Sport e Marzialistica
L’uomo dietro a 37 mondiali di Boxe: viaggio nel Messico di Nacho Beristain e del «Gimnasio Romanza»
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Corrado Beldì previamente apparso su Boxe Ring, inaugurando una nuova rubrica del sito che sarà dedicata agli sport di combattimento.
Ci muoviamo di prima mattina ma il taxi ci mette quasi cinquanta minuti per arrivare dal centro fino al quartiere di Iztacalco. Potremmo chiamarla periferia, ma è difficile capire quanto è periferico questo sobborgo di Città del Messico, solo case basse e palazzine anni cinquanta, in una metropoli brulicante di vita e tradizioni che ha ormai superato i 20 milioni di abitanti.
Non siamo solo nel Paese simbolo della cultura precolombiana, nella patria della tequila, del mezcal e della musica mariachi, nella terra dei rivoluzionari, di Octavio Paz e dei grandi pittori di murales, Rivera, Orozco, Siqueiros: per chi ama il pugilato, il Messico è un paese di enorme tradizione, secondo solo agli Stati Uniti, terra di grandi campioni come Ricardo «El Finito» Lopez, formidabile peso paglia degli anni Novanta, ritiratosi imbattuto come Rocky Marciano, anzi con una vittoria in più o Julio Cesar Chavez, da molti considerato il miglior pugile messicano di sempre, sei volte campione del mondo con 107 vittorie delle quali 86 per knock-out.
Ogni Paese ha la sua fucina di campioni e per il Messico il miglior fabbro è senza dubbio Ignacio «Nacho» Beristáin, forse il più grande allenatore della storia dopo Angelo Dundee, 37 mondiali vinti con pugili usciti dal suo Gimnasio Romanza, una palestra che abbiamo sentito citare mille volte e che non ci aspetteremmo di trovare in una via come questa, quasi deserta, con pochi negozi, un venditore di tacos e un baracchino di succhi di frutta all’angolo che attira la nostra attenzione verso un garage: stanno cambiando la gomma a una vecchia Mustang e proprio dietro al meccanico, molto serio e indaffarato, leggiamo sul muro una scritta azzurra. Allora capiamo che siamo arrivati.
Sostieni Renovatio 21
C’è una scala anonima, due rampe strette e in cima al pianerottolo notiamo subito il poster dell’ultimo fuoriclasse della palestra e idolo della nazione: Juan Manuel «Dinamita» Marquez, l’uomo che al quarto incontro con Manny Pacquiao, l’ha atterrato alla sesta ripresa con un destro micidiale, facendo sobbalzare i fan di mezzo mondo.
La palestra ha due stanze piuttosto piccole: una con gli specchi per la ginnastica, l’altra con tre sacos, quattro peras e un pungiball e un ring piuttosto piccolo. In mezzo ci sono gli spogliatoi e un ufficio poco più grande di una cabina telefonica, con una parete di vetro e tante fotografie attaccate a ogni centimetro libero. Viene da chiedersi: è davvero questa la palestra dei campioni? Non sappiamo ancora che il segreto di tanto successo sta nella semplicità di queste ruvide mura e nel sudore che ogni giorno, da tanti anni, cade su questo piccolo pavimento.
Ignacio ci accoglie con una gentilezza quasi commovente: settantacinque anni, di statura media con i baffetti e gli occhiali, siede su una scrivania stretta e parla lentamente, spesso con un sorriso. Lo sguardo corre spesso oltre il vetro: tiene d’occhio ogni cosa, assimila gli errori, ricorda il passato, indica cosa correggere, immagina il futuro di chiunque varchi l’ingresso del Gimnasio.
«Questa palestra è nata nel 1992, prima allenavo altrove. Romanza nasce dai nomi di due grandi campioni, due allievi che ho portato a vincere il mondiale: Gilberto Román e Daniel Zaragoza».
