Cina
Himalaya, confine conteso: è gioco a «specchio» tra Delhi e Pechino

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Gli indiani rispondono alle mosse cinesi con la costruzione di infrastrutture sul proprio lato della frontiera. La Cina sta replicando e adattando tattiche militari già utilizzate con Taiwan e nel Mar Cinese meridionale. Delhi sfida Pechino con esercitazioni militari insieme agli Usa a meno di 100 km dalle zone di crisi.
È diventato un gioco a specchio la disputa territoriale tra India e Cina lungo il loro confine himalayano. Media indiani hanno rivelato che Delhi ha accelerato la costruzione di nuove infrastrutture nei pressi della frontiera che possono servire a fini militari.
Da tempo Pechino fa lo stesso. Lo scorso primo luglio, il premier cinese Li Keqiang ha annunciato la realizzazione di due nuove arterie autostradali che in prospettiva preoccupano gli indiani: la prima collegherà il Tibet con lo Xinjiang vicino, al confine provvisorio con l’India; l’altra congiungerà lo Xinjiang con la frontiera sino-pakistana. I due progetti fanno parte di un piano nazionale per costruire 461mila chilometri di autostrade e superstrade entro il 2035.
I due Paesi hanno schierato 50.000-60.000 truppe e un quantitativo crescente di armamenti pesanti sul proprio lato del confine, che è il più militarizzato al mondo dopo quello russo-ucraino.
Nel giugno 2020 truppe indiane e cinesi si sono scontrate nella valle di Galwan, tra il Ladakh indiano e l’Aksai Chin cinese: 20 soldati indiani sono morti; non è conosciuto il numero delle vittime cinesi.
Cina e India condividono un confine di 3.488 chilometri nell’Himalaya, per il quale hanno combattuto un breve ma sanguinoso conflitto nel 1962.
Delhi rivendica ampi settori dell’Aksai Chin (che i cinesi hanno sottratto al Pakistan); Pechino rivendica lo Stato indiano dell’Arunachal Pradesh.
Almeno 16 cicli di colloqui tra le due parti non hanno risolto lo stallo. Il fallimento delle discussioni è dovuto al rifiuto cinese di ritirarsi dalla zona di Hot Springs, nel Ladakh orientale, mentre Pechino accusa Delhi di non voler ridurre le proprie truppe nelle pianure di Depsang.
Secondo Delhi, l’aviazione cinese conduce ripetuti raid aerei sulle aeree di «frizione». Con ogni probabilità, lungo la frontiera himalayana la Cina sta replicando e adattando tattiche militari già utilizzate in altri scacchieri.
Se gli avamposti civili-militari fabbricati in Tibet e nel Xinjiang ricordano quelli costruiti dalla Cina sulle isolette e gli atolli contesi del Mar Cinese meridionale, l’aeronautica cinese mette a dura prova le difese di Delhi con ripetute sortite aeree e di elicotteri in prossimità del territorio indiano: tattica usata anche con Taiwan. C’è di più: i cinesi potrebbero cercare di ingannare le controparti indiane con manovre che aiutano a mascherare un vero attacco in futuro.
Il generale indiano Vinod Bhatia spiega ad AsiaNews che il dispiegamento a specchio dell’India ha evitato un’escalation militare dopo gli scontri nella Valle di Galwan.
Secondo il militare a riposo, ex direttore generale delle operazioni militari di Delhi, la «deterrenza» indiana ha avuto finora successo perché il suo Paese è riuscito ad affrontare la Cina da una posizione di relativa forza.
Bathia ritiene poi che il prossimo schieramento vicino al confine con la Cina del sistema di difesa aerea e missilistica S-400, acquistato dalla Russia, cambierà le carte in tavola e accrescerà la capacità dell’India di contrastare i blitz aerei cinesi.
Il generale indiano è convinto che un conflitto nell’Himalaya non sia nell’interesse della Cina, perché Pechino è concentrata sulla competizione tra grandi potenze con gli Usa.
Il confronto sino-americano è portato però fino alle vette himalayane: dal 18 al 31 ottobre truppe indiane e statunitensi condurranno esercitazioni nell’Uttarakhand, a meno di 100 km dal confine conteso tra Delhi e Pechino.
