Stato
Elon Musk rigetta l’ordine di censurare dai suoi satelliti i canali russi

L’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, ha twittato sabato mattina presto che «alcuni governi (non l’Ucraina)» avrebbero detto alla sua società di satelliti Starlink «di bloccare le fonti di notizie russe».
Musk avrebbe quindi risposto: «Non lo faremo se non sotto la minaccia delle armi».
«Mi dispiace, ma sono un assolutista della libertà di parola».
Starlink has been told by some governments (not Ukraine) to block Russian news sources. We will not do so unless at gunpoint.
Sorry to be a free speech absolutist.
— Elon Musk (@elonmusk) March 5, 2022
Plaudiamo al coraggio di Elon Musk, che altre volte ci aveva sorpreso, come nelle sue tirate contro il denatalismo e a favore dell’aumento della popolazione, o dei suoi discorsi a pro libertà vaccinale e contro i lockdown, nonché nella sua posizione a favore dei camionisti canadesi.
C’è da considerare che con Biden il giovane geniale magnate ha un conto aperto: in molteplici eventi presidenziali sull’auto elettrica, un punto essenziale della folle agenda green del goscismo statunitense, invita Ford, GM e chiunque altro ma non Tesla, che nemmeno nomina, e che le macchine elettriche le fa davvero, oltre che possedere un valore di borsa superiore ai giganti dell’automotive di Detroit.
Anche per questo, Musk ha recentemente definito Biden «un calzino-pupazzo bagnato in forma umana».
Biden is a damp 🧦 puppet in human form
— Elon Musk (@elonmusk) January 27, 2022
La questione della censura dei canali di Mosca è tuttavia qualcosa di enorme, che ci spinge a rivalutare per intero le «democrazie» occidentali
Come riportato da Renovatio 21, le principali fonte di informazione russe in Occidente come i canali Russia Today e Sputnik sono stati bloccati dall’Unione Europea e dalle autorità americane, e non solo: tutti le grandi aziende Big Tech sono allineate con il governo americano per far sparire ogni informazione alternativa sul conflitto.
«Google sta bloccando le loro app. Apple sta bloccando le loro app. YouTube, Facebook, Twitter e Telegram hanno vietato o limitato l’accesso ai propri account. Twitter ha iniziato a «verificare i fatti» e ridurre la portata dei loro collegamenti. YouTube ha demonetizzato i loro video. Reddit ha «messo in quarantena» la community /r/russia. Namecheap, un registrar di domini, ha tagliato fuori TUTTI i clienti russi» scrive Andrew Torba, il CEO del social media Gab, che di censura se ne intende.
È giusto parlare, quindi, della depiattaformazione di un’intera Nazione, la Russia.
Si tratta di un’ulteriore prova della fine delle democrazie costituzionali, ridotte a oligarcati dove i diritti dei cittadini non esistono più e la libertà (biologica, politica e perfino interiore, di pensiero) è oramai un fantasma.
Si tratta inoltre, come scritto da Renovatio 21, della riprova che ci troviamo già coinvolti in una guerra: si oscurano fonti di informazioni di un Paese straniero solo se con questo non si è più in tempo di pace.
Kremlin.ru, il sito ufficiale della Presidenza della Federazione russa, è stato per giorni irraggiungibile, e non solo dall’Italia. Non si tratta di un canale di news, ma di un sito puramente istituzionale, con foto e discorsi di Putin.
Proprio così: ad essere depiattaformata non è una testata, è un’intera Nazione.
Pensiero
Che cos’è l’anarco-capitalismo? Da Rothbard a Milei, storia di un’idea mai applicata

La vittoria presidenziale di Javier Milei in Argentina pone a capo dello stato il primo autoproclamato «anarco-capitalista» della storia moderna – o probabilmente la prima persona ad aver vinto un’elezione a questo livello a identificarsi come tale.
Ma che cos’è l’anarco-capitalismo? Il pensiero, come racconteremo rapidamente qui sotto, va indietro di poco, forse appena duecento anni, ma è stato teorizzato davvero nella seconda metà del XX secolo.
Al centro dell’idea anarco-capitalista è la convinzione che la società possa godere dell’applicazione dei diritti di proprietà, dei contratti e della difesa senza la necessità dell’autorità coercitiva dello Stato. L’unione dei concetti di anarchismo e capitalismo non è vista come un piano per l’ordine sociale, ma piuttosto come una previsione di come una comunità civilizzata potrebbe funzionare in assenza dello Stato.
