Bizzarria
Dracula piangeva sangue: scoperta scientifica dalle lettere di Vlad l’Impalatore

Uno studio rivoluzionario condotto da un team di scienziati chimici ha gettato nuova luce sulle misteriose condizioni di salute che potrebbero aver afflitto Vlad l’Impalatore (1431-1476), il famoso sovrano della Valacchia del XV secolo, che si ritiene abbia ispirato la leggendaria figura di Dracula poi popolarizzata dallo scrittore irlandese Bram Stoker (1847-1912).
I ricercatori provenienti dagli Archivi Nazionali romeni così come dall’Università di Catania e dal Politecnico di Milano, hanno recentemente approfondito le lettere scritte da Vlad III di Valacchia Hagyak e da allora hanno scoperto prove intriganti che indicano una serie di disturbi sofferti dalla figura storica.
Lo studio del team – pubblicato nella rivista Analitical Chemistry edita dall’American Chemical Society e intitolato «Conte Dracula risorto: analisi proteomica dei documenti di Vlad III l’Impalatore mediante tecnologia EVA e spettrometria di massa» – esamina meticolosamente tre lettere scritte dal Drăculea, con particolare attenzione ai residui chimici lasciati dall’atto di scrivere.
Utilizzando una tecnica innovativa che coinvolge etilene-vinil acetato, i ricercatori hanno estratto il materiale dalla carta senza causare danni. La successiva analisi della spettrometria di massa ha rivelato una grande quantità di informazioni sui potenziali problemi di salute del principe.
«L’identificazione di molti peptidi umani e proteine raccolte dalle lettere ci ha permesso di scoprire di più su Vlad Dracula l’Impalatore» scrivono i ricercatori.
Tra le scoperte più sorprendenti c’è l’indicazione che Vlad l’Impalatore potrebbe aver sofferto di una rara malattia genetica nota come ciliopatia, una condizione che può compromettere vari aspetti della funzione cellulare e della salute degli organi. Inoltre, sono state rilevate prove di malattia infiammatoria, suggerendo potenziali afflizioni delle vie respiratorie e della pelle.
Tuttavia, la rivelazione più accattivante per il grande pubblico riguarda, ovviamente: il sangue.
«I dati proteomici, anche se non esaustivi, suggeriscono che, secondo alcuni racconti, avrebbe potuto soffrire anche di una condizione patologica chiamata emolacria, cioè poteva versare lacrime miste a sangue» scrive il paper.
L’emolacria dell’impalatore, una rara condizione in cui il sangue si mescola al fluido nei dotti lacrimali, portando alla comparsa di lacrime color sangue, apre nuove prospettive su origine e morfologia del mito di Dracula.
Il Drăculea, notoriamente noto per la sua brutale difesa della Valacchia e per i raccapriccianti impalamenti dei suoi nemici, è stato a lungo oggetto di fascino per gli storici e gli appassionati del macabro.
Il mito del vampiro è infatti, e per vari motivi, vivo e vegeto nella società moderna. Esso è stato, tuttavia, interamente mediato dal filtro di Bram Stoker e dalla successiva cinematografia che vi si basava – il regista espressionista tedesco omosessuale Friedrich Wilhelm Murnau e il suo Nosferatu (1922), poi i film horror novecenteschi della Universal in USA (il Dracula di Tod Browning, 1931) e della Hammer in Gran Bretagna, che sul personaggio produsse una serie di nove film dal 1958 al 1974, con protagonista il magnetico e poliglota conte di origine italiana, agente segreto cacciatore di nazisti e collezionista di libri esoterici Christopher Lee (1922-2015) di cui resta, un po’ draculescamente, un antico castello a Sarzano presso Casina, nell’appennino reggiano, località di cui l’attore, al secolo Christopher Frank Carandini Lee, godeva il titolo di undecimo marchese.
Tutta la cifra romeno-carpatica del vampirismo, di fatto, è un effetto secolare della cultura di massa, anche se va riconosciuto come in Romania una certa credenza folclorica dei vampiri era – ed è – molto diffusa.
In realtà, storie di vampiri si registravano non solo nell’Europa orientale, dove venivano mandati inviati pontifici ad indagare su segnalazioni dei nachzehrer, ossia i «masticatori di sudario» o «cadaveri masticatori»: morti che, nella tomba, sembravano attivi nel muovere la mandibola nell’atto del mordere e quindi divorare vestiti e quant’altro si trovi a portata nella bara.
