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Scuola

Del bruco e della farfalla. La scuola verso algoritmi mostruosi

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Mentre i membri dell’equipaggio cercano di distrarre il pubblico con proclami ad effetto – tipo il gran ritorno del latino alle medie, delle poesie a memoria, dell’epica classica – l’astronave scuola viaggia a velocità supersonica verso il compimento della missione spaziale 4 del PNRR: «garantire un’istruzione sempre più adeguata alle necessità della società contemporanea» nelle forme e nei modi – si intende – stabiliti dal pilota automatico (al quale del latino, delle poesie e dell’epica importa il giusto).

 

I passeggeri, abituati ai voli acrobatici, stanno seduti buoni al loro posto a eseguire le consegne. Non guardano fuori dal finestrino. 

 

Siccome però a bordo di quel missile impazzito ci sono anche i nostri figli, forse vale la pena di capire quale sia la rotta segnata. Vedremo come sia il caso di suonare l’allarme e di darsi da fare per salvare il salvabile.

 

Non torneremo qui a illustrare il lussureggiante corredo di trovate tossiche di varia natura – ma teleologicamente convergenti – che, diluite nel tempo, sono state rilasciate nel circuito scolastico, fino a diventarne componente essenziale, invadente e cancerosa. Sono oggetti ormai familiari, quasi suppellettili domestiche a cui abbiamo assuefatto la vista e tutti gli altri sensi: le prove INVALSI; l’orientamento, in entrata, in uscita e in tutte le salse; la didattica personalizzata e l’armamentario di certificazioni annesse (BES, DSA, ADHD, e PEI e PDP eccetera eccetera); il registro elettronico; il PCTO (ex alternanza scuola-lavoro); il CLIL (Content and Language Integrated Learning); e si potrebbe continuare a lungo a elencare pezzi di paccottiglia assortita.

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Di essi abbiamo detto abbastanza. Ma è necessario ribadire un dato di fatto che a quanto pare sfugge a troppi addetti ai lavori che guardano il dito anziché la luna: ovvero come tutti questi corpi estranei – a parte la loro intrinseca scemenza, a parte la comune funzione a catturare un’infinità di tempo e di risorse per sottrarli alla scuola vera, e stravolgerne il senso – concorrano a formare una capillare rete di sensori già stesa, e già perfettamente integrata nel sistema, sulla quale far aderire a ventosa l’ombrello informatico, oggi straordinariamente potenziato dalla valanga di denaro (del contribuente) gabellato come elargizione del PNRR. 

 

Dunque, attraverso l’infrastruttura allestita in decenni di riforme, tutte le informazioni – di vita, di morte e di miracoli – relative a ciascuno studente, dall’asilo in poi, vengono carpite, risucchiate e immortalate nel buco nero delle banche dati, che ne fanno – soprattutto, ne faranno – uso libero e discrezionale, siano i rispettivi titolari volenti o nolenti. Quelli ai quali è stata fatta una testa così sulla tutela della privacy.

 

È in atto una mastodontica operazione di spionaggio e di condizionamento a cui nessuno deve sfuggire. E a cui quasi nessuno, incredibilmente, pare obiettare.

 

Segnala il sempre attento professor Marco Cosentino, dalla sua vedetta universitaria, l’enfasi che ultimamente giornaletti e giornaloni pongono sulla presunta piaga sociale del cosiddetto «abbandono scolastico» e sulle soluzioni escogitate dal manovratore – quello che crea il problema e allo stesso tempo, graziosamente, fornisce il rimedio che gli conviene. L’agitazione intorno al tema è tale da far sorgere il legittimo sospetto che si tratti di un ulteriore tormentone strumentale a portare acqua al solito mulino della sorveglianza e del credito sociale studentesco. E infatti.