Ci alziamo e andiamo insieme dietro il ring, dove svetta una grande bandiera messicana e la foto di Román, morto tragicamente nel 1990 in un incidente automobilistico quando ancora avrebbe potuto scrivere pagine importanti di una carriera luminosa che lo ha portato a vincere due volte il mondiale dei superpiuma.
«Vedi la candela? Resta sempre accesa. Giorno e notte. Román è stato un grande campione, è sempre nel mio cuore e non potrò mai dimenticarlo».
Ancora oggi gli appassionati di boxe discutono su chi è stato, tra lui e Chavez il pugile con la miglior tecnica nella storia messicana. Gli chiediamo allora di Daniel Zaragoza, «El Bulldog de Tacubaya», un pugile inconfondibile: stempiato, spalle larghe e grande incassatore.
«Daniel è stato il miglior peso gallo che io abbia mai allenato. Ciò che mi colpiva era la sua scarsa potenza: tutto tecnica e schivate. Aveva un jab formidabile. Sempre pronto a pungere. Non per niente, se guardiamo le statistiche, in carriera ha vinto 28 incontri per KO».
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Beristáin fa un segno oltre il vetro e chiama in ufficio un ragazzo: si chiama Mario Robles, è un massimo di diciannove anni, per ora dilettante ma di grandi speranze. Appena entra gli chiede di togliersi il guantone sinistro e di sollevare la manica. Lo aiuto.
«Vedi, la scorsa settimana mi ha chiesto di fare la mia firma su un foglio di carta e poi se l’è tatuata: questo è proprio matto!»
Mario ride e torna ad allenarsi. Ha una bella struttura. Oskar, l’allenatore in seconda chiamato da tutti «Tin Tán», lo fa lavorare sul gancio basso.
«Il Messico non ha mai avuto pugili di grande stazza, ma un giorno sono certo che vinceremo un mondiale anche nei massimi».
Aiuta Renovatio 21
Non manca una parentesi italiana, il ricordo di un viaggio nella penisola, le bellezze, i ristoranti e l’incontro con Umberto Branchini.
«Arrivai a Milano con Zaragoza per combattere contro Valerio Nati. Ricordo ancora il viaggio in treno fino a Forlì, dove si svolse l’incontro. Era il 1988, alla fine di novembre e c’era neve dappertutto. Poi andammo a Roma e Branchini mi fece vedere la città, di giorno e di notte: non lo dimenticherò mai».
Gli chiediamo qual è il segreto di una palestra che ha sfornato così tanti campioni.
«Il lavoro. Il lavoro duro. Mia nonna mi ha insegnato a non risparmiarmi mai. Diceva sempre: se per raggiungere un risultato ti basta un’ora di lavoro, cerca di lavorare sempre almeno tre ore e vedrai che quel lavoro verrà molto meglio».
Juan Manuel Marquez è esattamente il modello di pugile simbolo del sacrificio, un esempio per tutto il movimento.
«Con lui il problema è esattamente l’opposto: si sacrifica troppo, non vuole riposarsi mai, lavora senza tregua».
Gli chiediamo quali saranno i prossimi incontri per Marquez: ci sarà una quinta sfida con Pacquiao? Ci sarà la rivincita con Mayweather?
«A febbraio voliamo a Londra per discutere il possibile incontro con il campione IBF in carica dei pesi welter: Kell Brook, un inglese molto forte e imbattuto. Marquez può batterlo, ma dovrà usare tutti i suoi colpi. Speriamo di combattere a Las Vegas e non a Londra, come vorrebbero loro. Ad ogni modo, se proprio dovremo combattere in casa sua, andremo a Londra e vinceremo».
Beristáin guarda oltre il vetro verso una ragazza che sta facendo sparring. Si blocca e fa un cenno a Tin Tán: «non fa movimento laterale. Vedi? Così non può difendersi dai colpi di incontro». Poi ricomincia a raccontare.
