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Epidemie

Emilia-Romagna, plasmaterapia, burocrazia

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L’Emilia-Romagna è stata certamente una delle regioni più coinvolte nella gestione sanitaria dettata dal picco epidemico di Covid-19. 

 

Dopo Codogno (Lombardia) e Vo’ Euganeo (Veneto) si può dire che il disastro più grosso, nonostante il palese tentativo di insabbiarlo, sia avvenuto a Piacenza, coinvolgendo poi pian piano le altre province adiacenti — prima Parma, poi Reggio Emilia, poi ancora Modena fino ad arrivare in Romagna. Alla fine anche il Commissario all’emergenza Coronavirus, Sergio Venturi, ha dovuto ammettere che provincia piacentina ha «affrontato l’ondata di piena senza avere purtroppo ancora tutte le misure di distanziamento e le ulteriori misure di blocchi produttivi che sono stati progressivamente stabiliti». 

 

Del dramma emiliano-romagnolo pare quasi non se ne voglia parlare più di tanto, evitando persino di prendere in considerazione gli sconvolgenti dati a proposito delle RSA

Tuttavia del dramma emiliano-romagnolo pare quasi non se ne voglia parlare più di tanto, evitando persino di prendere in considerazione gli sconvolgenti dati a proposito delle RSA e, quindi, della gestione a livello regionale: il 57,7% dei pazienti deceduti nelle case di cura dell’Emilia-Romagna nei tre mesi di epidemia italiana sono morti a causa del COVID-19. La tanto citata Lombardia è seconda all’Emilia con il 53,4% dei decessi causa Coronavirus tra i pazienti delle residenze per anziani.

 

Prima in classifica fra le province più colpite a livello di decessi nelle RSA causa Sars-Cov-2 troviamo Bergamo — in generale la provincia più colpita di tutte come tasso di mortalità complessivo —, ma al secondo posto non troviamo né Lodi né Brescia né Milano: troviamo Reggio Emilia.

 

Il 57,7% dei pazienti deceduti nelle case di cura dell’Emilia-Romagna nei tre mesi di epidemia italiana sono morti a causa del COVID-19. La tanto citata Lombardia è seconda all’Emilia con il 53,4% dei decessi causa Coronavirus tra i pazienti delle residenze per anziani

Su Renovatio 21 ci siamo già chiesti se per caso sarà avviato un commissariamento anche in questa Regione, se non altro per trovare risposte a questi dati tragici e riguardanti una fetta di popolazione assai fragile, già sufficientemente compromessa dalla necessità di dover passare l’ultimo atto della propria vita lontana dai propri affetti e dalle proprie cose.

 

Abbiamo tuttavia il vago sospetto che l’Emilia-Romagna ne uscirà fuori immacolata, anzi, saltano fuori addirittura voci di un Bonaccini papabile futuro premier. Santi subito, insomma, per buona pace dei dati di mortalità — certamente sottostimati — circa i poveri anziani residenti in luoghi in cui, invece che essere protetti, ci hanno lasciato le penne.

 

Oltre al danno, poi, anche la beffa: qualcuno sta pensando di intervenire seriamente a livello regionale per contenere il disastro propagato all’interno delle residenze per anziani, ancora in totale emergenza? A noi pare di no, considerando che le chiacchiere non curano le persone dal COVID.

 

Sarebbe interessante sapere quanti anziani sono stati seriamente curati all’interno di queste strutture, quando sono stati fatti i primi tamponi e, perché no, quali misure di prevenzione sono state messe in atto e con quanto anticipo. E poi le linee guida: le linee guida delle aziende sanitarie locali — e quindi regionali — sono state efficaci? 

 

In questi giorni la Regione ha dato notizia di essersi messa al lavoro sul fronte di ricerca per la terapia con il plasma iperimmune, sulla quale, ci tengono a dire con convinzione annunciandone la notizia, «allo stato attuale non esistono evidenze scientifiche conclusive che ne dimostrino la comprata efficacia». 

 

Quindi, proseguono, «in attesa che i protocolli clinici regionali in corso possano definire quanto questo approccio terapeutico migliori la prognosi dei pazienti affetti da forme gravi di infezioni da SARS-CoV-2, la Regione ha aderito allo studio nazionale – chiamato “Tsunami” e messo a punto da Aifa e Istituto Superiore di sanità – sull’efficacia della terapia con plasma in pazienti con polmonite dovuta al virus».

