Cina
Contrabbando di carbone: Pechino starebbe aiutando la Corea del Nord ad aggirare le sanzioni ONU
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Imposte dalla comunità internazionale per le attività nucleari e missilistiche di Pyongyang. Tracciato il percorso di un mercantile nordcoreano diretto in un porto cinese. La Cina ostacola le operazioni di monitoraggio compiute sotto egida delle Nazioni Unite.
La Corea del Nord starebbe contrabbandando carbone in Cina via mare in violazione delle sanzioni ONU contro Pyongyang per le sue attività nucleari e missilistiche. Lo rivela un’indagine di Nikkei Asia, che ha potuto tracciare i movimenti di un mercantile nordcoreano incrociando dati satellitari e del suo sistema automatico d’identificazione.
Il regime di Kim Jong-un è isolato dalla comunità internazionale (tranne che dalla Cina e in parte dalla Russia), sottoposto da anni a misure punitive decise dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, di cui Pechino è membro permanente. Il Paese è alle prese con una cronica crisi economica, aggravata da una recente ondata di infezioni da COVID-19 e da una serie di inondazioni.
Malgrado tale quadro, Pyongyang continua a portare avanti il suo programma militare: come sospettato da più parti, con ogni probabilità è finanziato anche dagli acquisti cinesi. La consegna di carbone mostrerebbe che Pechino aiuta i nordcoreani ad aggirare le sanzioni internazionali.
I fatti esaminati da Nikkei Asia risalgono all’agosto 2021. La Tae Phyong 2 è partita dal porto nordcoreano di Nampo, sul Mar Giallo, l’8 o il 9 agosto carica di carbone. Ha attraccato poi al porto cinese di Longkou (Shandong) il giorno 13, per poi ripartire vuota il 21.
Lo scorso marzo un gruppo di esperti Onu che monitorano l’applicazione delle sanzioni alla Corea del Nord aveva richiamato l’attenzione sui movimenti della Tae Phyong 2. I cinesi si sono difesi affermando che la nave era entrata vuota nel porto di Longkou, per poi caricare fertilizzanti e altre forniture agricole.
Un’immagine satellitare presa da Airbus il 4 aprile mostra un altro cargo nordcoreano che raggiunge il porto dello Shandong da Nampo, con il dettaglio di una sostanza scura che viene scaricata.
Secondo dati ottenuti da Nikkei Asia, da gennaio 2021 a oggi sono stati individuati 180 mercantili sospettati di violare il regime sanzionatorio contro la Corea del Nord. Di questi, 37 hanno ormeggiato a Longkou per diversi giorni; altri 20 si sono fermati in porti del Liaoning e dell’Hebei che di solito gestiscono grandi volumi di carbone.
L’indagine sulla Tae Phyong 2 getta una nuova luce sulle interferenze dei caccia militari cinesi nelle operazioni aeree dei Paesi chiamati a verificare il rispetto delle sanzioni contro Pyongyang.
L’ultimo caso è emerso a inizio mese, quando Global News ha riportato che più volte da fine 2021 jet dell’aeronautica di Pechino hanno volato vicinissimo a pattugliatori canadesi nei pressi della Corea del Nord, mettendo a rischio l’attività di monitoraggio delle Nazioni Unite.
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Cina
Ancora un governo filo-cinese alle Isole Salomone: Pechino mantiene la presa sul Pacifico
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Il nuovo primo ministro dell’arcipelago sarà Jeremiah Manele, che ha già ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri. Gli analisti si aspettano che, nonostante i legami con la Cina, addotti un approccio meno conflittuale. Ma la competizione resta aperta tra le nazioni del Pacifico, divise tra la fedeltà ai partner occidentali e gli accordi (soprattutto sulla sicurezza) con Pechino.
Il governo delle Isole Salomone resterà filo-cinese: i deputati designati dopo la tornata elettorale del 17 aprile hanno scelto come primo ministro Jeremiah Manele, che ha ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri nel 2019, anno in cui le Isole Salomone, sotto la guida del precedente premier Manasseh Sogavare, hanno deciso di interrompere le relazioni diplomatiche con Taiwan per firmare, tre anni dopo, un trattato sulla sicurezza (i cui dettagli non sono stati resi pubblici) con la Cina, che continua così a mantenere una certa influenza nel Pacifico.