«Credo che Marquez debba cercare avversari che sono nel suo range di peso: se pesi 139 libbre non puoi combattere conto Pacquiao che ne pesa 147 o contro Mayweather che arriva a 150. Certo, puoi provarci: la vittoria con Pacquiao è stata fantastica, ma l’incontro è sbilanciato fin dal principio».
Per un attimo siamo distratti da un’immagine sul muro: è la locandina del giorno in cui Beristáin è stato accolto nella International Boxing Hall of Fame, insieme a Mike Tyson, Julio Cesar Chavez e Sylvester Stallone. Ci viene naturale chiedergli chi avrebbe voluto allenare tra i grandi campioni della storia.
«Ci credi? Non ho mai avuto di questi sogni: mi è sempre piaciuto lavorare per costruire la tecnica di un pugile poco a poco, giorno dopo giorno. Come il piccolo Chavez, vedi questo ragazzo?»
Solo in quel momento mi accorgo che dietro di me, su uno sgabello, è seduto un ragazzino che ci ascolta in silenzio e forse è qui fin dal mio arrivo.
«È forte, ha solo dodici anni ma potrebbe diventare un campione. Deve solo cancellare i difetti che ha preso dal padre, che era un buon pugile, ma non certo un trainer. Bisogna lavorare di cesello, ogni giorno, con pazienza. Correggere, potenziare, far uscire il talento».
Beristáin fa un cenno e il ragazzino esce e comincia a mettersi le fasce.
«Certo, ho avuto sempre una grande ammirazione per Mohammed Alì. Chi non avrebbe voluto allenarlo? È sempre stato un mio eroe. Tuttavia, lavorare con pugili già formati è molto difficile: solo in due casi sono riuscito a combinare qualcosa, con Gonzalez e con Lopez. Con Humberto “Chiquita” González abbiamo vinto un altro mondiale ed è stata una bella soddisfazione perché era il suo terzo titolo nella stessa categoria (come Mohammed Alì, Evander Holyfield e Sugar Ray Robinson, N.d.R.). Ricardo Lopez invece è arrivato da me imbattuto e se n’è andato ancora imbattuto: ho lavorato solo sui dettagli. Ho tentato poi di aiutare Oscar de la Hoya a battere Pacquiao ma non fu possibile: Pacquiao era troppo forte e Oscar era ormai arrivato all’ultima tappa della sua grande carriera. Peccato».
Gli chiediamo se il pugilato può avere un ruolo politico e sociale, soprattutto in un paese come il Messico dove esistono ancora enormi diseguaglianze.
«L’idea che il pugilato si riduca alla storia del povero, che inizia boxare per guadagnare soldi e far vivere bene la sua famiglia, fa ormai parte del passato. Esistono ovviamente casi come questo, ma oggi il pugilato è uno sport molto diffuso, anche tra persone mediamente ricche che scelgono di andare in palestra semplicemente perché vogliono migliorare il proprio benessere fisico. Star bene è importante, ma in fin dei conti non ha nulla a che fare né con la politica né con la morale delle persone».
Abbiamo letto decine di articoli che parlano di un possibile trasloco del Gimnasio Romanza in una nuova sede.
«Assolutamente no! Non c’è nulla di vero: sono voci che sono state diffuse da qualcuno che voleva abbattere questo edificio per costruire una palazzina con una decina di appartamenti, lasciando alla palestra uno spazio sul tetto. Per fortuna ci sono state molte lamentele e una raccolta di firme e siamo riusciti a fermare il progetto. Da qui non ce ne andiamo».
Sostieni Renovatio 21
Torniamo per un attimo a Marquez, chiedendogli se ormai, nella storia della boxe messicana, può davvero essere considerato all’altezza di Chavez.
«Sento parlare le persone nei bar e per la strada, li ascolto e ormai vedo una grande consapevolezza sul fatto che Juan Manuel, per la sua tecnica e per il suo modo di combattere, è arrivato a eguagliare Chavez. Credo che entrambi resteranno nella storia della boxe e nei cuori di tutti i messicani. Allo stesso livello, con la stessa importanza».