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Cina
Mons. Viganò contro la soppressione di due diocesi in Cina

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto sulla piattaforma social X un breve ma incisivo comento relativo alla chiusura di due diocesi nel territorio della Repubblica Popolare Cinese.
Secondo quanto comunicato da L’Osservatore Romano il 10 settembre, «nel desiderio di promuovere la cura pastorale del gregge del Signore e per attendere più efficacemente al suo bene spirituale, in data 8 luglio 2025, il Sommo Pontefice Leone XIV ha deciso di sopprimere, nella Cina Continentale, le Diocesi di Xuanhua e di Xiwanzi, che furono erette l’11 aprile 1946 da Papa Pio XII, e in pari tempo di erigere la nuova Diocesi di Zhangjiakou, suffraganea di Pechino, con sede episcopale nella chiesa cattedrale di Zhangjiakou».
«In questo modo, il territorio della Diocesi di Zhangjiakou è conforme a quello della Città Capoluogo di Zhangjiakou, con una superficie totale di 36.357 km² e una popolazione totale di 4.032.600 abitanti, di cui circa 85 mila cattolici, serviti da 89 sacerdoti» scrive il giornale della Santa Sede.
La reazione del già nunzio apostolico a Washington è stata durissima.
«L’eredità di Pio XII e della Chiesa Cattolica è calpestata in nome dell’eredità di Bergoglio e della chiesa conciliare-sinodale» scrive monsignore. «Un’altra pagina vergognosa della sistematica distruzione della Chiesa Cattolica da parte dei vertici della Gerarchia vaticana, per sostituirla con una entità globalista paramassonica».
L’eredità di Pio XII e della Chiesa Cattolica è calpestata in nome dell’eredità di Bergoglio e della chiesa conciliare-sinodale.
Un’altra pagina vergognosa della sistematica distruzione della Chiesa Cattolica da parte dei vertici della Gerarchia vaticana, per sostituirla con una… https://t.co/tVIgqsxMBH
— Arcivescovo Carlo Maria Viganò (@CarloMVigano) September 10, 2025
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«Un’altra capitolazione che umilia la Chiesa di Roma legittimando la chiesa scismatica patriottica (e comunista) cinese, abbandonando a se stessi i Cattolici fedeli alla Sede Apostolica e i Martiri vittime della dittatura» continua Sua Eccellenza. «Un’altra rottura con la “vecchia Chiesa” da parte della “chiesa conciliare-sinodale”».
Lo scorso maggio il prelato lombardo si era scagliato contro l’Accordo segreto sino-vaticano, che continua nonostante le violazioni patenti da parte di Pechino, che ordina in tranquillità i suoi «vescovi» patriottici senza il permesso di Roma, facendo quindi pensare ad un «asservimento della chiesa bergogliana a Pechino» e ad una terrificante «cinesizzazione del Cattolicesimo».
«Se il Papa e la Chiesa Cattolica non sono più considerati come agenti di forze ostili» dalla Cina, aveva scritto monsignore, «è perché entrambi hanno ceduto sui principi e si sono allineati alla Cina». Viganò procedeva a spiegare che potrebbe esservi dietro all’intero accordo la ricattabilità del personale ecclesiastico, a partire dal primo negoziatore, Teodoro McCarrick, figura cui Bergoglio tolse il titolo cardinalizio dopo lo scandalo immane dei traffici omosessuali imbastiti dal potente vescovo statunitense.
L’arcivescovo non mancava di ricordare che «questa vicenda coinvolge milioni di Cattolici cinesi perseguitati. La Chiesa del silenzio si confronta con il silenzio della Chiesa, con la complicità e nel tradimento di ecclesiastici cinici e corrotti ai quali interessa assecondare i progetti dell’élite globalista e della dittatura comunista di Pechino».
Come riportato da Renovatio 21, ancora quattro anni fa monsignor Viganò dichiarò che «la dittatura cinese è il paradigma di ciò che attende il mondo intero. Se non sapremo opporci». Con questa dittatura, presente e futura, il Vaticano sta cooperando, e su tutta la terra.
