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Economia

Guerra economica alla Russia, il ruolo chiave di Draghi: Possiamo permettercelo?

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Mario Draghi avrebbe avuto un ruolo da protagonista nella vicenda del sequestro dei fondi russi all’estero, la più grande confisca (qualcuno dice: furto) mai avvenuta nella storia umana. Lo riporta il Financial Times in una serie di articoli che sta pubblicando in questi giorni.

 

Non si tratta di qualcosa di marginale, né da un punto di vista politico e neppure da un punto di vista storico: perché, scrive FT, «questo è un nuovo tipo di guerra: l’armamento del dollaro USA e di altre valute occidentali per punire i loro avversari».

 

Parliamo insomma di una guerra a tutti gli effetti, già dichiarata ai russi – e i russi, come abbiamo riportato, ne sono pienamente consapevoli. È la guerra economica, ma non si tratta più di un modo di dire, bensì di una realtà che ha impatto geopolitico rilevante.

 

«È un approccio al conflitto in corso da due decenni. Poiché gli elettori negli Stati Uniti si sono stancati degli interventi militari e delle cosiddette “guerre infinite”, la guerra finanziaria ha in parte colmato il divario. In assenza di un’ovvia opzione militare o diplomatica, le sanzioni – e sempre più sanzioni finanziarie – sono diventate la politica di sicurezza nazionale preferita» spiega FT.

 

Juan Zarate, ex alto funzionario della Casa Bianca che ha contribuito a ideare le sanzioni finanziarie che l’America ha sviluppato negli ultimi 20 anni, ha parlato «shock and awe» (la dottrina militare del colpisci-e-terrorizza) impiegata su vasta scala.

 

«Si tratta di uno smantellamento aggressivo del sistema finanziario e commerciale russo come è possibile immaginarlo».

 

Siamo in un territorio della polemologia (lo studio della guerra) di fatto non ancora completamente esplorato o assimilato dagli storici.

 

«L’armamento della finanza ha profonde implicazioni per il futuro della politica e dell’economia internazionali. Molti dei presupposti di base sull’era del dopoguerra fredda vengono capovolti» scrive la rivista.

 

Che arriva ad ammettere qualcosa di inaspettato: «la globalizzazione un tempo veniva venduta come una barriera al conflitto, una rete di dipendenze che avrebbe avvicinato sempre più gli ex nemici. Invece, è diventato un nuovo campo di battaglia».

 

La globalizzazione invece che la pace, come andavano ripetendo tutti i corifei del neoliberismo, ha portato la guerra?

 

Il potere bellico delle sanzioni alla Russia è stato compreso perfino dal sempre più confuso presidente statunitense Joe Biden:

 

«Queste sanzioni economiche sono un nuovo tipo di arte economica di governo con il potere di infliggere danni che rivaleggia con la potenza militare», ha detto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden nel suo sfrontato discorso a Varsavia a fine marzo.

 

Il Financial Times quindi descrive in dettaglio come si sono svolti gli eventi nelle stanze dei bottoni occidentali, e il ruolo da protagonista dell’attuale premier italiano Draghi.

 

Secondo la prima delle due puntate intitolata «Weaponization of Finance: How the West Unleashed ‘Shock and Awe’ on Russia» («La militarizzazione della finanza: come l’Occidente ha scatenato un “colpisci e terrorizza” sulla Russia”), due figure sono state fondamentali in Europa per forzare la decisione di congelare la banca centrale della Banca di Russia riserve nel terzo giorno dell’intervento militare in Ucraina: Mario Draghi e il capo di Stato maggiore di Ursula von der Leyen, Björn Seibert.

 

«Von der Leyen ha chiamato Mario Draghi, Primo Ministro italiano, e gli ha chiesto di discutere i dettagli direttamente con [il segretario del Tesoro USA Janet] Yellen. “Stavamo tutti aspettando, chiedendo: “Perché così tanto tempo?” ricorda un funzionario dell’UE».

 

«Poi è arrivata la risposta: “Draghi deve fare la sua magia sulla Yellen”. Entro la sera, l’accordo era stato raggiunto», scrive FT.

 

«A Washington, i piani delle sanzioni sono stati guidati da Daleep Singh, un ex funzionario della FED di New York che ora è vice consigliere per la sicurezza nazionale per l’economia internazionale alla Casa Bianca, e Wally Adeyemo, un ex dirigente di BlackRock che serve come vice segretario al Tesoro».

