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Ecco i commando del pensiero unico: il Consiglio Europeo approva le «squadre di risposta rapida» per combattere la «disinformazione»

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Il Consiglio Europeo ha annunciato un quadro guida che consentirà di istituire quelli che chiama «squadre ibride di risposta rapida» che «attingeranno alle pertinenti competenze civili e militari settoriali nazionali e dell’UE».

 

Queste squadre saranno create e poi schierate per contrastare la «disinformazione» nei 27 Paesi membri – ma anche in quelli che Bruxelles chiama Paesi partner. E l’Irlanda potrebbe diventare uno degli «early adopter».

 

Secondo quanto riportato, affinché un Paese possa presentare domanda, dovrà prima sentirsi sotto attacco mediante «minacce e campagne ibride» e quindi richiedere all’UE di aiutarlo a contrastarle inviando una «squadra di risposta rapida».

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Bruxelles spiega la necessità di queste squadre a causa del «deterioramento del contesto di sicurezza, della crescente disinformazione, degli attacchi informatici, degli attacchi alle infrastrutture critiche e dell’interferenza elettorale da parte di attori maligni» e anche di qualcosa che l’organizzazione definisce «migrazione strumentalizzata».

 

Questo è quello che emerge quadro emerge dall’EU Hybrid Toolbox, che a sua volta deriva dalla bussola strategica per la sicurezza e la difesa del blocco.

 

Come ricorda il sito Reclaim The Net, pochi giorni dopo l’annuncio dell’UE, la scorsa settimana, notizie dall’Irlanda hanno affermato che il Dipartimento degli Affari Esteri ha accolto con favore lo sviluppo, affermando che «ora inizieranno a rendere operativa la partecipazione dell’Irlanda a questa importante iniziativa».

 

Il dipartimento ha spiegato ciò che considera minacce: c’è inevitabilmente la «disinformazione», insieme agli attacchi informatici, agli attacchi a infrastrutture critiche e a qualcosa che chiama «coercizione economica».

 

«Le autorità irlandesi sembrano essere particolarmente soddisfatte dell’annuncio dell’UE dato che il Paese non dispone di un organismo centralizzato in grado di combattere una gamma così disparata di minacce, reali o inventate» scrive Reclaim The Net.

 

L’annuncio delle «squadre di reazione» è arrivato dal Consiglio dell’UE, ed è stato il giorno successivo «accolto favorevolmente» dalla Commissione Europea guidata da Ursula Von der Leyen, che ha ripetuto i punti della dichiarazione originale riguardo a una miriade di minacce. Tali commando ibridi di risposta rapida, a cui è stato ora dato il via libera, sono visti dai vertici di Bruxelles come uno strumento chiave per contrastare questi pericoli percepiti.

 

Oltre a dire che l’EU Hybrid Toolbox si basa su «competenze civili e militari rilevanti», i due comunicati stampa dell’UE sono scarsi di dettagli sulla composizione delle future squadre che verranno inviate in missioni «a breve termine». Le note rivelano inoltre che il «rapido dispiegamento nei Paesi partner» sarà reso possibile attraverso il Centro di Coordinamento della Risposta alle Emergenze (ERCC) come hub operativo del programma.

 

L’ERCC rappresenta il fulcro operativo del Meccanismo di protezione civile dell’UE. Coordina la fornitura di assistenza ai Paesi colpiti da calamità, sotto forma di soccorsi, competenze, squadre di protezione civile e attrezzature specializzate. Il centro, che è attivo 24 ore al giorno 7 giorni alla settimana, assicura la rapida fornitura di sostegno in caso di emergenza e funge da hub di coordinamento tra tutti gli Stati membri dell’UE, gli altri 10 Stati partecipanti, il Paese colpito dall’emergenza e gli esperti di protezione civile e aiuti umanitari.

 

Secondo il sito ufficiale, l’ERCC «può aiutare qualsiasi Paese all’interno o all’esterno dell’UE colpito da una catastrofe grave, su richiesta delle autorità nazionali o di un organo delle Nazioni Unite».

