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Hillary Clinton accoglierebbe con favore un attacco ucraino a Trump: ennesima burla telefonica rivelatrice
L’ex Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha manifestato il suo sostegno se l’Ucraina tentasse di trovare della sporcizia sul candidato presidenziale repubblicano Donald Trump.
L’ex first lady e segretario di Stato ha fatto il commento in una telefonata con l’ineffabile duo di burloni russi Vovan e Lexus, uno dei quali si è spacciato per l’ex presidente ucraino Petro Poroshenko.
Secondo una registrazione della conversazione resa pubblica mercoledì, la Clinton e l’uomo che lei credeva essere Poroshenko hanno discusso del panorama politico negli Stati Uniti in vista delle elezioni di novembre, nonché delle potenziali ripercussioni di una vittoria di Trump sia per Kiev che per Washington.
Trump ha ripetutamente criticato il modo in cui l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha gestito il conflitto in Ucraina, affermando che avrebbe posto fine alle ostilità entro 24 ore se eletto e avrebbe smesso di inviare sostegno finanziario incondizionato a Kiev.
Clinton ha affermato che sta «facendo tutto» il possibile per garantire la rielezione di Biden, pur riconoscendo che tali sforzi giungono in «un momento molto difficile per questo Paese». I suoi commenti sono seguiti a un recente dibattito televisivo tra Biden e Trump, ampiamente considerato un disastro per il presidente in carica.
Hillary #Clinton is now being mocked by #Russian #pranksters #Vovan – #Lexus who pretend to be #Poroshenko… “Trump is a very dangerous candidate,harmful to the #US,to #Ukraine and the rest of the world. Hillary: One of the many faces of a crazy person
pic.twitter.com/IiGXmL0E1o— Donato Yaakov Secchi (@doyaksec) July 3, 2024
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L’ex candidata alla presidenza, che ha perso le elezioni del 2016 contro Trump, ha descritto il suo ex rivale come «molto pericoloso», aggiungendo che «sarebbe molto dannoso per gli Stati Uniti e anche per… l’Ucraina», e che Kiev aveva ragione a essere preoccupata.
Più avanti nella conversazione, il falso Poroshenko ha offerto di «richiedere un’udienza al Parlamento [ucraino] per scoprire qualcosa su di lui [Trump] prima delle elezioni», ricordando che il 45° presidente sta già affrontando seri problemi legali negli Stati Uniti. «Penso che possiamo attaccarlo da diversi lati», ha suggerito il burlone.
Clinton sembrava apprezzare l’idea. «Bene. Tutto quello che puoi fare, attaccalo, sono tutta per questo, perché è un uomo molto pericoloso», ha risposto. Il Poroshenko fasullo ha poi proseguito con un suggerimento di «mandare la mia gente negli Stati Uniti», senza chiarire cosa intendesse, ma l’ex segretario ha ignorato questa proposta.
Negli scorsi mesi sono stati vittima di Vovan e Lexus, oltre il premier italiano Giorgia Meloni, anche altre alte figure di peso della scena internazionale, tra cui il presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, che credendo di parlare con Zelens’kyj ha ammesso che l’euro digitale verrà utilizzato per la sorveglianza dei cittadini.
È stata oltremodo interessante anche la telefonata, sempre fingendo di essere il presidente ucraino, fatta al finanziere erede del casato di banchieri ebraici Alexandre de Rothschild, che ha vantato di aver una «relazione fantastica» con i membri del governo ucraino.
Il duo ha messo nel sacco quantità di notabili internazionali, dall’ex presidente USA George W. Bush al ministro della Difesa di Londra Ben Wallace. Hanno fatto elogiare allo scrittore goscista Stephen King il collaboratore del nazismo Stepan Bandera, hanno messo nel sacco il cineasta David Lynch e le sue prospettive sulla pace mondiale, e sono arrivati far confessare Kissinger, gli hanno fatto ammettere come credesse che dietro all’attacco al Nord Stream ci fosse Kiev. Notevole pure quando hanno conversato con un parlamentare transessuale britannico che ha dichiarato di voler spedire preservativi e lubrificanti intimi in Ucraina.