Secondo il sentimento popolare, particolari sventure ad un villaggio possono essere prodotte da un nachzehrer attivatosi nel cimitero locale. Di qui l’usanza di riesumare i corpi e ficcargli un paletto nel cuore, e poi riseppellirli con un sasso in bocca
Tali casi, che erano noti non solo ai locali ma anche alle autorità vaticane che vi indagavano, si registravano in Casciubia (Polonia) ma anche in Baviera, quindi nel cuore dell’Europa centro-occidentale.
Ritrovamenti degli ultimi anni hanno aperto ulteriori prospettive sulla diffusione di tale fenomeno «vampiristico». Anche in Italia, infatti sono stati trovati cadaveri con il sasso in bocca, in Friuli e nelle Marche, ma soprattutto vi è il caso famoso, tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, della «vampira di Venezia». Archeologi scopersero infatti i resti di una donna, vissuta nel XVIII secolo, seppellita secondo con una pietra a scongiurare la sua masticazione.
Venezia era di per sé a conoscenza del problema dei vampiri, in quanto nei suoi territori orientali vi erano casi continui, e ben documentati. In Istria operava un vampiro chiamato «Jure Grando», che aveva ottenuto una certa fama. Un altro vampiro martoriava invece l’isola di Curzola nella bassa Dalmazia. A Ragusa, città veneto-dalmata che le flotte di turisti anche italiani purtroppo oggi chiamano Dubrovnik, i magistrati veneti nel Settecento celebrarono un vero e proprio processo contro il vampiro, tuttavia in contumacia, arrivando a condannarlo.
Si tratta del primo caso che documenta, carte alla mano, il riconoscimento delle autorità del reale problema dei vampiri.
Del lato veneto e adriatico della storia dei veri vampiri, e degli sforzi archivisitici per portarla alla luce, Renovatio 21 potrebbe parlare in successivi articoli – se al lettore interessa, ce lo faccia sapere.
Bizzarria
Ecco il vescovo leopardato

La rete è impazzita per le foto uscite di una messa tenuta a Ruvo di Puglia (provincia di Bari) celebrata lo scorso 4 settembre da monsignor Nicola Girasoli, nunzio apostolico in Slovacchia, che ha svolto la funzione con una casula leopardata.
Si trattava di una messa fatta in occasione dei 40 anni di sacerdozio di un parroco locale. Il vescovo di Molfetta ha concelebrato.
Le foto della messa, riporta il Corriere della Sera, sarebbero state pubblicate e poi rimosse sulla pagina Facebook della cattedrale.
#MiL Novus Horror Missae a Ruvo di Puglia: il vescovo Girasoli in pianeta leopardata, sdogana l'animalier liturgico per "San Tarzan"? ; #mtl Per leggere il post di #Messainlatino, cliccare su:https://t.co/SynTJzuZ35 pic.twitter.com/NIk24hQAWG
— MiL_MessainLatino.it (@messainlatino) September 14, 2023
I commenti della rete si sono sprecati, alcuni inviperiti, altri invece ironici: tra questi ultimi segnaliamo «della serie Crudelia Demon levati», «e il prete tigre combatte contro il male», ma anche «novus horror missae» non è male.
L’immagine del discendente degli apostoli che celebra con casula animalier spinge il collezionista di orrori postconciliari (avete presente: presbiteri vestiti da clown, messe sul materassino sul bagnasciuga, etc.) ad interrogarsi se mai si era vista una cosa del genere. Al momento, non ci pare, anche se elementi di leopardamento si erano già visti durante le visite apostoliche in Mozambico di papa Giovanni Paolo II e di papa Francesco.
Il significato della veste leopardata sarebbe stato chiarito più tardi della stessa pagina della cattedrale.
«Date le interpretazioni particolari e sui generis, si precisa che la casula indossata per la celebrazione fa parte della liturgia ufficiale dei popoli poveri africani di cui il celebrante (monsignor Girasoli, ndr) si è sempre interessato nel suo mandato pastorale ed è stata indossata per ringraziare il Signore in merito alla costruzione di una casa per i più bisognosi di quei territori».
