forse dalla città di Vladivostok – ma che i suoi genitori hanno presto istruito i suoi nonni a non parlare russo in sua presenza.   «Da bambino ho capito subito che c’era della politica in corso», ha detto la star dei film d’azione anni Novanta a RT. «I miei genitori dicevano ai miei nonni: “non vogliamo che parli russo perché siamo nel mezzo di una guerra fredda”»   La rappresentazione della Russia sovietica come il «cattivo» nei media americani «era spesso piuttosto terribile e piuttosto dura per qualcuno come me, perché amavo la Russia», ha detto. «E a volte sentivi bugie e propaganda assurde… “se vai in Russia tua moglie verrà violentata, tua madre verrà violentata, e se vuoi prendere un taxi c’è un cavallo e un calesse che scenderanno per strada”, roba davvero pazzesca».   Segal ha stretto un’amicizia con il presidente russo Vladimiro Putin più di dieci anni fa, con la coppia che apparentemente si legava al loro comune amore per le arti marziali: è nota la passione di Putin per il Judo, mentre il Seagal è un riconosciuto maestro di Aikido, una disciplina che, secondo quanto raccontato, lo stesso fondatore del Judo, il leggendario Jigoro Kano (1860-1938) avrebbe riconosciuto come una sorta di sua continuazione.   Il Seagal ha ricevuto la cittadinanza russa nel 2016, con passaporto consegnatogli dalle stesse mani di Putin. Diversi media all’epoca scrissero dell’amicizia tra Seagal e il presidente Vladimir Putin (non c’era solo Silvio Berlusconi, quindi…) con lo stesso Seagal dichiarato che «vorrebbe considerare Putin come un fratello». Il presidente russo ha conferito al Seagal la medaglia russa dell’Ordine dell’Amicizia nel 2023. Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha detto che Putin «ha decisamente visto alcuni dei suoi film».   Attualmente ricopre il ruolo di inviato speciale del Ministero degli Esteri russo per le relazioni umanitarie tra Mosca e Washington.  

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«Una delle cose che sono successe di recente è stata la Coppa del Mondo FIFA del 2018, e penso che Putin sia stato un genio perché ha invitato il mondo qui e all’improvviso il mondo è venuto qui e ha visto che la Russia è un posto bellissimo, Mosca è una città meravigliosa… la cultura è una delle culture più profonde e belle della Terra».   «Avete una letteratura straordinaria, una storia straordinaria, poeti… musicisti straordinari, una scienza straordinaria, alcuni di questi sono davvero tra i migliori al mondo», ha continuato. «Non voglio dire che la Russia sia il più grande paese del mondo, ma per me lo è».   L’amore di Seagal la cultura russa e il suo sostegno all’operazione militare russa in Ucraina gli hanno fatto guadagnare notorietà in Occidente. L’anno scorso, un gruppo di legislatori statunitensi, europei e ucraini ha invitato Washington e Bruxelles a sanzionare l’eroe di action movie sbanca-botteghino come Trappola in alto mare (1992).   Il divo marzialista sostiene che al pubblico occidentale viene detto molto poco del conflitto e delle sue origini. Nel 2022 ha visitato la regione del Donbass per girare le riprese di un documentario, che a quanto pare è ancora in produzione.   «Quando mi sono reso conto che il 99% delle notizie che venivano raccontate al mondo venivano raccontate da persone che non erano mai state nel Donbass, a Lugansk, in Ucraina, ho pensato che sarebbe stato importante poter andare lì, intervista gli ucraini, intervista i russi e lascia che le persone dicano la loro verità», ha detto a RT l’anno scorso.   Il Seagal è una cintura nero del 7° dan di Aikido. Fu il primo occidentale ad aprire un dojo della disciplina in Giappone. il termine Aikido è spesso tradotto come «la via dell’unificazione l’energia vitale» o come «la via dello spirito armonioso», un insegnamento di tecniche di difesa originariamente sviluppato da Morihei Ueshiba (1883-1969), come sintesi dei suoi studi marziali, filosofia e credenze religiose. L’Aikido è conosciuto per l’eleganza e la potenza della sua tecnica, con cui permette di neutralizzare assalitori anche armati.   Studiando l’arte marziale il Seagal conobbe a metà anni Settanta Miyako Fujitani, la figlia di un maestro di Aikido di Osaka, da cui ebbe in Giappone due figli, Kentaro e Ayako, quest’ultima attrice di successo con il nome di Ayako Fujitani, con alle spalle anche lavori di sceneggiatura per lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki assieme al creatore di Neon Genesis Evangelion Hideaki Anno.   Steven Seagal è diventato noto internazionalmente a fine anni Ottanta come stella dei film di azioni di Hollywood. Già bodyguard delle star, convinse i produttori a scritturarlo per un film scritto da lui stesso, Nico (1988), che racconta la storia di un poliziotto di origine siciliana (un’altra origine famigliare talvolta attribuita al Seagal) che scopre una trama di narcotraffico gestita dalla CIA – un argomento che, come noto, trova riscontro nella realtà.   Negli anni, l’attore ha rivelato di aver «aiutato» la CIA quando era in Giappone. Nico inizia con una scena in cui Seagal dà prova delle sue capacità di maestro di Aikido nonché il suo giapponese assai fluente, mentre la voce fuori campo racconta di come il personaggio era stato reclutato dalla CIA.  

