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Droga

I cartelli della droga sono il quinto più grande datore di lavoro in America Latina

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Secondo una ricerca pubblicata giovedì dalla rivista accademica Science, l’adesione ai cartelli della droga messicani continua ad aumentare mentre dozzine di persone si uniscono quotidianamente ai gruppi criminali.

 

Lo studio stima inoltre che i cartelli siano il quinto più grande datore di lavoro nel Paese dell’America Latina.

 

Tenendo traccia delle informazioni su omicidi, incarcerazioni e altri dati correlati negli ultimi dieci anni, i ricercatori hanno creato un modello matematico per tracciare i numeri di reclutamento dei cartelli. Si è scoperto che i membri di circa 150 cartelli della droga sono stimati complessivamente in 175.000, il che lo colloca al di sopra della maggior parte dei maggiori datori di lavoro del Messico.

 

Gli autori dello studio hanno affermato che il loro obiettivo era quello di fornire agli analisti e ai politici che «hanno lottato a lungo per comprendere i cartelli» un metodo per trovare «una via d’uscita migliore da questo ciclo di violenza», indicando che prendere di mira i metodi di reclutamento dei cartelli, piuttosto che imprigionare i membri, è la misura più efficace per arginare il problema.

 

«Più di 1,7 milioni di persone in America Latina sono incarcerate», afferma lo studio. «Aggiungere più persone alle carceri sature non risolverà il problema dell’insicurezza».

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Inoltre, la ricerca ha scoperto che i cartelli della droga reclutano fino a 20.000 nuovi iniziati ogni anno per continuare la loro crescita, il che risulta necessario, dato che circa il 37% dei membri noti del cartello sono stati uccisi o incarcerati negli ultimi dieci anni.

 

«Se i cartelli non possono reclutare, non possono compensare le loro perdite, quindi non possono continuare a combattersi tra loro», ha al Guardian Valentin Pereda dell’Università di Montreal, uno dei ricercatori coinvolti nello studio. «Fino ad ora nessuno aveva fornito una valutazione basata sui dati di come avrebbe funzionato nella pratica».

 

Come riportato da Renovatio 21, secondo un’indagine di due anni fa fatta dal Wall Street Journal, i narcos userebbero impunemente i social per il reclutamento. Secondo il quotidiano, «un cartello della droga messicano stava usando Facebook per reclutare, addestrare e pagare sicari… l’azienda non ha impedito al cartello di pubblicare su Facebook o Instagram».

 

Nello studio Pereda ha aggiunto che, per controllare la violenza dei cartelli, è necessario occuparsi anche delle armi a loro disposizione. «Non stiamo parlando di persone armate di coltelli che si attaccano in un bar», ha detto, «stiamo parlando di unità paramilitari con armi di livello militare».

 

Una stima di luglio della Drug Enforcement Administration (DEA), l’agenzia federale statunitense per la lotta al narcotraffico, afferma che due dei più famigerati cartelli messicani, Sinaloa e Jalisco New Generation, impiegano circa 45.000 persone.

 

Lo studio ha osservato che le cifre della DEA potrebbero non essere pienamente rappresentative dell’effettiva portata posseduta dai gruppi criminali organizzati, dato che «il modello tiene conto solo di coloro che sono direttamente coinvolti in lavori che li mettono a rischio di violenza, e non dei membri, come i banchieri che aiutano a spostare e riciclare il denaro dei cartelli».

 

Come riportato da Renovatio 21, il riciclaggio dei danari sporchi dei narcos riguarda grandi banche in tutto il mondo. Il caso più immediato a cui pensare è quello della britannica HSBC, beccata a riciclare il danaro dei narcos messicani

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Viktor Ivanov, dal 2008 al 2016 capo dell’Agenzia Federale degli Stupefacenti russa e uno dei principali esperti del sistema con cui è lavato denaro sporco, ha affermato che il riciclaggio di denaro sporco ha mantenuto in vita le banche. Ad una conferenza bilaterale russo-americana a Boston a fine 2012 Ivanov disse in sintesi che le banche internazionali hanno più bisogno dei danari delle bande della droga di quanto i cartelli abbiano bisogno delle banche.

 

I dati dell’Agenzia statistica messicana (INEGI), nel frattempo, affermano che ci sono stati 32.223 omicidi in Messico nel 2022 – ovvero 25 omicidi ogni 100.000 persone.

 

I cartelli messicani, che vengono da un periodo di sanguinari conflitti interni, sono stati pionieri dell’uso di droni commerciali per sganciare bombe sulle bande rivali, pratica che stiamo vedendo costantemente in Ucraina. Droni consumer vengono usati anche per il trasporto di quantitativi di droga in territorio USA.