 

Per la causa si scomoda nientemeno che Ferruccio de Bortoli, il quale sul Corriere incensa il Politecnico di Milano per il successo conseguito nel contenere l’abbandono (detto anche drop out in italiano letterario) «utilizzando modelli statistici e algoritmi di machine learning» volti a «capire in profondità le ragioni delle difficoltà, anche psicologiche, degli studenti, facendo in modo di poterli seguire ed eventualmente assisterli meglio» così da salvare «tante carriere professionali». 

 

Il decantato programma di «learning analytics» sperimentato nell’ateneo milanese viene compiutamente descritto in una tesi di dottorato pubblicata per l’occasione nel medesimo ateneo, nelle cui conclusioni – lo riporta sempre il prof. Cosentino – si può leggere:

 

«In senso più ampio, il futuro ha il potenziale per accedere a dati che abbracciano l’intera vita di uno studente, dalla nascita al momento presente, in tempo reale. Ciò implicherebbe l’integrazione non solo delle prestazioni tradizionali e delle informazioni raccolte da tutte le istituzioni educative e gli ambienti precedenti con cui ogni studente si è impegnato, ma anche di informazioni sfaccettate relative alle circostanze personali di ogni studente, che comprendono aspetti quali quelli medici, familiari, economici, religiosi, sessuali, relazionali, emotivi, psicologici e altro ancora. Queste diverse fonti di dati potrebbero essere raccolte e sintetizzate per migliorare e adattare il processo di apprendimento a ogni singolo studente in vari momenti della sua vita con un livello di precisione senza precedenti».

 

Come sempre, il veleno viene (grossolanamente) camuffato da medicina. E infatti de Bortoli chiude il suo pezzo apologetico così: «Prevedere precocemente il rischio di lasciare l’università consente di avviare interventi mirati. C’è un salvagente in più. E non è poco».

 

No, non è affatto poco, siamo d’accordo con lui. È letteralmente mostruoso.

 

La tesi di dottorato da cui è tratto lo stralcio qui sopra ha il merito di rendere esplicito il disegno che, comunque, era perfettamente intelligibile a un osservatore non del tutto accecato dall’euforia tecnologica. 

 

L’E-Portfolio, per esempio, una delle conquiste della scuola 4.0, non è altro che una scatola nera che ogni studente si trova compilata d’ufficio e d’ufficio appiccicata addosso, e che contiene le specifiche di tutta la sua carriera, scolastica e non.

 

Lì dentro finiscono voti, giudizi, esiti di prove a crocette e altre prestazioni estemporanee; finiscono «capolavori» stancamente assemblati perché un genio ha deciso che sennò non puoi fare l’esame; finiscono sentenze di orientamento pronunciate da uno che passa di là e che, siccome ha vinto alla lotteria il patentino di orientatore, ha il potere di decidere della vita altrui umiliando chi quella vita la vive (vogliamo parlare di quanti disastri fa l’orientamento? Di quanto disorienta? Di quante esistenze rovina? Forse bisognerebbe fare un bilancio interrogando l’«utenza» che lo ha subìto).

 

Ogni fase dell’esistenza viene scansionata e ogni file allegato al curricolo alimenta un avatar insindacabile e inemendabile che segue l’alunno come un’ombra incombente. Altro che salvagente.

 

Ora, a parte che è lampante la carica discriminatoria di queste calamite di dati che influenzeranno piccole e grandi scelte di vita sottraendole al motore umano dell’intuito e della spontaneità, e che verranno rimpinzate di tacche luccicanti da chi abbia i mezzi per collezionarle – a prescindere peraltro dal loro effettivo valore: viaggi, corsi, vacanze-studio, certificazioni linguistiche, esperienze globish. I figli di papà avranno portafogli gonfi e portfoli stellari. E quelli che studiano, leggono libri, giocano a pallone nella squadra di quartiere, aiutano il fratellino a fare i compiti, faranno punteggio? Sono forse, le loro, attività meno formative?