 

«L’altra figura centrale era il ministro delle finanze canadese Chrystia Freeland, che è di origine ucraina ed è stato in stretto contatto con i funzionari a Kiev. Poche ore dopo che i carri armati russi hanno iniziato ad arrivare in Ucraina, Freeland ha inviato una proposta scritta sia al Tesoro degli Stati Uniti che al Dipartimento di Stato con un piano specifico per punire la banca centrale russa, afferma un funzionario occidentale. Quel giorno, Justin Trudeau, il primo ministro canadese, ha sollevato l’idea in un vertice di emergenza dei leader del G7».

 

Ricordiamo al lettore di Renovatio 21 chi è la Freeland: la donna dietro alla proposta di congelare i conti in banca dei camionisti che hanno protestato contro l’obbligo vaccinale in Canada. Lo stesso ministro delle Finanze di Ottawa che ha disintegrato raccolte di fondi e detto che anche la criptovalute sarebbero state messe sotto la lente delle leggi anti-riciclaggio e anti-terrorismo. La Freeland, come abbiamo ricordato, la Freeland è membra del consiglio di amministrazione del World Economic Forum di Davos, la creatura di Klaus Schwab che vanta l’«infiltrazione» di numerosi governi del pianeta.

 

Il Financial Times continua il suo racconto del «colpisci e terrorizza», titolando un paragrafo «Draghi takes the initiative» («Draghi prende l’iniziativa»)

 

«In Europa, è stato Draghi a spingere l’idea di sanzionare la Banca Centrale al vertice di emergenza dell’UE la notte dell’invasione. L’Italia, grande importatore di gas russo, in passato era stata spesso titubante riguardo alle sanzioni. Ma il leader italiano ha sostenuto che le scorte di riserve della Russia potrebbero essere utilizzate per attutire il colpo di altre sanzioni, secondo un funzionario dell’UE».

 

«”Per contrastarlo… devi congelare i beni”, dice il funzionario”».

 

La decisione repentina aveva una vulnerabilità: se la Russia avrebbe comunciato a sospettare dell’immane, inedito blocco posto ai fondi di una banca centrale, avrebbe potuto cominciare a rimuovere le sue riserve in altre valute..

 

 

Uno dei funzionari dell’UE citati da FT afferma che, dati i rapporti che Mosca aveva iniziato a effettuare ordini, le misure dovevano essere pronte prima dell’apertura dei mercati lunedì in modo che le banche non elaborasse alcuna operazione.

 

«Abbiamo colto di sorpresa i russi: non l’hanno ripreso fino a troppo tardi» afferma il papavero UE fonte della ricostruzione del giornale.

 

Un vero colpo gobbo, non c’è che dire. Un colpo gobbo mondiale.

 

Quindi: l’Occidente ha rubato i miliardi russi per tenerseli e tamponare la catastrofe della fine del gas russo? Un furto per mitigare l’autolesionismo delle sanzioni a Mosca?

 

E questa idea verrebbe secondo il prestigioso Financial Times, dal premier italiano Draghi?

 

Si stenterebbe a crederlo. Tuttavia, c’è un precedente. Un discorso, che all’epoca ci era sembrata anche un po’ bizzarro, accennato da Draghi in Senato qualche settimana fa:

 

«Era stato tutto premeditato da tanto tempo, le riserve della Banca centrale russa dalla guerra di Crimea ad oggi sono state aumentate sei volte, alcune sono state lasciate in deposito presso altre Banche centrali in giro per il mondo, altre presso banche normali. Non c’è quasi più nulla, è stato portato via tutto, queste cose non si fanno in giorno, in mesi, mesi e mesi. Non ho alcun dubbio che ci fosse molta premeditazione e preparazione».

 

 

Ci era parso, avevamo scritto, una sorta di superficiale «complottismo» del Premier, a riprova della non profondissima capacità di analisi politica dimostrata in questi mesi.

 

Invece, con probabilità stava dicendo, o non dicendo, altro.

 

In poche parole, Draghi ci ha portato in guerra. Effettivamente. Lo ricorda già nelle prime righe l’articolo del Financial Times.

 

«Il piano concordato dalla Yellen e Draghi per congelare gran parte dei 643 miliardi di dollari di riserve in valuta estera di Mosca era qualcosa di molto diverso: stavano effettivamente dichiarando guerra finanziaria alla Russia».

