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Dottor Roberto Gava: lettera ai miei pazienti

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Con il permesso del dott. Roberto Gava Renovatio 21 pubblica in esclusiva questa lettera indirizzata ai suoi pazienti.

 

 

LETTERA AI MIEI PAZIENTI

La Medicina contemporanea protegge il malato o se stessa? È datrice di vita o di morte?

 

3 maggio 2018

Carissimi,

 

dopo la morte del piccolo Charlie Gard, il bambino inglese affetto da una malattia mitocondriale degenerativa considerata incurabile e deceduto il 28.7.2017, è stata decisa la morte anche del piccolo Alfie Evans, affetto da una patologia neurologica degenerativa non ancora conosciuta e deceduto il 28.4.2018, esattamente nove mesi dopo Charlie.

Un giudice dell’Alta Corte di «giustizia» inglese ha deciso la morte di Alfie dichiarando che la sua vita era «futile, inutile»

 

I medici hanno comunicato che entrambi «non avevano alcuna possibilità di guarire» e quindi è stato deciso di togliere loro la nutrizione e la ventilazione artificiale: Charlie è morto pochi minuti dopo, mentre Alfie è sopravvissuto alcuni giorni respirando in modo autonomo (anche se si pensava che non avrebbe potuto respirare da solo), ma lo stress biologico a cui sono stati sottoposti i suoi organi in quei giorni hanno contribuito ad indebolirlo portandolo a morte.

 

Un giudice dell’Alta Corte di «giustizia» inglese ha deciso la morte di Alfie dichiarando che la sua vita era «futile, inutile», avvalorando la decisione dei medici e rifiutando di concedere ai genitori di portarlo a casa e di farlo curare altrove.

 

Con quale autorità morale hanno fatto questo?

 

Jean Pierre Casey, nipote di Dietrich von Hildebrand (1889-1977), famoso filosofo cattolico tedesco e deciso oppositore di Hitler, ha scritto una lettera aperta ai Vescovi di Inghilterra e Galles accusandoli molto duramente per il loro silenzio e per non aver difeso la vita dei bambini negli ospedali. Egli scrive: «È sempre più evidente che oltre alle migliaia di aborti che procurano ogni anno, gli ospedali del Servizio Sanitario Nazionale britannico stanno diventando fabbriche di morte non solo per i non ancora nati, ma per i vivi. […] Che i nostri Vescovi continuino ad allearsi con il Servizio Sanitario Nazionale nel difendere l’indifendibile va al di là di ogni possibile comprensione. […] Se i dirigenti della Chiesa rimangono in silenzio di fronte a tale tirannia, ingiustizia e oppressione, diventano complici e, di fatto, prendono parte attivamente a gravi azioni malvagie».

 

Inoltre, da giorni i genitori di Alfie avevano trovato in ospedale il conforto di un Sacerdote italiano (Padre Gabriele Brusco, Legionario di Cristo), che aveva anche iniziato a parlare agli operatori sanitari ospedalieri di «obiezione di coscienza», venendo peraltro criticato per questo, ma che è stato improvvisamente allontanato dall’ospedale e richiamato a Londra dal suo parroco, al quale deve obbedienza.

 

Prosegue Casey nella sua denuncia:

Questa non è Medicina. Apprezzo e riconosco la Medicina Personalizzata fatta nel territorio da innumerevoli Medici di Base, Pediatri e anche Specialisti che si sacrificano tutti i giorni per i loro Pazienti, ma mi dissocio dagli schemi fissi spersonalizzati e imposti obbligatoriamente dall’alto, per i quali sembra che la persona conti finché è produttiva

 

«Un ospedale che funge da carcere, imprigionando un bambino contro i desideri dei suoi genitori e la possibilità di avere un giudizio migliore non agisce con integrità.

 

Un ospedale che chiede un’ingiunzione del tribunale per impedire ai genitori di esercitare il proprio dovere di agire nel migliore interesse del proprio figlio non agisce con integrità.

 

Un ospedale che rifiuta di mettere in discussione la sua possibile, se non probabile, errata diagnosi non agisce con integrità.

 

Un ospedale che cerca di estromettere un Cappellano che fornisce conforto spirituale a una famiglia bisognosa e amministra i Sacramenti, non agisce con integrità.

 

Un ospedale che rifiuta di prendere in considerazione alternative non agisce con integrità.

 

Un ospedale che richiede la presenza della polizia per impedire ai genitori di esercitare il proprio diritto legale non agisce con integrità.