Vovan e Lexus avevano già strappato delle ammissioni sui sabotaggi ucraini ai danno dei russi: fingendo di essere l’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia Michael McFaul, hanno strappato una sorta di ammissione del ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba il coinvolgimento di Kiev nelle esplosioni di sabotaggio all’interno della Russia.
Il duo era riuscito inoltre nell’impresa di far confessare al guru del World Economic Forum Claudio Schwab, che credeva di parlare con il guru dell’apparato di Stato francese Jaques Attali, che dietro alla distruzione del gasdotto Nord Stream 2 potrebbero esserci gli ucraini.
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Immagine di Casa America via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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Soldati indiani uccisi in un’imboscata vicino al confine con il Pakistan
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Gli ultimi attacchi arrivano anche dopo la recente visita del ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar in Pakistan, la prima di qualsiasi ministro degli Esteri del paese in nove anni, per partecipare a un summit della Shanghai Cooperation Organization (SCO). Prima della sua visita, Jaishankar ha condannato Islamabad per la sua «politica di terrorismo transfrontaliero», affermando che «non avrà mai successo». Il Kashmir è stato un punto di contesa tra India e Pakistan per decenni, con entrambi i paesi che lo rivendicano come proprio. Nuova Delhi ha ripetutamente accusato Islamabad di sostenere il terrorismo transfrontaliero e la militanza nell’area a maggioranza musulmana, mentre Islamabad ha accusato l’India di violare i diritti umanitari dei residenti della regione. I legami tra India e Pakistan sono gelidi dal 2019, in seguito all’attacco di Pulwama in Kashmir che ha ucciso 40 soldati indiani. In risposta, Nuova Delhi ha condotto un «attacco chirurgico» contro il gruppo terroristico a Balakot in Pakistan. Più avanti nel 2019, Islamabad ha declassato le sue relazioni con Nuova Delhi dopo che il governo federale guidato dal Primo Ministro Narendra Modi ha revocato i privilegi costituzionali speciali per la regione.Very unfortunate news about the attack on the army vehicles in the Boota Pathri area of North Kashmir which has resulted in some casualties & injuries. This recent spate of attacks in Kashmir is a matter of serious concern. I condemn this attack is the strongest possible terms &…
— Omar Abdullah (@OmarAbdullah) October 24, 2024
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Vescovo cinese elogia «la sinicizzazione del cattolicesimo» e l’accordo segreto del Vaticano con il Partito Comunista Cinese
Un vescovo cinese è intervenuto di recente al Sinodo sulla sinodalità per promuovere «la sinicizzazione del cattolicesimo» e lodare l’accordo del Vaticano con Pechino. Lo riporta LifeSite.
In mezzo al dibattito generale e alle polemiche del Sinodo, si sta svolgendo un evento collaterale riguardante le complicate relazioni tra Santa Sede, Cina e Taiwan, con i rappresentanti di tutte le parti impegnate nel dialogo durante i lavori.
Nei prossimi giorni, secondo quanto è ampiamente previsto, verrà rinnovato anche l’accordo tanto criticato della Santa Sede con la Cina comunista, il che consentirà di concentrare maggiormente l’attenzione sulle relazioni diplomatiche in atto nel Sinodo.
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A metà della scorsa settimana, il vescovo Joseph Yang Yongqiang della diocesi cinese di Hangzhou è salito sul palco del Sinodo per esprimere i suoi pensieri come parte degli «interventi liberi» del Sinodo. Il momento è stato storico, poiché si ritiene che sia la prima volta per un vescovo cinese in un simile contesto.