«Ci rendiamo conto che i commenti irrispettosi sono dovuti alla non conoscenza» prosegue il messaggio «e vi preghiamo di rettificare le interpretazioni non consone».
Non ci permetteremmo mai interpretazioni non consone della vesta episcopale e del suo significato, e ci mancherebbe: il foro interiore nostro si fa guidare dai post di una pagina Facebook pugliese gestita, dice, «da alcuni collaboratori della parrocchia».
Tuttavia, vogliamo, così per esercizio gnoseologico, aggiungere un paio di cose, senza mancar mai di rispetto al nunzio e alle sue scelte in fatto di vestiario liturgico.
Monsignor Girasoli era stata nunzio apostolico in Zambia e Malawi, due Paesi africani che, tutto sommato, non stanno malissimo.
In Zambia vi è un luogo, lungo la vallata del fiume Luangwa, chiamato «valle del Leopardo», dove, a differenza di altre parti del Paese, vi è la presenza del leopardo. Tra i turisti ha accumulato una certa notorietà il leopardo Alice, che si fa fotografare narcisamente con i propri cuccioli.
In Malawi, invece, il leopardo non è così presente, al punto da essere stato oggetto di un programma di ripopolazione, non dissimile da quello degli orsi in Trentino.
The Facebook page of the Ruvo Cathedral has posted a clarification of the much-maligned image of the Italian Archbishop Nicola Girasoli celebrating Mass in an animal-print chasuble. 1/https://t.co/WkgGm3KCBv pic.twitter.com/dz0FMGOYlU
— Mike Lewis (@mfjlewis) September 17, 2023
La storia del tessuto leopardato è piuttosto ricca in termini di antropologia e spiritualità, non sempre benevola.
In Sud Africa, le pelli maculate in passato contrassegnavano l’aristocrazia Zulu e ancora oggi svolgono un ruolo importante nelle tradizioni della Chiesa Shembe, un mix di cristianesimo e culti zulù.
In diverse regioni del continente africano, la pelliccia a macchie del felino è associata al potere maschile, e in fotografie scattate all’uomo forte di Kinshasa, in Congo, ne troviamo diverse troviamo in cui il leopardo è indossato dall’ex dittatore Joseph Mobutu, il cui regno durò più di trent’anni, accusato, come altri colleghi dell’area, di essere un cannibale.
Più tenue, ma presente, il legame tra il leopardo e la framassoneria. Secondo alcuni, sulla costa occidentale dell’Africa, sarebbero esistite «fraternità del Leopardo» che si sarebbero poi evolute fuori dal Continente Nero in un ordine afro-cubano-massonico detto Ordine dei Caribali, detto anche Abacuà, che pure non avendo origine in logge europee, sarebbe ora in molti casi sovrapponibile all’appartenenza massonica classica.
In Norvegia esiste una Loggia San Olaus al Leopardo bianco, una loggia massonica dell’Ordine dei Massoni Norvegesi. Fu fondata il 24 giugno 1749 sull’isola di Ladegaard. Il canuto felino nello stemma, tuttavia, non pare avere macchie, che pure avrebbero senso all’interno del pensiero dialogico-dualista massonico sempre rappresentato dai pavimenti a scacchiera.
L’idea di un nesso tra il tessuto leopardato e forme di aggregazione para-massoniche è stata diffusa internazionalmente dal telefilm Happy Days, nel quale il pater familias di casa Cunningham spesso si assentava per riunioni presso una misteriosa «loggia del leopardo», indossando un fez maculato.
Met a delightful elderly lady at Woolworths wearing triple leopard print: slacks, jacket and a Howard Cunningham-style leopard print fez. I told her I loved her hat and she looked disappointed. “I thought you were going to say you loved *me*…!” pic.twitter.com/bOkiymbk5N
— Stephen Downes (@TheNewDownesy) April 9, 2019
Vi è, infine, la questione della donna leopardata e della sua moda.
Cappotti in pelle di leopardo e altri capi di abbigliamento e accessori divennero particolarmente popolari negli anni ’20, dopo che star del cinema come Joan Crawford si pavoneggiavano nei film di Hollywood indossando la pelle maculata del maestoso felino. Christian Dior, mantenne la tendenza per le donne più glamour: «se sei giusta e dolce, non indossarlo» avrebbe detto il modista francese.
