Eutanasia
Eutanasia, caso Trentini: Cappato e Welby assolti. L’asticella della Morte si abbassa ancora
La Corte di Assise di Massa ha assolto Marco Cappato e Mina Welby, dopo oltre due anni di udienze, per il caso Davide Trentini, malato di sclerosi multipla accompagnato da Cappato e Welby in Svizzera dopo che da anni chiedeva di poter morire.
La sentenza stabilita dai giudici afferma che i due non hanno istigato al suicidio Trentini, e se lo hanno aiutato a morire portandolo in Svizzera il fatto non costituisce comunque reato.
«Assolti perché il fatto non sussiste» per l’accusa di istigazione e assolti dall’accusa di aiuto al suicidio perché il fatto non costituisce reato
«Assolti perché il fatto non sussiste» per l’accusa di istigazione e assolti dall’accusa di aiuto al suicidio perché il fatto non costituisce reato.
I giudici della Corte hanno accolto le richiesta dell’avvocato Filomena Gallo, segretario e legale dell’Associazione Luca Coscioni che si batte per i presunti diritti civili e per le presunte libertà personali – tutte tranne la libertà vaccinale (chissà perché), visto che in un processo di qualche anno fa aveva difeso la parte di un genitore che voleva a tutti i costi vaccinare la figlia opponendosi al parere dell’altro genitore contrario alle vaccinazioni obbligatorie per la figlia.
Finisce quindi così il processo per la morte di Davide Trentini.
Questa sentenza va oltre quella del caso Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo
Per chi non lo ricordasse, nel 2017 Cappato e Welby si erano dati da fare aiutandolo, attraverso l’associazione Soccorso Civile, a trovare i soldi necessari alla trasferta in Svizzera, e accompagnandolo oltre confine, andandosi ad autodenunciare ai Carabinieri subito dopo il suicidio assistito di Trentini.
Ciò che in molti non hanno capito, meno che mai i bioetici del momento — e che invece Cappato e i radicali tutti, invece, hanno capito perfettamente — è che questa sentenza va oltre quella del caso Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, quando Cappato fu assolto nel dicembre del 2019 in base al pronunciamento della Corte Costituzionale.
In quel caso, i quattro punti previsti dalla Consulta perché l’aiuto al suicidio non fosse reato presupponevano che:
Paletti costruiti su falsità etiche che ora sono stati abbassati ancora di più
- Una persona fosse tenuta in vita con l’idratazione e la nutrizione artificiale o altro genere di sostegni vitali;
- Il soggetto soffrisse di una malattia irreversibile;
- Che essa potesse essere fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche;
- Che il malato restasse tuttavia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
Presupposti comunque assurdi, ma con dei paletti costruiti su falsità etiche che ora sono stati abbassati ancora di più: Trentini, infatti, era sì malato di sclerosi multipla da trent’anni, ma non aveva sostegni vitali filtrati da macchinari.
«È un precedente importante perché allarga il margine di applicazione della sentenza della Corte Costituzionale anche per coloro che non sono attaccati ad una macchina» dice Cappato
Ed è lo stesso Cappato ad intuire e poi ad annunciare questo ulteriore abbassamento dell’asticella:
«È un precedente importante perché allarga il margine di applicazione della sentenza della Corte Costituzionale anche per coloro che non sono attaccati ad una macchina».
«I giudici — ha proseguito Cappato nel commento postumo a quest’ultima sentenza — hanno interpretato in senso più ampio l’idea di sostegno vitale includendovi, come dicevamo noi, anche terapie farmacologiche, pratiche manuali necessarie alla sopravvivenza».
I singoli tribunali continuano a fornire, a suon di sentenze, una traccia su quello che ci aspetterà nel futuro prossimo
Mentre l’Associazione Luca Coscioni e tutti i radicali aspettano una legge sull’eutanasia di Stato emanata dal Parlamento, i singoli tribunali continuano a fornire, a suon di sentenze, una traccia su quello che ci aspetterà nel futuro prossimo: la terminazione della vita à la carte, pagata dallo Stato, e poi magari imposta dallo Stato.
Con o senza la legge.
Cristiano Lugli
Eutanasia
Slovenia, eutanasia respinta dal referendum
Il Parlamento sloveno ha approvato la legalizzazione dell’eutanasia, ma una campagna popolare è riuscita a respingere la legge tramite un referendum tenutosi domenica 23 novembre 2025.
Infatti, nel luglio 2025, il Parlamento di questo Paese senza sbocco sul mare, confinante con Italia, Austria, Ungheria e Croazia e affacciato sul Mar Adriatico, ha approvato una legge per legalizzare l’eutanasia. Il Parlamento è composto da due camere: l’Assemblea Nazionale e il Consiglio Nazionale.