 

In pratica, pare di capire, la «disinformazione» – che altro non è se non l’informazione sgradita al potere – verrà trattata come un disastro. Vari siti, compreso magari quello che state leggendo, saranno trattati come fossero terremoti, alluvioni, incendi estesi. Il lettore comprende da sé quanto potere possa essere assegnato dalla categoria di emergenza.

 

La disintegrazione di pagine come quella che state leggendo potrebbe essere imminente. I «commando del pensiero unico» già dispongono, come sappiamo, di tutte le liste del caso.

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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso 25 agosto è entrato ufficialmente in vigore in territorio dell’Unione Europea il Digital Service Act (DSA), l’eurolegge che di fatto dà alla Commissione Europea il potere di censurare i contenuti in rete in nome della lotta alla «disinformazione» e all’«incitamento all’odio» online. In pratica, si tratta dell’alba della censura totale.

 

All’epoca, con la consueta boria, il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, già noto per le sue reiterate accuse ad Elone Musk, aveva addirittura minacciato di chiudere le piattaforme dei social media se non rispetteranno le regole in caso di disordini civili, come la recente volta etnica in Francia.

 

Rivelazioni recenti hanno mostrato che dietro al processo di censura che pervade ogni medium occidentale ci sarebbe un piano che risale a metà degli anni 2010, quando, dopo eventi come la riannessione russa della Crimea, la Brexit e l’elezione di Trump, fu deciso il controllo totale di internet. Secondo Michael Benz, ex vice segretario di Stato aggiunto per le comunicazioni internazionali e la politica dell’informazione presso l’Ufficio per gli affari economici e commerciali nell’amministrazione Trump, la volontà di controllo di internet potrebbe essere fatta risalire ad un progetto NATO.

 

«La NATO pubblicava libri bianchi affermando che la più grande minaccia che la NATO deve affrontare non è in realtà un’invasione militare dalla Russia. Sta perdendo le elezioni nazionali in tutta Europa» aveva spiegato Benz in una epocale intervista concessa a Tucker Carlson. «L’intero ordine internazionale basato su regole crollerebbe a meno che i militari non prendessero il controllo sui media (…) L’UE andrebbe in pezzi, quindi la NATO verrebbe uccisa senza che venga sparato un solo proiettile».

 

Se venisse a mancare la NATO, continuava il Benz «non ci sarebbe più alcun braccio armato per il Fondo Monetario Internazionale, il Fondo monetario internazionale o la Banca mondiale. Quindi ora gli stakeholder finanziari che dipendono dall’ariete dello Stato di sicurezza nazionale sarebbero sostanzialmente impotenti contro i governi di tutto il mondo».

 

«Quindi, dal loro punto di vista, se i militari non iniziassero a censurare Internet, tutte le istituzioni e le infrastrutture democratiche che hanno dato origine al mondo moderno dopo la seconda guerra mondiale crollerebbero».

 

In definitiva, non è inesatto dire che riguardo ad internet ci troviamo sotto comando militare – e di qui il gergo militaresco usato dalla UE per le sue «squadre di intervento rapido anti-disinformazione».

 

Come riportato da Renovatio 21, si tratta di una situazione che ci era stata sbattuta in faccia dal Cremlino ancora l’anno passato, quando il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov parlo di giornalisti e media occidentali che «vivono assolutamente in uno stato di censura militare».

Ma se non lo leggete qui, non avete modo di saperlo: perché ogni informazione che arriva da Mosca è filtrata, se non bloccata, dall’Europa.

 

Il giro di vita contro i media russi in Europa era iniziato settimane prima della guerra, quando il 2 febbraio 2022 l’Autorità Regolatrice dei Media tedesca (Kommission für Lizensierung und Aufsicht) aveva vietato la diffusione in Germania della rete televisiva pubblica Russia Today, sia satellitare sia su internet.

 

Di lì a poco il sito di RT e quello di Sputnik sarebbero divenuti irraggiungibili anche dall’Italia – un atto che fa pensare ad una vera e propria censura di guerra, quando cioè diventa imperativo far sì che la popolazioni non ascolti la voce del nemico.