Negli anni ’50 e ’60, tale significato lasciò il posto all’idea che una donna che indossava il leopardo fosse una moglie trofeo. In altre parole, la stampa rappresentava una donna piuttosto «selvaggia». Leoparderie varie sarebbero divenuta la cifra di maison odierne come Roberto Cavalli e Dolce&Gabbano.
E quindi, cosa ci riserva il futuro? Una chiesa selvaggia e animale? Una chiesa chic? Una chiesa africanizzata, oppure para-massonizzata, oppure femminilizzata?
Bizzarria
Resti di vampiri scoperti in Polonia

Uno scavo archeologico presso una fossa comune non segnalata ai margini del villaggio di Pień, vicino alla città polacca di Bydgoszcz, ha portato alla luce quelli che sembrano essere ulteriori esempi di sepoltura di esseri considerati vampiri.
I ricercatori dell’Università Nicolaus Copernicus di Toruń hanno portato alla luce i resti di quello che è stato ampiamente descritto nei notiziari locali come un «bambino vampiro». Il cadavere, che si pensa avesse circa 6 anni al momento della morte, fu sepolto a faccia in giù, con un lucchetto di ferro triangolare sotto il piede sinistro, nel probabile tentativo di legare il bambino alla tomba e impedirgli di infestare la sua famiglia e i vicini.
Si tratta di una pratica comune in Europa, quando si temevano i morti che tornano dalle tombe per molestare i vivi e berne il sangue, o anche per creare confusione nelle loro famiglie. In un racconto, del 1674, un uomo morto si alzò dalla sua tomba per aggredire i suoi parenti; quando la sua tomba fu aperta, il cadavere era innaturalmente conservato e portava tracce di sangue fresco.
Tali fenomeni erano ritenuti talmente comuni che per impedire ai cadaveri di rianimarsi veniva impiegata un’ampia gamma di rimedi: tagliare i loro cuori, inchiodarli nelle tombe, piantare pali nelle loro gambe, e soprattutto piazzargli sassi in bocca, di modo da impedire la masticazione: i nachzehrer, i «masticatori di sudario» o «cadaveri masticatori» erano ritenuti generatori di flagelli ed epidemie per i villaggi.
Nel 1746, un monaco benedettino di nome Antoine Augustin Calmet pubblicò un trattato popolare che cercava, tra le altre cose, di distinguere i veri non-morti, cioè i vampiri, dai truffatori. Il saggio si intitolata Dissertazioni sopra le apparizioni de’ spiriti, e sopra i vampiri, o i redivivi d’Ungheria, di Moravia e di Silesia.
Si pensa che il cadavere del bambino-vampiro polacco avesse circa 6 anni al momento della morte. È stato sepolto a faccia in giù, con un lucchetto di ferro triangolare sotto il piede sinistro, nel probabile tentativo di legare il bambino alla tomba e impedirgli di infestare la sua famiglia e i vicini.
«Il lucchetto sarebbe stato chiuso fino all’alluce», ha dichiarato al New York Times Dariusz Poliński, l’archeologo capo dello studio. Qualche tempo dopo la sepoltura, la tomba fu profanata e tutte le ossa rimosse tranne quelle della parte inferiore delle gambe. «Per quanto ne sappiamo, questo è l’unico esempio di sepoltura di bambini di questo tipo in Europa».
Sostieni Renovatio 21
La necropoli, un cimitero improvvisato per i poveri e i deriliti fu scoperta 18 anni fa sotto un campo di girasoli sul pendio di una collina. Non faceva parte di una chiesa né, per quanto risulta dai documenti storici locali, su terreno consacrato.
Secondo quanto riportato, a pochi metri da quella del bambino che ospitava lo scheletro di una donna con un piede chiuso da un lucchetto e una falce di ferro sul collo. «La falce aveva lo scopo di recidere la testa della donna nel caso avesse tentato di alzarsi», ha detto il professor Poliński al NYT.
Notiamo che, per qualche ragione, il giornale di Nuova York insiste nel tentare di far uscire questi casi dalla categoria del vampiro per incasellarla in quella di revenant, o redivivo.