 

Un ospedale che si rifiuta di facilitare un incontro tra il suo personale medico e il responsabile di un altro ospedale pronto ad accettare il bambino a suo carico [Ospedale del Bambino Gesù di Roma] non agisce con integrità.

 

Un ospedale che non collabora con altri ospedali affinché mandino personale medico, attrezzature e mezzi di trasporto per sostenere i desideri dei genitori per forme alternative di trattamento non agisce con integrità.

 

Un ospedale che si rifiuta di idratare o nutrire un bambino non agisce con integrità».

 

«Secondo alcuni – continua Casey – io posso sembrare un sempliciotto, non in grado di capire pienamente le sottigliezze etiche e mediche del caso, ma rispondo così: Conosco la tirannia quando la vedo. Conosco l’oppressione quando la vedo. Conosco l’ingiustizia quando la vedo. E così fanno molte migliaia di altre persone in tutto il mondo».

Quale agonia se Alfie non soffriva prima di essere messo in carenza di ossigeno e cibo?

 

Non si creda che questa sia solo la condizione della Medicina Pubblica inglese. Anche in Italia un Pediatra, Primario di un reparto emiliano, in questi giorni ha preso posizione a favore dei medici inglesi e ha detto: «Sono circa 150 nella nostra provincia i bambini affetti da queste patologie che in alcuni casi possono avere complicanze gravissime. […] I medici sono obbligati a comunicare alla famiglia quando le cure sono sproporzionate. Il problema nasce quando famiglia e medici sono in disaccordo. […] I miei Colleghi inglesi hanno fatto quello che dovevano, se c’è stato un errore forse c’è stato nel coinvolgimento della famiglia. Si poteva spostare? Sarebbe potuto migliorare? Non sono d’accordo: si sarebbe solo prolungata l’agonia».

 

Quale agonia se Alfie non soffriva prima di essere messo in carenza di ossigeno e cibo?

 

Comunque, se in una sola provincia italiana ci sono circa 150 bambini affetti da patologie gravi incurabili, allora significa che in tutt’Italia ci sono migliaia di questi bambini.

 

Li uccidiamo tutti come ha fatto Hitler con i disabili tedeschi per cercare di purificare la sua «Razza Ariana»?

Se in una sola provincia italiana ci sono circa 150 bambini affetti da patologie gravi incurabili, allora significa che in tutt’Italia ci sono migliaia di questi bambini. Li uccidiamo tutti come ha fatto Hitler con i disabili tedeschi per cercare di purificare la sua «razza ariana»?

 

E noi resteremo indifferenti?

 

Questa non è Medicina. Apprezzo e riconosco la Medicina Personalizzata fatta nel territorio da innumerevoli Medici di Base, Pediatri e anche Specialisti che si sacrificano tutti i giorni per i loro Pazienti, ma mi dissocio dagli schemi fissi spersonalizzati e imposti obbligatoriamente dall’alto, per i quali sembra che la persona conti finché è produttiva.

 

A voi, miei Pazienti, scrivo questa lettera affinché sappiate che ho scelto di fare il medico per aiutare l’uomo, sano o malato, appena concepito o moribondo, senza distinzione di cultura, razza, ideologia e fede religiosa. Vi scrivo apertamente affinché sappiate da che parte sto e possiate decidere coscientemente se seguirmi o meno. Anche quando le conoscenze scientifiche del momento mi dicevano che non c’era più nulla da fare, ho sempre combattuto per cercare nuove terapie e nuove vie e da 43 anni studio tutte le sere per accrescere le mie conoscenze, senza pregiudizi, restando aperto a qualsiasi approccio terapeutico convenzionale o non convenzionale che abbia un fondamento e che sia degno di essere approfondito ed eventualmente acquisito.

A voi, miei Pazienti, scrivo questa lettera affinché sappiate che ho scelto di fare il medico per aiutare l’uomo, sano o malato, appena concepito o moribondo, senza distinzione di cultura, razza, ideologia e fede religiosa. Vi scrivo apertamente affinché sappiate da che parte sto e possiate decidere coscientemente se seguirmi o meno

 

Non temo di andare controcorrente, perché più del giudizio umano temo il Giudizio di Dio e quello della mia coscienza.

 

Ai medici britannici ricordo solo che l’umiltà è la madre di tutte le virtù e che davanti alla vita e alla sofferenza di una persona deve venir meno ogni interesse e orgoglio personale o nazionale.

