Politica
«Ho l’iPhone» e niente inglese: eurofigura dell’onorevole iena grillina
L’euro-onorevole a 5 stelle Dino Giarrusso si è reso protagonista di una scena memorabile.
Aveva preparato un intervento riguardo alla storia del Prosecco (per difenderlo rispetto all’attacco del Prosek croato, immaginiamo).
Per qualche motivo che sarebbe bello sapere, l’onorevole, già «iena» Mediaset, non era però presente alla seduta di Bruxelles.
«I try It… I’m not perfect… my english not perfect»
Il grillino si collega dunque per via telefonica. La speaker dell’Aula gli chiede, in inglese, di «attivare la sua telecamera». Lui risponde di non averne la possibilità, perché «ho l’iPhone». Che peraltro è un dispositivo che ha più di una telecamera.
Lui quindi parte a razzo in italiano: «Colleghi, il Prosecco è patrimonio dell’UNESCO e…».
La iena pentastellata viene interrotta da una voce, che dice che non verrà tradotto se non attiva la telecamera. Dovrà farlo in inglese.
«Ah OK» dice il siculo, preso alla sprovvista, aggiungendo la sospirosa classica excusatio , epperò qui già sgrammaticatissima in partenza «I try It… I’m not perfect… my english not perfect».
«Colleagues, Prosecco is patrimonio of UNESCO, is aaahhh… no io non riesco a fare l’intervento»
Quindi ecco che il nostro eurodeputato deve cimentarsi lui nella traduzione simultanea: «Colleagues, Prosecco is patrimonio of UNESCO, is aaahhh… no io non riesco a fare l’intervento».
«Chiedo scusa, non riesco a fare l’intervento in inglese perché l’ho scritto in italiano, e non riesco a tradurre ehhh… in maniera simultanea, non mi è stato detto che dovevo farlo in inglese (…) vorrei farlo in italiano, se possibile».
L’aula gli risponde in tedesco: «Vielen danke, ma queste sono le regole, senza telecamera non può essere interpretato. Gut, quindi saremmo arrivati alla fine degli interventi».
Si chiude.
Il Prosecco resta senza la difesa di Giarrusso – e non sappiamo se questo sia un bene o un male. Sappiamo però che l’eurodeputato è pagato con tanti, tantissimi soldi nostri. E che egli ci rappresenta davanti all’Europa. Possiamo permetterci una figura del genere?
Possiamo permetterci di essere trattati così?
Possiamo permetterci di essere trattati così?
Dino Giarrusso, già attore e sceneggiatore TV, aiuto regista, inviato de Le iene, nel 2018 si candidò con il M5S alla Camera ma non venne eletto. All’epoca scrissero che presentò quindi la sua candidatura come membro del CdA della RAI, ma non venne scelto neanche lì. Divenne quindi segretario particolare del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. Nel 2019 riesce a diventare eurodeputato, divenendo al contempo responsabile nazionale dei 5 stelle per istruzione, ricerca e cultura.
A Le iene fu autore di servizi che accusavano di molestie il regista Fausto Brizzi, accusa poi finita in archiviazione (perché «il fatto non sussiste») in tutti gli episodi contestati. Il critico TV Aldo Grasso stigmatizzò il fatto che Giarrusso, autore del servizio, invece che chiedere «scusa per i danni d’immagine procurati» volesse che a chiedere scusa fosse Brizzi «perché le ragazze intervistate da lui [Giarrusso] hanno detto la verità».
In rete ora abbondano i ricordi di altre memorabili figure, come quando in una trasmissione TV disse «il Cipro».
Vi stupite dell’inglese perché non sapete della figuraccia de “il Cipro”
????????♀️#Giarrusso: “sono parlamentare europeo se dico una cosa è perché la conosco”
????????♀️pic.twitter.com/0ri8VY1wVU— Adriana Spappa (@AdrianaSpappa) October 28, 2021
«Io dico cose precise. Il Cipro sarà il primo Paese a chiedere il MES, sono parlamentare europeo, se dico una cosa è perché la conosco».
Noi lo ricordiamo, tuttavia, per altre cose significative, come quando, pieno primo lockdown (aprile 2020) mostrò in TV dei lavoretti di bambini cinesi filoitaliani.
