Geopolitica
Il Pentagono: la Russia attacca le truppe USA con armi a «energia diretta»

Il Dipartimento della Difesa USA ha rivelato di ritenere che l’ esercito russo abbia preso di mira le truppe statunitensi in Siria con «attacchi ad energia diretta» al fine di far ammalare i soldati americani al punto da renderli incapaci di condurre le normali operazioni.
Il Dipartimento della Difesa USA ha rivelato di ritenere che l’ esercito russo abbia preso di mira le truppe statunitensi in Siria con «attacchi ad energia diretta» al fine di far ammalare i soldati americani
Secondo il Pentagono, alcune truppe statunitensi che occupano il Paese hanno iniziato a segnalare «sintomi simil-influenzali» che hanno indotto il Dipartimento della Difesa a indagare sul possibile collegamento con le microonde o le armi ad energia diretta sul campo di battaglia siriano. Il sito Politico riferisce che «i funzionari hanno identificato la Russia come un probabile colpevole , secondo due persone con una conoscenza diretta della questione».
Tra le tante colpe attribuite ai russi – truccano le elezioni, hackerano tutti i computer, premiano i talebani che ammazzano soldati USA in Afghsnistan – quella delle armi invisibili di fatto mancava.
I funzionari della difesa americana hanno affermato di aver fornito ai legislatori l’intelligence che secondo loro comproverebbe come la Russia è dietro una serie di questi sospetti attacchi ad alta tecnologia.
Ciò segue un’importante indagine condotta dall’anno scorso su simili misteriosi attacchi contro il personale statunitense in tutto il mondo. La polemica è scoppiata dalla fine del 2016 al 2017 con la storia della «sindrome dell’Avana», che ha coinvolto circa 50 funzionari diplomatici che lavoravano presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Cuba, affetti da strane malattie e sintomi che molti hanno attribuito a qualche tipo di attacco sonoro ad alta tecnologia.
Tra le tante colpe attribuite ai russi – truccano le elezioni, hackerano tutti i computer, premiano i talebani che ammazzano soldati USA in Afghsnistan – quella delle armi invisibili di fatto mancava
Il personale ha riferito di aver sperimentato di tutto, dal vomito alle commozioni cerebrali, al mal di testa cronico e alle lesioni cerebrali minori. Ma gli analisti e gli scienziati sono profondamente divisi sulla questione, con speculazioni sulla causa delle malattie che vanno dai suoni acuti dei grilli o persino l’isteria di massa.
Tuttavia, l’articolo di Politico includeva anche una smentita del fatto che le truppe in Siria siano mai state vittime di tali armi da parte del portavoce della stampa del Pentagono, suggerendo fortemente che si tratta di una continuazione dell’attuale clima di continua russofobia politicizzata a Washington.
Geopolitica
I morti nella costruzione della «città lineare» saudita sarebbero decine di migliaia

Il bilancio delle vittime sul lavoro nella costruzione di NEOM, la megalopoli lineare lunga 15o chilometri in Arabia Saudita, sarebbe impressionante. Lo riporta il canale britannico Channel 3.
Nel documentario della TV inglese andato in onda a fine 2024, il segreto sottaciuto sulle morti bianchi sulla via del megaprogetto viene rivelato da una giornalista si reca sotto copertura sul posto.
Nel corso del suo reportage, l’inviata in incognito scopre una verità molto scomoda: nel corso del progetto Vision 2030 da miliardi di dollari, lanciato nel 2017 e che include un edificio, attualmente in costruzione, lungo oltre centocinquanta chilometri chiamato «The Line» («la linea»), dove si stima siano morti più di 21.000 lavoratori stranieri.
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La maggior parte delle persone morte mentre lavoravano a Vision 2030 provengono da paesi dell’Asia meridionale come Bangladesh, India e Nepal. Quelle ancora in vita hanno raccontato in termini crudi alla giornalista, quanto siano orribili le loro condizioni di lavoro.
Nonostante alcuni tentativi maldestri di riforma del lavoro, i lavoratori migranti in Arabia Saudita sono sottoposti a uno sfruttamento estremo che rasenta la schiavitù. Infatti, durante il documentario, alcuni dei lavoratori incaricati di costruire trincee e tunnel ferroviari a NEOM hanno affermato di essere «trattati come mendicanti» e costretti a lavorare 16 ore al giorno.