 

Inoltre, vorrei ricordare loro che nessun uomo ha il diritto di uccidere, di ostacolare o di negare l’assistenza respiratoria, l’acqua e il cibo con tutte le sue componenti nutrizionali essenziali, cioè le condizioni indispensabili per mantenere la vita. Solo Dio può dare e togliere la vita nei momenti e con le modalità che Lui ritiene più opportune, in considerazione del nostro massimo bene personale e sociale. Anche la sofferenza, per quanto dura e terribile essa sia, è una forte occasione di crescita, e Dio lo sa molto bene.

 

Ai medici britannici, ma a qualsiasi medico, vorrei anche dire che di fronte ad una patologia che appare inguaribile, dovremmo riprendere a studiare, a ricercare nuove soluzioni, ad aprire il nostro cuore e la nostra mente a nuovi approcci terapeutici allo scopo di trovare quella cura che allo stato attuale non conosciamo, invece di arrenderci e decretare l’inutilità dell’esistenza di chi ne è affetto.

Abbiamo tutti bisogno di riscoprire il senso della nostra vita, che non risiede né nel potere personale, né nel potere economico, né nell’apparire, né nell’appagare il piacere personale, ma solo nel compiere il Bene e quindi anche nel difendere la sacralità della Vita in ogni sua espressione e condizione

Ancora cinque secoli fa Paracelso ci ammoniva dicendo che: «Nessun Medico può dire che una malattia è incurabile. Affermarlo è come offendere Dio, la Natura e disprezzare il Creato. Non esiste malattia, per quanto terribile possa essere, per la quale Dio non abbia una cura corrispondente» … E il progresso medico di questi ultimi decenni credo lo abbia dimostrato.

 

Ciò che non conosciamo lo possiamo scoprire e se chi ci ha preceduto non avesse creduto in questo e lottato e pagato anche di persona per questo, oggi non potremmo godere dei benefici di cui disponiamo.

 

È troppo facile, ingiusto e inumano chiudere la bocca a colui che ci disturba. È troppo facile farsi forti con i deboli e uccidere l’indifeso solo perché mette in crisi la nostra coscienza e ci ricorda i nostri limiti.

 

Abbiamo tutti bisogno di riscoprire il senso della nostra vita, che non risiede né nel potere personale, né nel potere economico, né nell’apparire, né nell’appagare il piacere personale, ma solo nel compiere il Bene e quindi anche nel difendere la sacralità della Vita in ogni sua espressione e condizione.

 

È il momento di dire NO ad ogni ingiustizia, ad ogni conflitto di interesse, ad ogni minaccia contro la Vita, contro la Libertà di espressione, di scelta e di cura, specie quando riguarda genitori che esprimono amore per loro figlio.

 

C’è l’urgenza di svegliare la coscienza di ogni persona e di unirci come un’anima sola per chiedere che trionfino il Bene, la Libertà, la Giustizia, l’Amore verso tutti e il rispetto per la Vita, sacra in ogni sua condizione e manifestazione.

 

 

Roberto Gava, medico

 

 

 

 

 

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La metamorfosi di Trump tra l’Iran e Israele: spietata, sanguinaria arte del deal

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Non a tutti è piaciuta quella grafica che Renovatio 21 ha fatto, e piazzato su magliette. Il profilo di Trump che si staglia sulla tenebra, e ti fissa con occhi di fuoco, ha inquietato qualcuno. Ci sono persone che ci hanno scritto per protestare. Altri hanno chiesto spiegazioni.

 

Subito ci siamo stupiti: riteniamo quel disegno particolarmente riuscito. L’artigiano che ci segue per le serigrafie la ha messa in esposizione come una delle sue massime opere, e in molti gli domandano come comperarla. Noi la guardiamo e pensiamo: in questa immagine c’è tutto.

 

Eppure no, taluni non capiscono, lasciandoci interdetti: è come se non vedessero il valore metafisico, metapolitico, metastorico a cui è assurta la figura di Donaldo. Di più: non possono vedere la cifra di determinazione, risoluzione, di giustizia che, infine, arriva – con una parola che ci fa rischiare di sembrare perfino evoliani, non realizzano l’uomo Trump come potenza.

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Ancora: vediamo che essi non ne percepiscono il carattere punitivo.

 

Nella tragica ora in cui il Medio Oriente si infiamma – e le fiamme sono, ha detto il direttore AIEA Rafael Grossi, radiattive – la metamorfosi di Trump a noi pare più chiara che mai. No, non è più il Trump-45, il presidente impolitico venuto dal business e dalla reality TV (con i quali, va ricordato, ha scalato, da outsider, la scena più ardua e medievale del mondo, Nuova York).