Secondo i brevi dettagli forniti alla stampa la scorsa settimana da Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero delle Comunicazioni del Vaticano, Yang avrebbe elogiato l’accordo del Vaticano con la Cina del 2018.
Il 17 ottobre Vatican News ha fornito un resoconto a firma Andrea Tornielli leggermente più dettagliato della testimonianza di Yang. Bizzarramente, ci è risultato possibile trovarne in rete solo la versione in lingua inglese e non in italiano.
«La Chiesa in Cina è la stessa della Chiesa cattolica in altri paesi del mondo: apparteniamo alla stessa fede, condividiamo lo stesso battesimo e siamo tutti fedeli all’unica, santa, cattolica e apostolica Chiesa», ha affermato Yang.
Sebbene nell’articolo non sia stato fatto alcun accenno all’accordo sino-vaticano, lo Yang ha affermato che «seguiamo lo spirito evangelico di “diventare tutto per tutti”», ha detto il vescovo della Repubblica Popolare. «La Chiesa cattolica in Cina ha avviato scambi attivi con comunità cattoliche in tutto il mondo basati sui principi di uguaglianza, amicizia e rispetto reciproco. Conduciamo scambi su argomenti come l’evangelizzazione e la cura pastorale nella Chiesa, i servizi sociali e gli studi teologici; partecipiamo attivamente a incontri internazionali e attività di preghiera delle religioni per la pace; ci sforziamo di essere come “luce e sale” per la pace nel mondo e la promozione di una comunità in cui l’umanità possa godere di un destino condiviso; infine, promuoviamo lo sviluppo attraverso vari tipi di progetti».
«Ci adattiamo efficacemente alla società, la serviamo, aderiamo alla direzione della sinicizzazione del cattolicesimo e predichiamo la Buona Novella» ha sottolineato il prelato scelto dal Partito Comunista Cinese.
La sinicizzazione altro non è che il processo di assimilazione dello Stato cinese e al controllo della Chiesa nel paese per i propri fini. Il processo sinicizzante è diventato politica sotto Xi Jinping e riguarda tutte le religioni, che devono essere equamente sottomesse allo Stato pechinese.
Lo Yango ha aggiunto che la Chiesa in Cina ha aperto «scambi attivi con le comunità cattoliche di tutto il mondo basati sui principi di uguaglianza, amicizia e rispetto reciproco» e ha invitato tutti a visitare la Cina.
Yang è stato nominato da Francesco vescovo di Hangzhou a giugno, dopo che il Papa ha approvato il suo trasferimento dalla diocesi di Zhoucon. Ha una lunga associazione con la chiesa di stato comunista, l’Associazione Cattolica Patriottica, che il Vaticano – in teoria – non riconosce come legittima.
Nel 2016 e nuovamente nel 2022 lo Yang è stato eletto uno dei vicepresidenti dell’Associazione dei vescovi cattolici cinesi, la conferenza episcopale cinese approvata dallo Stato che guida l’Associazione Cattolica Patriottica.
Yang è uno dei due vescovi cinesi che prendono parte al Sinodo sulla sinodalità. L’anno scorso, Yang era accompagnato dal vescovo Yao Shun, ma la coppia ha notoriamente abbandonato l’assemblea del 2023 in anticipo, con il Vaticano che ha semplicemente citato «esigenze pastorali».
Quest’anno Yang è affiancato dal vescovo Zhan Silu della diocesi di Mindong, che ha un legame altrettanto importante con l’organismo di governo comunista e con la chiesa approvata dallo Stato.
Fu ordinato sacerdote nel 1989 da un vescovo consacrato senza l’approvazione pontificia – quindi, secondo il diritto canonico, scomunicato latae sententiae. Lo stesso Zhan fu consacrato vescovo di Mindong nel 2000 senza l’approvazione del Papa, e fu prontamente scomunicato.
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L’ordinario della diocesi approvato dal Vaticano era il vescovo Giuseppe Guo Xijin.
