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Gangster francesi ordinano omicidi tramite un canale Telegram

I gangster francesi utilizzano un servizio basato su Telegram chiamato «UberKills» per ordinare omicidi. Lo riporta la testata parigina Le Monde.
Secondo il quotidiano francese, i clienti comunicano tramite l’app con un responsabile del servizio che passa all’assassino informazioni sull’obiettivo e sulle armi.
L’omicidio di un diciannovenne nella Francia orientale, avvenuto ad aprile, è stato collegato alla rete, ha riportato Le Monde venerdì. La vittima è stata colpita tre volte alla testa e l’attacco è stato trasmesso sull’app di social media Snapchat prima dell’arrivo dei soccorsi.
Secondo Le Monde, la vittima e il presunto assassino sarebbero stati entrambi reclutati tramite Telegram per lavorare in un’organizzazione antidroga locale. Il deceduto era uno studente di informatica senza precedenti penali e avrebbe risposto a un annuncio di lavoro online il giorno prima dell’omicidio che offriva 220 euro al giorno per supervisionare un punto di spaccio.
Le riprese di sorveglianza e i dati digitali hanno permesso alla polizia di identificare il presunto attentatore, un diciottenne di nome Mohamed, entro otto giorni. Aveva viaggiato in treno ad alta velocità da Parigi a Lione ed era arrivato sulla scena del crimine in taxi.
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Il ragazzo è stato arrestato a casa dei suoi genitori, dove la polizia ha trovato gli abiti che indossava durante l’omicidio. Anche una donna che avrebbe aiutato a organizzare il suo viaggio e la logistica è stata arrestata e incriminata, ma nega di essere a conoscenza di aver collaborato a un omicidio. Le autorità affermano che le sono stati pagati 700 euro, mentre il compenso totale per l’omicidio è stato di 2.500 euro.
Un alto funzionario di polizia di Lione ha affermato che negli ultimi tre o quattro anni le autorità hanno osservato un aumento dell’uso di app e reti online nelle attività criminali. La tendenza, ha osservato, riflette quella che ha definito la «uberizzazione del crimine».
All’inizio di questo mese, il fondatore di Telegram, Pavel Durov, indagato in Francia, ha accusato Le Monde di aver condotto una campagna diffamatoria contro la sua piattaforma di messaggistica, affermando che aveva pubblicato 40 articoli negativi su Telegram nelle sette settimane successive al suo arresto in un aeroporto di Parigi nell’agosto 2024.
Durov è stato arrestato con l’accusa di complicità in crimini presumibilmente commessi da utenti di Telegram, tra cui estremismo e abusi su minori. È stato successivamente rilasciato su cauzione.
L’imprenditore di origine russa ha affermato che nella maggior parte dei casi Le Monde non ha richiesto alcun commento all’azienda o ha ignorato le correzioni fornite dalla piattaforma. Ha affermato che il giornale stava cercando di costruire una narrazione negativa su Telegram e ha definito le accuse contro di lui «assurde».
Telegram ha dichiarato in una nota di essere conforme alle normative dell’UE e ha definito assurdo che la piattaforma o il suo fondatore debbano essere ritenuti responsabili degli abusi da parte degli utenti.
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La Francia apre un procedimento penale contro X di Musk. Durov: da Parigi una «crociata» contro la libertà di parola e il progresso tecnologico

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Google chiude il sito Messa in Latino. Contro il totalitarismo web, sarebbe ora di finirla con i blog