 

No. Lo abbiamo pensato subito, forse da qualche parte lo abbiamo pure scritto: The Donald è cambiato, molto. Doveva esservi chiaro almeno da quando giurò da presidente, quel 20 gennaio, senza – inedito totale, pure per lui stesso – toccare la Bibbia: un gesto enigmatico, ma pure, qualsiasi fosse l’intenzione, profondamente morale. Trump-47 è un’altra persona, un essere nuovo, trasformato.

 

Ad inizio aprile il Washington Post aveva scritto, citando un anonimo funzionario della Casa Bianca, che Trump era «at peak of not giving a fuck», cioè «al vertice del non fregarsene un cazzo». Un ultra-nichilismo funzionale al potere, una sorta di satori regale, di illuminazione definitiva del comando monarchico: uno status che pochi hanno raggiunto, e che francamente noi mai abbiamo davvero veduto.

 

Non crediamo che questa trance metapolitica sia stata raggiunta negli ultimi tempi. Era pienamente intuibile durante il primo attentato, quello che doveva fargli saltare la testa in mondovisione (perché la CNN aveva mandato tutte quelle telecamere per un comizio qualsiasi, in un Paesino della Virginia? Se lo chiedono in diversi). Una traiettoria spiegabile solo con la religione gli sfiora l’orecchio, linee di sangue gli rigano il volto, che diviene la riflessione perfetta della bandiera USA che garrisce sopra di lui. Lui si rialza, non banda agli agenti del Secret Service che devono portarlo via, alza al cielo il pugno, si rivolge al suo popolo, e gli chiede per tre volte di continuare a lottare. «Fight, fight, fight».

 

Era evidente: a quell’uomo non importa di morire. Con il cuore è decisamente altrove, in un luogo ideale che non conoscevamo e che non sappiamo bene descrivere. È oltre agli interessi individuali, e al contempo calato in modo totalizzante nel suo desiderio di comunione con il popolo, con il suo imperativo interiore di essere, prima che populista, popolare.

 

Credo di averlo già scritto: Mussolini è morto mentre scappava in Svizzera vestito da soldato tedesco. Hitler (in teoria, OK) si è suicidato nascosto in un bunker tra la puzza di piscio. Questo esemplare di leader sembra diverso.

 

 

Non è che lo abbiamo notato solo noi. Prendiamo Naomi Wolf: intellettuale proveniente dalla sinistra liberal (ebrea, studi oxoniani, un passato da abortista sfegatata), già collaboratrice dei Clinton, ora però redpillata nella comprensione del Vero, con indomito sforzo di analizzare la catastrofe pandemica già visibile, dice, nelle carte di Pfizer. Chiedere alla Wolf, che nel frattempo ha cominciato a comprendere verità geodemonologiche sul mondo moderno, di sostenere Trump era tantissimo. Tuttavia un giorno ha dovuto farlo – fu quando, a fine campagna elettorale era uscita la notizia per cui c’erano almeno cinque squadre di assassini, pure dotati di missili terra-aria, attivate per assassinare Trump. Lui di contro, twittava di cose ridicoli, provocando al solito qualcuno che gli stava antipatico. «Mi ci sono voluti anni a riconoscerlo, ma devo dirlo: tipo che sei figo».

 

Figo, cool: la parola significa anche «freddo». Capace di decisione; al comando della situazione.

 

È quello che sta mostrando, anche in modo non proprio edificante, in queste ore. Ha scritto, usando il maiuscolo, che i generali iraniani «hardliners», cioè le «teste calde» che si opponevano ai negoziati «sono tutti MORTI». Quello di Israele sembra proprio essere stato un decapitation strike. Un attacco che toglie di mezzo il centro di controllo di un sistema. Lui, piuttosto brutalmente, mostra che ciò è di suo giovamento – perché con evidenza il suo fine è il negoziato, l’arte del deal sulla quale ha costruito tutta la sua vita.

 

In pratica, Trump pare aver usato Israele per riportare gli ayatollah al tavolo, e alle sue condizioni.

 

Già qui c’è questa novità enorme: non è Israele che usa l’America, ma l’America che usa Israele. Scusate: anche qui, crediamo di mai aver veduto questa cosa. Cambio di paradigma metafisico.

 

Trump ha imparato la lezione. Renovatio 21 è una delle poche testate che aveva riportato le parole che mesi fa Trump aveva affidato ad una grande rivista americana, e forse pure ripetuto in altre occasioni: il generale Soleimani lo aveva fatto uccidere su pressioni di Netanyahu (come confermato anche da spie ebraiche), che alla fine però si era tirato indietro all’ultimo minuto.