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Come sa chi ci segue da un po’, nel 2021 Facebook cancellò la nostra pagina e disintegrò, cioè proprio eliminò, l’account personale collegato, e pure, en passant, innocue pagine associazionistiche collegate. Il traffico su Renovatio21.com crollò – perché è sui social che le persone stanno tutto il giorno, con centinaia di famelici scroll al giorno – com’era, con evidenza, l’intenzione ultima di chi poteva aver ordinato la censura.

 

Su YouTube a Renovatio 21, che pure usiamo quasi per nulla, non è andata molto meglio: la piattaforma che ha cancellato dal canale di Renovatio 21, con relativo «strike» di punizione, un’omelia pasquale di un arcivescovo della chiesa cattolica.

 

Ora iniziamo a capire davvero cosa sta succedendo, in Italia come altrove.

 

Alla faccia della libertà di espressione, e quindi della Costituzione Italiana e di tante altre Costituzioni degli Stati moderni.

 

Ma se il rapporto tra il cittadino e lo Stato è garantito dalla Costituzione, ma lo Stato distrugge la Carta, quale legittimità rimane allo Stato moderno? Abbiamo sentito poche persone porsi questa domanda, anche perché se provassero a rispondere articolatamente verrebbero probabilmente censurati.

 

Tuttavia, forniamo rapidamente il quadro: se la Costituzione non limita più il potere dello Stato sui cittadini (tramite quel concetto chiamato «diritto»), allora esso può agire con l’arbitrio più estremo, e il cittadino, privo di diritti, diviene soggetto ad un potere verticale senza possibilità alcuna di replica – diviene, tecnicamente, uno schiavo.

 

E quando sei in schiavitù non è che sei libero di dire quello che vuoi, né di leggere quello che vuoi. Né, come abbiamo imparato nel biennio pandemico, gli schiavi hanno la libertà di circolare per il Paese, di incontrare i propri cari, di lavorare, di respirare (), di rifiutare l’immissione di terapie geniche sperimentali nel proprio corpo.

 

Ecco spiegato, brevemente, cosa sta accadendo dietro alla storia della «disinformazione»: è un mutamento assoluto dello Stato moderno, dello Stato di diritto, di quella che un tempo si chiamava Democrazia liberale.

 

Che si può fare i padroni del mondo lo hanno capito da un pezzo, grazie al COVID.

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L’UE attacca le piattaforme che si rifiutano di censurare la libertà di parola: il fondatore di Telegram

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L’Unione Europea sta ingiustamente prendendo di mira le piattaforme social che tollerano discorsi dissidenti o critici, ha dichiarato Pavel Durov, fondatore di Telegram.   La sua affermazione è arrivata in risposta a un post del 2024 di Elon Musk, proprietario di X, che accusava la Commissione Europea di aver proposto alla piattaforma un patto segreto per eludere sanzioni in cambio della censura di certi contenuti. Il giorno precedente, l’UE aveva inflitto a X una multa da 120 milioni di euro (circa 140 milioni di dollari).   Durov ha spiegato che Bruxelles sta applicando alle società tech norme severe e impraticabili proprio per colpire quelle che rifiutano di praticare una moderazione occulta dei contenuti.   «L’UE impone regole impossibili per poter punire le aziende tecnologiche che si oppongono a una censura silenziosa della libertà di espressione», ha postato Durov sabato su X.   Il Pavel ha inoltre richiamato la sua detenzione in Francia dell’anno scorso, che ha descritto come motivata da ragioni politiche. Secondo lui, in quel frangente il capo dei servizi segreti francesi gli avrebbe chiesto di «bannare le voci conservatrici in Romania» in vista delle elezioni – un’ipotesi smentita dalle autorità transalpine. Durov ha aggiunto che gli agenti di Intelligence gli avrebbero offerto assistenza in cambio della rimozione discreta dei canali legati alle elezioni in Romania.