Ignacio Beristáin ha settantacinque anni e una vita di successi alle spalle. Guardare avanti è inevitabile: quali sogni vorrebbe realizzare in futuro?
«Ho coronato tutti i sogni che avevo: ho fondato una palestra di successo, ho lavorato con pugili che ho preso da bambini e cresciuto fino a farli diventare adulti e poi uomini. Molti di loro sono diventati campioni del mondo. Forse l’ultimo sogno rimane quello di tornare ad allenare la squadra olimpica: le emozioni più forti le ho provate proprio quando allenavo la nazionale. Alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico abbiamo vinto due medaglie d’oro (Ricardo Delgado e Antonio Roldán) e due medaglie di bronzo (Joaquim Rocha e Augustin Zaragoza, fratello di Daniel) e poi ancora un bronzo con Juan Paredes nel 1976 a Montreal. Oggi la squadra è in mano ad allenatori mediocri. Mi piacerebbe tornare ad allenare la nazionale soprattutto per aiutare il mondo dei dilettanti. Purtroppo ciò non accadrà e devo arrendermi all’evidenza dei fatti: comincio a essere affaticato e non riuscirei ad avere le energie necessarie».
Dagli occhi del grande maestro traspare un misto di gioia, desiderio e nostalgia. In primavera uscirà la sua biografia, chissà se si troverà un editore italiano pronto a pubblicarla. Per ora siamo felici e orgogliosi di aver raccontato, seppur in breve, la storia del Gimnasio Romanza e di aver incontrato un uomo così umano e semplice, nella sua grandezza, come Ignacio Beristáin.
Per un attimo ci incantiamo a osservare i tanti cimeli di una vita passata a bordo ring: il tempo alla palestra sembra non finire mai e vorremmo star qui un’altra settimana ad aspettare il ritorno di Dinamita Marquez.
Arriva un vecchio campione messicano, ora medico in un ospedale del centro: porta alcuni regali, ceramiche e cioccolatini. Beristáin assaggia con gusto e continua a raccontare e a guardarsi incontro, a richiamare, a correggere. Poi scopriamo di essere nati nello stesso giorno e allora mi chiede di tornare l’indomani per l’allenamento delle 7 del mattino, con i ragazzi della palestra.
«Preparati: sarà molto duro!»
Com’è andata lo racconterò soltanto in privato. Siamo seri: in queste pagine si parla solo di grandi campioni.
Corrado Beldì
Articolo previamente apparso su Boxe Ring, pubblicato su gentile concessione dell’autore.
Immagini di Corrado Beldì.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Sport e Marzialistica
Affari tra gas e judo nella cerchia in Uzbekistan
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Sport e Marzialistica
Conor McGregor torna a combattere in UFC
L’ex campione Conor McGregor tornerà nell’ottagono a giugno per combattere Michael Chandler, ha confermato sabato il presidente dell’UFC Dana White. McGregor ha combattuto professionalmente l’ultima volta nel 2021, quando si è improvvisamente rotto una gamba in un incontro con Dustin Poirier.
McGregor e Chandler combatteranno come pesi welter alla fine dell’International Fight Week della UFC a Las Vegas, ha annunciato White dopo l’evento UFC 300 di sabato. Chandler, che attualmente è il sesto peso leggero della federazione, aveva ripetutamente chiesto un incontro da quando entrambi gli uomini avevano allenato squadre opposte nella stagione dello scorso anno del reality show della UFC «The Ultimate Fighter».
«È tutta una questione di tempismo. Chandler era pronto ma Conor non lo era», ha detto White. «Quello che non vuoi che faccia è accettare un combattimento quando ha un sacco di obblighi e non può allenarsi al 100% per un combattimento, quindi eccoci qui stasera».