 

«Ho avuto una brutta esperienza con Bibi», aveva detto nel maggio 2024 Trump. «È stato qualcosa che non ho mai dimenticato», aveva detto Trump a TIME, aggiungendo che l’incidente «mi ha mostrato qualcosa».

 

Non che la mossa gli sia costata nulla: lui, e tutta la sua famiglia, passeranno l’esistenza sperando che il Secret Service li scudi dalla vendetta iraniana, giurata perfino su video di computer grafica diffusi da canali ufficiali.

 

 

 

Oggi la faccenda è molto cambiata. Trump ha maltrattato Israele e il suo premier, al punto da suggerire, con l’idea bislacca di Gaza resa paradisiaco resort mediterraneo, l’idea che lo Stato Giudaico non avrà mai il controllo della striscia necessaria al compimento del disegno del «Grande Israele». Con evidenza, tuttavia, ha lasciato mano libera, intuendo una debolezza attuale attorno all’Iran.

 

La Russia e la Cina interverranno a favore di Teheran? Il potere dell’ayatollah sulla popolazione è così saldo? Sono calcoli che deve aver fatto, mentre diviene chiaro a cosa sia servito il viaggio in Arabia dello scorso mese, e quel lungo, denso discorso sulla fine della politica neocon – quindi, per paradosso, la fine della bava alla bocca contro l’Iran. A Riyadh, e negli altri regni del Golfo, Trump ha riprogrammato, deal dopo deal, l’asse del Medio Oriente, orientandolo più verso la Mecca che verso la Repubblica Islamica (che, fuori da regno dei Sauditi, tra i sunniti, godeva comunque di una presa non indifferente).

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Non possiamo sapere cosa accadrà. Il piano potrebbe non funzionare, i calcoli sulla tenuta di Khamenei, o sulla possibilità di tenere a freno lo Stato degli ebrei, potrebbero essere errati. La volontà negoziale messa in questo sforzo era partita nei primi giorni, quando dissero che aveva mandato Elon Musk a Nuova York a trattare con emissari di Teheran. Non molto pare essere stato ottenuto, e la situazione potrebbe ovviamente precipitare definitivamente – atomicamente.

 

Rimane che quello che stiamo vedendo è il Trump 2.0, il Donaldo scaturigine anni di pressione (con secoli di carcere minacciati dai tribunali) e di violenza, rigenerato nella lotta e nel sangue. È il re arrivato all’illuminazione oscura, al potere più enigmatico: Dark Maga Power.

 

Aveva scritto The Art of the Deal, l’arte di fare deal, affari. Come il suo cuore, tale arte è divenuta tenebrosa, spietata, perfino, potete dirlo, a tratti sanguinaria.

 

Non siamo certi che tutto questo sia bello da vedere, né – visto che ci sono di mezzo dei morti – bello. Ma mai avevamo testimoniato il potere politico utilizzato in questa tremenda purezza.

 

La bellezza – a volte triste, a volta tragica – che ha il castigo. Cioè quello oggi che tutti gli esseri umani rimasti tali nel mondo moderno devono chiedere al Cielo.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificata

 

 

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Referendum sul divorzio 2025: quello di sindacati e compagni dalla realtà

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Il referendum sul lavoro dipendente e l’invasione migratoria è fallito, tuttavia quello sul divorzio 2025 è riuscito: possiamo dire, senza ombra di dubbio, che non andando a votare gli italiani hanno ratificato il divorzio dalla realtà di istituzioni, enti, corpi sociali, vescovadi ed interi partiti politici.   Il mondo reale, ora è certificato democraticamente, è separato totalmente dai cascami sovietici della grande mangiatoia repubblicana: nessuno ha votato per i loro quesiti. Anzi andiamo oltre: nessuno sapeva davvero quali fossero.   Non è stato captato interesse, nessuno davvero, per il referendum – e questo al di là del fine settimana al mare. Attorno a me, non solo non c’è una persona che sia andata a votare, ma nemmeno che sapesse per cosa si votasse.