«La donna e il bambino non si qualificano come vampiri, ha detto Martyn Rady, storico dell’University College di Londra. I vampiri, ha osservato, sono un tipo specifico di revenant; le loro caratteristiche furono definite per la prima volta intorno al 1720 da funzionari austriaci asburgici, che si imbatterono in sospetti vampiri in quella che oggi è la Serbia settentrionale e scrissero rapporti che finirono nelle riviste mediche dell’epoca. “Erano abbastanza chiari sul fatto che, nella leggenda popolare locale, il vampiro aveva tre caratteristiche: era un revenant, banchettava con i vivi ed era contagioso”, ha detto il dottor Rady. La definizione austriaca ha plasmato la mitologia letteraria dei vampiri».
La spiegazione del Times non convince nessuno, in quanto né il prestigioso quotidiano né gli accademici che virgoletta sanno che cosa esattamente potessero fare, o avessero fatto, le creature sepolte e ritrovate.
Secondo quanto riportato, infatti, nella fossa è stata trovata una mandibola con una macchia verde, subito ascritta al rame contenuto nelle monete, che un tempo venivano usate, dicono, nelle inumazioni. Tuttavia l’analisi chimica ha dimostrato che una macchia verde sulla sua bocca non proveniva da una moneta, ma da «qualcosa di più complicato». Infatti, «i residui contenevano tracce di oro, permanganato di potassio e rame, che secondo la dottoressa Poliński potrebbero essere stati lasciati da una pozione preparata per curare i suoi disturbi. La causa della morte della donna non è chiara, ma qualunque cosa fosse deve aver terrorizzato coloro che la seppellirono».
Le leggende polacche presentano due tipi di revenant. L’upiór, successivamente sostituito da «wampir», è simile al Dracula dell’immaginario cinematografico. La strzyga era più simile a una strega, «cioè, nel vecchio senso delle fiabe, uno spirito femminile o demone malevolo che preda gli umani, può mangiarli o bere il loro sangue», ha dichiarato al NYT Al Ridenour, un folclorista di Los Angeles. A Pień, la gente del posto a volte si riferisce alla donna falce come a strzyga, uno spettro tipicamente nato con due anime: «l’anima malevola non riesce a trovare riposo nella tomba, quindi risorge e semina il caos».
Verso la fine del Medioevo, collocare lucchetti nelle tombe divenne una sorta di tradizione nell’Europa centrale, in particolare in Polonia, dove sono stati trovati assemblaggi di chiavi e lucchetti nelle tombe di circa tre dozzine di necropoli di ebrei ashkenaziti. In un cimitero ebraico del XVI secolo a Lublino, i lucchetti di ferro venivano posti sui sudari, attorno alla testa del defunto o, in assenza di una bara, su un’asse che copriva il cadavere. Finora, il tesoro di Lutomiersk è il più grande: delle 1.200 tombe indagate, quasi 400 contenevano lucchetti.
Aiuta Renovatio 21
Non trovando spiegazioni per il fenomeno, gli esperti ha tentato di dare una spiegazione riduzionistico-linguistica: un termine talmudico per tomba è «una serratura» o «qualcosa chiuso a chiave», quindi l’usanza simboleggiava il «chiudere la tomba per sempre». L’usanza continuò nelle comunità ebraiche polacche almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale.
I corpi del bambino-vampiro e della donna-strega tuttavia non possono essere stati di ebrei, in quanto se così fosse stato sarebbero stati sepolti al cimitero ebraico.
In tempi di epidemie, a volte i cimiteri venivano perquisiti alla ricerca del «paziente zero». Potrebbero essere dissotterrati fino a una dozzina di cadaveri, Alcuni abitanti del posto sono stati coinvolti nello scoprire chi fosse la causa della morte, mentre altri, per lo più uomini adulti, a volte accompagnati da un prete, erano coinvolti nella dissepoltura del defunto e nella ricerca del colpevole.
Quando si fiutava un revenant, la mancanza di decomposizione era, letteralmente, un indizio assoluto. «Qualche settimana o mese dopo la morte, il corpo era ancora “fresco”», ha detto al quotidiano americano Kalina Skóra, ricercatrice presso l’Istituto di Archeologia ed Etnologia dell’Accademia Polacca delle Scienze di Łódź.