 

Secondo alcuni ora i cartelli sarebbero dietro al traffico di esseri umani al confine meridionale degli USA, confine lasciato «aperto» dall’amministrazione Biden che sta facendo entrare in territorio americano milioni di persone, la gran parte delle quali nemmeno è sudamericana, ma africana, cinese, pakistana, etc.

 

Come riportato da Renovatio 21, un militante che indossava le insegne del famigerato cartello del Golfo del Messico (Cartel Del Golfo, o CDG) è stato filmato nello Stato del Tamaulipas mentre trasportava un Javelin, cioè un lanciamissili anticarro di fabbricazione statunitense, quasi sicuramente proveniente dagli arsenali mandati in Ucraina e poi finiti al mercato nero creatosi con il fiume di armi regalate a Kiev e ora finite in mano a criminalità e terroristi in tutto il mondo.

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Droga

Gli USA valutano la possibilità di dichiarare il fentanyl «arma di distruzione di massa»

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Tom Homan, responsabile delle politiche di frontiera del presidente Donald Trump, ha suggerito che le autorità statunitensi dovrebbero considerare di classificare il fentanyl come arma di distruzione di massa (WMD).   Parlando a un forum sulla difesa organizzato da Axios, Homan ha evidenziato la gravità della crisi, con circa 73.000 morti all’anno negli Stati Uniti attribuibili al fentanyl, sottolineando che il tema merita «almeno una discussione».   Ha invitato i funzionari a elaborare raccomandazioni da sottoporre al Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS) per un’ulteriore valutazione.

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La crisi del fentanyl ha spinto Trump a imporre dazi a numerosi paesi, accusati di contribuire alla catena di approvvigionamento che alimenta l’epidemia. L’amministrazione ha anche intensificato i controlli alle frontiere con Messico e Canada e condotto operazioni contro presunte navi di narcotrafficanti al largo del Venezuela.   Queste misure, secondo l’amministrazione Trump, mirano a interrompere le rotte di contrabbando e smantellare le reti di produzione legate alla crisi degli oppioidi. Tuttavia, gli economisti avvertono che dazi così estesi potrebbero inasprire i rapporti con i principali partner commerciali e rallentare il commercio globale.   Nel 2024, la Drug Enforcement Administration (DEA) ha sequestrato oltre 380 milioni di dosi letali di fentanyl, di cui 262 milioni entro settembre. Tuttavia, i dati preliminari dei Centers for Disease Control and Prevention indicano un calo del 26,9% dei decessi per overdose nel 2024, con circa 80.000 morti rispetto ai 110.037 del 2023, il livello più basso dal 2019.   Dal 2019, il DHS ha valutato la possibilità di designare il fentanyl come arma di distruzione di massa in determinate circostanze. Diversi tentativi legislativi per riclassificare il farmaco sono stati presentati, ma nessuno è stato approvato.   Un disegno di legge della deputata Lauren Boebert, proposto quest’anno, obbligherebbe il DHS a classificare formalmente il fentanyl come arma di distruzione di massa.   Come riportato da Renovatio 21, il dibattito sul ruolo del fentanil come arma massiva è risalente.   Nel 2022, il fentanil avrebbe ucciso più di 71 mila cittadini americani. L’overdose è oggi la prima causa di morte degli americani di età compresa tra 18 e 45 anni. Come riportato da Renovatio 21, abbiamo assistito anche allo sconvolgente aumento di overdosi tra donne incinte.   Come riportato da Renovatio 21, i cartelli della droga messicani portano oltreconfine il fentanil (di fabbricazione cinese) tramite la massa di migranti e pure con incursioni di droni, che utilizzano talvolta pure in versione armata.   La pandemia ha portato un aumento delle morti per overdose tale che tra il 2020 e il 2021 si è raggiunta la cifra di 100 mila morti: una vera ecatombe. Già due anni fa era chiarissimo che le morti per droga superavano quelle per il COVID.   Il fentanil può provenire da laboratori in Messico che utilizzano sostanze chimiche fornite dalla Cina. Altre volte, pare che il fentanil arrivi direttamente negli USA dalla Cina, addirittura tramite ordini che è possibile piazzare online. I cartelli messicani possono produrre fentanil, ma la materia prima o il prodotto già pronto arriva decisamente dalle coste cinesi.   «Dal 2013, la Cina è stata la principale fonte del fentanyl che ha inondato il mercato delle droghe illecite degli Stati Uniti (…) alimentando l’epidemia di droga più mortale nella storia degli Stati Uniti. Sia l’amministrazione Obama che quella Trump hanno dedicato un significativo capitale diplomatico per convincere la Cina a reprimere la fornitura di fentanyl dalla Cina agli Stati Uniti, con la Cina che ha finalmente annunciato nell’aprile 2019 che la produzione, la vendita e l’esportazione di tutti i farmaci di classe fentanyl sono vietate, ad eccezione delle aziende autorizzate a cui il governo cinese ha concesso licenze speciali» scrive un saggio della Brookings Institution intitolato Fentanyl and geopolitics: Controlling opioid supply from China.

