Gender
Coppia omosessuale che voleva un figlio fa causa alla clinica dopo la nascita di una figlia
Una coppia americana ha intentato una causa contro una clinica per la fertilità per la nascita di una figlia femmina invece del figlio maschio che avevano «ordinato». Lo riporta BioNews.
La coppia statunitense ha querelato una clinica per la fertilità per il trasferimento di un embrione femminile nel loro «portatore gestazionale», con conseguente nascita di una figlia al posto del maschio per cui avevano pagato.
Negli Stati Uniti, il termine «portatore gestazionale» si riferisce a una donna che porta un bambino che non le è geneticamente correlato, mentre un surrogato è qualcuno che ha un bambino per qualcun altro ma utilizza i suoi stessi ovuli.
I due querelanti – maschi gay, a quanto pare di capire – si sono rivolti presso una clinica di Pasadena, in California, dove la selezione del genere è legale.
Qui hanno quindi fornito il proprio sperma alla clinica per creare embrioni con ovuli di donatori tramite la fecondazione in vitro (IVF).
I due avevano espresso il desiderio di avere due figli maschi e aveva scelto di trasferire solo embrioni maschili all’utero in affitto.
Dopo due trasferimenti infruttuosi, la signora che ha affittato l’utero è rimasta incinta nel dicembre 2020, provocando la nascita della figlia. Da allora la coppia ha chiesto un risarcimento non specificato presso la Corte Superiore di Los Angeles contro la clinica e il dottore coinvolti.
Adducendo violazione del contratto, negligenza medica, negligenza e occultamento fraudolento e violazione della legge sulla concorrenza sleale e della legge sui rimedi legali per i consumatori, la causa intentata dichiara : «in modo negligente, avventato e/o intenzionale è stato trasferito un embrione femminile al portatore gestazionale».
«Fino ad oggi» continua il testo della causa, la clinova «non ha offerto alcuna spiegazione su come si sia verificato questo errore».
La causa intentata dai due gay affermano il costo totale da loro sostenuto sarebbe di 300.000 dollari; la coppia omosessuale chiede dunque un risarcimento non specificato, citando i 300.000 dollari del «trattamento di fertilità» (espressione con cui si designa l’intera di filiera della produzione di esseri umani in laboratorio) che ha portato alla nascita della figlia indesiderata, più il costo di crescere tre figli invece di due, poiché hanno ancora in programma di avere due figli maschi.
Rimane un mistero il perché la coppia gay desideri dei figli maschi; si tratta di inclinazioni personali del tutto sconosciute a coloro che procreano secondo la legge naturale, ma nella tragedia del mondo moderno, dove tutto può essere comprato e riprodotto, surrogato artificialmente, le persone si possono convincere di poter decidere anche dell’identità genetica dei figli.
Ciò dimostra, senza dubbio, una visione dei figli come proprietà dei genitori: non soggetti, ma oggetti. Ciò dovrebbe avere implicazioni legali e costituzionali – perché una persona resa oggetto non è libera, è schiava, e la schiavitù, in teoria, è una pratica proibita.
Invece, la leggi internazionali attuali non sono in grado di comprendere questa semplice verità, e quindi collaborano attivamente alla reificazione degli esseri umani, alla loro sottomissione alla barbarie della legge del più forte – perché già nato, o perché più ricco.
Come riportato da Renovatio 21, una storia simile, con protagonista una coppie di lesbiche che voleva una femmine ma si è ritrovata con un maschio, è capitata pochi mesi fa. Anche in quel caso, avvenuto a nello Stato di New York, è scattata la denuncia alla clinica.
La scelta del sesso, che in vari casi avviene tramite aborto, è proibita in vari Paesi, come l’India. Tuttavia, nel subcontinente l’aborto sesso-selettivo continua a uccidere ogni anno milioni di bambine, che hanno l’unica colpa di essere state concepite femmine.
Si tratta, con evidenza, di un cortocircuito per la mente femminista, che infatti si tiene lontana da questo genocidio in atto nel nome del diritto al libero aborto.
Il Fondo per la popolazione ONU (UNPFA) due anni fa ha di fatto difeso il diritto di eliminare la popolazione femminile.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2021 il Parlamento Canada ha rifiutato di condannare l’aborto sesso-selettivo.
Gender
La prima donna primo ministro del Giappone si oppone al «matrimonio» omosessuale
La nuova prima ministra giapponese, Sanae Takaichi, prima donna a ricoprire questa carica, si oppone al «matrimonio» omosessuale.
Takaichi, insediatasi martedì, ha espresso durante un dibattito elettorale dello scorso mese la sua contrarietà al «matrimonio» omosessuale, pur definendo «giusta» una relazione omosessuale, secondo il sito di informazione LGBT Them.
Nel 2023, durante una riunione della commissione bilancio del governo, ha descritto la legalizzazione del «matrimonio» omosessuale come una «questione estremamente complessa», citando un articolo della costituzione giapponese che definisce il matrimonio come basato sul «consenso reciproco di entrambi i sessi».
Le posizioni di Takaichi sul «matrimonio» omosessuale, non legale in Giappone, sono in contrasto con l’opinione pubblica del Paese, prevalentemente laica. Un sondaggio Pew del 2023 ha rilevato che circa il 70% dei giapponesi sostiene il «matrimonio» omosessuale, il tasso di approvazione più alto tra i Paesi asiatici analizzati.
Diverse città e località giapponesi emettono «certificati di unione» per le coppie omosessuali. Ad esempio, nel 2015 il distretto di Shibuya a Tokyo ha approvato una normativa che riconosce le coppie omosessuali «come partner equivalenti a quelli sposati per legge».