 

643 miliardi di dollari in totale sono una quantità impressionante di danaro: una cifra tale da cambiare il destino del mondo. Non era mai successo: perfino durante la Seconda Guerra Mondiale, con Hitler e soci a invadere e distruggere mezzo mondo, i fondi tedeschi presso la Banca Centrale del Regno Unito non furono toccati, e la Germania continuò ad averne disponibilità. Esisteva, insomma, come in tanti altri rami dell’attività umana, la Civiltà – sì, perfino una Civiltà finanziaria è possibile, con il diritto rispettato perfino durante il più sanguinoso dei conflitti.

 

Ora, con la manovra di Draghi e compagnia, possiamo dire che non è più così. Anche qui, siamo passati di fase. E la finanza è divenuta ufficialmente un’arma.

 

Alcuni sostengono che al momento i beni della Banca Centrale russa sequestrati ammonterebbero a 300 miliardi. I russi hanno ovviamente calcolato tutto prima di partire con l’Operazione Z: possono farcela nonostante la rapina inflitta dall’Impero delle Menzogne e dai suoi premier-banchieri. Di liquidità in casa ne hanno, e altro danaro arriverà con i nuovi mercati su cui si sposterà il focus economico russo: l’India e la Cina, ad esempio, non hanno votato all’ONU la condanna per l’Ucraina, e in tutto contano circa tre miliardi di individui, cioè quasi metà della popolazione terrestre.

 

Il rublo ha già più che recuperato, e si candida a divenire la moneta di riserva internazionale in un mondo avviato alla de-dollarizzazione: con il rublo potrai comprare gas, petrolio, grano, nickel, uranio, palladio, neon, e tanta tecnologia militare, che sarà sempre più necessaria.

 

E con il dollaro? Se i Saud tradiscono il patto fatto decenni fa con gli USA – la protezione della real casa in cambio dell’uso del petroldollaro – per l’economia USA è finita.

 

Ciononostante, è difficile pensare che una mossa come quella che FT accusa Draghi di aver fatto possa essere perdonata.

 

Avevamo visto altre mosse governative da stropicciarsi gli occhi: il capo della diplomazia italiana Luigi Di Maio che in diretta TV definisce il presidente della Federazione Russa «più atroce di qualsiasi animale», gongolando genialmente poi sul 30% perso dal rublo, ora totalmente già recuperato.

 

Avevamo riportato di Draghi che interviene pubblicamente per definire un articolo dove si discute l’assassinio di Putin, un articolo per il quale l’ambasciatore russo Razov ha sporto denuncia in tribunale, come «libertà di stampa» – il tutto il giorno prima di una telefonata con lo Zar per trattare del gas che manca al Paese e alle sue aziende.

 

«Forse non è una sorpresa che l’ambasciatore russo si sia così inquietato: lui è l’ambasciatore di un Paese in cui non c’è libertà di stampa, da noi c’è, è garantita dalla Costituzione» aveva affermato il premier del green pass. «Da noi si sta molto meglio».

 

Poche ore dopo: «Pronto, presidente Putin, sono qui per parlare del gas…». Incredibile. Possiamo insomma godere della libertà di scrivere riguardo a attentati ai vertici di Paesi che erano partner economici fino a poco fa, mentre vediamo le aziende fallire e andiamo verso la fame.

 

Basta, ci era sembrata già tanta roba così. Già con questi episodi, era chiaro che il nostro governo era squalificato nei rapporti con Mosca. Con evidenza, non avevamo visto ancora niente.

 

In nessun modo, crediamo, l’Italia con Draghi alla sua testa può trattare alcunché con la Russia. Non con l’uomo che il Financial Times ritiene protagonista del sequestro ai danni dei russi di centinaia di miliardi di dollari.

 

Draghi protagonista di un’azione senza precedenti, che perfino i giornalisti occidentali possono ora chiamare come guerra economica.

 

La domanda che deve farsi la Nazione, a questo punto, è piuttosto semplice.

 

Possiamo permettercelo?

 

Possiamo permetterci di avere a Palazzo Chigi qualcuno che in nessun modo può ottenere alcunché dal più grande fornitore di energia e materia prima del pianeta?

 

Possiamo permetterci di avere alla presidenza del Consiglio un uomo, peraltro mai eletto da nessuno, ora noto per aver pianificato il ferimento dell’economia della più grande superpotenza atomica della Terra?

 

Sono domande che ci poniamo qui su Renovatio 21: da altre parti, pare che nessuno abbia notato questa incongruenza. Anzi, qualcuno addirittura aveva azzardato che Putin stimava Draghi, per cui avrebbe potuto fare lui da mediatore.