Va notato che l’anarco capitalismo non è associabile ad ideologie di destra, contrariamente a quanto sostenuto stanno sostenendo le testate del mainstream mondiale inferocite dall’elezione del Milei. L’anarco-capitalismo si discosta nettamente dai tradizionali allineamenti politici di destra, e prova ne è l’apertura totale espressa dal Milei riguardo all’immigrazione – un fenomeno che non riguarda drammaticamente, al momento, il suo Paese.
In questo contesto, l’anarchismo si riferisce all’abolizione dello Stato e alla sua sostituzione con relazioni basate sulla proprietà privata, azione volontaria, diritto privato e applicazione dei contratti, come previsto dal libero mercato.
Coloro che si definiscono «anarco-capitalisti» non rappresentano una scuola di pensiero omogenea. La designazione copre una vasta gamma di applicazioni e opinioni, con diversità di vedute all’interno della stessa ideologia.
Il termine «anarco-capitalismo» trova le sue radici nel lavoro dell’economista americano, e mio amato mentore, Murray Rothbard (1926-1995), il quale fu profondamente influenzato nel suo pensiero libertario dalla scrittrice Ayn Rand negli anni Cinquanta. Uno dei cani clonati di Milei, il Murray, si chiama così in onore dell’economista e teorico giusnaturalista neoeboraceno, che può essere tranquillamente considerato il principale ideatore dell’anarco-capitalismo, la cui bandiera fu per la prima volta sventolata dal Rothbardo nel 1963 in Colorado – un drappo oro e nero come quella che vedete come immagine di questo articolo, che il Milei ha tirato fuori pure lui per un video.
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Tuttavia, quando Rothbard esaminò attentamente le idee di Rand, iniziarono a sorgere in lui dei dubbi riguardo all’istituzione che Rand insisteva fosse necessaria ed essenziale, ovvero lo Stato stesso. Rothbard pose domande cruciali: se desideriamo avere diritti di proprietà, perché solo lo Stato può violarli? Se puntiamo all’autoproprietà, perché lo Stato è l’unica istituzione autorizzata a costringere, segregare e adottare altre misure invasive nei confronti delle persone? Se cerchiamo la pace, perché dovremmo affidarci a uno Stato che ci porta in guerra la guerra? E così via.
La separazione con la Rand, all’epoca dea dei libertari di Nuova York, fu estremamente drammatica. Rothbard offrì una reinterpretazione ironica degli eventi nel breve testo teatrale intitolato Mozart was a red («Mozart era un rosso»). Dopo che Rothbard e altri abbandonarono il movimento oggettivista da lei fondato, la Rand li etichettò come «libertari hippie che subordinano la ragione ai capricci e sostituiscono il capitalismo con l’anarchismo», invitando i suoi lettori a non associarsi a loro.
Rothbard continuò la sua opera filosofico-politica, fondando nel 1969 la rivista The Libertarian Forum, pubblicata sino al 1984 e anche il Journal of Libertarian Studies, la sua pubblicazione di maggior successo, della quale fu direttore fino alla morte.
Secondo Rothbard, una regola coerente nella società che vieti l’aggressione contro le persone e la proprietà dovrebbe estendersi anche allo Stato stesso, che egli considerava storicamente il violatore più dannoso dei diritti umani dal punto di vista sociale. L’idea è che, nonostante tolleriamo che gli Stati difendano i nostri diritti, spesso scopriamo che lo Stato rappresenta la principale minaccia a tali diritti.
Questo modo di pensare sottolinea anche la difficoltà nel trovare una tecnologia o un sistema efficace per limitare lo Stato una volta che è stato creato. Per una comprensione più approfondita di questo concetto, Rothbard consigliava la lettura del suo saggio Anathomy of the State.
Si tratta di un pensiero piuttosto in linea con la critica fatta negli anni dall’anarchismo socialista, tuttavia la particolarità della prospettiva di Rothbard risiedeva nella sua previsione analitica su cosa avrebbe occupato il posto dello Stato in sua assenza.
Rothbard sosteneva che una società priva di Stato non avrebbe assunto la forma di una comunità governata da una perfetta condivisione delle risorse e da un’uguaglianza egualitaria. Al contrario, respingeva le visioni utopiche della sinistra e delineava un quadro in cui sarebbero emersi concetti come la proprietà, il commercio, la divisione del lavoro, gli investimenti, i tribunali privati, i mercati azionari, la proprietà privata del capitale e così via.
In altre parole, Rothbard prevedeva che in un contesto senza Stato, un’economia libera avrebbe prosperato in modo significativo, portando a un livello massimo di realizzazione della libertà ordinata.
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Questa idea pose Rothbard in contrasto con praticamente tutti, dalle correnti marxiste ai trotskiste, dai seguaci della Rand, ai conservatori e ai liberali classici d’antica scuola, i quali ritenevano che gli stati fossero necessari per garantire tribunali, legge e sicurezza. Questa posizione lo portò addirittura a scontrarsi con il suo mentore, l’economista oriundo austriaco Ludwig von Mises, che degli anarchici aveva una visione europea classica.