Il sito Messa in Latino è stato rimosso dalla piattaforma che lo ospitava, Blogger, che è di proprietà di Google.
Il sito, noto come MiL, era nato nel 2007 all’altezza del Summorum Pontificum di Benedetto XVI, il motu proprio secondo cui, in teoria, veniva «liberata» la messa tradizionale nel mondo. Il blog era molto trafficato (si parla di un milione di visite solo lo scorso mese!) da chi si interessava della Messa in rito antico e non di rado conteneva succose rivelazioni riguardo le meccaniche interne della gerarchia a Roma e nelle diocesi.
La notizia della chiusura del sito è rimbalzata sui giornali e anche al di là dell’Atlantico: a parlarne è anche LifeSiteNews. Secondo quanto riportato in una email inviata da blogger.com si informavano i redattori di Messa in Latino che il sito era stato chiuso con effetto immediato. MiL aveva qualcosa come 22.000 post, un vero tesoro di testimonianza degli ultimi 20 anni di post-concilio.
«Spiacenti, il blog all’indirizzo lamessainlatino.blogspot.com è stato rimosso» è la scritta che appare se si digita l’URL del sito.
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Il Giornale riporta che ora «proprietari del blog hanno reagito rivolgendosi ad uno studio legale ed inviando una diffida per lamentare quella che hanno definito “l’inopinata e soprattutto immotivata soppressione dello stesso” ed hanno richiamato il rispetto dell’articolo 21 della Costituzione in merito al diritto alla libera manifestazione del pensiero».
I motivi della chiusura ad oggi restano, come quasi sempre accade, oscuri.
«Il team di Blogger non ha fornito dettagli su possibili violazioni della politica. Tuttavia, MIL ha suggerito che l’azienda di proprietà di Google avesse sollevato obiezioni ad alcuni post che promuovevano la dottrina cattolica e mettevano in guardia dai pericoli della Massoneria» scrive l’inviato di LifeSitea Roma Michale Haynes. In rete circolano varie altre speculazioni su quale contenuto possa aver fatto scattare la censura: questa o quell’intervista, questo o quell’articolo, quel commento, etc.
Tuttavia, nessuna di queste ipotesi è credibile: è quello che Renovatio 21, che di piattaforme e censure se ne intende, ha imparato in tanti anni di colpi ricevuti, anche in tribunale. L’amara realtà, valida per chiunque sui social, è che non sai mai davvero per cosa ti abbiano censurato.
Si tratta, invero, di una situazione del tutto simile a quella de Il Processo di Franz Kafka: si viene processati e condannati ma non si sa nemmeno per quale accusa. Appellarsi è impossibile, e non vi è – a meno di non passare per gli avvocati, anche lì con tanta fatica, nessun volto umano con cui parlare, talvolta nemmeno una email generica a cui rivolgersi.
Come abbiamo tante volte ripetuto su queste pagine, i social in questo modo altro non fanno che fungere da grande prefigurazione della società totalitaria del futuro prossimo, dove il cittadino diviene «utente» che non ha più diritti, ma gode di «accessi» revocabili a comando dall’alto, con lo Stato a divenire piattaforma in una società controllata e regolata in modo macchinale.
Il fenomeno di rimuginare riguardo alla censura inflitta può arrivare a livelli di paranoia – tante volte lo abbiamo visto anche con grandi figure americane, sparite improvvisamente da YouTube (un’altra mega-piattaforma di Google) o perfino da Amazon, dove abbiamo visto sparire negli anni – cioè essere cancellati, come non fossero mai esistiti – i libri dello psicanalista della terapia riparativa per omosessuali Joseph Nicolosi, i testi di E. Michael Jones o, più di recente, i libri del pensatore russo Alessandro Dugin.
L’unica realtà possibile, è il consiglio spassionato di Renovatio 21 a MiL e a tutti, è quella di andare avanti comunque, tenendo a mente una serie di cose.
In primis, il modello hub and spoke: immaginate che la vostra operazione sia una ruota, ebbene non dovete concentrarvi sui raggi, ma sul mozzo, sul centro della ruota, e da lì procedere verso i raggi (i social, etc.). Il sito, quindi, non può appoggiarsi su una piattaforma straniera, soprattutto se del giro della Silicon Valley compromessa non solo con la cultura wokista, ma soprattutto con lo Stato Profondo USA. È necessario farsi un sito proprio, con un hosting provider fuori dal giro – nemmeno quello, sappiamo, è abbastanza, ma con i backup (in teoria, anche qui: sempre in teoria) in caso di chiusura si può riaprire rapidamente da un’altra parte. Basarsi sul sito, e non sui social o su piattaforme che rendono tutto più facile, non solo è arduo, ma garantisce meno traffico: eppure, la via più corta ti espone alla devastazione che conosciamo.
In secundis, cercare di solidificare la propria posizione, mettendo di mezzo corpi intermedi: come sapete, qui abbiamo penato non poco, e da poco ottenuto, lo status di testata registrata in tribunale – e guai a chi gli scappa di chiamare ancora «blog» Renovatio 21 (Sua Eccellenza, la perdoniamo). Chiaramente, nemmeno questo mette a riparo dalla censura – lo abbiamo visto in pandemia, dove venivano oscurate testate tradizionali antiche e pure dell’establishment, e lo vedremo ancora grazie all’Unione Europea – tuttavia mettere di mezzo corpi intermedi dello Stato e delle sue corporazioni potrebbe, in qualche modo, aiutare.
Farla finita con i blog, i profili Instagram, le pagine Facebook, i canali Telegram e Youtube. E aprire testate giornalistiche sic et simpliciter: sfruttiamo a possibile schermatura la pletora di Stato (leggi, sindacati, ordini, ministeri, tribunali) che esse comportano. No alla bloggheria; sì alla burocrazia.
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Sono solo le nostre indicazioni, basate sulla realtà vissuta nel travaglio di questi lustri. Non è escluso che la cosa si risolva al volo: è successo così anche a Chiesaepostconcilio, altra realtà molto conosciuta sparita dai radar qualche settimana fa, per poi ricomparire d’improvviso. Anche quello è un sito, anzi proprio un sedicente blog, che è rimasto appoggiato per decenni, senza evoluzione di sorta, ad una piattaforma aliena. Comodo, perfino gratuito: ma esiziale.
È facile che in questi casi, la censura sia scattata, più che per contenuti, per segnalazioni a ripetizione: tenete a mente che vi sono orde, specie di certuni orientamenti, fortemente organizzate, e pagate per esserlo, e per agire nella delazione online e pure IRL, cioè nella vita reale. A volte la segnalazione genera la censura, ma infine non attacca del tutto, perché l’argomento è considerato di importanza secondaria (la religione, per essi, lo è: «oppio dei popoli» diceva uno dei loro maestri di ingegneria sociale materialista) e non c’è volontà di rischiarsela in Paesi con leggi dove sopravvivono, malomodo, barlumi di libertà di parola con copertura costituzionale. Non è stato il nostro caso…
Non abbiamo una ricetta magica per evitare il bavaglio, ma possiamo dire che ci siamo, purtroppo, passati. Ai ragazzi di MiL possiamo dire che capiamo il senso di sgomento abissale nel vedere tutto il proprio lavoro – che coincide, in alcuni pensieri, con la propria vita, e forse pure, visto il significato storico, sociale e morale di quel che si fa, qualcosa di più – disintegrato con un click da un’autorità invisibile ed oscura.
Lo ribadiamo: si tratta solo di un’antemprima della società futura, dove saremo valutati, premiati e puniti per i nostri pensieri, e nemmeno quelli scritti o detti, ma quelli del nostro foro interiore, come nei progetti di interfaccia cervello-macchina di Klaus Schwab e compagni.
Forza, avanti. Mica ci si può fermare quando ti distruggono tutto. No?
«Si Deus pro nobis, quis contra nos?» (Rm 8, 31)
Roberto Dal Bosco
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Immagine di Andrewgardner1 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0). Immagine modificata
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