 

Difficile non far caso al fatto che mentre la gente muore, o comunque versa in condizioni cliniche gravi, qui il mantra imperante sia «evidenze scientifiche». 

 

Le stesse «evidenze scientifiche» non sono però interessate a nessuno quando è stato il momento di agire con farmaci giammai testati per far fronte al COVID, rivelatisi poi, in un secondo momento, non solo inutili ed inefficaci ma altresì dannosi, e in alcuni casi persino ritirati

Perché per il plasma iperimmune tutti vogliono «evidenze scientifiche»? 

 

Perché per il plasma iperimmune tutti vogliono «evidenze scientifiche»? 

 

Il Direttore del centro nazionale del sangue, Giancarlo Liumbruno, ha espresso soddisfazione per l’adesione dell’Emilia-Romagna alla ricerca “Tsunami”, precisando che lo studio ha tutti i requisiti necessari «per fornire prove scientifiche robuste che finora ancora non abbiamo».

 

Frattanto il Centro regionale sangue e l’Agenzia sanitaria e sociale, in accordo con l’assessorato, hanno predisposto un protocollo di studio per valutare la fattibilità di un percorso regionale di produzione di plasma da pazienti che hanno contratto l’infezione COVID-19. 

Se non ci fossero state Mantova e Pavia, chi avrebbe inviato due sacche di plasma a Palermo per tentare di salvare una donna incinta (e quindi anche il bambino che porta in grembo) appena rientrata da Londra in gravi condizioni a causa del Nuovo Coronavirus?

 

L’obiettivo sarebbe quello di capire quale potrebbe essere la reale capacità produttiva di plasma iperimmune da parte della Rete Trasfusionale Regionale. A partire dall’identificazione attraverso uno studio di fattibilità, di chi, tra i soggetti infettati e guariti dal COVID-19, può essere considerato idoneo a diventare un possibile donatore di «plasma iperimmune».

 

Ora, nessuno vuole qui negare che occorrano inevitabilmente diversi passaggi per giungere alle certezze mediche, ma voi vi immaginate se all’Ospedale Carlo Poma di Mantova il Dott. De Donno e tutto lo staff, compreso l’Ospedale San Matteo di Pavia, avessero aspettato tutto questo tempo? I 48 pazienti che versavano in gravi condizioni, salvati attraverso il plasma, ora sarebbero presumibilmente morti e non potrebbero raccontarcelo.

 

Non c’era tempo. Perché ogni minuto perso sarebbe potuto costare una vita umana. Se non ci fossero state Mantova e Pavia, chi avrebbe inviato due sacche di plasma a Palermo per tentare di salvare una donna incinta (e quindi anche il bambino che porta in grembo) appena rientrata da Londra in gravi condizioni a causa del Nuovo Coronavirus

 

Ci chiediamo ancora una volta: perché molti farmaci dalla dubbia efficacia o comunque testati pochissimo sono stati quasi subito autorizzati e per il plasma, invece, nonostante la certezza sulla sicurezza, tutto diventa così complesso e burocraticizzato?

 

Il protocollo del Dott. De Donno ha funzionato, su tutti i 48 pazienti testati. Non è forse una assoluta evidenza pratica, questa? Possibile che in Emilia-Romagna, come purtroppo in altre regioni, non sia ancora possibile donare il plasma che si è dimostrato strumento efficace, sicuro, gratuito e solidale per salvare vite o migliorare le condizioni di molti pazienti? 

 

Perché molti farmaci dalla dubbia efficacia o comunque testati pochissimo sono stati quasi subito autorizzati e per il plasma, invece, nonostante la certezza sulla sicurezza, tutto diventa così complesso e burocraticizzato?

Cosa stiamo aspettando, visto che non siamo nemmeno sicuri che gli anticorpi dei convalescenti dureranno in eterno? Aspettiamo che molte persone non possano più donare? 

 

Per esperienza personale e diretta posso dire che molti miei colleghi sanitari guariti dal COVID, non riuscendo ad andare a Mantova, non hanno potuto donare perché nelle proprie province le linee guida sulla donazione non erano ancora chiare. Una volta tornati a lavoro, i sanitari — particolarmente quelli ancora a contatto con pazienti-Covid — non possono più donare. Fine del gioco. 

 

Cosa stiamo aspettando, visto che non siamo nemmeno sicuri che gli anticorpi dei convalescenti dureranno in eterno? Aspettiamo che molte persone non possano più donare? 

Pensate quante opportunità perse, quante possibilità buttate per rendere conto al burocratismo delle «evidenze scientifiche».