Sogarave la settimana scorsa aveva dichiarato che avrebbe rinunciato alla corsa a primo ministro a causa dei risultati deludenti del suo partito, e ha poi appoggiato la candidatura e la nomina di Manele, il quale ha già annunciato che manterrà stretti legami con Pechino. Ma gli analisti si aspettano che, a differenza del predecessore, Manele adotti un approccio meno conflittuale verso i partner occidentali, che guardano con preoccupazione alle relazioni tra la Cina e le nazioni insulari che costellano l’Oceano Pacifico.
Negli ultimi anni, infatti, Pechino ha rafforzato con diversi Paesi la cooperazione nell’ambito delle forze di polizia ed elargito fondi e investimenti per la costruzione di porti, strade e infrastrutture di telecomunicazione, in posti dove gli spostamenti e i contatti sono resi complicati dalla scarsità di risorse e dal progressivo aumento del livello dei mari dovuto al cambiamento climatico.
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Solo per fare alcuni esempi, dal 2013 è attivo uno scambio di agenti di polizia con le isole Figi, dove nel 2021 è arrivato per la prima volta, presso l’ambasciata cinese, anche un ufficiale di collegamento. Lo scorso anno sono state inviate squadre di esperti a Vanuatu e Kiribati (un altro Paese che ha revocato il riconoscimento a Taiwan nel 2019), mentre l’assistenza alle Isole Salomone è stata rafforzata dopo le proteste che sono scoppiate nella capitale, Honiara, nel 2021 e molti temono che il patto sulla sicurezza firmato nel 2022 preveda il dispiegamento di forze militari cinesi sull’arcipelago.
Ancora: dopo le rivolte di gennaio in Papua Nuova Guinea, il ministro degli Esteri papuano, Justin Tkachenko, ha dichiarato che a settembre la Cina si era offerta di fornire attrezzature e tecnologie di sorveglianza, ma subito dopo si è sincerato di sottolineare che, in ogni caso, la Papua Nuova Guinea non «metterà a repentaglio o comprometterà le relazioni» con i partner occidentali.
Inoltre, la Cina ha proposto investimenti per rilanciare il settore del turismo a Palau e sulle Isole Marshall, due Paesi che, insieme alla Micronesia, sono legati a Washington tramite dei Patti di libera associazione (Compacts of Free Association, COFA), che permettono agli Stati Uniti di avere accesso agli apparati di difesa e di sicurezza delle nazioni del Pacifico in caso di attacco (ma non solo).
Secondo gli esperti, la Cina ha un doppio interesse a promuovere la cooperazione di polizia con questi Paesi: da una parte vi è la necessità pratica di proteggere la diaspora e gli investimenti cinesi, soprattutto nel caso di rivolte e disordini, che si sono dimostrati frequenti.
Dall’altra è evidente che si tratta di un’area dove Pechino si è inserita per avere maggiore influenza nella regione a scapito degli Stati Uniti. I funzionari di Washington hanno nuovamente espresso le loro preoccupazioni all’inizio dell’anno dopo la visita di alcuni agenti di polizia cinesi a Kiribati, dove temono che la Cina possa ricostruire una pista d’atterraggio militare, a meno di 4mila chilometri dalle Hawaii.
Alle piccole nazioni del Pacifico, però, la competizione geopolitica tra la Cina e gli alleati occidentali potrebbe non dispiacere affatto, perché fornisce un elemento in più su cui fare leva nei rapporti diplomatici e ottenere così maggiori aiuti e risorse. Nel 2022 il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, non era riuscito a convincere i leader del Pacifico a firmare due nuovi accordi di cooperazione e l’anno successivo, il primo ministro delle Figi, Sitiveni Rabuka, aveva affermato che avrebbe stracciato l’accordo di scambio di ufficiali di polizia con la Cina, ma ha poi ammorbidito i toni.
In questa competizione per l’influenza nel Pacifico, Pechino sostiene che gli Stati Uniti non siano un partner affidabile, cercando di contrastare quella che ritiene essere una visione anti-cinese proposta dai media occidentali. A gennaio di quest’anno, in seguito a una fuga di informazioni, è stato scoperto che tra i compiti di un diplomatico cinese di stanza presso l’ambasciata di Honiara c’era anche quello di influenzare la copertura mediatica locale sulle elezioni presidenziali a Taiwan.