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Ognuno ha capito, senza bisogno di tante spiegazioni, che erano fisime sul feticcio del lavoro, cose di un mondo che sul serio non esiste più: mentre la gente arranca nella rovina post-industriale, ci parlano di licenziamenti illegittimi, giudici che decidono le indennità di licenziamento per le piccole imprese, contratti a tempo determinato, responsabilità di appaltatori e pure committenti sugli infortuni sul lavoro. Poi la ciliegina: 5 anni di residenza in Italia acciocché gli immigrati divengano cittadini italiani a tutti gli effetti.   Non uno di questi temi – e son dovuto andare a guardarmeli ora, ad urne chiuse, perché anche io ci ero volato sopra serenissimo – pare avere attinenza con la realtà. Non uno sembra essere allineato con il sentimento non solo della classe produttiva (compresi i dipendenti) ma del cittadino quivis de populo: rendiamo gli immigrati che stanno mettendo a ferro e fuoco le città subito italiani?   Maranza al voto? Sì: così poi però, invece che il Partito Maranza, ci troviamo il Partito Islamico – chiunque può fare questo pensiero, chiunque è finito per sentire ed ammettere, e in tutto il pianeta (FPO primo partito in Austria, Le Pen rampante in Francia, AfD in vetta in Germania… e Trump alla Casa Bianca) che la migrazione massiva è un problema da risolvere, non da facilitare.   Tutti lo sanno, tranne la sinistra e i sindacati. I quali, per fare bella figura e spingere sempre più gente a votare, hanno pensato bene pure di farsi vedere che litigano a sangue. Il che vuol dire, il divorzio ce lo hanno anche loro, infra: la parte piddina oramai metamorfosata in partito neoliberale e neoradicale di massa mai poteva votare per l’abrogazione del Jobs act.   Personalmente, mi impressiona non poco la questione dei sindacati. Ininfluenti sul piano politico (il referendum lo sancisce incontrovertibilmente), invisibili sul piano sociale (quante persone conoscete che sono state aiutate da un sindacato?), sono tuttavia realtà ricchissime, dove la cornucopia diviene sempre più visibile sullo sfondo di una società in sfacelo.   Voglio raccontarvi un angolo della mia città, quello dove svetta il palazzotto del principale sindacato, tetro ed eloquente con la sua colata di cemento grigio e il logo rosso che spunta in cielo: poco più avanti, c’era un’edicola, ora c’è uno dei quei buchi pieni di distributori automatici con dentro tutto: bibite, preservativi, cartucce per le sigarette elettroniche, latte, cioccolatini, olio da massaggio (che in realtà ipotizziamo serva agli invertiti, e non per massaggiarsi), cracker, e su tutto le casseforti cibernetiche che fanno da casella postale Amazon, grande simbolo del lavoro in Italia.

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A pochi metri, c’era un negozio di giocattoli e cartotecnica, durato decadi, con il nome di una famiglia cimbra: un posto eccezionale, che conoscevo da bambino, e in cui credo di aver fatto in tempo qualcosa anche per il primo figlio. Ora, invece, c’è una succursale del sindacato – la cui sede, ripetiamo, è lì a trenta metri – ci fanno dentro non so cosa, dalle vetrine si vede un bell’ufficio modernissimo, illuminato anche di notte, con il cartellino «Open» alla porta, neanche fosse un diner americano stile Happy Days.   In breve: il tessuto produttivo italiano è andato, da mo’, in malore: ma il sindacato proprio no. Anzi: può approfittare ed espandere il suo raggio. Ciò non vale solo per le quisquilie immobiliari. Il sindacato, in realtà, da diversi ha lanciato una vera e propria espansione morale. Ecco la crociata al Consiglio d’Europa per cancellare l’obiezione di coscienza sull’aborto in Italia.   Ecco la sollecitudine sui vaccini, che come abbiamo rilevato su Renovatio 21, è iniziata ben prima della pandemia, con ad esempio gli appelli ai pensionati (si allargano proprio: sono lavoratori, i pensionati?) a fare il vaccino antinfluenzale, nonostante in quegli anni ogni tanto sui giornali c’era qualche timido articolo sulla possibilità di qualche lotto assassino… per non parlare dei vaccini pediatrici (anche i bambini non sono lavoratori, ma pazienza), dove quando entrò in vigore la legge Lorenzin nel 2017 ad esempio a Palermo i sindacati lanciarono l’allarme sul fatto che c’erano pochi vaccinatori, bisognava assumere.   Insomma: come da piramide di Maslow, il sindacato è talmente ricco da aver soddisfatto tutti gli strati inferiori (bisogni fisiologici, bisogni di sicurezza, di appartenenza, di stima) e fluttua al vertice, dove può perseguire il fine dell’autorealizzazione: creatività, spiritualità moralità. Non c’è da ridere: questa è la sola spiegazione scientifica che trovo se penso al sindacato che si occupa di libero feticidio e sierizzazioni – e di concertoni rock, i quali, come detto dal poeta oramai lustri anni fa, in effetti hanno un po’ «rotto i coglioni».   Il sindacato è come un vecchio aristocratico, un nobile di quelli stile Gattopardo: il mondo è cambiato totalmente, e in teoria ti rifiuta pure, ma tu sai che invece starai lì, hai la sicurezza della tua ricchezza, e quindi può permetterti di correre dietro al superfluo, le amanti, le speculazioni di pensiero, etc.   Dobbiamo capire che tale nobiltà parassita ha in Italia un colpevole precipuo: la Costituzione. La quale essendo nata da comunisti e da democristiani (cioè, la specie creata in laboratorio da massoni e angloamericani per lasciare libero il passaggio a comunisti e liberali), è leggermente «sovietica», amava dire Silvio Berlusconi, al punto da mettere l’idolatria del lavoro in testa alla Carta stessa, e poi a dettagliare il goscismo istituzionali in altri articoli.   Come l’articolo 39: «L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce».   In pratica, dice la Costituzione più bella dello mondo, sindacato libero! Sindacati per tutti! Ma allora, perché sono così pochi? Perché non sono usciti nuovi sindacati a fare concorrenza a quelli divorziati dalla realtà? Magari ci sono pure: ma non prendiamoci in giro, sappiamo tutti che siamo dinanzi a logiche di feudo, un feudo ultramiliardario, inscalfibile, intoccabile, invincibile.