 

Ma questo, della sperequazione classista, è solo uno dei frutti avariati della malapianta, e nemmeno il più grave. 

 

Ci si chiede come sia possibile non vedere il mostro che stiamo nutrendo con tanto zelo per consentirgli di mangiarci meglio, e di espropriare meglio la nostra libertà naturale e la sovranità intoccabile che appartiene a ogni essere umano e alla sua famiglia. Come può passare sotto silenzio un condizionamento così penetrante e una sorveglianza così totale, diacronica e ubiquitaria, sull’individuo e su tutto quello che fa durante il lungo, articolato, tortuoso, ma soprattutto imprevedibile processo di crescita? Perché (quasi) nessuno si indigna? 

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Non c’è chi non sappia, per esperienza diretta o indiretta, quanto sia frequente che un somaro si riscatti, che un fannullone si trasfiguri, che un presunto incapace sbocci e fiorisca. Chiunque abbia avuto a che fare con un soggetto in crescita sa bene come cambi taglia d’improvviso, come basti un niente per accendere una scintilla, suscitare una passione e provocare una svolta. Come ogni caduta sia una medaglia al valore e possa aprire la strada a conquiste preziose. Come il tempo lungo della maturazione non sia mai lineare, mai prevedibile né replicabile, e in questo risieda la sua infinita ricchezza.

 

Sa bene che uno che da piccolo vuole fare il cow boy si ritrova pompiere e chi sogna di fare il pompiere diventa medico, elettricista, ingegnere. Le vocazioni si disvelano a contatto con gli imprevisti della vita, intercettando eventi incrociatori che nessun orientatore per caso può immaginare e nessun algoritmo potrà mai calcolare.

 

Ed è folle chi pretenda di interferire con questo flusso meraviglioso, di prevedere algoritmicamente e manipolare programmaticamente la sorte delle persone. È folle chi lo consente.

 

Ognuno ha diritto di fallire una stupida batteria di test INVALSI, ha diritto di essere bocciato, di scivolare e di rimettersi in piedi. Ha il diritto all’oblio dei propri errori di gioventù, perché sono proprio quegli errori che servono a svegliarlo e a farlo diventare grande. Ha diritto che il mondo non scruti nelle pieghe del suo passato che è rodaggio alla vita, perché il mestiere del giovane è proprio quello di imparare.

 

Ognuno ha diritto a essere bruco prima di diventare farfalla.

 

Qualcuno, invece, ha l’interesse a coltivare bruchi per sempre, nel suo bravo allevamento di bruchi, e a sistemarli in fila per due nella società huxleyana gerarchicamente ordinata in cui è lui l’unico ente accentratore abilitato a scrutare, programmare, decidere arbitrariamente cosa premiare e come premiarlo, cosa punire e come punirlo. E dice ai bruchi che tutto questo è per il loro bene. E la più parte dei bruchi ci crede, e consegna felice le chiavi della propria casa, della propria vita e del proprio cuore.

 

Che il padreterno ci dia la capacità di insegnare ai nostri figli il valore della libertà. A loro, dia la forza di non fare della comodità la propria stella polare e, a costo di dover pagare un prezzo per le proprie idee e per i propri sogni, dia la volontà tetragona di diventare farfalle, perché è questo l’unico modo per onorare la vita, l’unico per poter volare sopra i reticolati e vedere dall’alto che sono fatti di nulla. 

 

Elisabetta Frezza

 

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Pensiero

Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.   L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.   Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.   Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.   Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.   Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.   Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.   Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.   Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.   Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.   Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.   I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.   Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».   Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.   Patrizia Fermani

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Scuola

Mostri nei loro barattoli e nella loro formaldeide

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Lo splendore della fede professata nel pellegrinaggio giubilare nella Città Eterna, la bellezza luminosa dei dipinti di Georges de La Tour, i sontuosi ricami delle Orsoline di Amiens, l’importanza di una cultura che non trasgredisce la natura ma la trascende, sono questi i temi di Nouvelles de Chrétienté per il nuovo anno scolastico.