Tuttavia, dopo la firma dell’accordo sino-vaticano nel 2018, Guo aveva ricevuto dalla Santa Sede l’incarico di diventare ausiliare di Zhan e Papa Francesco aveva revocato la scomunica di Zhan.
Facendo riferimento alla famosa «controversia sui riti», Zhan ha detto all’aula del Sinodo che una Chiesa sinodale «significa rispettare e ascoltare le voci di storie, culture e tradizioni diverse nel cammino di ricerca dell’obiettivo finale dell’umanità, che è Dio».
Fornendo esempi di alcune «sfide» presenti in Cina, Zhan ha incluso tra queste la questione di «come adattarsi alle leggi e ai regolamenti locali».
I due vescovi cinesi sono stati scelti personalmente da papa Francesco. Accanto a loro c’è il vescovo di Taiwano Norbert Pu, che funge da normale rappresentante della chiesa locale. Ad aggiungersi alla festa c’è un’altra scelta papale, il cardinale Stephen Chow, gesuita alla guida la diocesi di Hong Kong, che a differenza del predecessore cardinale Joseph Zen, si è rivelato un pubblico difensore dell’accordo sino-vaticano.
Parlando a margine di un evento dell’Ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede di recente, monsignor Pu ha sottolineato l’importanza del dialogo con i vescovi cinesi. «È molto importante dialogare con loro, rispettarci a vicenda. Penso che sia un bene… non solo per i cinesi, ma per tutta la Chiesa».
Chow ha sottolineato la costruzione di ponti con la Cina e ha organizzato visite reciproche per il clero del CCPA. Ha anche ripetutamente postulato la sua diocesi come un collegamento chiave nel dialogo tra Cina e Santa Sede.
Tuttavia, i segnali di pacificazione di Chow nei confronti di Pechino sono stati così evidenti che un rapporto ha avvertito che la sua diocesi di Hong Kong stava lavorando attivamente con il PCC per attuare la sinicizzazione.
Diverse fonti vaticane hanno confidato ad alcuni membri del corpo stampa vaticano che le relazioni tra Pechino e il Vaticano hanno apparentemente «fatto progressi». Ciò, hanno detto i funzionari, è stato in gran parte dovuto all’approccio di Chow.
Come riportato da Renovatio 21, il segretario di Stato vaticano cardinale Pietro Parolin sei mesi fa aveva dichiarato che la Santa Sede intendeva rinnovare il controverso accordo del 2018 con Pechino.
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L’accordo sino-vaticano, già di per sé considerabile come un indicibile tradimento dei cattolici cinesi e della loro fresca storia di martirio, è stato violato in questi mesi da Pechino che ha nominato e spostato vescovi senza il consenso di Roma. Il Vaticano, dopo un breve momento di freddezza, si è sottomesso al volere del Dragone.
I segni dell’infeudamento della gerarchia cattolica al potere cinese sono visibili da tempo, e appaiono in forme sempre più rivoltanti: un articolo in lingua inglese nel portale internet della Santa Sede sembrava lasciar intendere che le persecuzioni dei cristiani in Cina ad opera del Partito Comunista Cinese sono «presunte».
Mentre continuano i cattolici desaparecidos, le delazioni sono incoraggiate e pagate apertamente, il lavaggio del cervello investe quantità di sacerdoti, le suore sono perseguitate e le demolizioni di chiese ed istituti religiosi continua senza requie, il Vaticano invita due vescovi patriottici al Sinodo, e Pechino, come ringraziamento, «ordina» nuovi vescovi senza l’approvazione di Roma – mentre i veri sacerdoti vengono torturati dal governo del Dragone.
Il disastro del gesuita sul trono di Pietro va così. Come abbiamo già detto varie volte: prepariamoci ad ondate di sangue di martiri, che il pontefice attuale non riconosce come semen christianorum.
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Immagine da Bitter Winter, modificata
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