«C’è poco tempo per riposare», ha detto uno dei lavoratori. «Ci stanchiamo. Soffriamo di ansia giorno e notte».
Non sorprende che in tali condizioni – aggravate dalla candidatura saudita di ospitare la Coppa del Mondo nel 2034 in uno stadio di calcio che non è ancora stato costruito – gli incidenti sul lavoro siano all’ordine del giorno. Tuttavia, data la natura ultra-segreta del regno wahabita, è impossibile conoscere la vera portata di quanti feriti e vittime si siano effettivamente verificati.
La notizia del raccapricciante bilancio delle vittime di NEOM segue i precedenti resoconti sulle decine di migliaia di indigeni che sono stati allontanati con la forza per far posto alla città lunga 100 miglia. Come ha rivelato la BBC l’anno passato, i funzionari sauditi avrebbero ricevuto l’ordine di uccidere tutti i membri non conformi della tribù Huwaitat che abitavano la regione desertica.
Quando il quotidiano londinese Guardian ha chiesto a NEOM di commentare le affermazioni fatte nel documentario di Channel 3, un rappresentante ha affermato che il progetto sta «valutando le affermazioni fatte in questo [programma] e, ove necessario, adotterà misure appropriate».
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«Richiediamo a tutti gli appaltatori e subappaltatori di rispettare il codice di condotta di NEOM, basato sulle leggi dell’Arabia Saudita», ha continuato il rappresentante.
Come riportato da Renovatio21, un’analisi sempre del Guardian ha rivelato che più di 6.500 lavoratori provenienti da India, Pakistan, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka sono morti in Qatar da quando la monarchia del Golfo si è aggiudicata il principale torneo internazionale di calcio alla fine del 2010. Senz’acqua, a lavorare per una manciata di monete, nel caldo torrido di un Paese desertico, costretti in situazioni di pericolo: qualcuno è arrivato a dire che sono stati dei Mondiali costruiti sulla schiavitù.
Il calcio è sempre attento e sensibile a qualsiasi tipo di tematica etica qua in occidente, ma pare soffrire di miopia nei Paesi dove certi principi non sono nemmeno contemplati e soprattutto pare non esserci il minimo rispetto per la vita umana, persino durante l’inaugurazione della manifestazione calcistica di tre anni fa. Un lavoratore migrante impiegato nelle opere legate ai Mondiali di calcio morì in Qatar proprio durante lo svolgimento del torneo. Il tutto senza alcuna reale forma di interesse da parte delle autorità di Doha e della FIFA.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
L’Ucraina non è invitata ai colloqui tra Russia e USA, dice Zelens’kyj

🚨President Zelensky tells me Ukraine hasn’t received an invitation for a meeting between national security advisers from U.S. & Russia in Saudi Arabia. “It is strange to hold a meeting in such format before we had consultations with our strategic partners”. He said pic.twitter.com/C8X1PAuCLB
— Barak Ravid (@BarakRavid) February 15, 2025
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Geopolitica
Il Vaticano al centro della questione ucraina

La Russia ha appena riconosciuto il ruolo chiave svolto dalla Santa Sede nello scambio di prigionieri con l’Ucraina. Giocando la carta umanitaria, il Vaticano si ritrova al centro della partita diplomatica sulla questione ucraina, in un momento in cui l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca rischia di rimescolare le carte.
Le scelte diplomatiche della Santa Sede sulla questione ucraina darebbero i loro frutti? Probabilmente secondo la dichiarazione delle autorità russe del 23 gennaio 2025: «con la partecipazione personale e attiva dell’inviato speciale del Papa in Ucraina, il cardinale Zuppi, 16 militari feriti delle forze armate del nostro Paese sono tornati in Russia nell’ambito dello scambio di prigionieri di guerra», ha affermato Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri russo.