Contrariamente a quanto percepiva il suo maestro, l’anarchismo di Rothbard era profondamente radicato nella tradizione americana: influenzato più dal periodo coloniale che dalla guerra civile spagnola. Egli sosteneva che le comunità avrebbero potuto autogestirsi senza un’autorità suprema con il potere di tassare, inflazionare la valuta, arruolare e uccidere.
Rothbard credeva fermamente che i mercati e la creatività derivante dalla cooperazione pacifica umana avrebbero costantemente prodotto risultati superiori rispetto alle istituzioni create dalle élite e imposte attraverso la costrizione. Questa prospettiva si estendeva anche ai tribunali, alla sicurezza e al diritto, i quali, secondo Rothbard, sarebbero stati meglio forniti attraverso le forze di mercato, all’interno di norme universali che regolano la proprietà e l’azione umana.
Come nota un articolo di Epoch Times, in questo contesto, Rothbard stava ripercorrendo un dibattito che ebbe luogo in Francia nel XIX secolo. Frédéric Bastiat (1801–1850), un notevole economista e liberale classico, scrisse alcuni dei saggi più persuasivi per la libertà della sua generazione, dove tuttavia, Bastiat mantenne sempre la convinzione della necessità di uno Stato per mantenere il sistema in funzione e impedire il caos nella società. A contrastarlo su questo punto fu il meno noto intellettuale Gustav de Molinari (1819-1912), il quale affermò che tutte le funzioni necessarie per le operazioni sociali in libertà potevano essere fornite attraverso le forze di mercato. In molti sensi, il Molinari può essere considerato il primo vero «anarco-capitalista», anche se non impiegò mai quel termine.
Milei ora si trova a prendere le teorie della Parigi dell’Ottocento e della Nuova York degli anni Cinquanta e a metterli in pratica a fronte di uno Stato amministrativo enorme e radicato, una valuta collassata più e più volte, dove il cambio con il dollaro sulla strada è assai diverso da quello annunciato del governo, che tutti semplicemente ignorano. Milei avrà contro di lui 100 anni di statalismo parassita ingenerato dal peronismo e l’ostilità di parte del Parlamento e di un’opinione pubblica completamente polarizzata.
«Né Reagan né la Thatcher, per quanto di vasta portata fossero le loro riforme, hanno mai tagliato il bilancio complessivo e tanto meno hanno abolito intere agenzie. Erano riformatori all’interno del quadro» scrive J.A. Tucker su Epoch Times. «Milei è chiamato a fare qualcosa di mai fatto prima, nel mezzo di una grave crisi per la Nazione».
Quello che farà Milei, ad ogni modo è da vedere. Se si farà cavaliere dell’anarco-capitalismo del Rothbardo (cioè del pensatore ebreo-americano, non del cane clone del defunto cane Conan, con cui Milei parla per mezzo di medium e spiritisti) o se semplicemente porterà avanti i dettami del World Economic Forum, dei cui eventi ha fatto parte, è da vedere.
La dottrina del World Economic Forum, ricordiamo, è tuttavia l’esatto contrario di una teoria che va contro lo Stato, anzi: essa è la convergenza, la fusione definitiva tra Stato e mercato, non più nei termini del marxismo (che fallisce nella sua missione di creare l’infrastruttura umana e materiale per la tecnocrazia) ma in quelli dell’ultraliberismo, della libertà assoluta delle multinazionali che divengono esse stesse legittimate dagli Stati.
Il senso di Davos, con i suoi incontri tra capi di Stato e massimi paperoni globali, è tutto qui. Il sistema con i suoi arconti è il vero padrone, e il popolo – una volta retoricamente definito sovrano e teoricamente «padrone» degli Stati – è considerato come una forza da sottomettere, se non già sottomessa quasi del tutto. Guardatevi i video WEF della Mazzuccato che vuole infliggere cambiamenti nella popolazione attraverso crisi idriche, o dell’altro professore che sogna di modificare geneticamente la popolazione per renderla più bassa di statura, per capire a quale livello di delirio spudorato è giunta la managerial class, a quale punto del percorso siamo nel percorso
C’è da capire, ora, quali padroni vuole davvero servire il nuovo presidente. Le voci che girano a suo riguardo, fuori dal circuito del lancio di coriandoli della destra sempre più disorientata, non sono esattamente rassicuranti.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Stato
Professore suggerisce di sostituire le elezioni USA con un sistema di lotteria

Un professore di psicologia della Wharton School dell’Università della Pennsylvania, ha proposto una soluzione radicale per la democrazia statunitense: eliminare del tutto le elezioni e sorteggiare il leader.