 

Sì, è incredibile il livello di menzogna a cui siamo arrivati. È incredibile quanto oramai cerchino di disorientarci, narcotizzarci, ingannarci, di ribaltare la realtà in modo osceno.

 

C’è solo una realtà da tenere a mente nell’ora presente: Draghi ci ha trascinato nella guerra economica contro la Russia. Ci saranno, come in ogni guerra, delle conseguenze.

 

Siamo pronti ad accettarle? Siamo in tempo per cambiare il corso degli eventi?

 

Siamo in grado di salvare l’Italia dalla prospettiva di distruzione, economica e materiale, che potrebbe essere lì dietro l’angolo?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0); immagine ritoccata e modificata per scopi artistici ed espressivi

Economia

Trump grazia l’ex CEO del gigante delle cripto Binance

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Il presidente statunitense Donald Trump ha concesso la grazia presidenziale a Changpeng Zhao, noto come «CZ», fondatore ed ex amministratore delegato di Binance, la principale piattaforma di scambio di criptovalute a livello globale. Lo riporta il Wall Street Journal.

 

L’annuncio, proveniente dalla Casa Bianca, giunge dopo mesi di vigorose attività di lobbying e rappresenta un cambiamento significativo nella politica americana verso il settore delle criptovalute, con chiare ripercussioni sugli interessi familiari di Trump.

 

La grazia corona una serie di iniziative prolungate da parte di Zhao e della sua azienda per ottenere indulgenza, tra cui il sostegno attivo a World Liberty Financial, la piattaforma crypto associata alla famiglia Trump. Questa iniziativa, promossa dai figli del presidente Eric e Donald Jr., ha registrato un’impennata di valore – valutata in oltre 5 miliardi di dollari di ricchezza teorica – grazie a collaborazioni con entità legate a Binance, come un’intesa da 2 miliardi di dollari con un fondo degli Emirati Arabi Uniti che ha impiegato lo stablecoin USD1 di World Liberty per investimenti azionari.

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Zhao, un tempo tra i leader più influenti nel panorama degli asset digitali, era stato condannato nell’aprile 2024 a quattro mesi di detenzione dopo un accordo con il Dipartimento di Giustizia statunitense nel 2023. L’intesa prevedeva un’ammissione di responsabilità per violazioni antiriciclaggio, una sanzione record di 4,3 miliardi di dollari per Binance e una multa personale di 50 milioni per CZ, che aveva lasciato la carica di CEO.

 

Gli inquirenti federali avevano imputato alla piattaforma di aver favorito operazioni illecite con soggetti sanzionati, inclusi gruppi terroristici, e di non aver adottato misure sufficienti contro il riciclaggio di denaro. Il procedimento contro Zhao è stato uno dei casi più rappresentativi della campagna dell’amministrazione Biden contro le grandi exchange crypto, vista da molti come un’eccessiva stretta repressiva.

 

Completata la pena in una prigione federale a bassa sicurezza in California e poi in un centro di reinserimento, Zhao era stato liberato nel settembre 2024. Ci sono voluti quasi dodici mesi di sforzi per ottenere la grazia: all’inizio del 2025, l’azienda ha assunto il lobbista Ches McDowell, legato a Donald Trump Jr., per influenzare i decisori a Washington.

 

Fonti informate indicano che il team di Trump ha colto nel caso di Zhao l’occasione per avviare una «nuova era» nelle normative sulle criptovalute, favorendo l’innovazione anziché la repressione. Numerosi collaboratori del presidente considerano le imputazioni come motivazioni politiche, tipiche della più ampia «guerra alle crypto» promossa da Biden.

 

La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha giustificato la scelta con toni decisi: «il presidente Trump ha esercitato il suo potere costituzionale concedendo la grazia al signor Zhao, perseguitato dall’amministrazione Biden nella sua guerra alle criptovalute». E ha proseguito: «la guerra dell’amministrazione Biden contro le criptovalute è terminata». Interrogato dalla stampa, Trump ha sminuito l’importanza: «Molte persone sostengono che non avesse commesso alcun illecito. L’ho graziato su indicazione di persone affidabili, pur non conoscendolo di persona».

 

La decisione non manca di polemiche. Critici come la senatrice democratica Elizabeth Warren l’hanno bollata come un «evidente conflitto di interessi»: «Prima CZ si dichiara colpevole di riciclaggio, poi sostiene un’impresa crypto di Trump e fa lobbying per la grazia. Oggi Trump ricambia il favore».