Da diversi mesi il Vaticano ha cambiato atteggiamento nei confronti del conflitto ucraino: anziché cercare di mettere insieme punti di vista inconciliabili, è meglio giocare la carta umanitaria per riannodare i labili fili del dialogo e preparare i belligeranti a potersi sedere allo stesso tavolo in un futuro più o meno prossimo.
Così, dal maggio 2023, data di inizio della missione del cardinale Matteo Zuppi, sono stati scambiati tra Ucraina e Federazione Russa 400 prigionieri di guerra e diverse centinaia di minori sfollati: «intendiamo continuare la cooperazione costruttiva con il Vaticano sulle questioni umanitarie», ha dichiarato Maria Zakharova.
Il portavoce ha aggiunto che, a differenza dell’Occidente, accusato di aver «provocato la guerra», «salta favorevolmente la posizione equilibrata del Vaticano e di Papa Francesco, che cercano di dare il loro contributo». Una soddisfazione di cui i diplomatici della Santa Sede, spesso accusati, in particolare dai cattolici ucraini, di una neutralità che ai loro occhi rasenta la complicità con Mosca, avrebbero fatto volentieri a meno.
Una cosa è certa: con questa dichiarazione inaspettata, la parte russa rimette visibilmente il Vaticano al centro del gioco diplomatico, in un momento in cui il conflitto in Ucraina entra in una nuova fase con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il 24 gennaio, Vladimir Putin ha dichiarato di essere pronto a negoziare con la controparte americana sull’Ucraina, senza tuttavia fornire una data concreta.
«Non mi dilungherò su questo punto, ma posso solo dire che l’attuale presidente ha dichiarato di essere pronto a lavorare insieme. (…) Lo abbiamo sempre detto e voglio sottolinearlo ancora una volta: siamo pronti per questi negoziati sulle questioni ucraine», ha affermato il Presidente della Federazione Russa.
E per aggiungere qualcosa alla sua controparte americana: «non posso che essere d’accordo con [Donald Trump] nel dire che se fosse stato presidente, se non gli avessero rubato la vittoria nel 2020, forse non ci sarebbe stata la crisi in Ucraina che si è verificata nel 2022».
Per alcuni, il presidente russo sta cercando di guadagnare tempo per avanzare il più possibile nel teatro delle operazioni militari e arrivare in una posizione di forza al tavolo delle trattative: le recenti dichiarazioni, siano esse sull’aspetto umanitario con il Vaticano o diplomatico, costituirebbero, in questa prospettiva, altrettante manovre dilatorie.
Ma Donald Trump è intenzionato a negoziare rapidamente, minacciando Mosca con nuove sanzioni. «Se non troveremo rapidamente un accordo, non avrò altra scelta che imporre tariffe elevate (…) su tutto ciò che la Russia venderà agli Stati Uniti. Mettiamo fine a questa guerra che non sarebbe mai iniziata se fossi stato presidente. (…) Non devono più essere perse vite», ha affermato.
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La parte americana opta per i negoziati, basati su un mix di pressioni e incentivi, per portare Russia e Ucraina a un accordo. Le Figaro, da parte sua, suggerisce che i futuri colloqui potrebbero essere ospitati dalla Svizzera e dalla Slovacchia e inizieranno con un cessate il fuoco che congeli le posizioni dei due eserciti, pur accettando la possibilità di uno scambio di territori.
La parte russa sostiene una «pace a lungo termine» che includa il riconoscimento delle regioni conquistate all’Ucraina dal 2014 e del Donbass. Perché sul campo il vantaggio militare è chiaramente a favore della Russia, che ha bisogno di tempo per vincere la sua guerra di logoramento. Ma l’economia di guerra, che sta provocando un’inflazione del 9,5% in un anno, un’impennata degli affitti e dei prezzi dei prodotti alimentari, non può durare per sempre…
Come si vede, la situazione è tutt’altro che chiara sul terreno di ipotetici negoziati, ma nei cento giorni che si è concesso per risolvere la questione ucraina, il presidente americano avrà probabilmente interesse a fare affidamento sugli sforzi discreti messi in atto dal Vaticano. Per evitare che questi cento giorni sfocino, da un punto di vista puramente umano, in una drammatica Waterloo diplomatica.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News.
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Immagine di Mstyslav Chernov via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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