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«Nonostante il fatto che la Cina sia orgogliosa di avere una forte posizione e reputazione antidroga – scriveva nel suo essay Vanda Felbab-Brown – è altamente improbabile che la Cina inizi una cooperazione antidroga con gli Stati Uniti (…) a meno che non inizi a sperimentare la propria epidemia di oppioidi sintetici. Inoltre, il significativo deterioramento delle relazioni USA-Cina potrebbe minare ulteriormente la volontà della Cina di applicare diligentemente il nuovo regolamento sul fentanyl».   In poche parole, diventa chiaro a tutti che il traffico di fentanil esiste per volontà cinese. Si tratta di una vera arma biologica stealth lanciata sulla società americana. Uno strumento geopolitico, una bomba che uccide la popolazione avversaria e ne disgrega la società.   Parimenti, è difficile non vedere che potrebbe trattarsi di una vendetta contro il mondo angloide, che fece subire al Regno di Mezzo l’orrore delle guerre dell’oppio.   Come riportato da Renovatio 21il Pentagono sta finanziando un vaccino contro il fentanil – si tratterebbe del primo caso di vaccino comportamentale, una porta che si apre su una società del controllo biologico sempre più distopica.  

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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 2.0
 
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Droga

La mafia ebraica, quella siciliana e il traffico di droga USA nel periodo interbellico

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Secondo Alfred W. McCoy nel suo The Politics of Heroin: CIA Complicity in the Global Drug Trade, dagli anni venti del Ottocento negli Stati Uniti la malavita ebraica aveva controllato lo smercio dell’eroina per le strade americane. Si era creata questa situazione soprattutto perché la mafia siciliana aveva seguito una linea tradizionale ed idealistica in cui vietava al suo interno gli affari riguardanti prostituzione e narcotraffico.

 

In questo modo, questo tipo di affari venne prese completamente in mano da potenti gangster ebrei come Irving «Waxey Gordon» Wexler, Arnold Rothstein o Louis «Lepke» Buchalter. 

 

Nel 1917 il New York Kehillah, un’agenzia della comunità ebraica, aveva pubblicato una serie di studi sul problema della droga a New York City. I risultati raccontavano come su 283 spacciatori di droga catalogati si potevano contare tra loro, 83 ebrei, 23 italiani, 8 irlandesi, 5 afroamericani e 3 greci. Riguardo lo specifico caso dello smercio della cocaina riscontrarono come l’85% fossero costituito da ebrei e il restante 15% da italiani. 

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Allo stesso modo quando il proibizionismo cominciò nel 1920, altri criminali ebrei cominciarono i loro affari, Benjamin «Bugsy» Siegel, Arthur Schulz e Meyer Lansky e in breve tempo avevano preso il controllo del contrabbando di liquori. Negli anni Venti, delle diciassette maggiori organizzazioni, sette erano ebree, cinque italiane, tre irlandesi. Prima dell’inizio della guerra i nomi più noti vennero piano piano fatti fuori o arrestati, l’unico che rimase e che continuò la sua ascesa fu Lansky grazie ad un’alleanza con gli italiani. 

 

Dagli anni Trenta però una nuova generazione di malavitosi italiani cominciarono a prendere il potere all’interno della mafia. In seguito anche a una guerra senza precedenti che lasciò sul campo più di sessanta gangsters uccisi si cominciò a modificare il codice d’onore della tradizione. Il carismatico capofila di questa nuova ondata di giovani mafiosi era Salvatore C. Lucania, meglio conosciuto come Lucky Luciano. 

 

Dopo una serie di «riunioni» dove eliminò la vecchia guardia, delineò la sua idea di riorganizzazione del cartello in un sistema più moderno e di respiro mondiale. Vincendo il supporto delle ventiquattro famiglie mafiose americane, Luciano fu in grado di far diventare la mafia la più importante organizzazione criminale americana, mettendo in atto tecniche organizzative pionieristiche per l’epoca.