Sembrava che il dado fosse tratto e che la Slovenia si fosse unita al crescente numero di paesi che rifiutavano sempre più la legge naturale e divina adottando il suicidio assistito e l’eutanasia, nonostante circa due terzi della popolazione si identificasse come cattolica.
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Organizzare un referendum
Ma la coscienza cattolica ha reagito: un gruppo chiamato «Voice for Children and Family» ha organizzato una raccolta firme contro la legge, raccogliendo rapidamente 46.000 firme, sufficienti per innescare un referendum.
La sfida era trasformare questa opportunità in un successo. In Slovenia, affinché un referendum sia valido, almeno il 20% degli 1,7 milioni di elettori registrati nel Paese deve recarsi alle urne. Questa soglia è stata ampiamente superata, con oltre il 40% degli elettori presenti.
Ma era necessario anche prendere in considerazione una campagna a favore dell’eutanasia, promossa dalla maggioranza dei politici e sostenuta da finanziamenti ingenti. Il primo ministro Robert Golob ha chiesto ai cittadini di sostenere la legge affinché “ognuno di noi possa decidere autonomamente come e con quale dignità porrà fine alla propria vita”.
Gli oppositori dell’eutanasia hanno organizzato la loro campagna attraverso una coalizione di vari gruppi pro-life e campagne porta a porta per convincere gli sloveni. La coalizione ha ricevuto il sostegno della Chiesa cattolica e di alcuni partiti di opposizione.
Alla fine, il referendum contro l’eutanasia ha avuto successo. Tuttavia, la vittoria è stata risicata: il 53% ha votato contro la legge sull’eutanasia e il 47% a favore. Oltre alla maggioranza, la legge richiede che la proposta referendaria riceva il sostegno del 20% degli elettori.
Ales Primc, direttore di Voz za otroke in družino (Voce per i bambini e la famiglia), si è rallegrato per la vittoria della «solidarietà e della giustizia» e per il rifiuto della Slovenia delle riforme governative “basate sulla morte e sull’avvelenamento. … È un miracolo”, ha aggiunto, “la cultura della vita ha trionfato sulla cultura della morte”.
Purtroppo, il referendum significa solo che il governo non potrà introdurre un’altra legge sull’eutanasia per dodici mesi. È certo che, tra poco più di un anno, un nuovo disegno di legge sarà presentato in Parlamento, ignorando la sacrosanta «volontà generale».
Tuttavia, come commenta InfoCatolica , «le misure contrarie alla legge naturale devono avere successo una sola volta». Non importa che vengano respinte e falliscano ripetutamente: una volta approvate, le leggi sull’eutanasia, il divorzio, l’aborto o il «matrimonio» tra persone dello stesso sesso sono considerate immutabili.
La Slovenia è un paese prevalentemente cristiano: i cattolici costituiscono il 72% della popolazione, seguiti da un considerevole 18% di persone senza religione (come in tutti gli ex Paesi comunisti), dal 3,5% di cristiani ortodossi, dal 2,9% di musulmani e da meno dell’1% di protestanti.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Eutanasia
Il vero volto del suicidio Kessler
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Eutanasia
Gemelle Kessler, Necrocultura Dadaumpa
Alice ed Ellen Kessler erano diventate membri della Deutsche Gesellschaft fur Humanes Sterben (società tedesca per la morte umana) da oltre sei mesi e avevano deciso di morire insieme il 17 novembre. Secondo quanto riportato da una testata bavarese, un avvocato e un medico della DGHS avrebbero condotto dei colloqui preliminari con le famose gemelle e alla data stabilita si sarebbero recati nella loro casa di Grunwald per «assisterle».
In Germania il suicidio assistito è stato depenalizzato nel 2020 dalla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato incostituzionale una norma che lo proibiva. La sentenza in questione stabiliva infatti che deve esserci «margine sufficiente affinché un individuo possa esercitare il proprio diritto a una morte autodeterminata».
La Corte Costituzionale ha specificato altresì che nessuno può essere obbligato a favorire il suicidio assistito e ha lasciato al Parlamento la facoltà di introdurre una legislazione sul tema, ma finora i tentativi di arrivare a una legge sono tutti falliti. In Germania è consentito ricorrere a tale pratica solamente ad alcune condizioni: colui o colei che intende ricorrervi deve dimostrare di agire responsabilmente e di propria spontanea volontà, di essere maggiorenne e di avere riconosciuta la propria capacità giuridica.