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Vediamo, tuttavia, che a potersi permettere il divorzio dal reale: ecco che la Carta sovietica d’Italia prevede addirittura la creazione di un ente che talmente tante persone potrebbero definire inutile da farci sopra un referendum – anche quello fallito, forse a causa del giovane borioso premier-genio che aveva accluso il voto per abolire il Senato. Parliamo, ovviamente, del CNEL.   Articolo 99 della Costituzione della Repubblica Italiana: «Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa». Ebbene sì, il CNEL ha copertura costituzionale. Noi, confessiamo apertamente, non abbiamo idea di cosa faccia, e crediamo di non essere gli unici: ma, sapete, nella nostra Repubblica basta la parola «lavoro» e si può fare tutto, tranne obiettare i sieri genici sperimentali.   Un vecchio amico – nel senso, un signore anziano, che dal suo incarico per una grande azienda ne ha viste molte – mi diceva di un conoscente che, per ragioni a caso, era stato messo a fine carriera al CNEL, ed era felicissimo, perché neanche lui capiva bene quale fosse questo lavoro, ma lo stipendio arrivava. Non siamo in grado di verificare questa notizia, tuttavia, un po’ come per i quesiti del referendum 2025, come una immane porzione di popolazione italica non sentiamo l’impulso ad approfondire. Un altro ente, un altro turbine di leggi, uffici, salari, lontani anni luce dalla mia libertà, dalla difficoltà di tirare avanti la carretta tutti i mesi: ma chi davvero ha la forza per pensarci?   È quindi con questa mesta rassegnazione che registro come il divorzio in Italia sia stato approvato per referendum una seconda volta: il divorzio tra le istituzioni sociali – mica scordiamo l’ente sociale chiamato CEI, con il cardinale Zuppi che aveva invitato a recarsi alle urne – e la società stessa, che non vuole più saperne di loro e delle loro proposte, che non sono solo irrilevanti, sono con evidenza nocive, contrarie in tutto e per tutto alla percezione attuale del bene comune.   Lo sappiamo: la rassegnazione non va bene. Ma capiteci: abbiamo paura di dire qualsiasi cosa.

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Il sindacato può comunicare apertis verbis di non voler difendere i lavoratori (per il vaccino mRNA, e magari i soldini del Recovery Fund), può cambiare volti di leader che non ci colpiscono esattamente per il pensiero (il tizio con il diastema, il baffotto bianco, l’occhio mandorlato che scrive le prefazioni dei romanzi di Philip Dick, l’orsetto democristiano, la tizia flemmatica che fuma, quello professorale con gli occhiali spessi e la pelle tra il diafano e il rosso, il sindacalista metalmeccanico professionista), travasandoli poi in larga parte, autista e scorta e quant’altro, alle elezioni politiche per il voto feudale automatico dei soliti partiti della sinistra postcomunista e democristiana.   Come tutto questo non inorridisca i lavoratori, non sappiamo dirlo, ma tuttavia ora sappiamo che inorridisce assai gli elettori. I quali elettori, che non sono principi e conti che possono vivere di rendite politico-costituzionali, dalla realtà non vogliono divorziare, altri, loro non possono.   Come non possono permettersi di avere, a decidere per loro, qualcuno che, come Landini due anni fa, comizia letteralmente a favore del «Nuovo Ordine Mondiale». Cioè ciò che, con nel silenzio se non nel tifo del sindacato stesso, ha distrutto il loro lavoro, la loro famiglia, la loro esistenza.   Roberto Dal Bosco

