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Il capo della NATO chiede un enorme aumento della spesa militare

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Durante il prossimo vertice dell’Aia di giugno, il segretario generale della NATO, Mark Rutte, insisterà affinché ogni membro del blocco raddoppi la spesa militare, portandola al 5% del PIL.

 

Rutte ha già chiesto tagli ai programmi sociali in tutta l’UE per finanziare una maggiore militarizzazione.

 

Da quando è entrato in carica a gennaio, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha intensificato le richieste affinché i membri europei dell’Unione spendano di più per la difesa. Li ha ripetutamente accusati di non aver sostenuto l’onere in modo equo.

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Secondo l’ultimo rapporto della NATO, dieci dei suoi 32 membri non spendono nemmeno il 2% del PIL per la difesa, mentre gli Stati Uniti restano di gran lunga il maggiore contributore del blocco.

 

Intervenuto durante una conferenza stampa al termine di un incontro dei ministri della Difesa della NATO a Bruxelles giovedì, Rutte ha affermato che avevano «concordato una nuova serie ambiziosa di obiettivi di capacità», che includevano «difesa aerea, aerei da combattimento, carri armati, droni, personale, logistica e molto altro ancora».

 

Il capo del blocco militare ha dichiarato che «proporrà un piano di investimenti complessivo pari al 5% del PIL» per finanziare le priorità delineate.

 

In base a questo schema, il 3,5% del PIL di ogni Stato membro verrebbe destinato alla «spesa fondamentale per la difesa», mentre un ulteriore 1,5% del PIL verrebbe stanziato ogni anno per investimenti correlati, come infrastrutture e industria.

 

 

Rispondendo alla domanda di un giornalista se il piano preveda un meccanismo che aiuterebbe a garantirne l’attuazione a lungo termine, Rutte ha affermato che gli Stati membri si impegneranno a «elaborare piani annuali che indichino l’aumento ogni anno, per garantire il raggiungimento del nuovo obiettivo del 5%».

 

All’inizio di maggio, il quotidiano tedesco Der Spiegel ha riferito che l’ambasciatore statunitense presso la NATO, Matthew Whitaker, aveva avvisato gli Stati membri che il mancato accordo sul nuovo parametro di riferimento del 5% avrebbe potuto comportare il rifiuto di Trump di partecipare al vertice di fine giugno.

 

Diverse settimane prima, il Segretario di Stato americano Marco Rubio aveva affermato che la NATO ha senso solo «finché si tratta di una vera alleanza di difesa, non degli Stati Uniti e di un gruppo di partner minori che non fanno la loro giusta parte».

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Sempre ad aprile, il Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth ha avvertito i paesi europei della NATO che «il tempo in cui gli Stati Uniti… sarebbero stati gli unici garanti della sicurezza europea è finito».

 

Come riportato da Renovatio 21, quattro mesi fa Elon Musk, allora capo del dipartimento di efficienza del governo USA DOGE, aveva chiesto la revisione completa della NATO. Vi sono negli Stati Uniti spinte politiche sempre più evidenti che parlano di abbandono dell’Alleanza Atlantica.

 

Tre mesi fa, con Rutte nello studio ovale, Trump aveva suggerito che la NATO potrebbe «essere coinvolta» nell’annessione americana della Groenlandia. Al contempo, la Danimarca, che è a capo del territorio polare, ha chiesto alla NATO e pure alla UE di tacere sull’argomento.

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Immagine di NATO North Atlantic Threaty via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

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L’esercito britannico ha commesso crimini di guerra in Afghanistan

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Le forze speciali britanniche operanti in Afghanistan hanno ripetutamente giustiziato sospetti detenuti senza conseguenze disciplinari, malgrado la piena consapevolezza del fenomeno ai vertici della catena di comando. Lo ha rivelato un ex alto ufficiale nel corso dell’inchiesta pubblica indipendente tuttora in corso.   La testimonianza, resa nota lunedì insieme ad altre tre deposizioni, fa parte dell’indagine pluriennale sulla condotta delle United Kingdom Special Forces (UKSF), in particolare delle SAS, nella provincia di Helmand tra il 2010 e il 2013.   L’ufficiale, identificato solo con il codice N1466 ed ex vicecapo aggiunto delle operazioni presso il quartier generale UKSF, ha riferito di gravi segnalazioni interne secondo cui un’unità adottava la prassi di «eliminare sistematicamente uomini in età da combattimento, a prescindere dalla minaccia effettiva rappresentata».   Il testimone ha evidenziato l’anomalia ricorrente nei resoconti operativi: il numero di afghani uccisi superava regolarmente quello delle armi sequestrate. Ha inoltre definito «poco credibili» le versioni ufficiali secondo cui i prigionieri, una volta ammanettati, avrebbero improvvisamente impugnato armi o granate, giustificando così la loro uccisione.   «Siamo di fronte a crimini di guerra… parliamo di detenuti riportati sul luogo dell’operazione e giustiziati con il pretesto che avessero opposto resistenza», ha dichiarato N1466.