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Le grandi capacità cinetiche e cinematografiche di Seagal sono chiaramente visibili nel film di Robert Rodriguez Machete (2010), dove interpreta, a sorpresa, il ruolo del cattivo, un colonnello messicano che combatte usando le lame tra insulti in lingua spagnuola.     Seagal è di fede buddista tibetana e nel febbraio 1997, Lama Penor Rinpoche del monastero di Palyul annunciò che Seagal è un tulku, cioè la reincarnazione di un lama, e in particolare la reincarnazione di Chungdrag Dorje, un terton (cioè un «rivelatore di tesori») del XVII secolo dei Nyingma, la più antica setta del buddismo tibetano. Il Seagal è un grande sostenitore del Dalai Lama, e si mormora come agli eventi pubblici pro-Tibet, grazie al suo status di reincarnato, può sedere diverse file davanti al più blasonato collega Richard Gere.   Di recente lo Steven, la cui ultima moglie è una signora mongola, è visibile in vari canali YouTube dedicati alle arti marziali. Notevole l’intervista, con sessione annessa, che lo youtuber karateka svedese Jesse Enkamp detto «Karate Nerd» ha fatto con il Seagal a Dubai, portando con sé anche il fratello lottatore di arti marziali miste Oliver Enkamp, che gareggia nella divisione pesi welter del Bellator MMA.    

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Il rapporto tra Seagal e l’MMA è vasto: il campione marzialista brasiliano Lyoto Machida ha attribuito a Seagal il merito di averlo aiutato a perfezionare il calcio frontale che ha usato per eliminare Randy Couture all’UFC 129 nel maggio 2011; i media russi nel 2019 hanno riportato che avrebbe fatto lezione al peso massimo dell’MMA russo Aleksandr Emmelianenko.   Nel 2021, Seagal è stato tesserato dal partito Russia Giusta – Patrioti – Per la Verità, una formazione di ispirazione socialdemocratica risultata dalla fusione di tre partiti (i socialisti populisti di Rodina, i liberalnazionalisti del Partito Russo della Vita e il Partito dei Pensionati Russi) entrata a far parte dell’Internazionale Socialista. Russia Giusta è stata radiata dalla Duma e che fa quindi parte della cosiddetta «opposizione sistemica», anche se in Occidente è percepito come pro-Cremlino.   Il lettori di Renovatio 21 ricordano forse un articolo dell’anno scorso illustrato da una foto dove, in un grande schermo alle spalle di Seagal, era visibile l’arcivescovo Carlo Maria Viganò: si trattava del primo Convegno Mondiale dei Russofili, la cui seconda edizione è stata pochi giorni fa.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
   
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