 

Sotto un’apparente diversità, questi temi sono profondamente uniti in un’intenzione comune espressa con «vigore e chiarezza» da Padre Calmel, quando chiede agli insegnanti cristiani di aprire «i loro studenti ai valori dell’arte nelle sue diverse forme», rendendoli al contempo «capaci di una fiera indipendenza e di un bel disprezzo per tutte le anomalie, infezioni, purulenze e mostruosità, che hanno l’audacia di esigere da loro un’ammirazione complice adornandosi della realtà dell’arte e più spesso della sua apparenza».

 

Il frate domenicano esprime un desiderio preciso: «I mostri torneranno ai loro barattoli e alla loro formaldeide, gli scorpioni artistici reintegrano i loro buchi artistici, il giorno in cui un certo numero di esseri giovani e determinati, non certo per barbarie ma per sovrano rispetto della cultura, tratteranno con disprezzo i prodotti immondi della cultura. La cultura non ha alcun diritto contro i diritti della decenza e dell’onore».

 

Aggiunge: «non deve essere lontano il tempo in cui l’insidioso sofisma “onestà significa stupidità” sarà privo di ogni credibilità, perché sarà diventata chiara la prova che ciò che è normale è bello e che, in una civiltà degna di questo nome, l’intelligenza, la sottigliezza, la leggerezza, la finezza e l’arte marciano di concerto con l’onestà, la santità, il rifiuto inflessibile dei veleni e delle ignominie. La scuola cristiana deve affrettare l’arrivo di questi tempi di libertà». (Ecole chrétienne renouvelée, cap. XXIX, tre sensible en chrétien aux valeurs d’art, pp. 188-189, ed. Téqui)

 

Padre Calmel scrisse queste potenti righe alla fine degli anni ’50, lontano dal wokismo, dalla cultura della cancellazione, dello sradicamento e dell’incoscienza… E si aspettava che le suore, autentiche insegnanti, avessero «idee non solo corrette, ma idee che cantano dentro [di loro] e che incantano [i loro] piccoli alunni», per «comunicare loro una verità canterina e germinante». (Ibid., pp. 129 e 131).

 

È una bella frase da scrivere in cima a un quaderno, in questi giorni di ritorno a scuola!

 

Abate Alain Lorans

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine da FSSPX.News

 

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Scuola

«Estremismo violento nichilista»: l’FBI indaga su 1700 casi del nuovo terrorismo domestico. Che forse parte da quello che si insegna anche nelle scuole italiane

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Il direttore dell’FBI Kash Patel ha confermato martedì, nel suo intervento davanti alla Commissione Giustizia del Senato, che l’ufficio sta indagando su oltre 1.700 casi di terrorismo interno.   «Abbiamo 3500 indagini sul terrorismo internazionale… 1700 indagini sul terrorismo interno, una gran parte delle quali riguardano l’estremismo violento nichilista… coloro che commettono atti violenti motivati ​​da un profondo odio per la società», ha detto il Patel agli avvocati in una dichiarazione preparata. «Solo quest’anno l’FBI ha registrato un “aumento del 300% dei casi aperti rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso».   Nel suo intervento, Patel ha fatto riferimento anche al gruppo “764”, una rete internazionale decentralizzata di predatori online classificata come gruppo estremista.   La sua apparizione martedì davanti alla Commissione Giustizia del Senato rappresenta la prima udienza di controllo del mandato del Patello, in un contesto di crescenti preoccupazioni sulla violenza politica all’interno degli Stati Uniti.   Il direttore del Bureau è tornato in commissione per la prima volta dopo l’udienza di conferma tenutasi a gennaio.   Il vicepresidente JD Vance e il consigliere della Casa Bianca Stephen Miller hanno dichiarato lunedì che intendono avviare indagini su organizzazioni non governative di sinistra e altri gruppi, e Miller ha affermato che le reti che hanno organizzato rivolte, violenze di strada e altre attività potrebbero costituire un «movimento terroristico interno».