«Negli Stati Uniti utilizziamo già una versione di una lotteria per selezionare i giurati», ha scritto Adam Grant sul New York Times riferendosi alla composizione delle giurie popolari, stabilite per Costituzione nei processi USA. «E se facessimo lo stesso con sindaci, governatori, legislatori, giudici e persino presidenti?»
Il professor Grant sostiene la scelta dei leader in modo casuale da un gruppo di candidati, citando la ricerca di Alexander Haslam, un altro psicologo, che ha condotto esperimenti che mostrano che le decisioni migliori vengono prese quando il leader del gruppo viene scelto essenzialmente tramite lotteria rispetto a quando il viene selezionato tramite una lotteria.
«”I leader selezionati sistematicamente possono minare gli obiettivi del gruppo”, suggeriscono il dottor Haslam e i suoi colleghi, perché hanno la tendenza ad “affermare la propria superiorità personale”. Quando vieni consacrato dal gruppo, ti viene subito alla testa: sono il prescelto», scrive Grant. Con la scelta randomatica della guida invece si eliminerebbe questa psicologia perversa.
L’elezione dei leader tramite lotteria, sottolinea, ha alcuni precedenti storici.
«Gli antichi greci inventarono la democrazia, e ad Atene molti funzionari governativi furono selezionati tramite sorteggio, una lotteria casuale da un gruppo di candidati», racconta il professor Grant, che sostiene di aver suggerito l’idea ai membri del Congresso americano. Il gruppo di candidati dell’Antica Atene doveva sostenere un test «della loro capacità di esercitare diritti e doveri pubblici», e forse l’America può fare la stessa cosa, in pratica un test di educazione civica.
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«Una lotteria migliorerebbe anche le nostre probabilità di evitare in primo luogo i peggiori candidati. Questo perché le persone più attratte dal potere sono solitamente le meno adatte a esercitarlo».
Anche altri Paesi contemporanei hanno sperimentato questa forma di democrazia. Lo psicologo fa riferimento ai casi in Europa e Canada in cui funzionari governativi hanno organizzato lotterie per selezionare cittadini che lavorassero su una serie di questioni, come il cambiamento climatico.
Il concetto, ovviamente, distruggerebbe sin dalle fondamenta la Costituzione Americana, che dopo la pandemia vale quello che vale – come ogni altra Costituzione.
Non è chiaro se il Grant abbia saputo che in Italia si è tenuto un esperimento elettorale radicale, davvero estremo, nel quale si veniva selezionati anche con poche decine di click su internet per poi essere candidati, come il vero uomo qualunque, alla Camera o al Senato. Come noto, non è andata benissimo, e la ridda di eletti improbabili e dimenticabili si è biodegradata in fretta, anche se alcuni residui di questo sconcertante episodio della storia politica italiana sono rimasti là attaccati, a mo’ di incrostazioni.
Di base il concetto di Grant e dei neoqualunquisti è meno innocuo di quello che può sembrare: si tratta della storia della «cuoca di Lenin»: «ogni cuoca dovrà imparare a dirigere lo Stato!», dichiarò, non senza una certa dose di spocchioseria classista, il despota bolscevico. L’intercambiabilità assoluta delle guide politiche significa, di fatto, il depotenziamento della politica stessa, a favore di una macchina burocratico statale divenuta onnipervadente ed inscalfibile: chiunque può guidare lo Stato, perché lo Stato funziona già da sé, con minimo intervento umano – e quindi minimo rischio che l’incompetenza generi disastri.
Di fatto, si tratta della situazione ideale per la tecnocrazia: il sistema politico che funziona a dispetto degli esseri umani, o meglio, abbiamo ora compreso, contro gli esseri umani.
L’Unione Sovietica era un abbozzo di tecnocrazia totalitaria che nemmeno lontanamente si avvicina alla tecnocrazia che è in via di caricamento ora in Occidente, gestita con strumenti biometrici onnipervadenti, una società del controllo totale che non abbisogna più di funzionari umani, ma può essere gestita da calcolatori ed algoritmi.
L’oligarcato che preme – da secoli – per l’instaurazione della tecnocrazia (il governo verticale della scienza e dei suoi custodi, come da ideali di Platone) è vicino alla meta, e ha tutto l’interessa a promuovere esperimenti che, sempre dietro la maschera di una democrazia sempre più grottesca, mostrino la superficialità del processo politico, la sua inutilità, il suo risolversi in spettacolini e stipendi. Quindi ben vengano le lotterie elettorali, i reality show invece delle campagne…
Chi vive in Italia sa che ciò è vero già da diverso tempo.
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