Stato
Garlasco e lo Stato etico

Il lettore saprà già cosa sta accadendo, quindi non ci soffermiamo, anche perché siamo sbalorditi anche noi: il caso dell’omicidio di Garlasco pare – a quasi due decenni dal fatto! – essersi drammaticamente riaperto.
Particolari scioccanti ora sono diramati dai grandi media, gli stessi che – a forze di biciclette e macchie di sangue – ci avevano convinto che Alberto Stasi aveva ucciso la sua fidanzata Chiara Poggi. La situazione è talmente tesa che gli avvocati stanno continuando a querelarsi fra loro.
Ma come: c’era il DNA di altri sotto le unghie di Chiara? E i giudici lo sapevano, ma avevano archiviato? Voi lo sapevate?
Quindi, state dicendo che Alberto Stasi potrebbe essere innocente, così come a moltissimi era parso da subito, anche solo a guardarlo?
Di più: ci state dicendo che avrebbe avuto la vita rovinata – con il padre morto durante i processi… e la fidanzata assassinata! – dalla grande macchina congiunta della Giustizia e della Stampa della Repubblica Italiana?
La domanda apre abissi paurosi. Perché se la società tutta guardasse dentro quell’abisso non potrebbe non uscirne destabilizzata.
In un articolo passato avevamo teorizzato l’idea della «figura incongrua». «Scrivete pure “mona“» ci corresse un lettore sboccato: l’idea è quella che per gli omicidi più ferali, spesse volte, viene preso e condannato (ma la sentenza finale ad un certo punto nemmeno conta più) la persona più improbabile, dall’apparenza perfino ingenua. Pensiamo alla storia, già belluina di suo, del Mostro di Firenze e dei «Compagni di Merende», che fanno ancora il pieno di visualizzazioni per gli «sketch» del processo finiti su YouTube (Vanni: «posso dì ‘na cosa?… Viva i’dduce, il lavoro e la libertà… ritorneremo!»).
Hanno mostrificato tante persone che proprio mostri non sembravano. Abbiamo imparato ad accettare ad andare contro le nostre sensazioni: le autorità sembrano aver voluto spiegarci che proprio quelli che sembrano più calmini in verità sono belve – perché lo dice l’autorità statale stessa. Si tratta, a modo suo, di un ulteriore effetto del trionfo del diritto positivo: chi è mostro lo decide la legge, e non badate alle vostre percezioni, alle vostre opinioni. Non badate nemmeno alla realtà che sta sotto i vostri occhi mentitori.
Non c’è solo Garlasco. È difficile guardare la recente serie in streaming sul caso di Yara senza rimanere agghiacciati dalla caterva di menzogne (congetture provate false, filmati tarocchi, particolari dimenticati, come la morte non dissimile di un’altra giovane nella zona poco prima) viste in questo caso. Così come è arduo tornare al caso di Erba – quando anche chi ha avuto la famiglia massacrata pare dire che Rosa e Olindo non c’entrano – senza avere la sensazione che i due condannati come assassini stragisti forse potrebbero essere solo quella coppia riservata e non intelligentissima che ci era sembrata al principio.
Capite la vertigine: in carcere da venti anni ci sono degli innocenti. Cosa che significa, soprattutto, che fuori invece sono ancora liberi gli assassini…
All’epoca avevamo parlato con alcune persone della zona, nel pavese, che ci dissero di essere sconvolti dell’arresto di Stasi, e avevano teorie completamente opposte su chi potesse essere stato. Così come ricordiamo alcuni video artigianali, che ora sembrano spariti dalla rete, dove con accento ultra-bergamasco si davano della morte di Yara ricostruzioni che non combaciavano in alcun modo con quella vista poi nella sentenza contro Bossetti.
I tribunali sono più forti delle convinzioni del popolo, anzi possiamo dire che ne sono immuni: giustamente, dite voi, ma è difficile anche non vedere la sinergia con la grande stampa, a cui qualcuno deve pur passare (legalmente?) i documenti – e i filmati, e i dettagli – per lo scoop, così che si forma un’opinione pubblica di un certo tipo…
Ricordiamo: fu un bel caos anche l’uccisione di Meredith Kercher, con un colpevole – nero come l’altro che ingiustamente Amanda Knox aveva accusato – saltato fuori dopo settimane mentre scappava in un altro Paese.