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Queste stesse accuse sono state ribadite nel suo intervento recente, in cui ha qualificato l’inchiesta come «un’indagine penale priva di fondamento», seguita da tentativi di pressione per limitare la libertà di parola in Romania e Moldavia.   Più tardi, sempre sabato, Durov ha aggiunto: «L’UE prende di mira esclusivamente le piattaforme che ospitano discorsi scomodi o dissenzienti (Telegram, X, TikTok…). Le piattaforme che, tramite algoritmi, mettono a tacere le persone rimangono sostanzialmente intatte, nonostante problemi ben più gravi di contenuti illegali».   L’anno scorso, Elon Musk aveva rivelato che la Commissione Europea aveva proposto a X «un accordo segreto illegale» per censurare i contenuti in modo discreto. «Se avessimo censurato silenziosamente i contenuti senza dirlo a nessuno, non ci avrebbero multato. Le altre piattaforme hanno accettato quell’accordo. X no», aveva scritto.   Venerdì, il portavoce della Commissione Europea Tom Rainier ha precisato che la sanzione a X ammontava a 120 milioni di euro per violazioni del Digital Services Act, sottolineando che non aveva legami con la censura e che si trattava della prima applicazione concreta della normativa. Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha aspramente criticato la decisione, definendola «un attacco a tutte le piattaforme tech americane e al popolo statunitense da parte di governi stranieri».   Tanto Durov quanto Musk hanno subito pressioni da parte dei regolatori UE in base al DSA, in vigore dal 2023. Questa legge obbliga le piattaforme a eliminare celermente i contenuti illegali, sebbene i detrattori sostengano che possa essere impiegata per reprimere opinioni legittime.

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L’UE multa X di Musk per 120 milioni di euro. Gli USA: «attacco al popolo americano»

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Gli Stati Uniti hanno accusato Bruxelles di aver «attaccato» gli americani dopo che l’Unione Europea ha inflitto alla piattaforma social X di Elon Musk una multa da 120 milioni di euro (circa 140 milioni di dollari) per violazione delle norme di moderazione dei contenuti previste dal Digital Services Act (DSA).

 

La Commissione europea ha reso nota la sanzione venerdì, precisando che si tratta della prima decisione formale di non conformità emessa in base al DSA.

 

La misura si inserisce in una più ampia offensiva regolatoria dell’UE contro i grandi colossi tecnologici statunitensi: in passato Bruxelles ha già comminato multe da diversi miliardi a Google per abuso di posizione dominante nella ricerca e nella pubblicità, ha sanzionato Apple in base al DSA e alle norme antitrust nazionali e ha penalizzato Meta per il modello pubblicitario «pay-or-consent». Queste azioni hanno ulteriormente inasprito le divergenze tra Washington e l’UE in materia di regolamentazione del digitale.

 

Secondo la Commissione, le violazioni commesse da X riguardano la progettazione ingannevole del sistema di spunta blu verificata, che «espone gli utenti a truffe», la mancanza di trasparenza nella libreria pubblicitaria e il rifiuto di fornire ai ricercatori l’accesso ai dati pubblici richiesto.

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Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha reagito duramente, scrivendo su X che la multa non rappresenta solo un attacco alla piattaforma, ma «un attacco a tutte le piattaforme tecnologiche americane e al popolo americano da parte di governi stranieri». «I giorni in cui gli americani venivano censurati online sono finiti», ha aggiunto.

 

Elon Musk ha rilanciato i commenti del commissario FCC Brendan Carr, secondo il quale l’UE prende di mira X semplicemente perché è un’azienda americana «di successo» e «l’Europa sta tassando gli americani per sovvenzionare un continente soffocato dalle sue stesse normative oppressive».

 

Anche il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance è intervenuto, sostenendo che l’UE sta punendo X «per non aver adottato misure di censura» e che gli europei dovrebbero «difendere la libertà di espressione invece di aggredire le aziende americane per questioni di poco conto».

 

L’amministrazione del presidente Donald Trump si oppone da anni alle leggi digitali europee, accusandole di essere «progettate per danneggiare la tecnologia americana» e minacciando dazi di ritorsione in risposta a tasse digitali e regolamenti sulle piattaforme.

 

Bruxelles ribatte che le proprie regole valgono allo stesso modo per tutte le imprese che operano nel mercato unico e riflettono semplicemente un approccio più severo su privacy, concorrenza e sicurezza online.