«Questa è una cosa che mi ha molto commosso, i bambini cinesi hanno fatto dei disegni che accompagnano le mascherine che sono riuscito a far arrivare. In questi disegni si sottolinea l’amicizia tra Cina e Italia».
Bambini artisti in linea con la politica estera dei 5S. La prossima volta può chiedere a loro di fornire disegnini per gli interventi all’europarlamento. Magari così si riesce.
Politica
I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi
Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.
Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.
Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.
«Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».
A viral video shows a prisoner confronting Nicolas Sarkozy, saying, “We’ll avenge Gaddafi. Give back the billions.” The former French president, jailed for conspiracy, is accused of taking Libyan money before leading NATO’s 2011 war that killed Gaddafi. pic.twitter.com/KlAISnFVSX
— comra (@comrawire) October 22, 2025
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Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.
«L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.
Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.
L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.
A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.
Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.
Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».
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Politica
Il Giappone elegge una donna conservatrice come primo ministro
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Politica
Elezioni in Bolivia, il Paese si sposta a destra
Domenica si è svolto in Bolivia il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che ha visto contrapporsi due candidati di destra: il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente conservatore Jorge Quiroga.
I risultati preliminari indicano che Paz ha ottenuto il 54,6% dei voti, mentre Quiroga si è fermato al 45,4%. Sebbene sia prevista un’analisi manuale delle schede, è improbabile che il risultato definitivo differisca significativamente dal conteggio iniziale, basato sul 97% delle schede scrutinate.
Le elezioni segnano la fine del ventennale dominio del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), che ha subito una pesante sconfitta nelle elezioni di fine agosto. Il presidente uscente Luis Arce – che ha recentemente accusato gli USA di controllare l’America latina sotto la maschera della «guerra alla droga» – non si è ricandidato, e il candidato del MAS, il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, ha raccolto solo il 3,16% dei voti, superando di poco la soglia necessaria per mantenere lo status legale del partito.
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Nel primo turno, la destra ha dominato: Paz ha ottenuto il 32,1% dei voti e Quiroga il 26,8%. Il magnate di centro-destra Samuel Doria Medina, a lungo favorito nei sondaggi, si è classificato terzo con il 19,9% e ha subito appoggiato Paz per il ballottaggio.
Entrambi i candidati hanno basato la loro campagna sullo smantellamento dell’eredità del MAS, differendo però nei metodi. Paz ha promesso riforme graduali, mentre Quiroga ha sostenuto cambiamenti rapidi, proponendo severe misure di austerità per affrontare la crisi.
Il MAS non si è mai ripreso dai disordini del 2019, quando l’ex presidente Evo Morales fu deposto da un colpo di Stato subito dopo aver ottenuto un controverso quarto mandato. In precedenza, Morales aveva perso di misura un referendum per modificare la norma costituzionale che limita a due i mandati presidenziali e vicepresidenziali. Più di recente, Morales ha accusato tentativi di assassinarlo ed è entrato in sciopero della fame, mentre i suoi sostenitori hanno dato vita ad una ribellione. Il Morales, recentemente accusato anche di stupro (accuse che lui definisce «politiche»), in una lunga intervista aveva detto che dietro il suo rovesciamento nel 2019 vi erano «la politica dell’impero, la cultura della morte» degli angloamericani.
Il colpo di Stato portò al potere la politica di destra Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato. Tuttavia, il MAS riconquistò terreno nelle elezioni anticipate dell’ottobre 2020, mentre Áñez fu incarcerata per i crimini commessi durante la repressione delle proteste seguite al golpe.
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Il passaggio storico è stato definito da alcuni come la prima «guerra del litio», essendo il Paese ricco, come gli altri Stati limitrofi, della sostanza che rende possibile la tecnologia di computer, telefonini ed auto elettriche.
Come riportato da Renovatio 21, un tentato colpo di Stato vi fu anche l’anno scorso quando la polizia militare e veicoli blindati hanno circondato il palazzo del governo nella capitale La Paz.
Sotto il presidente Arce la Bolivia si era avvicinata ai BRICS e aveva iniziato a commerciare in yuan allontanandosi dal dollaro.
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