E quindi, avete anche voi intuito che forse le indagini siano fatte spesso male? Avete anche voi l’impressione che forse ci sia a tutti i costi la frenesia di trovare un colpevole a tutti i costi?
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Analizziamo: trovato un colpevole, la dissonanza cognitiva nella popolazione – il senso di paura e rabbia che sorge dal sapere che c’è un assassino in libertà – si placa, quindi la società torna docile e governabile. Perché se l’autorità non sa risolvere un problema, può arrivare qualcun altro e mettere le cose a posto, di fatto scalzando l’autorità stessa: alcuni raccontano che i talebani in Afghanistan inizialmente presero il potere così, semplicemente risolvendo, in modo forte, il caso di alcuni stupri rimasti impuniti. C’è quindi, senza che ce ne rendiamo bene conto, un fattore politico in tutti i casi di cronaca nera.
Secondo: più bassamente, trovato un colpevole lo stipendio è salvo, lo scatto di carriera pure. Non possiamo escludere che molti servitori dello Stato – non quelli che poi invece, a costo della propria carriera riaprono i casi, certo – ragionino così: meglio mettere in ghebba un innocente che perdere credibilità professionale.
Trovato un colpevole, anche quello più «incongruo», tutti sono più felici: il popolo respira (e può andare al bar dicendo tipo: «cosa gli farei io se ce lo avessi per le mani»), i guardiani dell’ordine mantengono il posto fisso (che poi: chi glielo tocca) e poi i giornali e le TV, ingranaggi non di poco conto in questa meccanica, continuano a gonfiare l’audience a suon di morbosità dopo morbosità.
Non c’è bisogno di ripassare la teoria filosofica sul capro espiatorio di Réné Girard – la violenza del sacrificio di un singolo esorcizza la violenza estesa nell’intera società – per capire come queste cose accadano, e quanto questo meccanismo sia delicato. Tuttavia, viviamo ancora, non sappiamo per quanto, in una società che ha ripulsa dell’innocente punito e della verità negata. Questo adesso per l’autorità può essere un problema enorme.
C’è da comprendere bene che sul banco degli imputati a questo punto non c’è Stasi, o Bossetti, o i vicini di Erba: c’è lo Stato stesso.
Perché se lo Stato invece che cercare la verità mette in galera l’innocente, difficilmente può continuare a godere di una legittimità da parte della popolazione, già schifata e vessata in tanti, tantissimi altri modi.
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C’è da capire anche, tuttavia, che ciò è nella dinamica naturale dello Stato moderno: ci hanno detto che esso deve operare lontano dallo «Stato etico», cioè un’istituzione statale che vuole il bene universale e quindi agisce secondo una morale. Concetti che non possono piacere alla modernità relativista, per la quale non è possibile dare alla cosa pubblica alcuna morale, perché i cittadini hanno religioni e credenze diverse, e poi la morale universale non può esistere, dicono, dopo quintali di pagine di Nietzsche inflitte su ogni fronte (anche e soprattutto subliminalmente). Ognuno, nel paradiso della modernità, può avere l’etica che vuole, o non averla proprio.
La morale non esiste, per cui figurarsi se lo Stato deve essere morale.
E quindi: uno Stato non-etico, uno Stato immorale, volete che si dedichi davvero alla ricerca della verità? Ha senso parlare di vero e falso, se non vi è differenza tra bene e male?
Volete che lo Stato non-etico si faccia problemi a dimenticarsi delle prove, a mentire, a lasciar marcire in galera un innocente?
La questione è più profonda di così, e non riguarda solo quello che leggete sui giornali. Riguarda la vostra stessa vita.
Credete che lo Stato non-morale davvero abbia a cuore della vostra sorte? Credete che un’istituzione che non si basa sul bene possa volere il bene vostro e dei vostri figli?
La faccenda, di fatto, è tutta qui. Mostri di provincia, guerre internazionali, stragi massive, catastrofi farmaceutiche, possibili massacri termonucleari, escono tutte da questo gigantesco errore di programmazione nel codice primario dello Stato – la mancanza della morale, e cioè della differenza tra il bene e il male, e quindi tra orrore e giustizia.
Lo sappiamo: laddove la linea di demarcazione non esiste, il Male può dilagare, ed avere il sopravvento. Dolore e aberrazione seguono. E poi instabilità, devastazione.
No, una società immorale non può sopravvivere a se stessa. Dobbiamo comprenderlo, e agire di conseguenza.