Inoltre, chi assiste il richiedente non può eseguire personalmente l’atto, perché ciò sarebbe da considerare una pratica di «eutanasia attiva», che invece è vietata. La morte avviene tramite l’infusione endovenosa di un’alta dose di anestetico barbiturico che provoca, in breve tempo, l’arresto cardiocircolatorio del soggetto ricevente.
In un’intervista rilasciata nel 2019 al Quotidiano Nazionale Ellen Kessler aveva manifestato la volontà che le loro ceneri fossero unite a quelle della mamma e del cane: «ne abbiamo parlato noi due e abbiamo deciso di fare così, di stare tutte in un’urna. Anche il cane (…) lo spazio ci vuole. La gente è sempre di più, invecchia sempre di più, la morte purtroppo c’è per tutti e quindi la soluzione è questa: una tomba e un’urna per tutti. Molti in Germania adesso si fanno cremare e seppellire sotto un albero nella foresta (…) Non vogliamo certo finire in un asilo per anziani o per malati. Abbiamo un testamento biologico secondo cui se succede qualcosa di grave ci sono degli ospedali speciali che curano senza allungare la vita. Il mio sogno è andare a letto e non svegliarmi più, la morte più bella che ci possa essere».
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Mentre in un’intervista rilasciata lo scorso anno al quotidiano Bild le Kessler avevano dichiarato di non voler sopravvivere l’una all’altra e avevano anche aggiunto che una vita senza dignità non vale la pena di essere vissuta.
La loro decisione, tuttavia, non può essere compresa appieno senza considerare il contesto filosofico in cui si inserisce. In questa prospettiva, il materialismo del pensiero moderno identifica il principio vitale dell’essere umano nell’attività cerebrale, mentre la tradizione filosofica su cui la civiltà occidentale ha fondato il suo diritto e la sua morale, almeno fino alla metà del secolo scorso, afferma che l’uomo è composto di anima e corpo e ha nell’anima razionale il principio vitale che lo caratterizza. Tale principio pur essendo nel corpo non si trova in nessun organo, tessuto o funzione perché è di natura spirituale.
Pertanto, ciò che sostanzia l’essere umano non è l’autocoscienza e nemmeno la sua capacità di interagire con l’ambiente ma la presenza in lui dell’anima razionale che include l’uso di queste funzioni. La vita inizia con l’infusione da parte di Dio Creatore dell’anima nel corpo e termina con la separazione da esso, nel momento in cui l’organismo si dissolve nei suoi elementi costitutivi.
Ci troviamo di fronte a due concezioni dell’esistenza umana diametralmente opposte: una che riconosce e difende il suo valore intrinseco, l’altra che riconosce il suo valore solo a determinate condizioni. Nell’ottica cristiana l’uomo è Imago Dei mentre in quella del pensiero moderno è un mero agglomerato di organi e funzioni al pari di qualsiasi altro essere vivente; ancora, nell’ottica cristiana la dignità della persona umana è ontologica, mentre in quella del pensiero moderno dipende dalla persistenza o meno di determinate funzioni intellettive: la sofferenza fisica e/o psichica viene considerata un danno oggettivo alla qualità della vita di un essere umano che viene talvolta ritenuto motivo sufficiente per giustificarne l’eliminazione.
La concezione filosofica dell’esistenza che hanno espresso in vita le gemelle Kessler è esattamente quella che la Necrocultura diffonde con ogni modalità possibile e in tutti i campi. La loro fine rappresenta, in fondo, ciò che lo stato moderno si aspetta che ciascuno di noi faccia, ossia togliere il disturbo quando la nostra condizione non ci consente più di produrre o essere utile agli altri o alla comunità nel suo complesso.
Va da sé che il cosiddetto principio dell’autodeterminazione rappresenta il classico specchietto per le allodole: l’eutanasia e il suicidio assistito conducono necessariamente all’eliminazione di tutti coloro che non hanno una qualità di vita ritenuta sufficiente secondo i parametri della modernità, come abbiamo visto nei casi di Charlie Gard e Alfie Evans uccisi dalla giustizia inglese in ossequio al loro best interest, solo per fare qualche esempio. L’eliminazione programmata e obbligatoria dell’essere umano è un approdo che rischia di diventare solo questione di tempo.
La scelta delle gemelle Kessler diventa il simbolo di un conflitto sempre più evidente nella nostra società: da una parte una visione che riconosce alla vita umana un valore intrinseco, indipendente da condizioni di efficienza o autonomia; dall’altra una concezione che lega la dignità alla qualità percepita dell’esistenza e che vede nella fragilità e nella sofferenza un limite intollerabile.
Di fronte a questa deriva culturale, è necessario ribadire che la dignità umana non è negoziabile e non dipende dalle condizioni in cui ci si trova.
Alfredo De Matteo
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificatra
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