 

Pensate a quanti anziani che versano ancora in condizioni tutt’altro che buone nelle RSA potrebbero essere probabilmente salvati. 

 

L’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Mantova ha già messo in atto un protocollo specifico per le residenze per anziani Green Park, che coinvolgerà 120 ospiti e pronto ad essere allargato o ampliato ad altre collaborazioni. 

Posso dire che molti miei colleghi sanitari guariti dal COVID, non riuscendo ad andare a Mantova, non hanno potuto donare perché nelle proprie province le linee guida sulla donazione non erano ancora chiare

 

In Emilia-Romagna — dove ci si guarda bene dal citare anche solo lontanamente Mantova e Pavia e, vade retro, non sia mai, il Dott. Giuseppe De Donno — cosa stanno aspettando?  

 

Noi, purtroppo, una vaga idea ce l’abbiamo.

 

 

Cristiano Lugli

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Epidemie

La Russia sottoporrà a test per l’epatite tutti i lavoratori immigrati. E l’Italia?

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A partire da marzo 2026, la Russia imporrà ai lavoratori migranti di sottoporsi a test per l’epatite B e C, ampliando le attuali disposizioni di screening medico. Le nuove regole si applicheranno ai cittadini stranieri e agli apolidi che entrano in Russia per lavoro, oltre a coloro che richiedono lo status di rifugiato o asilo temporaneo.

 

Le visite mediche sono obbligatorie per i migranti: senza di esse, non è possibile ottenere permessi di lavoro, residenza temporanea o permanente. I lavoratori migranti devono completare gli esami entro 30 giorni dall’arrivo, mentre chi non intende lavorare ha 90 giorni di tempo. Attualmente, gli screening includono test per droghe e malattie gravi come HIV, tubercolosi, sifilide e lebbra.

 

Le modifiche al processo di controllo sanitario per gli stranieri in visita sono state proposte all’inizio dell’anno da un gruppo di lavoro sulle politiche migratorie, guidato dalla vicepresidente della Duma di Stato, Irina Yarovaya. La vicepresidente ha chiarito che l’obiettivo è rafforzare il monitoraggio sanitario degli stranieri in arrivo e prevenire la diffusione di malattie pericolose.

 

I lavoratori migranti sono fondamentali per l’economia russa, occupando ruoli chiave in settori come edilizia, agricoltura e servizi. Milioni di migranti, soprattutto dall’Asia centrale, sono attratti da salari più alti rispetto ai loro paesi d’origine. Tuttavia, questo afflusso ha sollevato dibattiti su salute pubblica e stabilità sociale. Per questo, le autorità russe hanno introdotto rigidi controlli sanitari e requisiti per i migranti, cercando di bilanciare i benefici economici con la sicurezza sanitaria.

 

Nell’ultimo anno, la Russia ha anche intensificato la lotta contro l’immigrazione illegale. Il presidente Vladimir Putin ha firmato un decreto che istituisce una nuova agenzia statale all’interno del Ministero dell’Interno, incaricata di migliorare la gestione dei flussi migratori.

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Il Cremlino ha dichiarato che l’iniziativa punta a razionalizzare il processo migratorio, promuovere il rispetto delle leggi russe tra i migranti e ridurre le attività illegali.

 

In Italia la situazione epidemiologica dell’immigrazione è un grande tabù del discorso pubblico.

 

«In base ai dati epidemiologici in nostro possesso, risulta che in Italia il 34,3% delle persone diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera» diceva in un’intervista a Renovatio 21 il dottor Paolo Gulisano sette anni fa. «Considerato che gli stranieri rappresentano circa il 10% della popolazione italiana, questo dato vuole dire che la diffusione dell’HIV tra gli stranieri è oltre il triplo che negli italiani».

 

«Un dato che fa pensare. Molti immigrati provengono da Paesi dove la diffusione dell’HIV, così come quella della TBC, è molto più alta che in Europa. Basta far parlare i dati. Il numero dei decessi correlati all’AIDS nel 2016 per grandi aree è il seguente: Africa Sud-Orientale: 420 mila; Africa Centro-Orientale: 310 mila; Nord Africa e Medio Oriente: 11 mila; America Latina: 36 mila, più il dato dei soli Caraibi che è di 9400. Europa dell’Est e Asia centrale: 40 mila; Europa Occidentale e Nord America: 18 mila; Asia e Pacifico: 170 mila. Ora, la lettura di questi numeri ci fornisce delle evidenze molto chiare».