 

L’alleanza con la malavita ebraica, in particolar modo con la persona di Meyer Lansky, durò oltre quarant’anni contribuendo a farla diventare la caratteristica principale della criminalità organizzata americana. 

 

L’eroina era un sostituto interessante per l’alcool. Nonostante i numeri dei tossicodipendenti non fossero comparabili, l’eroina aveva dei notevoli vantaggi. La sua recente entrata nella famiglia delle sostanze proibite la rendeva attraente per via di un mercato enorme ancora da esplorare. Era più leggera e si trasportava con meno spesa. Le sue fonti produttive limitate la rendevano facile da monopolizzare. 

 

L’eroina oltretutto si rendeva perfettamente complementare all’altro nuovo segmento di mercato esplorato da Luciano: l’organizzazione della prostituzione su una scala mai vista prima. L’unione tra tossicodipendenza e prostituzione organizzata divenne il marchio di fabbrica della mafia di Luciano negli anni trenta. Nel 1935 controllava duecento bordelli solamente a New York e circa mille duecento prostitute, unendo questo alle scommesse e dal controllo dei sindacati la mafia aveva nuovamente raggiunto la sua sicurezza finanziaria. 

 

Attraverso minacce e taglio dei prezzi la svolta data da Luciano si fece sentire presto nelle strade di New York. Con il crollo della purezza dell’eroina, fumarla non produceva più gli effetti desiderati, costringendo i consumatori a doversela iniettare sotto pelle. Secondo uno spacciatore di Times Square: «gli italiani stavano vendendo merda piena di chimica e acidi… sono talmente tanto affamati di soldi che l’hanno tagliata almeno una mezza dozzina di volte».

 

Verso la fine degli anni Trenta, in ogni caso, l’organizzazione di Luciano cominciò a perdere colpi. Lo schema quasi industriale con cui aveva costruito il suo monopolio sulla prostituzione soprattutto, si rivoltò contro di lui. Le prostitute si organizzarono per denunciarlo. Thomas Edmund Dewey quindi, procuratore distrettuale di New York, dopo aver già condannato Waxey Gordon, riuscì a infliggere una pena dai trenta ai cinquant’anni a Luciano e ai suoi nove coimputati italiani ed ebrei, per prostituzione forzata.

 

Durante gli anni Trenta la quasi totalità delleroina arrivava da raffinerie posizionate a Shanghai e a Tientsin, con qualche eccezione della Marsiglia dei corsi e della tratta del Medio Oriente in mano ai fratelli Eliopoulos. Con la fine della guerra le raffinerie cinesi avevano appena ricominciato a produrre ma con l’arrivo a Shanghai di Mao Tse-Tung e del suo esercito, tutti i trafficanti dovettero sparire. I fratelli Eliopoulos si erano ritirati con l’arrivo del conflitto e i marsigliesi soffrirono dell’alleanza con la Gestapo che li aveva infine portati alla rovina o all’esilio. La mafia in Sicilia allo stesso modo era ridotta ai minimi termini avendo sofferto vent’anni di oppressione da parte della polizia fascista di Mussolini. 

 

Con larrivo della guerra, l’attenzione maniacale derivata dalla potenziale presenza di spie aveva reso gli accessi al territorio statunitense praticamente invalicabili. La maggioranza dei tossicodipendenti erano stati forzati a trovare una soluzione alla mancanza di materia prima e di conseguenza il consumo di eroina negli Stati Uniti si era ridotto al minimo storico. Assieme a questo, gli operatori logistici illegali del traffico di stupefacenti avevano sofferto della mancanza di introiti e avevano raggiunto un livello di debolezza mai visto.

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Con la tossicodipendenza ai minimi storici nella società americana e la malavita mondiale ridotta in ginocchio da anni di distruzione e oppressione militare, la possibilità di far scomparire per sempre il narcotraffico era alla portata di mano della polizia americana. Al contrario, invece, la volontà della CIA fu quella di utilizzare questi canali irregolari per produrre dei proxy coperti in grado di operare nel momento del bisogno al lontano da sguardi indiscreti e senza necessità di ottenere l’approvazione del congresso o, peggio ancora, del popolo americano. Operazioni clandestine pagate dal narcodollaro a favore della lotta al comunismo.