 

Le relazioni tra Washington e Bruxelles restano tese su numerosi fronti – commercio, sussidi industriali, standard ambientali e controlli tecnologici – con gli Stati Uniti che accusano l’UE di protezionismo e i leader europei che criticano le misure unilaterali americane in materia di dazi e tecnologia.

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Come riportato da Renovatio 21 il tema delle euromulte contro Musk è risalente.

 

Brusselle aveva valutato l’ipotesi di multe contro X da quando l’ex commissario alla tecnologia UE, Thierry Breton, aveva accusato la piattaforma di non aver controllato adeguatamente i contenuti illegali e di aver violato il Digital Services Act (DSA) dell’UE del 2022. La decisione se penalizzare X spetta ora alla commissaria UE per la concorrenza, Margrethe Vestager.

 

Come noto al lettore di Renovatio 21, Elone per qualche ragione è assai inviso all’oligarchia europea e a tanta politica continentale, come hanno dimostrato i discorsi del presidente italiano Sergio Mattarella, che pareva attaccare proprio Musk e le sue ambizioni sui social e nello spazio.

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Google nega di aver scansionato le email e gli allegati degli utenti con il suo software AI

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Google, colosso tecnologico, nega categoricamente i resoconti diffusi all’inizio di questa settimana da vari media autorevoli, affermando che non impiega e-mail e loro allegati per addestrare il suo nuovo modello di intelligenza artificiale Gemini.   Questa settimana, testate come Fox News e Breitbart hanno pubblicato articoli che illustravano ai lettori come «bloccare l’accesso dell’IA di Google alla propria posta su Gmail».   «Google ha annunciato il 5 novembre un aggiornamento che permette a Gemini Deep Research di sfruttare il contesto di Gmail, Drive e Chat», ha riferito Fox News, «consentendo all’IA di estrarre dati da messaggi, allegati e file archiviati per supportare le ricerche degli utenti».   Il sito di informazione statunitense Breitbart ha sostenuto in modo simile che «Google ha iniziato a scandagliare in silenzio le e-mail private e gli allegati degli utenti Gmail per addestrare i suoi modelli IA, imponendo un opt-out manuale per evitare l’inclusione automatica».   Il sito ha citato un comunicato di Malwarebytes, che accusava l’azienda di aver implementato il cambiamento senza notifica agli utenti.   In risposta al clamore, Google ha emesso una smentita ufficiale. «Queste notizie sono fuorvianti: non abbiamo alterato le impostazioni di nessuno. Le funzionalità intelligenti di Gmail esistono da anni e non utilizziamo i contenuti di Gmail per addestrare Gemini. Siamo sempre trasparenti sui cambiamenti ai nostri termini di servizio e alle policy», ha dichiarato un portavoce al giornalista di ZDNET Lance Whitney.

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Malwarebytes ha in seguito rivisto il suo post sul blog, ammettendo di aver «contribuito a una tempesta perfetta di incomprensioni» e precisando che la sua affermazione «non sembra essere» corretta.   Tuttavia, il blog ha riconosciuto che Google «analizza i contenuti delle e-mail per potenziare le sue “funzionalità intelligenti”, come il rilevamento dello spam, la categorizzazione e i suggerimenti di composizione. Ma questo è parte del funzionamento ordinario di Gmail e non equivale ad addestrare i modelli IA generativi».   Questa replica di Google difficilmente placherà gli utenti preoccupati da tempo per le pratiche di sorveglianza delle Big Tech e i loro legami con le agenzie di intelligence.   «Penso che l’aspetto più allarmante sia stato il flusso costante e coordinato di comunicazioni tra FBI, Dipartimento della Sicurezza Interna e le principali aziende tech del Paese», ha testimoniato il giornalista Matt Taibbi al Congresso USA nel dicembre 2023, in un’udienza su come Twitter collaborasse con l’FBI per censurare utenti e condividere dati con il governo.   L’11 novembre, presso la Corte Distrettuale USA per il Distretto Settentrionale della California, è stata depositata una class action contro Google. La vertenza accusa l’azienda di aver violato l’Invasion of Privacy Act della California attivando in segreto Gemini AI per analizzare messaggi di Gmail, Google Chat e Google Meet nell’ottobre 2025, senza notifica o consenso esplicito degli utenti.  

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