 

«È quindi chiaro quali siano i rischi di una immigrazione di massa, incontrollata anche dal punto di vista sanitario, e i rischi legati al fatto che un numero impressionante di immigrate africane viene gettato nel calderone infernale della prostituzione, che diventa veicolo di diffusione di malattie veneree».

 

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Epidemie

Paura e profitto, dall’AIDS al COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   La regista ed ex reporter della BBC Joan Shenton ha paragonato la pandemia di COVID-19 all’epidemia di AIDS, definendola una «seconda versione» della stessa narrazione sulla salute pubblica. Entrambe le epidemie includevano l’uso improprio dei test PCR, la soppressione di scienziati dissenzienti e le motivazioni finanziarie alla base del «terrore della peste», ha affermato Shenton in un’intervista con Mary Holland, CEO di Children’s Health Defense, su CHD.TV.   La pandemia di COVID-19 è stata un evento che si verifica una volta ogni secolo o ha avuto parallelismi nella storia recente? Per la regista ed ex reporter della BBC Joan Shenton, la pandemia è stata la «seconda ripresa» dell’epidemia di AIDS.   «È stato così angosciante dover affrontare il COVID», ha detto Shenton a Mary Holland, CEO di Children’s Health Defense (CHD), durante un’intervista di lunedì su CHD.TV. «Se solo avessimo potuto vincere la battaglia contro l’AIDS, non avremmo avuto il COVID».   Shenton, produttore del documentario del 2011 Positivamente Falso: Nascita di un’eresia e autore del libro del 1998 «Positively False: Exposing the Myths around HIV and AIDS», si è unito alla Holland per discutere delle somiglianze tra l’epidemia di COVID-19 e quella di AIDS.   Entrambe le epidemie includono l’uso inappropriato dei test PCR per determinare l’infezione, la somministrazione di trattamenti medici che si sono rivelati mortali per molti pazienti, il coinvolgimento di personaggi come il dottor Anthony Fauci e le ripercussioni affrontate dagli scienziati che hanno messo in discussione la narrazione dominante, ha affermato Shenton.   «Una delle cose straordinarie e sorprendenti di tutto questo… è quanto siano simili molte delle dinamiche dell’epidemia di AIDS a quelle dell’epidemia di COVID», ha affermato Shenton.   Secondo Shenton, le risposte all’AIDS e al COVID-19 sono esempi di «terrore della peste», una strategia «utilizzata da organizzazioni che guadagnano enormi quantità di denaro attraverso le malattie infettive, definendo le cose infettive».   Shenton ha affermato di pensare che il suo documentario avrebbe contribuito a cambiare la narrazione dominante sull’AIDS, ma non è riuscito a superare i potenti interessi che traggono profitto dallo status quo.   «Spesso pensavamo che avremmo cambiato il mondo, ma non è così», ha detto Shenton.   Tuttavia, il documentario ha prodotto un archivio di 35 anni di studi scientifici, interviste video e altri documenti. Shenton ha donato la biblioteca informativa al CHD.   «Metteremo a disposizione un archivio delle sue migliaia e migliaia di pagine sull’AIDS», ha affermato Holland. Si prevede che i documenti saranno accessibili nei prossimi mesi.

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Le opinioni dissenzienti sull’AIDS «abilmente represse per decenni»

Shenton era una reporter della BBC, l’emittente pubblica nazionale del Regno Unito, quando sviluppò il lupus indotto da farmaci, dopo essere stata sottoposta a un’eccessiva terapia farmacologica in Spagna negli anni ’70.   «Mi hanno dato tutto quello che c’era scritto nel libro», ha detto Shenton. «Certo, sono imploso e mi sono sentito gravemente male. Sono stato al Westminster Hospital per due mesi. Sono quasi morto».   L’esperienza ha suscitato in lei l’interesse per le indagini sulle lesioni causate dai trattamenti medici.   In seguito è entrata a far parte dell’emittente nazionale britannica Channel 4, producendo una serie di documentari, Kill or Cure. La serie si concentrava sulla riluttanza delle grandi aziende farmaceutiche a ritirare trattamenti pericolosi o inefficaci. «Quello mi ha davvero dato la carica», ha detto Shenton.   Nei primi anni ’80, Shenton e il suo produttore vennero a conoscenza della ricerca del dottor Peter Duesberg, un biologo molecolare tedesco che sosteneva che l’HIV non causava l’AIDS.   Iniziò a mettere in discussione le narrazioni dominanti. «Abbiamo continuato a realizzare 13 documentari sull’AIDS», ha detto Shenton.   Il documentario Positively False si concentra sulla «manipolazione delle aziende farmaceutiche e delle organizzazioni [mediche] interessate in tutto il mondo, che manipolano il terrore della peste», ha affermato Shenton.   Il film rivela «la scienza imperfetta che circonda l’AIDS e le conseguenze di seguire ipotesi sbagliate», ha affermato Shenton nell’introduzione. Tra queste, la convinzione che l’AIDS sia infettivo, che sia causato dall’HIV e che l’HIV sia contagioso.   «Molti scienziati e ricercatori non sono d’accordo. Queste opinioni sono state abilmente represse per decenni dall’ortodossia scientifica prevalente e dai media mainstream», ha affermato Shenton nel documentario.   I ricercatori che mettevano in discussione la narrazione dominante sull’HIV/AIDS sono stati repressi e messi a tacere, così come gli scienziati che mettevano in discussione la narrazione prevalente sul COVID-19, ha affermato Shenton.