 

La stessa situazione si può ritrovare a pochi decenni di distanza incontrando però attori diversi che seguono uno schema simile. La filiera produttiva latino americana venne preferita a quella asiatica ma allo stesso modo gruppi di proxy favoriti da ufficiali della CIA spinsero l’afflusso di cocaina prima e del suo surrogato povero, il crack, in seguito negli Stati Uniti. La quantità enorme di coca raffinata che arrivò in quegli anni negli Stati Uniti portò a stravolgere la cultura dell’epoca, non solo americana. 

 

Ne parlò in anticipo sui tempi Gary Webb con i suoi articoli online nel 1996 sul sito del San José Mercury News che divennero poi Dark Alliance: The CIA, the Contras and the Crack Cocaine Explosion. Venne screditato apertamente dal gotha del giornalismo e dell’intellighenzia americana che produssero contro di lui svariati rapporti negando l’esistenza di prove e assieme anche qualsiasi possibilità di replica.

 

La vita di Webb, in seguito anche a una profonda depressione conseguenza delle difficoltà che dovette affrontare, terminò con quello che è stato ritenuto un suicidio frutto di ben due colpi di pistola alla testa. 

 

Marco Dolcetta Capuzzo

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Immagine: foto segnaletica di Bugsy Siegel, dipartimento di Polizia di Nuova York, 12 aprile 1928.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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La Colombia accusa gli USA di aver ucciso un pescatore colpendo la sua imbarcazione. Trump: «Petro è uno spacciatore»

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Il presidente colombiano Gustavo Petro ha accusato gli Stati Uniti di aver ucciso un pescatore innocente, Alejandro Carranza, durante un’operazione che il presidente Donald Trump ha descritto come un attacco a una nave coinvolta nel traffico di droga.   Da settembre, le forze armate statunitensi hanno distrutto diverse imbarcazioni nei Caraibi nell’ambito della campagna di Trump contro i «narcoterroristi» che trafficano cocaina e fentanyl.   Secondo Petro, il 16 settembre, Carranza, un pescatore senza legami con il narcotraffico, è stato ucciso.   Petro ha dichiarato su X che funzionari statunitensi hanno commesso un omicidio e violato la sovranità colombiana nelle acque territoriali, sottolineando che l’imbarcazione di Carranza era alla deriva per un guasto al motore e aveva inviato un segnale di soccorso. Petro ha chiesto spiegazioni agli Stati Uniti.  

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Petro e Trump hanno un conflitto di lunga data: il presidente colombiano ha accusato Trump di violazioni dei diritti umani nella sua lotta contro l’immigrazione clandestina. Recentemente, gli Stati Uniti hanno revocato il visto a Petro dopo che questi aveva incitato i soldati americani a disobbedire agli ordini di Trump.   Sabato, Trump ha annunciato che un colombiano e un ecuadoriano, catturati su un «sottomarino per il trasporto di droga», saranno deportati nei loro paesi per essere processati. In precedenza, Trump aveva dichiarato che l’imbarcazione era stata distrutta, uccidendo due dei quattro «noti narcoterroristi» a bordo.   Sulla piattaforma social Truth Trump ha accusato Petro di essere direttamente uno «spacciatore» che sta accrescendo la produzione di droga nel Paese.  

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«Il presidente Gustavo Petro, della Colombia, è un leader del narcotraffico illegale che incoraggia fortemente la produzione massiccia di droga, in grandi e piccole piantagioni, in tutta la Colombia. È diventato di gran lunga il più grande business della Colombia, e Petro non fa nulla per fermarlo, nonostante i pagamenti e i sussidi su larga scala dagli Stati Uniti che non sono altro che una truffa a lungo termine nei confronti dell’America» scrive il presidente USA.   «DA OGGI, QUESTI PAGAMENTI, O QUALSIASI ALTRA FORMA DI PAGAMENTO O SUSSIDI, NON SARANNO PIÙ EFFETTUATI ALLA COLUMBIA», continua, nel suo classico maiuscolo..   «Lo scopo di questa produzione di droga è la vendita di enormi quantità di prodotto negli Stati Uniti, causando morte, distruzione e caos» conclude Trump. Petro, un leader di basso livello e molto impopolare, con una bocca fresca nei confronti dell’America, farebbe meglio a chiudere immediatamente questi campi di sterminio, o gli Stati Uniti li chiuderanno per lui, e non sarà fatto in modo carino».   Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa Trump aveva definito gli attacchi alle imbarcazioni venezuelane come un «atto di gentilezza».   Il presidente ha altresì dichiarato che gli USA sono ora in «conflitto armato» con i cartelli della droga. Che questa guerra possa coinvolgere anche un paio di presidente sudamericani a questo punto sembra più che probabile.  

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