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Inoltre, l’anno scorso un’Alta corte giapponese ha stabilito che il divieto del codice civile sul «matrimonio» omosessuale viola il principio costituzionale contro la discriminazione basata su «razza, credo, sesso, status sociale o origine familiare». Tuttavia, le Alte corti giapponesi non possono abrogare il divieto, rendendo la sentenza simbolica.
Paradossalmente, nonostante sia la prima donna a capo del governo giapponese, l’amministrazione di Takaichi è stata criticata dalla sinistra come un ostacolo per la «parità di genere» e i «diritti delle minoranze sessuali». L’emittente pubblica americana PBS News l’ha definita «non femminista».
Takaichi sostiene la successione esclusivamente maschile della famiglia imperiale, che ha un ruolo cerimoniale, e si oppone alla possibilità per le coppie sposate di mantenere cognomi separati, sostenendo che ciò potrebbe «minare la struttura sociale basata sulle unità familiari». Tuttavia, non insiste sul fatto che la donna debba adottare il cognome del marito. Curiosamente, il marito di Takaichi, il politico LDP Taku Yamamoto, ha preso il suo cognome quando si sono risposati, per cui ora legalmente si chiama Taky Takaichi
«La nascita della prima donna primo ministro giapponese è storica, ma (Takaichi) rappresenta un’ombra per la parità di genere e i diritti delle minoranze sessuali», ha dichiarato a PBS Soshi Matsuoka, attivista LGBT. «Le opinioni di Takaichi su genere e sessualità sono estremamente conservatrici e potrebbero costituire un grave ostacolo per i diritti, in particolare per le minoranze sessuali».
Il Giappone resta uno dei pochi Paesi sviluppati, insieme a Paesi come Corea del Sud e Repubblica Ceca, a non aver legalizzato il «matrimonio» omosessuale.
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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution 4.0 International
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Il Parlamento austriaco vieta il linguaggio «inclusivo di genere» nelle sue comunicazioni ufficiali
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Gender
Il transgenderismo è in declino tra i giovani americani: «una moda in declino»
Un recente rapporto indica un calo nell’identificazione transgender tra i giovani americani, dopo il picco registrato durante l’amministrazione Biden.
Il rapporto, intitolato «The Decline of Trans and Queer Identity among Young Americans», redatto dal professor Eric Kaufmann, analizza i dati di studenti universitari negli Stati Uniti attraverso sette fonti.
I risultati mostrano che l’identificazione transgender è scesa a circa la metà rispetto al massimo raggiunto nel 2023, passando dal 7% al 4%.
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Tra il 2024 e il 2025, meno studenti universitari del primo anno si sono identificati come «trans o queer» rispetto agli studenti dell’ultimo anno, invertendo la tendenza osservata nel 2022-2023.
Anche l’identificazione come «non binario» (né uomo né donna) è diminuita della metà in tre delle cinque fonti di dati dello studio. L’identificazione eterosessuale è in aumento, pur rimanendo inferiore rispetto al 2020, mentre quella gay e lesbica è rimasta stabile.
«Questo suggerisce che la non conformità di genere/sessuale continuerà a diminuire», ha scritto Kaufmann su X, commentando i risultati, definendo l’identità transgender e queer una «moda» ormai in declino.
«Il calo delle persone trans e queer sembra simile allo svanire di una tendenza», ha affermato, sottolineando che tale cambiamento è avvenuto indipendentemente dalle variazioni nelle convinzioni politiche o nell’uso dei social media, ma con un ruolo significativo del miglioramento della salute mentale.
«Gli studenti meno ansiosi e, soprattutto, meno depressi [sono] associati a una minore percentuale di identificazioni trans, queer o bisessuali», ha aggiunto.
Come riportato da Renovatio 21, gennaio, il presidente Trump – che prima di rientrare alla Casa Bianca aveva promesso di fermare la «follia transgender» dal primo giorno della sua presidenza –ha firmato un ordine esecutivo per vietare al governo federale di finanziare o promuovere la transizione di genere nei minori. «Questa pericolosa tendenza sarà una macchia nella storia della nostra nazione e deve finire», ha dichiarato.
Sono seguiti interventi dell’amministrazione Trump contro il reclutamento di trans nell’esercito (nonché la cacciata dei già recluati) e la partecipazione di transessuali maschi alle gare sportive delle donne. «la guerra allo sport femminile è finita» ha dichiarato il presidente americano.
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Secondo il Williams Institute, il 76% delle persone transgender (circa 2,8 milioni) ha meno di 35 anni, di cui il 25% (724.000) è tra i 13 e i 17 anni. Il rapporto evidenzia che la composizione razziale delle persone transgender riflette quella degli Stati Uniti. Circa un terzo si identifica come donna, un terzo come uomo e un terzo come non binario.
Dal 2022, il Williams Institute stima che il numero di persone transgender sia cresciuto da 1,6 milioni a 2,8 milioni, un aumento del 75% in tre anni.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa uno studio dell’ente americano Public Religion Research Institute (PRRI) aveva rivelato che più di un americano su quattro (28%) di età compresa tra 18 e 25 anni, nota come Generazione Z, si è identificato come LGBT.
La «moda» ora può essere finita. Tuttavia, ci chiediamo: quale ne è stato il prezzo?
Quanti ragazzi castrati per sempre? Quante ragazze mutilate dei seni? Quanti adolescenti intossicati di steroidi sintetici? Quante famiglie lacerate e distrutte?
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