«Molto spesso la tomba della prima persona a morire – il presunto colpevole – veniva scavata e, per evitare che provocasse ulteriori morti, veniva deposta a faccia in giù, decapitata, con gli arti tagliati». Lucchetti, falci e altri oggetti di ferro, un metallo che si dice possedesse poteri antidemoniaci, venivano nascosti nella tomba a scopo preventivo. Se ciò non risolveva il problema, il corpo veniva rimosso e bruciato, le ceneri sparse o sommerse.
Le credenze nei vampiri polacchi non sono limitate alla Polonia, ma si sono diffuse in era moderna con l’immigrazione: secondo il professore di lingue e letterature slave americano Jan Louis Perskowski (1936-), la popolazione de Casciubi (cioè provenienti dalla Pomerania, Polonia occidentale) emigrata a Wilno, nella provincia canadese dell’Ontario, ancora oggi credono che «l’unico rimedio contro questo tipo di futuro vampirismo fosse quello di estrarre i denti dai neonati. I casciubi temevano anche coloro che nascevano con un involucro rosso, un pezzo di membrana amniotica che circonda naturalmente il feto nel grembo materno» scrive nel libro del 1972 Vampires, Dwarves and Witches Among the Ontario Kashubs («Vampiri, nani e streghe tra i Casciubi dell’Ontario»).
Nel 1989 il Perkowski pubblicava The Darkling: A Treatise on Slavic Vampirism («L’oscuro: un trattato del vampirismo slavo»), un libro che raccoglieva resoconti originali di vampiri tradotti in inglese da oltre venti lingue, molte per la prima volta, incluso un processo sui vampiri tenutosi nella città veneziana di Ragusa (ora chiamata dalla massa «Dubrovnik») nel 1737.
Sostieni Renovatio 21
Di fatto, moltissime testimonianze fanno a pensare al vampiro come ad una questione che coinvolgesse soprattutto il dominio veneto e l’Adriatico dei tempi della Serenissima.
Sono stati rinvenuti corpi con una pietra posizionata nella bocca in particolare nelle regioni di Friuli e Marche. Tuttavia, è noto soprattutto il caso famoso della «vampira di Venezia», verificatosi tra gli anni Novanta e Duemila: gli archeologi scoprirono i resti di una donna vissuta nel XVIII secolo, seppellita con una pietra nella bocca per evitare che masticasse come usano fare i nachzehrer.
Le autorità veneziane erano già ben consapevoli del problema dei vampiri, poiché nei territori orientali della Serenissima si erano verificati casi continui e ben documentati. In Istria, ad esempio, operava un vampiro chiamato «Jure Grando», che aveva ottenuto una certa notorietà. Un altro vampiro tormentava l’isola di Curzola, nella bassa Dalmazia.
I vampiri a tal punto minacciavano la società che uno di loro fu portato in tribunale a Ragusa e condannato, purtroppo in contumacia. Questo è il primo caso noto in cui le autorità hanno documentato ufficialmente il riconoscimento del problema dei vampiri.
E oggi? Il problema dei vampiri persiste? Si tratta solo di antiche superstizioni, peraltro nemmeno ben tramandatesi?
Ai lettori chiediamo se vogliono che Renovatio 21 continui ad occuparsi del tema.
Bizzarria
Uomo arrestato per aver gettato sostanze chimiche nelle piscine utilizzando un drone

Sostieni Renovatio 21
-
Essere genitori1 settimana fa
Bambino morto 34 ore dopo i vaccini. Il rapporto: aveva livelli tossici di alluminio nel sangue
-
Linee cellulari1 settimana fa
Vaccini fatti con aborti. Ricordiamolo ancora una volta
-
Spirito2 settimane fa
Bergoglio sta per chiedere le dimissioni del vescovo che si è opposto ai vaccini fatti con gli aborti
-
Spirito2 settimane fa
Papa Francesco attacca il cardinale Burke e i critici del Sinodo: non difendono «la vera dottrina cattolica»
-
Pensiero2 settimane fa
L’era dei normaloidi
-
Intelligenza Artificiale1 settimana fa
La Von der Leyen invoca i passaporti vaccinali digitali: green pass e id digitale per tutto il mondo
-
Spirito1 settimana fa
Cardinale Müller: i «falsi profeti» cercheranno di usare il Sinodo per l’Agenda 2030 dell’ONU
-
Contraccezione1 settimana fa
Bergoglio parlerà alla conferenza della Fondazione abortista dei Clinton