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L’ex ufficiale ha aggiunto che più direttori delle forze speciali erano informati della situazione e avevano tentato di insabbiare il caso, liquidandolo come semplice rivalità tra reparti – versione che, a suo dire, «non reggeva al confronto con le prove».   «Non ci siamo arruolati nelle UKSF per sparare a bambini nei loro letti o per uccisioni indiscriminate. Questo non è comportamento speciale, non è attività d’élite, non è ciò che rappresentiamo», ha concluso.   Un secondo testimone ha riferito che le unità afghane addestrate dagli occidentali si erano rifiutate in più occasioni di operare accanto alla squadra britannica incriminata, un rifiuto definito «indicativo di un problema concreto e grave». Un terzo ufficiale ha sostenuto che le evidenze emerse costituiscano «solo la punta dell’iceberg» e che le operazioni NATO, caratterizzate da estrema violenza, abbiano completamente fallito l’obiettivo di conquistare «i cuori e le menti» della popolazione locale.   Il Regno Unito partecipò all’invasione dell’Afghanistan del 2001 a guida statunitense e ritirò le proprie truppe insieme agli altri contingenti NATO nel 2021.  

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Immagine di PO(Phot) Sean Clee/MOD via Wikimedia pubblicata su licenza Open Government Licence version 1.0 (OGL v1.0).
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Gli USA stanno provando gli attacchi aerei contro il Venezuela

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Negli ultimi giorni gli Stati Uniti hanno effettuato prove di bombardamenti aerei programmati per il Venezuela.  Lo riporta il Wall Street Journal, basandosi sulle dichiarazioni di un alto esponente del dipartimento della Difesa e su registri di tracciamento aerei.

 

Il presidente Donald Trump ha additato il regime di Caracas come orchestratore di gang «narcoterroristiche» e sabato ha decretato la serrata dello spazio aereo venezuelano nei confronti di «tutte le compagnie di volo, gli aviatori, i corrieri di narcotici e i mercanti di vite umane».

 

Tale intimidazione si inquadra in un potenziamento delle unità navali americane nel Mar dei Caraibi, dove, per disposizione di Trump, dal settembre scorso sono stati neutralizzati oltre 20 natanti sospettati di contrabbando di stupefacenti, con un bilancio di decine di vittime.

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Sempre stando al WSJ, Trump ha confidato al leader venezuelano Nicolás Maduro, nel corso di una chiamata riservata della settimana scorsa, di valutare l’ipotesi di destituirlo qualora non si dimettesse.

 

Nessuna delle controparti ha avvalorato l’esistenza del colloquio, e Trump in precedenza aveva smentito intenti di rovesciamento armato di Maduro. Ad agosto, Washington ha elevato la taglia per la cattura di Maduro a 50 milioni di dollari.

 

Sabato, la diplomazia venezuelana ha rigettato l’ultimatum sugli aeroplani, tacciandolo di «minaccia colonialista» e di illegittimità ai sensi del diritto internazionale. Maduro ha elevato le forze armate a massima prontezza e ha avviato più manovre, giurando di opporsi a qualsivoglia incursione.

 

Le autorità di Caracas hanno confutato le imputazioni di complicità con i cartelli e hanno argomentato che Trump stia strumentalizzando la lotta al narcotraffico per perseguire un ribaltamento del governo.

 

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Macron pronto a reintrodurre il servizio militare volontario

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Il presidente francese Emmanuel Macron si appresta a lanciare questa settimana un nuovo programma di servizio militare volontario. Lo riporta il quotidiano parigino Le Figaro. L’iniziativa, proposta per la prima volta a luglio dal capo dell’Eliseo in risposta alla «minaccia duratura» russa, mira a rafforzare la difesa nazionale in un contesto di crescenti incertezze globali.   Secondo il Figaro, il piano prevede un impegno volontario di dieci mesi con retribuzione mensile tra i 900 e i 1.000 euro, aperto a giovani di 18 anni di entrambi i sessi. Non sono stati forniti dettagli su come si distinguerebbe dal servizio attuale, composto solo da professionisti e volontari dopo la sospensione della leva obbligatoria nel 1997 sotto Jacques Chirac.   «In un mondo di incertezze e tensioni crescenti… la Francia deve continuare a essere una nazione forte con un esercito forte», ha ribadito Macron sabato a margine del G20 in Sudafrica.   Le fonti governative citate dal Figaro stimano fino a 50.000 partecipanti annui, con costi stimati intorno ai 2 miliardi di euro l’anno. L’impegno segue iniziative analoghe in altri Paesi UE dopo l’escalation del conflitto ucraino nel 2022.

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La Polonia ha introdotto un servizio base volontario e retribuito; la Germania ha approvato un modello che potrebbe evolvere in coscrizione selettiva se i volontari calassero (con una grottesca lotteria annessa); i Paesi Bassi dibattono sul ritorno della leva obbligatoria. Lettonia e Croazia l’hanno già ripristinata, mentre la Danimarca l’ha estesa alle donne. Il Belgio ha invitato due settimane fa 149.000 adolescenti al servizio volontario. La Svezia vuole innalzare l’età minima per il richiamo militare a 70 anni.   Il generale Fabien Mandon, capo di Stato maggiore delle forze armate, ha recentemente osservato che la Francia non può ignorare questa tendenza europea, con molti vicini «pronti a reintrodurre il servizio nazionale».   Come riportato da Renovatio 21, il Mandone negli scorsi giorni ha destato scalpore dichiarando che il popolo francese dovrebbe essere pronto a «perdere i propri figli».  

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