 

Binance, che aveva visto prelievi per un miliardo dopo che CZ si era dichiarato colpevole, ha accolto la notizia come «incredibile» e ha espresso gratitudine a Trump per il suo impegno a trasformare gli Stati Uniti nella «capitale mondiale delle crypto».

 

Zhao, azionista di maggioranza di Binance fondata nel 2017, ha scritto sui social: «Profondamente grato per la grazia di oggi e al presidente Trump per aver difeso equità, innovazione e giustizia. Ci impegneremo al massimo per fare dell’America la capitale delle crypto».

 

Questa grazia non è solo una rivalsa personale per CZ, che ora potrebbe riprendere il controllo attivo di Binance, ma un segnale politico netto: l’amministrazione Trump mira a favorire il settore del Bitcoin e delle criptovalute, dissipando le ombre del passato.

 

In un contesto in cui Trump ha già graziato figure come Ross Ulbricht (come aveva promesso in campagna elettorale), ideatore della piattaforma di scambio del dark web Silk Road, il messaggio è inequivocabile: Washington è disposta a puntare sulle criptovalutea anche a costo di controversie.

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Come riportato da Renovatio 21, tre mesi fa la società Trump Media aveva investito 2 miliardi in bitcoini. Il bitcoin in quelle settimane toccava il record di 120.000 dollari.

 

In primavera i figli di Trump con il vicepresidente USA JD Vance avevano presenziato alla conferenza Bitcoin di Las Vegas esaltano le criptovalute. Eric Trump, figlio di Donald, ha avuto a dichiarare che con cripto e blockchain in dieci anni potremmo assistere all’estinzione degli istituti bancari.

 

Trump – che ha nominato le criptovalute come riserva strategica nazionale – aveva ospitato, sotto gli auspici del suo zar per l’AI e le crypto Davis Sacks, un grande evento per le monete elettroniche alla Casa Bianca praticamente appena insediatosi. Tra i primi decreti esecutivi firmati da Trump vi è quello che vieta le CBDC, cioè le valute digitali delle Banche centrali.

 

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Immagine di Web Summit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Economia

Picco del prezzo del petrolio dopo le sanzioni statunitensi alla Russia

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I prezzi del petrolio sono aumentati notevolmente in seguito all’annuncio da parte degli Stati Uniti di sanzioni contro i colossi russi Rosneft e Lukoil.   I future sul greggio Brent, benchmark globale, sono saliti di oltre il 5% a 65,99 dollari al barile, mentre il West Texas Intermediate (WTI) statunitense è salito del 5,6% a 61,79 dollari giovedì.   Nonostante i prezzi siano leggermente scesi nelle prime contrattazioni di venerdì, entrambi i benchmark sono rimasti sulla buona strada per un aumento settimanale del 7%, il più grande dall’inizio di giugno.   La Casa Bianca ha descritto le ultime sanzioni come un passo per «incoraggiare Mosca ad accettare un cessate il fuoco». La Russia afferma di rimanere aperta alla diplomazia, ma insiste sul fatto che qualsiasi accordo di pace debba affrontare le cause profonde del conflitto. Ha accusato Kiev e i suoi sostenitori occidentali di rifiutarsi di negoziare in buona fede e di minare gli sforzi di pace attraverso le sanzioni.

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Secondo quanto riportato dai media, che citano fonti commerciali, le sanzioni hanno spinto le principali compagnie petrolifere statali cinesi a sospendere gli acquisti di greggio russo via mare a breve termine. Fonti del settore hanno inoltre avvertito che le raffinerie in India, il maggiore acquirente di petrolio russo via mare, e in Turchia, il terzo, potrebbero ridurre le importazioni nelle prossime settimane.   «I flussi verso l’India sono a rischio in particolare… le sfide per le raffinerie cinesi sarebbero più contenute, considerando la diversificazione delle fonti di greggio e la disponibilità delle scorte», ha detto a Reuters Janiv Shah, vicepresidente dell’analisi dei mercati petroliferi presso Rystad Energy.   Si prevede che le misure avranno ripercussioni sul mercato, poiché gli acquirenti di greggio russo cercheranno alternative finché non ci sarà chiarezza sull’applicazione delle misure, ha dichiarato al Wall Street Journal Richard Bronze, responsabile geopolitica di Energy Aspects. Bronze prevede che il Brent potrebbe avvicinarsi ai 70 dollari al barile nei prossimi giorni. «Solo la decisione di fare questo annuncio provocherà un’onda d’urto notevole sul mercato», ha affermato.   La Russia ha da tempo avvertito che le sanzioni sono illegali e si ritorcono contro chi le impone. Commentando le nuove restrizioni giovedì, il presidente Vladimir Putin le ha definite una «mossa ostile», ma ha affermato che non avrebbero avuto un impatto significativo sull’economia russa. Ha aggiunto che le sanzioni rappresentano un altro tentativo di Washington di fare pressione su Mosca, sottolineando che «nessun Paese che si rispetti agisce mai sotto pressione».  