Gli Stati occidentali, dal canto loro, hanno evidenziato lo stile autoritario della polizia e dei funzionari provenienti dalla Cina, dove i diritti umani spesso passano in secondo piano. Nel 2017, per esempio, la polizia delle Figi aveva arrestato 77 cittadini cinesi, poi estradati in collaborazione con le autorità locali.
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Immagine di Arthur Chapman via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic
Cina
Cina, nel 2024 calano i profitti per il settore delle terre rare
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Cina
La Cina accusata di aver sequenziato il DNA tibetano e uiguro per rifornire il mercato dei trapianti di organi
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Una commissione del Congresso degli Stati Uniti ha ascoltato testimonianze scioccanti sul presunto prelievo forzato di organi da parte di uiguri e praticanti del Falun Gong in Cina.
Il presidente della Commissione esecutiva del Congresso sulla Cina (CECC), il deputato Chris Smith, studia la questione da anni. È fermamente convinto che la Cina stia permettendo orribili violazioni dei diritti umani.
«Il prelievo forzato di organi su scala industriale in Cina è un’atrocità senza eguali nella sua malvagità: bisogna tornare agli orribili crimini commessi nel 20° secolo da Hitler, Stalin, Mao o Pol Pot per trovare atrocità sistemiche comparabili», ha affermato nella sua introduzione all’udienza del 21 marzo. «Il numero delle persone giustiziate o dei loro organi – alcuni anche prima che siano cerebralmente morti – è sconcertante».
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Tra i testimoni davanti al CECC c’era la dottoressa Maya Mitalipova, direttrice del Laboratorio di cellule staminali umane presso il Whitehead Institute for Biomedical Research del Massachusetts Institute of Technology. È una uigura nata in Kazakistan.
Le sue accuse sono state sorprendenti. Ha detto che il governo cinese ha costruito il più grande database del DNA del mondo con l’aiuto della tecnologia americana.
Il DNA delle popolazioni indigene del Tibet e dello Xinjiang, dove vive la maggior parte dei 15 milioni di uiguri e di altri popoli turchi della Cina, è stato sequenziato. Ha stimato che il sequenziamento del DNA di 15 milioni di persone costerebbe 1 o 2 miliardi di dollari. Perché il governo dovrebbe farlo?
La sua risposta agghiacciante è che il governo cinese utilizza il database per selezionare i donatori di organi.
«Quando un paziente richiede un organo in Cina, i dati sequenziati del suo DNA verranno “confrontati” con i milioni presenti nel database del DNA archiviato nei computer. Entro pochi minuti verrà trovata una corrispondenza perfetta. Se un potenziale donatore di organi non è in prigione o in un campo, le autorità cinesi possono facilmente trovare un motivo per trattenere una persona compatibile e ucciderla su richiesta per i suoi organi».
«Questo è il motivo principale per cui il governo cinese ha investito miliardi di dollari nel sequenziamento del DNA dell’intera popolazione dello Xinjiang e del Tibet. Perché in cambio guadagnerà esponenzialmente molti più miliardi di dollari all’anno».
Ethan Gutmann, un esperto di espianti di organi, ha anche testimoniato che adulti uiguri giovani e sani vengono prelevati da campi di internamento di massa e uccisi per i loro organi.
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Gutmann, l’autore di The Slaughter, un libro sul prelievo forzato di organi, indaga da anni sul prelievo forzato di organi in Cina. Inizialmente, ha detto, venivano usati gli aderenti al movimento vietato del Falun Gong. Tuttavia, intorno al 2017 la Cina ha iniziato a procurarsi organi da uiguri e altri musulmani nello Xinjiang per pazienti provenienti dal Medio Oriente. «Supponendo che i turisti degli organi dello Stato del Golfo preferiscano i donatori musulmani che non mangiano carne di maiale, [la Cina] ha cercato di sfruttare il passaggio dalle fonti del Falun Gong a quelle uigure».
Un’altra testimone davanti al CECC è stata Anne Zimmerman, presidente del comitato per le questioni bioetiche della New York City Bar Association. Ha affermato che gli esperti di bioetica hanno una responsabilità speciale nel garantire che le istituzioni non collaborino al prelievo di organi.
Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, ha dichiarato a Radio Free Asia che la Cina è governata da leggi e che «la vendita di organi umani e i trapianti illegali sono severamente vietati». «I diritti umani delle persone di tutti i gruppi etnici nello Xinjiang sono stati completamente protetti», ha detto. «Le affermazioni che avete menzionato non reggono e non significano altro che sensazionalismo artificiale».
Michael Cook
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