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«Le campagne di doxing organizzate, le rivolte organizzate, la violenza di strada organizzata, le campagne organizzate di disumanizzazione e denigrazione, la pubblicazione degli indirizzi delle persone, combinate con messaggi progettati per innescare e incitare alla violenza, e le cellule organizzate che attuano e facilitano la violenza. È un vasto movimento terroristico interno», ha detto Miller al «The Charlie Kirk Show», condotto da Vance pochi giorni dopo l’assassinio di Kirk la scorsa settimana nello Utah.   Il nichilismo è una corrente filosofica e un atteggiamento esistenziale che nega l’esistenza di valori, significati o scopi assoluti nella vita e nell’universo. Sostiene che non ci siano verità universali, morali intrinseche o certezze metafisiche, portando a un senso di vuoto o assenza di significato. Nato in ambito filosofico, soprattutto con il filologo sifilitico tedesco Federico Nietzsche, che lo descrisse come la conseguenza del crollo delle certezze tradizionali, come la religione e i sistemi morali, il nichilismo può manifestarsi in forme diverse: dal rifiuto attivo di ogni valore (nichilismo attivo) a un’accettazione passiva dell’assenza di senso (nichilismo passivo).   Il Nietzsche – un uomo talmente pazzo da amare Torino e Recoaro Terme, oltre che improbabili rapporti a tre (dove probabilmente reggeva il moccolo) – vedeva il nichilismo come l’opportunità per realizzare la sua teoria della Umwertung aller Werte, la «trasmutazione di tutti i valori», che in ultima non può che essere il rovesciamento della società umana in una dimensione completamente satanica.   Nietzsche oggi viene scandalosamente insegnato nelle scuole, dopo che la generazione dei boomer che hanno fatto Lettere e Filosofia hanno subito il lavaggio del cervello con l’importazione di Nietzsche da destra a sinistra, un’operazione decisa dalla casa editrice Adelphi con la cura dell’opera completa nicciana portata avanti da Giorgio Colli e Mazzino Montinari (prima ancora che in Germania!) e continuata con personaggi come il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, oppositore della narrazione COVID che infine, come un Socrate mRNA, accettò la vaccinazione con siero genico sperimentale.

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Dopo Nietzsche, un altro filosofo di devastazione morale cui era programmato il trasbordo dalla cultura nazista a quella progressista stile Repubblica era Martino Heidegger. Questo progetto, tuttavia, sembra fallito a seguito del ritrovamento dei cosiddetti «Quaderni neri» heideggeriani, di cui chiunque conoscesse il filosofo aveva contezza ma sui quali i manovratori – che intendevano utilizzare in senso anticristiano il pensieri heideggerista – guardavano con prosciutto oftalmico evidente, sperando che anche il lettore del ceto medio riflessivo (cioè per lo più dipendenti pubblico del ministero dell’istruzione, abbonati dei giornali «laici» del «laico» Eugenio Scalfari, consumatori di cineforum e Feltrinelli).   Quindi: quando si parla del «nichilismo fra i giovani», tema che ha fatto scrivere ridicolmente pure qualche libro, non si affronta l’elefante nella stanza: la filosofia nichilista è tranquillamente diffusa nelle librerie come pensiero sano dello Stato moderno («laico», ovviamente, e programmaticamente «non-etico»)  e pure insegnata a scuola da stuole di insegnanti convinti da un’operazione di decenni fa della bontà filosofica e sociale di Nietzsche e dei suoi epigoni.   L’effetto, stiamo vedendo in America, può essere il terrorismo – oltre che la droga, l’animalismo, il transessualismo, ogni estremismo che poi, in mancanza di alcun valore per la vita umana, si può rivolgere in espressione violenta e catastrofica.

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