Dopo aver fatto il suo debutto in UFC nel 2013, McGregor ha ottenuto una serie di vittorie, culminate in uno straordinario knockout in 13 secondi contro il campione dei pesi piuma Jose Aldo nel 2015. La prima sconfitta in UFC di McGregor è arrivata in un incontro dei pesi welter con Nate Diaz nel marzo 2016, anche se il mancino irlandese riuscì a sconfiggere il californiano in agosto e a rivendicare la cintura dei pesi leggeri dal campione della divisione Eddie Alvarez a novembre.
Sostieni Renovatio 21
La perfetta vittoria di McGregor su Alvarez lo ha reso il primo campione in due divisioni dell’UFC, ma non ha mai difeso nessuno dei due titoli ed è stato privato di entrambe le cinture a causa dell’inattività. Da allora il dublinese ha combattuto solo a intermittenza, e la sua ultima incursione nell’ottagono nel 2021 si è conclusa in un disastro quando ha perso per la seconda volta in un anno contro Dustin Poirier dopo essersi rotto la tibia al primo turno.
Dopo anni di successi incontrastati, che lo portarono perfino sul ring di un evento attesissimo con il campione di boxe di pesi superwelter Floyd Mayweather, la carriera di McGregor aveva preso una piega inaspettata quando aveva perso contro il lottatore daghestano Khabib Nurmagomedov, figlio di un allenatore di sambo ed idolo delle Russie.
Aiuta Renovatio 21
Da quando aveva smesso, il McGregor si è concentrato sulla promozione del suo marchio di whisky e ha fatto il suo debutto a Hollywood nel remake del film Il duro del Road House, uscito il mese scorso.
In una recente intervista con il conduttore del talk show James Corden, McGregor ha affermato che intende competere in «quattro incontri in un anno». «Sono stato colpito solo una volta e poi mi si è rotta la gamba», ha detto. «Questo è tutto. Quindi, per quanto riguarda la freschezza, sono quanto di più fresco si possa desiderare in questo settore».
Nell’ambiente degli appassionati dell’UFC sono state fatte speculazioni, in primis dal commentatore MMA e popolarissimo podcaster Joe Rogan, sul recente uso di sostanze anabolizzanti da parte del McGregor, accuse al quale questi ha risposto con sdegno. Nel frattempo, alcuni hanno speculato che il nuovo McGregor abbia perfino cambiato faccia.
Come riportato da Renovatio 21, nell’ambito una rivolta di popolo che ha incendiato Dublino mesi fa quando un nordafricano aveva accoltellato per strada una donna e dei bambini, il McGregor aveva protestato pubblicamente, ottenendone in cambio dalle autorità un’indagine per hate speech.
Alcuni hanno speculato che lo stesso campione di MMA potesse voler correre per la carica di prossimo Taoiseach.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di Andrius Petrucenia via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Sport e Marzialistica
Steven Segal dichiara il suo profondo amore per la Russia
Sostieni Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Sostieni Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
-
Cina2 settimane fa
Cina, nel 2024 calano i profitti per il settore delle terre rare
-
Bioetica2 settimane fa
Medico argentino incarcerato per essersi rifiutato di praticare un aborto
-
Salute2 settimane fa
I malori della 18ª settimana 2024
-
Pensiero2 settimane fa
Vi augurano buona festa del lavoro, ma ve lo vogliono togliere. Ed eliminare voi e la vostra discendenza
-
Spirito2 settimane fa
Stati Uniti, un disegno di legge dichiara antisemita il Nuovo Testamento
-
Reazioni avverse1 settimana fa
Psicosi dopo il vaccino COVID: le rivelazioni di una revisione sistematica degli studi
-
Cancro1 settimana fa
Finestra di Overton mRNA e turbocancro: il pubblico è pronto per la verità sui vaccini COVID?
-
Geopolitica1 settimana fa
Macron dice che con l’Ucraina sconfitta i missili russi minacceranno la Francia. Crosetto parla di «spiralizzazione del conflitto»