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Test PCR «completamente inutili» per AIDS e COVID

In entrambi i focolai, sono stati utilizzati test PCR per determinare l’infezione, ha affermato.   «Il test [PCR] è completamente e totalmente inutile», ha detto Shenton. I test non possono «distinguere tra particelle infettive e non infettive».   Shenton ha affermato che i diversi Paesi utilizzano standard diversi per determinare una diagnosi positiva di HIV.   «Si potrebbe fare il test per l’HIV, per esempio in Sudafrica, e risultare positivi, e volare in Australia e risultare negativi», ha detto Shenton.   All’inizio dell’epidemia di AIDS, molti scienziati ritenevano che fattori legati allo stile di vita, tra cui la dipendenza da droghe ricreative e l’uso di nitriti come i «poppers», fossero la causa dell’AIDS a causa dei danni che provocavano al sistema immunitario.   Allo stesso tempo, i funzionari sanitari e i media hanno erroneamente attribuito la diffusione della malattia in Africa all’AIDS, quando in realtà era la mancanza di accesso all’acqua potabile a far ammalare le persone, ha detto Shenton.   Queste narrazioni sono cambiate quando le agenzie sanitarie governative hanno iniziato a interessarsi alla ricerca sull’AIDS, ha affermato Shenton.   «Quando il CDC [Centers for Disease Control and Prevention] è intervenuto e ha riunito tutti i suoi rappresentanti per esaminare questo gruppo di giovani uomini che erano molto, molto malati… l’intera teoria secondo cui l’AIDS era causato dallo stile di vita o dalla tossicità è scomparsa», ha detto Shenton.

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Fauci ha promosso trattamenti mortali per AIDS e COVID

Shenton ha affermato che i trattamenti medici dannosi sono stati al centro sia dell’epidemia di AIDS che di quella di COVID-19.   Nel 1987, la Food and Drug Administration statunitense approvò l’AZT (azidotimidina) per le persone sieropositive. L’AZT si rivelò pericoloso per molti pazienti affetti da AIDS. Durante la pandemia di COVID-19, i vaccini e il remdesivir hanno danneggiato le persone.   E in entrambi i casi – l’epidemia di AIDS e la pandemia di COVID-19 – Fauci ha svolto un ruolo chiave.   «Eravamo profondamente, profondamente critici nei confronti di Fauci, per il modo in cui ha gestito gli studi multicentrici di fase due sull’AZT. Voglio dire, erano corrotti, e tutta la prima fase è stata finanziata dall’azienda farmaceutica [Burroughs Wellcome, ora GSK ], e avevano dei rappresentanti, e questo è noto attraverso i documenti sulla libertà di informazione, che sono andati lì e hanno portato a casa i risultati del gruppo trattato con il farmaco e del gruppo placebo, eliminando gli effetti collaterali nel gruppo trattato con il farmaco» ha detto la Shenton.   Nel film Positively False, diversi scienziati e ricercatori hanno spiegato come l’AZT impedisca la sintesi del DNA, impedisca la replicazione delle cellule e contribuisca alla generazione di cellule cancerose.   Tuttavia, secondo il documentario, i pazienti che mettevano in dubbio la sicurezza e l’efficacia dell’AZT venivano stigmatizzati e la loro sanità mentale veniva messa in discussione.   Holland ha fatto riferimento al libro del 2021 del Segretario alla Salute degli Stati Uniti Robert F. Kennedy Jr., The Real Anthony Fauci : Bill Gates, Big Pharma, and the Global War on Democracy and Public Health che contiene una sezione sul lavoro di Fauci durante l’epidemia di AIDS.   «Solleva tutti questi interrogativi il fatto che in realtà sembra la stessa truffa e gli stessi giocatori… non è cambiato molto», ha detto Holland.