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Immagine di Maritè Toledo via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0  
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Orban denuncia il piano «progressista» per l’Europa di «sostituire il cristianesimo e la nazione»

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Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha criticato il piano «progressista» per l’Europa, definendolo un piano che mira a «sostituire il cristianesimo e la nazione», in un discorso alla Conferenza di azione politica conservatrice (CPAC) del 2025 in Ungheria.

 

«Amici miei, ci sono due piani sul tavolo. Uno è il piano liberale, l’altro è il piano patriottico per l’Europa», ha detto Orban giovedì al suo pubblico di conservatori, tra cui illustri leader politici europei.

 

«Il piano liberale considera obsoleta la vecchia Europa culturale e cristiana. Vogliono superarla. Per decenni hanno lavorato per costruire una nuova identità che sostituisse il cristianesimo e la nazione», ha detto Orban.

 

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Si può sostenere che non solo per decenni, ma per oltre un secolo, alcune forze hanno lavorato per sostituire il cristianesimo in Europa, in particolare prima attraverso la Rivoluzione francese e poi attraverso la sinistra in Russia, Spagna e Portogallo. In questi casi, gli sforzi per rovesciare il cristianesimo sono stati palesi e violenti, ma i tentativi più recenti hanno utilizzato «cause» culturali come la «liberazione» sessuale e l’ideologia LGBTQ per guidare gli sforzi di secolarizzazione.

 

In Europa il cristianesimo è già notevolmente diminuito, ancor più che negli Stati Uniti, con la partecipazione alle funzioni religiose ai minimi storici, sebbene resti culturali ed estetici dell’Europa cristiana siano ancora visibili nei luoghi in cui la pratica religiosa è in declino.

 

Lo stesso Orban è noto per la sua promozione dei valori cristiani attraverso la sua sfrontata difesa del matrimonio e della famiglia tradizionale, e la sua aperta opposizione all’ideologia omotransessualista. È interessante notare che in Ungheria la percentuale di persone che «non frequentano mai» le funzioni religiose è diminuita negli ultimi anni, ma la percentuale che vi partecipa settimanalmente rimane a un livello molto basso, il 9%.

 

Il leader ungherese ha affermato che i tentativi liberali di «sostituire la nazione» funzionano minandone la sovranità nazionale e centralizzando l’Europa, scagliandosi contro contro Bruxelles – sede anche della NATO – accusandola di fomentare la guerra, usandola come pretesto per raggiungere questo obiettivo di centralizzazione europea.

 

«Se c’è la guerra, c’è più Bruxelles e ancora meno sovranità», ha detto Orban. «Il piano progressista è che l’Europa debba costruire un nuovo modello economico, un modello di economia di guerra, con il pretesto della guerra. Nella loro mente, la guerra sarà il motore dell’economia. Debito collettivo, controllo centralizzato e un fondo di guerra».

 

Secondo Orban, la spinta per l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea è un elemento «chiave» di questo piano progressista guerrafondaio. L’Ucraina sta perseguendo l’adesione all’UE, un potenziale passo verso l’adesione alla NATO, un’iniziativa che la Russia ha avvertito potrebbe scatenare una guerra nucleare.

 

Gli anti-globalisti hanno proposto come alternativa un «piano patriottico» in quattro punti, consistente in pace, sovranità nazionale, libertà e rivendicazione dell’Europa dai migranti per rivendicare la «cultura cristiana» e strade sicure.

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«Oggi, e per qualche anno a venire, la politica europea si concentrerà su quale piano vincerà. Questa battaglia deve essere vinta prima da tutti, a casa, e poi insieme a Bruxelles», ha detto Orban.

 

Il premier magiaro ha sostenuto che per farlo è necessario l’aiuto degli Stati Uniti e «dell’amministrazione di successo del Presidente Trump».

 

«Abbiamo bisogno di smantellare la collusione liberale tra America e Bruxelles, lo Stato profondo transatlantico», ha aggiunto Orban.

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