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Economia

La Volkswagen affronta la crisi dei chip dopo chel’Olanda ha sequestrato la fabbrica cinese

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La principale casa automobilistica tedesca, Volkswagen, rischia di sospendere la produzione in un importante stabilimento a causa della carenza di semiconduttori, provocata dal sequestro di un produttore di chip di proprietà cinese da parte dei Paesi Bassi. Lo riporta il tabloide tedesco Bild, citando fonti anonime.

 

A fine settembre, il governo olandese ha preso il controllo dello stabilimento Nexperia di Nimega, adducendo problemi legati alla proprietà intellettuale e alla sicurezza. La settimana scorsa, il New York Times, dopo aver esaminato documenti di un tribunale di Amsterdam, ha rivelato che la decisione è stata influenzata dalle pressioni di funzionari statunitensi.

 

Wingtech, la società madre di Nexperia, è stata inserita nella lista nera di Washington nel 2024, nell’ambito della guerra commerciale con la Cina.

 

All’inizio di ottobre, Pechino ha reagito vietando a Nexperia l’esportazione di chip finiti dalla Cina, componenti essenziali per le centraline elettroniche dei veicoli Volkswagen.

 

Mercoledì la Bild ha riferito che Volkswagen, proprietaria anche di Skoda, Seat, Audi, Porsche, Lamborghini e Bentley, non sembra avere attualmente alternative ai chip di Nexperia. Fonti interne hanno indicato che, a causa della carenza di semiconduttori, la produzione nello stabilimento di Volsburgo potrebbe essere interrotta a partire da mercoledì prossimo, iniziando con la Volkswagen Golf e poi estendendosi ad altri modelli.

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Se la situazione non dovesse migliorare, la sospensione della produzione potrebbe riguardare anche gli stabilimenti di Emden, Hannover, Zwickau e altri, secondo una fonte informata.

 

Secondo il rapporto, Volkswagen ha avviato negoziati con le autorità tedesche per un programma di riduzione dell’orario di lavoro, sostenuto dallo Stato, per decine di migliaia di dipendenti.

 

Bild ha avvertito che la crisi dei chip potrebbe colpire anche altre case automobilistiche tedesche. Rappresentanti di BMW e Mercedes hanno dichiarato al giornale di stare monitorando la situazione. L’industria automobilistica tedesca è già in difficoltà a causa degli elevati costi energetici, legati alle sanzioni dell’UE contro la Russia per il conflitto in Ucraina, e all’aumento dei dazi americani.

 

Un portavoce dello stabilimento Volkswagen di Zwickau ha definito «errato» il rapporto di Bild, secondo quanto riferito all’agenzia AFP. Tuttavia, una lettera interna visionata dalla stampa ha ammesso che «non si possono escludere ripercussioni sulla produzione a breve termine» a causa della carenza di semiconduttori.

 

La tensione nelle relazioni Washington-Pechino, in ispecie con riguardo i microchip – che costituiscono, almeno per il momento, lo «scudo» contro l’invasione di Taiwan da parte dell’Esercito di Liberazione del Popolo della Repubblica Popolare Cinese – tocca sempre più apertamente non solo Cina e USA, ma l’intera economia mondiale, con effetti devastanti sull’Europa, che non è riuscita, nonostante i tentativi, di crearsi una sua autonomia sovrana sulla produzione di questo componente essenziale.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso era emerso che le fabbriche di semiconduttori con tecnologia avanzata olandese presenti a Taiwan potrebbero essere spente da remoto nel caso di invasione dell’isola da parte di Pechino. In particolare si tratterebbe delle fabbriche del colosso Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che impiega tecnologie ultraviolette di estrema precisione (chiamate in gergo EUV) fornite da un’azienda olandese, la ASML. Tali macchine, grandi come un autobus e dal costo di circa 217 milioni di dollari cadauna, utilizzano onde luminose ad alta frequenza per stampare i chip più avanzati al mondo.

 

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Immagine di Michael Barera via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

 

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