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Immagine di Shujianyang via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
Cina
«Inarrestabile»: Xi svela la triade nucleare in una parata militare che sfida l’Occidente. A suo fianco Putin e Kim

I must say, the Chinese parade really lacks diversity! pic.twitter.com/lO47to5i7L
— The_Real_Fly (@The_Real_Fly) September 3, 2025
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⚡️BREAKING
China unveils its full Nuclear Capability for the first time Some missiles have a range of 15000 km pic.twitter.com/izKfMTuOdP — Iran Observer (@IranObserver0) September 3, 2025
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Quite a hot mic moment on CCTV in Beijing today as Putin and Xi, both 72 years old, are caught casually talking about living to 150 and maybe forever thanks to organ transplants. (As picked up by Bloomberg.) pic.twitter.com/kC4VTRaobq
— Yaroslav Trofimov (@yarotrof) September 3, 2025
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China’s hypersonic anti-ship missiles, including YingJi-19, YingJi-17 and YingJi-20, passed through Tian’anmen Square in Wednesday’s V-Day parade. The formation also included YingJi-15 missile. pic.twitter.com/oyZKJQD47t
— China Xinhua News (@XHNews) September 3, 2025
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Trump ha anche sottolineato la sconfitta americana del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, che alla fine ha garantito una pace duratura alla Cina. No, Xi non ha elogiato gli Stati Uniti per questo, ma si è schierato orgogliosamente al fianco dei suoi alleati sanzionati dagli Stati Uniti…What a line up! Xi has made a come back that no one could have predicted 5 years ago.
pic.twitter.com/yJynTn5yYb — Smita Prakash (@smitaprakash) September 3, 2025
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Cina
La Cina presenta il primo chip 6G al mondo

I ricercatori cinesi hanno presentato il primo chip 6G al mondo, in grado di aumentare la velocità di connessione nelle aree remote fino a 5.000 volte rispetto al livello attuale. Lo riporta il giornale di Hong Kong South China Morning Post (SCMP).
La tecnologia 6G si prevede possa ridurre il divario digitale tra aree rurali e urbane. Sviluppato da ricercatori dell’Università di Pechino e della City University di Hong Kong, il chip 6G «all-frequency» potrebbe offrire velocità internet mobile oltre i 100 gigabit al secondo su tutto lo spettro wireless, incluse le frequenze usate nelle zone remote, rendendo l’accesso a internet ad alta velocità più disponibile nelle regioni meno connesse e permettendo, ad esempio, di scaricare un film 8K da 50 GB in pochi secondi.
Tuttavia, le tecnologie 5G e 6G suscitano preoccupazioni. Critiche riguardano i possibili rischi per la salute dovuti alle radiazioni elettromagnetiche, soprattutto con le alte frequenze del 6G, oltre a vulnerabilità agli attacchi informatici a causa dell’aumento dei dispositivi connessi. L’espansione delle infrastrutture potrebbe inoltre avere un impatto ambientale e accentuare le disuguaglianze, lasciando indietro le aree rurali. Si temono anche un incremento della sorveglianza e problemi legati alla privacy dei dati con l’aumento della connettività.
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Le tecnologie wireless come il 5G operano su gamme di frequenza limitate. Il nuovo chip 6G, invece, copre l’intero spettro (da 0,5 GHz a 115 GHz) in un design compatto di 11 mm x 1,7 mm, eliminando la necessità di più sistemi per gestire diverse frequenze. Questo permette al chip di funzionare in modo efficiente su bande sia basse che alte, supportando applicazioni ad alta intensità e migliorando la copertura in aree rurali o remote.
«Le bande ad alta frequenza come le onde millimetriche e i terahertz offrono una larghezza di banda estremamente ampia e una latenza estremamente bassa, rendendole adatte ad applicazioni come la realtà virtuale e le procedure chirurgiche», ha dichiarato al China Science Daily il professor Wang Xingjun dell’Università di Pechino.
I ricercatori stanno sviluppando moduli plug-and-play per diversi dispositivi, come smartphone e droni, che potrebbero facilitare l’integrazione del nuovo chip nelle tecnologie di uso quotidiano.
La Cina pare accelerare per una primazia tecnologica non solo nelle telecomunicazioni – con il caso di Huawei, e relativi incidenti diplomatici internazionali, e sospetti anche in Italia – ma in genere nel settore tecnologico, dove si assiste ai consistenti sforzi per l’IA, visibili nell’ascesa di DeepSeek, un’Intelligenza Artificiale realizzata nel Dragone che non abbisogna di chip particolarmente performanti.
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