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Il «terrore della peste» esisteva molto prima dell’AIDS o del COVID

Secondo Shenton, le epidemie di AIDS e COVID-19 sono esempi di «terrore della peste», che è esistito nel corso della storia.   All’inizio del XX secolo, negli Appalachi, fu diagnosticata un’epidemia di pellagra. La malattia, che causava una mortalità diffusa e si diceva fosse infettiva, si rivelò essere una carenza nutrizionale.   «Negli Appalachi, la popolazione molto povera viveva con una dieta completamente priva di nutrienti», ha detto Sheton. «Si trattava di una varietà di mais, ma lo cucinavano eliminandone tutti i nutrienti e dipendevano solo da quello».   La gente aveva così tanta paura di contrarre la pellagra che coloro che si pensava fossero infetti venivano ricoverati in istituti o «gettati fuori dalle navi», ha affermato.   Un infettivologo di New York, il dottor Joseph Goldberger, stabilì che la pellagra non era contagiosa, ma era causata da malnutrizione e carenza di niacina (vitamina B), ha detto Shenton. Fu emarginato per le sue scoperte.   «È stato ridotto allo stato laicale, privato dei fondi, ridicolizzato. È morto. E cinque anni dopo la sua morte, hanno detto che aveva assolutamente ragione: non era contagioso, era tossico», ha detto.   Secondo Shenton, in Giappone dagli anni ’50 agli anni ’70 la mielo-ottico-neuropatia subacuta (SMON) era comune.   «Centinaia di migliaia di giapponesi sono rimasti paralizzati dalla vita in giù e ciechi, e nessuno riusciva a capire il perché. E ovviamente pensavano: “Oh, è un virus”», ha detto.   Un neurologo giapponese, il dottor Tadao Tsubaki, ha studiato i pazienti affetti da SMON e ha stabilito che la condizione non era infettiva, ma era causata da un farmaco antidiarroico ampiamente somministrato, il cliochinolo.   «Ci sono voluti 30 anni e squadre di avvocati per respingere in tribunale l’idea che la causa della SMON fosse un virus», ha affermato Shenton.   Michael Nevradakis Ph.D.   © 7 ottobre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.    

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Epidemie

Le restrizioni COVID in Spagna dichiarate incostituzionali, annullate oltre 90.000 multe

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Oltre 90.000 multe per violazioni delle norme anti-COVID sono state annullate dopo che la Corte costituzionale spagnola ha dichiarato incostituzionali le severe misure adottate nel 2020.

 

Secondo il quotidiano spagnuolo The Objective, al 3 settembre 2025 sono state revocate 92.278 sanzioni, in seguito alla sentenza che ha giudicato incostituzionali alcune disposizioni del decreto sullo stato di emergenza del 2020, in vigore durante il primo lockdown per il COVID-19.

 

Queste sanzioni rappresentano solo la prima tranche di multe destinate all’annullamento, con altre che probabilmente seguiranno. Durante il rigido lockdown del 2020, imposto con lo stato di allarme, sono state emesse oltre 1 milione di sanzioni a livello nazionale, con circa 1,3 milioni di persone multate per aver violato le restrizioni.

 

La Corte Costituzionale ha stabilito che alcune parti dell’articolo 7 del Regio Decreto 463/2020, relative al divieto generale di circolazione, comportavano una sospensione ingiustificata del diritto fondamentale alla libertà di movimento, andando oltre una semplice limitazione. Tale misura superava i limiti dello stato di allarme, secondo la Corte, che ha precisato che una restrizione così drastica sarebbe stata giustificabile solo con uno stato di emergenza più severo, soggetto a un iter parlamentare più rigoroso.

 

La sentenza si applica retroattivamente a tutte le multe emesse durante il lockdown del 2020, creando un notevole onere per l’amministrazione statale. The Objective riferisce che «l’applicazione è stata lenta e disuniforme a seconda delle regioni», suggerendo che i rimborsi potrebbero richiedere mesi o anni.

 

Il quotidiano sottolinea che i 92.278 casi annullati finora rappresentano «solo la punta dell’iceberg di una crisi normativa» derivante dalle severe politiche di lockdown imposte dal governo spagnolo nel 2020.

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Immagine di Javier Perez Montes via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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