Roberto Dal Bosco
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Eutanasia
Suicidio assistito, diritto manipolato e distruzione della società

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Persecuzioni
La nuova Costituzione della Siria post-Assad sancisce la legge islamica della sharia

La scorsa settimana il capo del movimenti islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e autoproclamato presidente Ahmed al-Sharaa (già noto, e ricercato dagli USA, come il terrorista di Al Qaeda e ISIS Abu Mohammad al-Jolani) ha firmato una nuova dichiarazione di una Costituzione provvisoria per la nuova Siria.
Un comitato di nominati dall’HTS l’ha elaborato (o almeno una bozza parziale) in una commissione, e rende chiaramente la legge islamica o sharia la nuova legge del Paese.
Per la prima volta nella storia della Siria, la costituzione riconosce la legge islamica come fonte principale della giurisprudenza. In precedenza, il governo di Assad riconosceva la legge islamica solo come fonte, o una delle tante fonti.
La famiglia Assad apparteneva risaputamente alla fede islamica alawita, e quindi ha operato in modo tale da garantire protezione a tutte le minoranze religiose non sunnite. Tuttavia queste protezioni sono state chiaramente ora rimosse, nel mezzo di un massacro in corso che ha preso di mira principalmente gli alawiti nelle regioni costiere della Siria, dove migliaia di persone sono morte.
Sotto Assad, i cristiani in particolare vivevano la loro fede in modo molto pubblico, il che includeva parate nelle strade delle principali città durante festività come Natale e Pasqua. La festa di San Giorgio era spesso accompagnata anche da celebrazioni pubbliche in varie città cristiane. Aveva fatto scalpore il caso degli alberi di Natale dati alle fiamme negli scorsi mesi.
Sappiamo che ora i cristiani vivono nella paura, e tutte le feste della chiesa sono state cancellate del tutto o almeno notevolmente attenuate. Di recente ci sono state segnalazioni secondo cui a Damasco i militanti di HTS hanno invaso ristoranti e bar, rimproverando e insultando i cristiani per aver mangiato e bevuto durante il digiuno musulmano del Ramadan.
I cristiani sono tra le vittime dei massacri della nuova Siria in mano ai takfiri, definiti ridicolmente da Israele come «jihadisti educati». Cristiani e alawati sono oggi oggetto di stragi che qualcuno ha chiamato «neo-ottomane», perpetrate da forze armate nelle cui posizioni di rilievo sono stati nominati jihadisti da tutto il mondo. – basti pensare che il nuovo capo dell’Intelligence damascena è un uomo designato come terrorista dall’ONU.
Tra le poche voci levatesi in loro difesa, quella di monsignor Viganò.
«Questo genocidio si compie oggi sotto i nostri occhi, nel silenzio dei parlamenti delle Nazioni «democratiche» e di una Gerarchia «cattolica» asservita agli interessi del globalismo» ha detto il vescovo in una dichiarazione.
«I nostri fratelli Cristiani sono barbaramente uccisi nelle città e nei villaggi. Anziani, donne e bambini vengono crocifissi e massacrati solo a causa della loro Fede: una Fede che decenni di compromessi e cedimenti hanno quasi completamente cancellato nei Paesi occidentali e specialmente nei loro governanti».
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«Non possiamo rimanere in silenzio né inerti dinanzi al martirio dei nostri fratelli Cristiani» esclama l’arcivescovo. «Quelle scene di violenza disumana e crudeltà che vediamo accadere in terre remote potrebbero domani replicarsi nelle nostre Nazioni, che il tradimento di governanti corrotti ha fatto invadere da orde di fanatici maomettani in età militare, per imporre all’Europa la sostituzione etnica e la cancellazione definitiva della Civiltà cristiana».
Esorto i Cattolici, in questi giorni della Santa Quaresima, a pregare, a digiunare e a fare penitenza per impetrare al Cielo protezione sui fedeli perseguitati e martirizzati in Siria, a Gaza e in molte altre parti del mondo» dice monsignore. «Possa il loro esempio di eroica fermezza nella professione della vera Fede animare, prima che sia troppo tardi, un risveglio delle coscienze dei Cristiani e un ritorno a Dio, dal quale dipende la pace, la concordia e prosperità dei popoli».
Viganò terminava il messaggio con delle parole latine di grande significato: «Deus vult!».
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Senza categoria
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